La schiava era in ginocchio davanti al trono. Indossava un tubino di pelle nera, molto aderente e troppo corto per coprire al contempo i prosperosi seni e il morbido sedere. Aveva scelto di coprire i seni, che apparivano ora strizzati in quel corpetto così stretto, e lasciar scoperto il sedere e il suo sesso, che ora, in quella postura inclinata in avanti, mostrava bene a chiunque si avvicinasse al trono. Catene le cingevano le caviglie, come da prassi. Nessun altro indumento la ricopriva, nemmeno un paio di stivali. Le era stato magnanimamente concesso di avere un cuscino sotto le ginocchia, per evitare il troppo dolore.
Era in quella postura ormai da diverse ore, nemmeno più le contava. Davanti a lei l’Imperatore, seduto sul trono. Indossava la sua armatura brunita fino alla cintola. Sotto di essa indossava solo gli schinieri a proteggere gli stinchi. Bacino e cosce erano completamente nudi e il suo pene, eretto e massiccio, si ergeva tra le mani della schiava. Gli piaceva farsi sollazzare durante le udienze coi suoi sudditi, nella sala del trono.
La schiava lo reggeva con entrambe le mani quel membro spesso e lungo sensibilmente più della media dei mortali. Muoveva quelle mani su e già l’asta bagnata di saliva, imprimendo anche un movimento rotatorio in direzioni opposte. Intanto la sua bocca baciava, leccava e succhiava quella cappella così gonfia e così rossa. Erano ore che lo succhiava, che lo leccava, ma il pene dell’Imperatore era ancora duro e imponente. Nessuna, nella storia dell’Impero, era mai riuscita a fargli raggiungere l’orgasmo. La schiava era sfinita, stremata. Aveva la gola secca e gli doleva la mascella. Le ginocchia non se le sentiva proprio più. Eppure una implacabile forza erotica, un desiderio atavico, la costringeva a continuare. La sua voglia inesauribile si sfogava su quel membro così imponente e meraviglioso. Lo succhiava con ardore mentre l’Imperatore, impassibile, discuteva coi suoi sudditi sulle faccende dell’Impero.
Si fece avanti Mikael, Stregone di Corte. Si inchinò davanti al trono, al cospetto del suo Imperatore. Inevitabilmente lanciò un occhio alla schiava così indaffarata. Dal suo sesso ben dilatato si riversavano fiumi di umori che scendevano come un ruscello scorrendo lungo l’interno coscia di entrambe le gambe. Quegli umori scorrevano fino alle ginocchia, depositandosi sul cuscino sotto di esse, creando macchie di umido e bagnato sempre più larghe. Il profumo del sesso della schiava era intenso a quella distanza. Mikael era un uomo maturo, ma ancora in forze. Impiegò molta forza di volontà per rialzarsi in piedi al gesto dell’Imperatore e non estrarre il suo membro già duro ed infilarlo tra le gambe della schiava.
Lo stregone si guardò per un attimo intorno. Era rimasto l’ultimo suddito in attesa di udienza nella sala del trono. Diverse guardie sostavano lungo le pareti, immobili. Brandivano alabarde e le loro armature erano simili a quella dell’Imperatore. Non erano brunite, ma grigie, e il bacino era parimenti nudo. L’armatura si interrompeva alla cintola riprendendo agli schinieri, lasciando il membro eretto ben visibile. La pozione che concedeva alle guardie di essere sempre in erezione era stata una sua invenzione. L’Imperatore l’aveva imposta a tutto il suo esercito perché, a detta sua, faceva trasalire il nemico.
- Dimmi Mikael
- Mio Imperatore, porto brutte notizie. I ribelli hanno scoperto un incantesimo che può privarti di tutti i tuoi poteri. Stanno già recuperando gli ingredienti necessari alla sua evocazione. In realtà manca loro solo un ingrediente
Le parole dello stregone furono interrotte dalla furente reazione dell’Imperatore. Questi batté con violenza il pugno destro sul bracciolo del trono. Anche il suo pene ebbe uno spasmo, ingrossandosi tra le labbra della schiava che non poté fare a meno di mugugnare, ancora più eccitata, e aumentare il ritmo del suo lavoro di lingua. Le sue cosce tremarono per un attimo di eccitazione più forte.
- Maledizione! Cosa manca loro?
- In realtà un ingrediente piuttosto raro. Un capello di una vergine che abbia compiuto i venti anni. Sappiamo che è merce rara, però hanno spedito alla sua ricerca una donna guerriera. Le mie spie sostengono che si tratti proprio dell’Eletta.
Seguirono diversi istanti di silenzio. Lo stregone abbassò lo sguardo non osando guardare in volto l’Imperatore. Osservò nuovamente tra le cosce della schiava, il suo sesso grondante umori, così pronto per essere penetrato. La sua erezione si ravvivò involontariamente a quella vista.
L’Imperatore invece sembrava pensieroso. Non dava alcuna impressione nemmeno di accorgersi che la schiava gli stesse succhiando il pene. Per diversi secondi gli unici rumori nella sala del trono furono il risucchio del pompino che la schiava stava esercitando e il rumore delle sue mani che rapidamente si muovevano sull’asta insalivata di quel maestoso membro.
- Farò in modo che i ribelli non possano trovare l’ultimo ingrediente - finalmente l’Imperatore interruppe il silenzio - Date ordine al mio esercito di andare in ogni città dalla più grande al più piccolo paesino, e di assicurarsi che non vi sia alcuna vergine sopra i venti anni.
- Mio Signore, intendi forse che i tuoi soldati controllino ogni donna schiava?
