Inutile dire come passai le successive ventiquattr’ore.
O forse vi piace il dramma.
Forse vi piacciono il panico e i sensi di colpa, e la paura ossessiva della radiazione, per quanto insolito sia il mio approccio.
Ritornai a casa nel silenzio più che totale, evitando anche la radio e le sue interferenze, quando imboccavo quel paio di gallerie che incontravo per strada. Nella mia testa c’era solo il rumore del motore della Mercedes e gli occhi di Sofia, che continuavano a fissarmi attraverso il riflesso dello specchio del bagno, vuoti e inespressivi.
Privi di ogni luce.
Mi guardavano mentre le sue mani aiutavano a scivolare i grossi seni all’interno di quella brassière, bianca, dalla doppia spallina. I capelli spettinati erano divisi in ciocche, e le nascondevano il volto, quasi a proteggerla da quella vista. La gonna le ballava sulle ginocchia, e intanto sentivo il cuore battere così forte da farmi rivivere rapidamente tutti gli anni d’università e specializzazione, trascinandomi avanti e indietro lungo il corso dell’ultimo decennio.
Tutto per via di quel viso, e quegli occhi da cerbiatta.
Mi aspettavo sgomento, paura, rimproveri e minacce, e ancora, urla e dita puntate sull’indecenza e la mia poca professionalità.
 
Perché poi, di quello si parlava.
 
Scalai la marcia, imboccai via Brera, e nella mia mente avevo l’immagine di me, immobile, come un cane impaurito davanti ai fari di un’automobile, con una mano che stringeva il cazzo e l’altra tra le labbra, che assaporavano ogni goccia dei suoi umori.
Quelle dita l’avevano fatta venire e l’avevano liberata dalle catene incolori che la stringevano, e io le leccavo avaro, affamato di lei e del suo sapore.
Ancora i suoi occhi, come un flash, poi la Clio che avevo davanti inchiodò e mi riportò alla realtà. Spalancai gli occhi, premetti freno e frizione e mi fermai a tanto così da una constatazione amichevole.
Respirai.
Ero agitato, non capivo. Rimisi la prima e avanzai lento, andai al massimo a venti all’ora, perché riconobbi di non essere così lucido come credessi.
Ciò che non capivo era perché Sofia non si fosse arrabbiata. Insomma, paragonai la sua reazione alla volta precedente, quando il plug le cadde fuori dal sedere, imbarazzata, arrabbiata e soddisfatta, ma pur sempre enigmaticamente sfuggente, quando raccolse le sue cose e andò via.
E non feci nulla, allora.
Non fui inadatto né la misi a disagio. Rimasi professionale, accanto a lei, accompagnandola fino a quando le sue sinapsi non le regalarono quell’orgasmo tanto agognato. E ora, invece, colto con le dita piene di miele in bocca, ricevetti solo uno sguardo atono, un saluto a bassa voce, con le labbra rapprese, e un trattamento alieno.
 
Percorsi lentamente via Brera e m’immisi in via Fiori Oscuri, e raggiunsi subito dopo il cancello del mio palazzo. Mi tremavano le mani, avevo bisogno di rilassarmi.
Quella donna mi stava distruggendo.
Parcheggiai storto, che tanto nessuno avrebbe potuto dirmi nulla, e salii sopra. Levai l’antifurto, spalancai le porte di casa e decisi che una doccia fosse la cosa migliore da fare. Casa mia era tutta al buio e non m’azzardai a cliccare su nessun interruttore. Misi su un po’ di musica ambient, arrivai davanti allo specchio e cominciai a sbottonare lentamente la camicia. Poco dopo un getto d’acqua fresca m’investì interamente, lasciando che le frustrazioni scivolassero lontane da me, lungo lo scarico.
 
