- Datti una calmata - era più grande di lei, più matura. I suoi occhi erano circondati da un accenno di rughe di espressione; stesso destino per le sue labbra. Eppure la sua età le donava un fascino purtroppo svilito dalle catene e dagli abiti.
- Non ci riesco! Sto male!
- So cos’hai. Ci siamo passate tutte. Dicono che noi schiave non possiamo provare piacere. Ma in realtà tutte noi ci riusciamo
- Come? Come fate? Come ci riuscite?
- Davvero nessuna te l’ha mai detto?
La schiava continuava ad agitarsi, senza sosta, senza tregua. Era sempre stato insopportabile, ma nelle ultime settimane era diventato insopportabile.
- No! Nessuna! Perché è così insopportabile? Lo era per tutte?
- Non ho mai visto nessuna ridotta male come te onestamente
La schiava più matura aveva un tono tranquillo, rassegnato. La osservava attraverso le sbarre. Al contrario di lei aveva scelto di coprire il suo bacino e il suo inguine. Il suo seno invece era scoperto dal tubino di pelle. Non erano grossi seni, ma sodi nonostante l’età che dimostrava.
- L’unico modo in cui puoi riuscirsi è quando te lo mettono in culo
- No! mi fa male quando lo fanno
- Forse le prime volte! E solo in parte. Alla fine devi solo smetterla di pensare che faccia male e che non puoi godere così. È tutta una cosa psicologica.
La schiava continuava ad agitare le gambe, cercando di liberarsi, di toccarsi.
- No! No, è impossibile!
- Devi solo rilassarti. Quando ti inculano devi rilassare i muscoli del culo e accoglierlo con piacere. Quando lo accoglierai e deciderai di desiderarlo in te! Allora e solo allora potrai godere davvero anche dal culo
Non ebbe il tempo di risponderle. Improvvisamente i cancelli delle prigioni si aprirono e due guardie imperiali fecero il loro ingresso. Indossavano le loro classiche armature grigie, scoperte sul bacino. I loro membri turgidi e nervosi svettavano instancabili grazie alla magia che li sorreggeva. Uno di loro aveva una chiava che usò per aprire la sua cella. Le tolse le catene dai polsi e gliele attaccò alle caviglie, come da prassi.
- L’Imperatore ha una udienza molto importante schiava, vuole te per sollazzarlo
- Chissà perché l’Imperatore vuole proprio lei! Sarà così brava? - domandò l’altra guardia - Dovremmo provare.
Senza aggiungere altro la costrinse col ventre sul tavolo. Senza troppa grazia si sputò su di una mano e iniziò a massaggiarsi il membro durissimo. Insalivò la cappella gonfia e larga per alcuni momenti.
- Che diamine vuoi fare? È la schiava dell’Imperatore.
L’altra guardia non gli diede ascolto. Appoggiò la cappella all’ano della schiava e spinse con forza al suo interno. La schiava lo sentì farsi spazio tra le sue carni. Non oppose resistenza, ormai era abituata. Provò a seguire il consiglio poc’anzi ricevuto e accolse il pene della guardia dentro di sé, rilassandosi, senza fare resistenza. Non fu facile, non fu immediato. Chiuse gli occhi per cercare di rilassarsi ma aveva sempre la maledetta sensazione di non poter trovare piacevole quella possessione. La guardia le afferrò i fianchi, saldi e forti, per spingere ancora di più. Solo dopo diversi secondi riuscì a rilassarsi, iniziando a provare davvero e finalmente piacere da quella penetrazione. Lo sentiva dentro sé, veemente, scorrere in avanti e indietro. E le piaceva. Arcuò la schiena seguendo quel movimento, agitando il bacino seguendo quella sensazione che, via via, diventava sempre più bella, più appagante.
- Basta così! tuonò l’altra guardia allontanando i due - Lei è riservata all’Imperatore
Il pene uscì di botto dall’ano di lei, senza lasciarle il tempo di godere. Senza altre parole la portarono fuori dalle prigioni.