- Taci Stregone, non mi occorrono le tue correzioni. Intendo proprio che i miei soldati si assicurino che non più una vergine sopra i venti anni vi sia nel regno. Schiava o patrizia. Le deflorino tutte. All’Eletta ci penserò personalmente.
Detto ciò si alzò in piedi. La schiava fu costretta anch’essa ad alzarsi dalla sua postura in ginocchio, rimanendo accovacciata davanti all’Imperatore, senza mai interrompere il suo lavoro di labbra e di mani. Succhiando imperterrita. Mugugnando per la fatica che ancora aumentava in quella postura ancora più scomoda. Per diversi secondi i mugugni della schiava e il rumore del suo lavoro riempirono ancora la sala del trono. Un piccolo rivolo di saliva scendeva da un angolo delle sue labbra piene della cappella del suo padrone.
- E tu Mikael, informami di tutto ciò che vieni a sapere sui ribelli.
Detto ciò spinse via la schiava dal proprio membro e si allontanò verso l’uscita della sala. La schiava si ritrovò schiena a terra, mentre ancora la sua vagina gocciolava umori di desiderio. Involontariamente la sua mano sinistra corse in mezzo alle gambe alla ricerca del piccolo clitoride, per trovare finalmente il piacere tanto voluto. Era là. Schiena sul freddo marmo. Ai piedi del massiccio trono di pietra, davanti agli occhi di tutte quelle guardie con il membro eretto, cercando di toccarsi, di darsi piacere. Nessuna si mosse.
- Guardie, occupatevi della schiava - disse infine l’Imperatore uscendo dalla sala del trono. Subito dopo lo seguì anche lo stregone.
La schiava sentiva che sarebbe bastato un unico ingresso. Gli sarebbe bastato sentire solo per un attimo il pene di una di quelle guardie entrarle tra le gambe per un solo secondo, per poi esplodere in un orgasmo senza fine. Da quando era stata schiavizzata, già matura, era stata iniziata all’arte del piacere orale, al fine di soddisfare il suo padrone. Tuttavia da allora non le era mai stato concesso di provare un orgasmo. A nessuna schiava era concesso. Quello che aveva in mezzo alle gambe era il piacere accumulatosi in anni e anni di pratiche sessuali rivolte solo al piacere del suo Imperatore.
Due guardie intanto avevano posato le alabarde al muro e le si erano avvicinate. Quando una delle due si inginocchiò davanti la sua faccia, ella si mise subito carponi, a quattro zampe. Afferrò il membro della prima guardia alla base, con una mano che iniziò a muovere su e giù, e se lo infilò in bocca, fino quasi a metà asta. Intanto l’altra guardia le stava appoggiando la cappella sul sesso. La strofinò per diversi secondi, bagnandola di tutti gli umori che grondavano. La schiava pensò che sarebbe bastato solo un attimo di penetrazione per provare un piacere immenso, così spinse appena il bacino all’indietro. La guardia fu attenta ed evitò di penetrarla nonostante lo stratagemma di lei. Alzò la mira del suo pene verso l’ano di lei e, senza troppi complimenti, la penetrò fino alla base. Sentendo il suo ano violato così sgranò gli occhi. Non era certo la prima volta che veniva penetrata dietro, ma non si aspettava un gesto così repentino.
- Ti prego - disse la schiava togliendosi per un attimo il pene di bocca e rivolgendosi alla guardia alle sue spalle - Mettimelo dentro! Nella figa! Almeno per un attimo! Un secondo solo.
Fu la guardia davanti a sé a risponderle. La afferrò per i capelli e la spinse verso il proprio pene, perché lo riprendesse in bocca.
- Taci, lo sai che a voi schiave non è concesso il piacere. Quindi succhia.
Sotto i movimenti rapidi della guardia alle sue spalle continuò a succhiare il pene di quella davanti a sé. Stette così diversi minuti. A quattro zampe, penetrata nell’ano e succhiando con la bocca. Il piacere non accennava a scemare e, anzi, la sua vagina continuava a secernere umori che gocciolavano direttamente sul marmo della sala del trono. Il ticchettio tuttavia si confondeva con l’ansimare delle due guardie e i mugugni di piacere della schiava. Tuttavia sentiva che non sarebbe riuscita ad arrivare all’orgasmo così. Era condannata a non godere.
Dopo alcuni minuti le guardie vennero, quasi all’unisono. Svuotarono in lei una quantità impressionante di seme. Quella davanti la tenne bloccata per i capelli. Sentì lo sperma che le riempiva la bocca fino a trasbordare dalle labbra. La guardia alle sue spalle le riempì l’ano, anche qui il seme fuoriuscire dal suo buco e colarle tra le cosce. La sensazione di quella sostanza calda che sfiorava le sue grandi labbra le provocò un’altra ondata di piacere che, sapeva, sarebbe rimasta insoddisfatta. Le due guardie quindi la liberarono della loro presenza dentro di lei. Ingoiò la maggioranza dello sperma, tuttavia un po’ lo sputò sul cuscino poggiato accanto a lei. Le guardie la fecero alzare per riportarla ai quartieri delle schiave. Ad ogni passo sentiva le cosce carezzarsi a vicenda, scambiandosi sensazioni travolgenti. L’umido dei suoi stessi umori. Il calore dello sperma che ancora colava a lenti gocce dal suo ano colmo. Le catene la costringevano a compiere passi piccoli e brevi. Sentire sempre di più quelle sensazioni era un’agonia. Desiderava solo un orgasmo. Ma quei liquidi che continuavano a colarle tra le cosce e fino alle caviglie non facevano altro che eccitarla di più.



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