- Non ho bisogno di nessuno io - fiera e testarda, Anya non guardava nemmeno la sua interlocutrice mentre parlava. Procedeva a passo spedito sul sentiero tenendo le briglie del suo purosangue. Indossava due piastre d’armatura ad accogliere i seni prosperosi, tenuti su da una struttura di cuoio. Sulla spalla destra era legato uno spallaccio e la mano sinistra era accolta in un guanto d’arme. Un gonnellino di ferro era legato alla vita, pendendo fino a metà anca con losanghe di metallo disposte a coda d’aragosta. Sotto il gonnellino era completamente nuda, per comodità diceva, e questo lasciava poco spazio all’immaginazione rendendo il suo sedere sodo ben visibile appena si abbassava anche di poco. Ad avvolgere gli stinchi e i piedi vi erano due stivali di cuoio nero. Al fianco destro pendeva la sua inseparabile spada.
- Ma tu non potresti individuare il capello di vergine senza la mia magia - si difese Clotilde, la stregona, che la seguiva a passo spedito - I ribelli mi hanno ordinato di aiutarti. Erano giorni che la seguiva, che continuava a sentirsi dire di essere inutile, che non era necessaria la sua presenza. All’inizio era intimidita da quella guerriera, ma poi era riuscita ad avere il coraggio di tenerle testa.
- Io sono l’eletta - proseguì Anya con tono accigliato e fiero. La guardò da capo a piedi per un attimo. La sua compagna di viaggio indossava una tunica che la copriva integralmente, fino ai piedi, con tanto di cappuccio. Eppure non era una brutta ragazza. Clotilde aveva capelli rossi, che contrastavano con il nero di quelli di Anya. Risultava più bassina dell’eletta. Il suo seno era piccolo e accennato, proteso in avanti con due capezzoli piccoli e appuntiti. Una leggera lentigine le decorava il volto.
- L’hai detto già - rispose Clotilde abbassando la testa intimidita - Siamo quasi arrivate.
Più avanti si intravedeva un paesino poco lontano. La stregona utilizzava delle rune che indicavano loro la direzione. Era incredibile quanto fosse raro trovare una vergine di oltre vent’anni. Come se non bastasse l’Imperatore aveva mandato i suoi soldati in giro per tutte le città, a deflorare quelle pochissime rimaste. Avevano avuto modo di incontrarli, i soldati, durante il loro cammino fino a quel punto, e non era stato semplice superarli senza farsi notare. Clotilde, ogni volta, non poteva fare a meno di pensare che se solo l’eletta non avesse indossato un’armatura così appariscente, sarebbe risultato più semplice passare inosservate.
Come a dimostrare ancora una volta la sua tesi, appena fecero ingresso nel paesino si trovarono gli occhi di tutti puntati addosso. Il giorno volgeva all’imbrunire, così le due si rifugiarono nella prima taverna che incontrarono sulla strada. Era un luogo molto modesto, con cibo di qualità scadente. Non indugiarono oltre in quella sala. Era piena di uomini che le guardavano da capo a piedi. Clotilde si sentiva spogliata con gli occhi. Anya probabilmente no, visto che di abiti indosso ne aveva già pochi. Chiamarono l’oste e si fecero dare una stanza con due letti di paglia, molto umili. Quando Anya chiuse la porta della stanza con il chiavistello, Clotilde deglutì. Quando si chiudevano nella stanza di una locanda era sempre la stessa storia. La stregona non riusciva a fare a meno di domandarsi come potesse quella donna essere l’eletta. Si immaginava una persona gentile, piena di buoni sentimenti. Invece quando loro due rimanevano sole, Anya sfogava la sua vera natura, sottomettendola senza pietà.
- Spogliati - le ordinò infatti.
Clotilde sfilò la sua tunica ritrovandosi completamente nuda. La sua biancheria e le vesti che sotto la tunica usava indossare le erano state strappate la prima notte da Anya, che le aveva bruciate in un braciere. Così era stata costretta ad intraprendere il lungo cammino vestita solo della sua tunica di lana grezza che le arrossava la pelle così candida e delicata. Il ruvido indumento aveva infiammato la sua pelle sulle spalle, sulle braccia e sugli stinchi. Meno nettamente si individuavano arrossamenti sui seni appuntiti e sulle cosce. Anche il suo culetto piccolo e morbido non era passato indenne e risultava un po’ arrosato. Erano giorni che portava con sé quelle irritazioni e ormai ci aveva fatto l’abitudine. Si era arresa alla volontà dell’eletta, decisa a servirla in ogni modo, anche i più assurdi e umilianti. Tuttavia sapeva bene che per quella sera non aveva ancora finito di servirla, anzi. Ora veniva la parte peggiore.
La stanza era piccola e conteneva due letti di paglia ricoperti da lenzuoli di lana spessa e un angolo in cui vi era una brocca colma di acqua, una bacinella e una pietra di sapone. Niente di più e niente di meno. Anya si tolse gli stivali e si avviò nell’angolo con la brocca e afferrò la pietra di sapone. Secondo un copione ormai noto si andò a stendere sul letto, di schiena. Alzò la gonnellina di ferro lasciando scoperto il suo sesso, divaricando per bene le gambe. Una peluria poco folta la ricopriva. Riccioli neri crescevano piuttosto giovani sul pube dell’eletta. Tuttavia quest’ultima si insaponò per bene le mani con la pietra e iniziò a strofinare quei peli. Clotilde, nuda, doveva rimanere lì, in piedi, a guardare la scena. Una volta che i riccioli furono bene insaponati e ammorbiditi, Anya estrasse un coltello affilato dalla cintola e iniziò, con studiata gentilezza e delicatezza, a depilarsi. I peli erano cresciuti ancora radi e corti, quindi le ci volle poco per completare l’opera. In pochi minuti la sua vagina era completamente glabra. Era una perfetta incisione. La pelle, poco prima del clitoride, si separava nei due lembi che formavano le grandi labbra. Il clitoride sporgeva appena un po’ in fuori, una piccola e dolce escrescenza ben arrotondata. Clotilde la osservava senza riuscire a distogliere lo sguardo.
- Sai cosa fare vero? - le domandò Anya con quella faccia, quella che lei conosceva bene. Ogni volta che si fermava a guardare l’eletta non poteva fare a meno di notare che il suo volto era un po’ allungato e le labbra sporgevano più del normale rispetto alla linea del volto. Non era una bellezza fine ed elegante, come si era immaginata che fosse, ma non era per questo brutta. Era carina. Ma quando si stendeva sul letto a cosce aperte la guardava sempre con quella faccia, con quello sguardo. La voglia le se leggeva nello sguardo, e con essa il desiderio di sottometterla. Non era più né bella ne brutta. Era porca. Porca come non ne aveva mai viste altre prima.
- Devo costringerti? - incalzò Anya vedendola esitare. Clotilde non voleva essere costretta, non di nuovo. Le prime sere si era ribellata, ma non era servito a nulla. Alla fine aveva dovuto obbedire. Aveva dovuto darle il suo - spasso serale. Così avveniva ogni sera, e, ormai, si era quasi rassegnata. Immaginava che Anya se ne rendesse conto, perché sembrava non essere molto soddisfatta del suo supino sottomettersi. Cercava sempre nuovi metodi per definire la propria superiorità.
Lentamente la stregona si inginocchiò ai piedi del letto di Anya e iniziò a giocherellare con le dita sul suo clitoride. Poi le fece scendere lungo il contorno delle labbra, delicatamente. Cercò di farsi spazio al suo interno con gentilezza mentre la lingua iniziava il suo lavoro. Prima depose alcuni baci sul clitoride. Baci solo di labbra all’inizio. Poi a labbra schiuse iniziò a baciare le labbra del sesso di lei. Un bacio lavorato di lingua e saliva. Sentì il piacere di lei sulla propria lingua. Iniziò a sentirla bagnarsi. Aveva un sapore strano, quasi dolce. Non aveva mai pensato potessero piacerle le donne, eppure quel sapore risvegliava in lei desideri nascosti, la intrigava. Quando pensò che era pronta infilò un primo dita nella sua vagina, concentrando il lavoro di lingua sul clitoride. Lo solleticava prima con la punta, per poi leccarlo per bene, con tutta la lingua. Dopo un po’ infilò un secondo dito, il medio che faceva ora compagnia all’indice. Il palmo di quella mano era rivolto verso l’alto e ogni volta che tirava indietro arricciava anche le dita, come a richiuderle, salvo poi riaprirle quando riaffondava dentro di lei. Con la mano libera salì sul ventre di Anya, fino ad uno dei suoi seni coperto dall’armatura. L’eletta lo liberò subito dai legacci che lo opprimevano, togliendo la piastra. Clotilde iniziò così a massaggiarle il seno, con particolare attenzione per il capezzolo. Lo prese tra indice e pollice, strizzandolo prima delicatamente, poi man mano più forte.
Intanto l’altra mano aumentava il ritmo. All’indice e al medio si unì l’anulare che, senza nessuna difficoltà, si fece spazio nella vagina. Iniziò a dolerle la spalla tanto era la velocità e il ritmo con faceva entrare e uscire le dita. La lingua continuava poi quel lavoro intenso, di punta e di piatto, stuzzicando il clitoride sempre più velocemente. Ogni tanto si interrompeva, succhiandoglielo tra le labbra, facendolo strusciare contro i denti lievemente. I gemiti di Anya iniziarono a riempire il silenzio notturno. L’eletta portò la propria mano destra sulla nuca della stregona, afferrandola per i capelli, tenendola ben stretta tra le sue cosce, come per assicurarsi che lei non smettesse di leccargliela. Questo indicava che c’era quasi, era sull’orlo del piacere e dell’orgasmo. Clotilde allora accelerò ancora di più. La lingua senza tregua leccava il clitoride, accompagnando il movimento con la testa, per renderlo più ampio e profondo. Con le dita quasi usciva dalle grandi labbra per poi rifiondarsi al suo interno, rapida e lunga in ogni movimento. L’altra mano continuava a martoriarle il seno, stringendole il capezzolo, facendolo roteare tra indice e pollice.
All’improvviso Anya trattenne il fiato e strinse con forza le cosce, l’una verso l’altra. Clotilde si sentì intrappolata, sentendo la calda pelle di lei stringerla da entrambe le direzioni, facendole quasi male in quella morsa di sottomissione. Tuttavia sapeva che quella era la fine. Non si fermò, anzi continuò con maggiore foga, riempendosi la lingua di sapori e umori, affondando così tanto la testa tra le sue cosce da inumidirsi tutto il volto.
- Ahhhhhh!!! fu un urlo liberatorio quello di Anya che rilassò tutti muscoli. Clotilde lentamente lasciò il seno di lei ed estrasse le dita dalla sua figa, ma sapeva che non doveva smettere di leccarla se non voleva farla arrabbiare. Dopo alcuni secondi, Anya sollevò un ginocchio e poggio il proprio piede nudo sul volto della stregona che ancora la leccava. Con forza e senza grazia al spinse via. Clotilde si ritrovò spinta al suolo, seduta a terra. Nuda e arrossata per via della tunica grezza. Col braccio che le doleva per l’intenso lavoro e il volto, coperto da quel sottile strato di lentigini, sporco degli umori di lei. Si leccò le labbra togliendone la maggior parte e osservò l’eletta che si voltò su un fianco e iniziò a dormire. Come un cane bastonato andò anch’ella verso il suo letto e cercò di addormentarsi.
La sala del trono era piena di nobili quella sera. La schiava non aveva mai visto tutte quelle persone accalcate in quella sala, davanti all’Imperatore possente e con la sua solita armatura brunita. All’inizio era stato traumatico per lei mostrarsi quasi nuda, davanti a tanti estranei, e mettersi a succhiare il cazzo all’Imperatore. Poi si era abituata, ma non aveva mai avuto una platea così nutrita. Mentre la trascinavano verso il trono notò numerosi nobili tra le prime file dei convenuti, circondati dalle guardie del trono nelle loro armature grigie. Molti erano dei grassoni sudati e sporchi. Altri eleganti uomini in abiti raffinati. La sua attenzione fu attratta per un istante da una donna bellissima, alta e mora di pelle. Era la prima volta che vedeva qualcuno di quella carnagione. Tuttavia non le fu permesso indugiare troppo a guardare il pubblico. Fu subito costretta a dar loro le spalle, inginocchiarsi sul suo solito cuscino e chinarsi sul membro del suo padrone. Sapeva che probabilmente tutti ora stavano guardando il suo sesso e il suo sedere, ben esposti. Che presto tutti avrebbero indugiato a guardare gli umori che già scorrevano tra le sue cosce fino a macchiare il cuscino. Lo sapeva ma non le importava più nulla. Afferrò il turgido membro del suo Imperatore con entrambe le mani e iniziò a muoverle su e giù, ruotando i polsi in sensi opposti. Poi la sua lingua indugiò sulla gonfia cappella, leccandola e baciandola, prima di infilarsela tutta in bocca. Mentre la teneva tutta tra le labbra, la lingua iniziò a stuzzicare il buchino all’estremità del glande.
- Lord Franz - la voce dell’Imperatore era dura e per nulla influenzata dal servizio di bocca che stava ricevendo - Fatti avanti.
Il nobile grassoccio fece un paio di passi avanti e si inchinò davanti al trono. Era sudato, più del solito, e nervoso. Tanto nervoso che nemmeno indugiò sui primi umori che iniziavano a scorrere nell’internocoscia destro della schiava.
- Ditemi mio Imperatore - rispose con la voce tremante il Lord.
- Trenta dei tuoi uomini sono stati scoperti lasciare la Capitale poche ore fa. Sai dirmi perché?
Lord Franz sbiancò di colpo. Si guardò intorno sudando. Avrebbe dovuto inventarsi una menzogna, una storia credibile. Ma non riuscì a dire nulla. Rimase in silenzio a bocca spalancata, farfugliando sillabe prive di senso.
Il Barone Lorenzo, alle sue spalle, era impassibile. Anzi, dissimulava tensione e preoccupazione, oltre a rabbia e disappunto, con un sorrisetto compiaciuto. Aveva un braccio attorno alla vita della sua compagna. La teneva stretta a sé.
- Ve lo dico io allora. Dai cadaveri abbiamo trovato un dispaccio che ordinava loro di trovare l’eletta e aiutarla. È vero?
La schiava sentiva il membro dell’imperatore pulsare ed ingrossarsi ogni volta che, furente, parlava e accusava il Lord. Sapeva come sarebbe finita. Quindi chiuse gli occhi e si concentrò a succhiarlo. Nella sala per diversi secondi calò il silenzio. Un silenzio irreale, colmato solo dal rumore della saliva che iniziava a scendere lungo il pene dell’Imperatore. Il rumore delle labbra che succhiavano con forza quella cappella e delle mani che spalmavano la saliva su tutta la lunghezza dell’asta.
- Io! io posso spiegare - pronunciò il Lord. Ma non ebbe tempo di finire nemmeno la sua frase che due guardie gli andarono incontro. Puntarono le alabarde verso il suo petto e lo trafissero.
La schiava sentì il rumore della carne tranciata, dell’urlo strozzato in gola, soffocato. Poi il corpo cadere al suolo privo di vita. Non ci pensò. Non doveva pensarci. Continuava a succhiare senza fermarsi, senza tregua, come se nulla fosse.
Mentre il corpo veniva portato via, l’Imperatore si alzò in piedi, costringendo la schiava a cambiare postura, senza mai staccarsi dal suo membro e interrompere la sua posizione.
- Che sia di lezione a tutti coloro che cospirano alle mie spalle. Passa tutto sotto il mio occhio. So tutto di tutti e nessuno può fregarmi!
Pronunciando queste parole soffermò per lunghissimi secondi il suo sguardo sul Barone Lorenzo. Quest’ultimo sentì il sangue gelarsi nelle vene, ma non dette cenno di cedimento. Impassibile sostenne lo sguardo. Quindi l’Imperatore afferrò la schiava per un braccio e la portò con sé.
- Mikael, seguitemi nella sala dei rituali - pronunciò avviandosi in quella direzione. Subito dopo lo stregone di corte si fece largo tra la folla e imboccò la stessa direzione.
I nobili iniziarono a sfollare la sala del trono, lentamente e in silenzio. Il Barone Lorenzo trattenne ancora a se la sua compagna, ben stretta.
- Ti rendi conto? - le sussurrò appena. Ella non rispose.
I due uscirono presto dalla fortezza dell’Imperatore e imboccarono una via silenziosa, che avrebbe condotto alla villa dove dimoravano. Mentre incedevano col passo qualcosa cadde dalla veste della donna. Una missiva sembrava. Lorenzo osservò l’oggetto e si fermò, per raccoglierlo.
- Ma no! non è niente di importante - disse la sua compagna, con il suo accento straniero.
- Come no? È caduto a te - rispose Lorendo, sollevando dal suo la missiva.
Questa recava il simbolo dell’Imperatore. Il Barone osservò la donna per lunghi attimi. Questa cercò di fuggire, ma lui la afferrò prontamente per un braccio. Senza troppe cerimonie aprì e lesse il messaggio al suo interno.
- Il vostro aiuto è stato gradito. Le vostre informazioni confermate dai fatti. L’Imperatore paga sempre i suoi debiti e voi avrete presto il titolo nobiliare che vi è stato promesso
La mano di Lorenzo si strinse sul braccio di lei con forza, per farle male.
- Sei stata tu? Tu hai tradito Franz? Tu mi hai tradito? E per cosa? Per farti chiamare Lady?
- Si - confessò lei col suo accento particolare - Per farmi chiamare Lady! Che c’è di male? A te piace farti chiamare Barone Lorenzo eh?
- Io sono il Barone Lorenzo
- E io chi sono? Non mi chiami mai nemmeno per nome! Lo ricordi almeno?
Il Barone rimase interdetto, ma non la lasciò andare.
- Mi chiamo Annette - proseguì la donna con tono disperato - Nemmeno lo sai!
- D’accordo Annette. Ti ho fatto un torto, non ricordavo nemmeno il tuo nome. Ti saprò ripagare per questo! Ma non preoccuparti. Ti ripagherò anche per il tuo tradimento.
La schiava si illudeva fosse finita. Credeva di essere stata fortunata quel giorno. Pochi minuti di sesso orale e basta. Si sbagliava però. L’Imperatore e lo stregone la condussero in una stanza più piccola, dalle pareti ricoperte di scaffali con strane ampolle, coppe, scatoline e fialette. A terra vi era disegnato un cerchio rosso, al cui centro svettava un calice.
- Ora ci occuperemo dell’Eletta - disse l’Imperatore indicando alla schiava il suolo. Questa, diligentemente, si mise a quattro zampe dove indicato dal padrone. Ma lui non era soddisfatto della posizione assunta. Le fece abbassare le mani e le fece toccare terra col volto. Ora aveva il culo ben in alto, teso e sodo, pronto ad ospitare il membro dell’Imperatore. Lo stregone invece si avvicinò ad alcuni scaffali e iniziò a prelevare alcune bocce e scatolini, dimostrando una certa dimestichezza.
L’Imperatore poi, finalmente, si pose alle spalle della schiava, afferrò alla base il suo possente membro ancora umido di saliva e lo puntò verso l’ano di lei. La cappella così gonfia e larga non poteva passare in quel buco così piccolo. Sembrava impossibile. Quando la schiava sentì il contatto della carne rilassò tutti i muscoli del culo, come le era stato insegnato, pronta a ricevere quell’imponente obelisco. Socchiude gli occhi respirando profondamente, lentamente, ormai pronta. Fu costretta a sgranarli quando sentì il glande farsi largo dentro di lei. Il dolore c’era, inevitabilmente. Ma era così rilassata e pronta a riceverlo che fu solo una punta di dolore in un mare di piacere. Sentì il grande membro agitarsi in lei, avanti e indietro, e le piaceva da impazzire. Si morse le labbra mentre le palpebre tremavano, godendosi quella penetrazione, desiderandola.
Lo stregone intanto iniziava a versare alcuni liquidi e alcune polveri nella coppa al centro della stanza, recitando qualcosa, forse un incantesimo, in una lingua sconosciuta. Il suo tono era cantilenoso e basso. Tuttavia cresceva pian piano. Il ritmo della voce di Mikael seguiva il ritmo dei movimenti del suo Imperatore. Più accelerava l’Imperatore, più la voce dello stregone fluiva più forte e veloce. La schiava chiuse le mani a pugno e serro con forza gli occhi. Sentiva il piacere crescere. Si sentiva sul limite. Gemeva, gemeva con forza. Avrebbe voluto nasconderlo. Avrebbe voluto non far capire che le piaceva da impazzire, ma non riusciva a fermarsi. Sentiva la sua carne far spazio al cazzo di lui. Si sentiva violata e completamente aperta, e tuttavia adorava quella sensazione. Poi sentì le mani di lui stringerle le natiche, affondarvi le dita con forza, e poi allargarle ancora di più il culo. Quel cazzo che mai era venuto, pulsava ora nel suo culo, e le piaceva così tanto che desiderò di trattenerlo dentro di sé per sempre. Era sull’orlo. Stava per provare finalmente un grandioso e liberatorio orgasmo.
Improvvisamente Mikael interruppe la sua litania, di colpo, quasi con un urlo. Al contempo l’Imperatore diede un violento e ultimo affondo nell’ano della schiava. Infilò il suo possente membro fino ai testicoli, tutto, completamente. La schiava sentì l’orgasmo finalmente pervaderla. Sgranò gli occhi e iniziò a tremare. Avrebbe voluto urlare dal piacere. Un urlo di piacere sfogato, ma l’urlo le morì in gola, strozzato dalla troppa intensità dello stesso. Le cosce le tremavano. Le ginocchia le tremavano. Sentiva qualcosa dentro di lei sull’orlo dell’esplosione. L’orgasmo le partiva dal suo ano e le percorreva la colonna vertebrale fino al suo cervello, pervadendola tutta senza pietà. Con un nuovo colpo secco l’Imperatore estrasse il membro e dal sesso della schiava partì uno schizzo forte e abbondante di umori. Uno schizzo che colpì il pavimento creando una piccola pozza. A questo ne seguì un secondo più debole che le bagnò completamente le cosce. Tratteneva il respiro mentre ciò accadeva. Le gambe le tremavano così tanto da non riuscire più a reggerla. Le ginocchia scivolarono sul pavimento bagnato dagli umori. La schiava si ritrovò completamente stesa a terra, a tremare. L’Imperatore senza curarsi di lei si inginocchiò vicino la coppa e, puntando il membro in sua direzione, vi svuotò dentro un unico intenso schizzo di sperma. Il seme si mescolò col contenuto della coppa. Il liquido risultante aveva un colorito ambrato, molto chiaro. Lo stregone lo travasò in una boccetta.
- Dallo ad uno dei tuoi uomini. Lo faccia bere all’Eletta. Così lei troverà una morte lenta e dolorosa
Lo stregone annuì all’ordine dell’Imperatore. A terra la schiava ancora tremava nella sua pozza di umori, ancora stremata dal violento orgasmo provato. Ma finalmente era totalmente soddisfatta.
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Aggiunto: 5 anni fa
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