Eppure sentivo ancora la sua presenza.
La percepivo, in qualche modo, mi sentivo collegato a lei.
Il getto continuava a scrosciare su di me, passandomi tra i capelli e baciandomi delicato il volto irsuto.
Avrei dovuto radermi, l’avrei fatto l’indomani.
Dal mento alle spalle, l’acqua s’incanalava al centro del petto e poi più giù, accarezzandomi l’addome tonico e rimbalzandomi sull’asta del pene.
Aprii gli occhi, guardandomi quelle tre dita maledette. Quando le avvicinai potei sentire ancora il suo odore, e vederla contorcersi mentre godeva.
Potevo sentirla gemere.
Mi stava eccitando di nuovo, e lentamente la sua immagine appariva accanto a me.
Nuda, come l’avevo vista qualche ora prima. L’acqua bagnava le sue carni bollenti, rimbalzava sui suoi seni. Li sentivo aderire al mio petto, sentivo le sue mani cingermi il collo e il suo monte di venere premermi contro il cazzo.
Il suo profumo era inebriante e m’induriva ancora di più.
Immaginai di poterla baciare, e stringerle il culo tra le mani. Era morbido e rotondo. Le mie dita lo avrebbero spalancato con forza, allargandole l’ano e la fica. Sofia avrebbe gemuto davanti al mio viso, mentre il mio cazzo si sarebbe fatto strada lungo i binari del suo sesso.
Lo avrebbe sentito, lei, continuando a baciarmi, con volto e capelli bagnati, e avrebbe premuto quelle bocce stratosferiche contro il mio corpo. Avrei lasciato trascorrere meno di un minuto, prima di sollevarle una gamba e di penetrarla, in piedi, davanti a me, con la doccia che lavava via le nostre preoccupazioni e l’ansia della giornata. E in questo modo l’avrei scopata con decisione, mantenendole il culo tra le mani e stantuffandola con forza, mentre le avrei detto di guardarmi negli occhi.
Avrei voluto costruirmi quell’orgasmo mattone dopo mattone, succhiandole ogni goccia di vita dallo sguardo, finché non sarebbe rimasto più niente di lei, tra le mie mani, se non un corpo senza volontà. Si sarebbe inginocchiata subito dopo, afferrando tra le labbra la mia cappella, succhiando ogni goccia di me, afferrandomi i coglioni poco prima di riempirle la bocca.
 
Ero venuto.
 
Ero seduto per terra, mentre la doccia mi lavava e assisteva alle mie fantasia erotiche. La mano sinistra era nella mia bocca, la destra stringeva il cazzo ormai moscio. Sul vetro davanti a me c’erano tre schizzi bianchi e lattiginosi, che avrei pulito qualche minuto dopo.
E per un po’ bastò.
Smisi di pensarci, liberai il mostro e lo portai a fare un breve giro, per poi farlo rientrare nella mia mente, dove non avrebbe arrecato alcun danno a nessuno. Cenai, guardai la partita e andai a dormire, cercando di dimenticare quella giornata.
 
Ma l’inconscio non dimentica.  Non lo fa mai.
Sotterra soltanto ciò che non vuole che tu veda a occhi aperti, per poi svegliarsi di notte e, vanga alla mano, mettere davanti al tuo zerbino una scatola piena di merda e un detonatore con un timer.
Sadico, l’inconscio bussava alle quattro del mattino alla tua porta e fuggiva via, come un dispettoso, e tu ti ritrovavi in vestaglia davanti a tutto il vicinato, prima di vederti esplodere addosso ciò che credevi di aver dimenticato per sempre.
Beh, la paura scaturita dall’errore di quel giorno mi aveva inseguito per tutta la notte, tant’era che mi svegliai stanco e senza forze.
Quando mi alzai, la colf era già all’opera. Paula lavorava in casa mia come se io non fossi presente, ed entrambi cercavamo di dare quanto meno fastidio possibile all’altro. La incontrai nel corridoio, le diedi il buongiorno e mi ripeté, come ogni mattino, che la colazione fosse pronta e che era già passata a ritirare il giornale. Aveva aggiunto anche che splendesse un sole meraviglioso, e che nonostante fosse una giornata calda, lo fosse meno del giorno prima.
- Solo belle notizie. – bofonchiai, mentre andavo in cucina. Lì, il caffè era ancora caldo, nella moka. Una tazzina con poco zucchero, un po’ di frutta, pane e burro, e al pranzo ci avrei pensato poi. Quel mattino avevo altri due appuntamenti, e intanto cercavo di pensare a cos’avrei dovuto fare nel corso della giornata.
Involontariamente tenevo la mia mente distratta, per non prestare attenzione all’elefante nella stanza che intanto rovistava con la sua proboscide nel mio stomaco, dandomi quella sensazione di disagio che non riuscivo a levarmi di dosso.
 
Ma tanto era inutile.
Non avrei mai potuto far finta di nulla.
 
Mi lavai, mi rasai e dopo qualche goccia di dopobarba incandescente m’infilai nella mia camicia preferita, che aveva le mie iniziali proprio sull’addome, a sinistra. Dolce e Gabbana disegnarono il completo che decisi d’indossare, calzai le mie Trussardi e scesi di casa, pronto per mettere a posto la mia vita, che guidare mi aiutava, non so il perché.
La strada era sempre troppo trafficata, quando andavo in studio, ma quel mattino la cosa fu un vantaggio perché mi permise di realizzare con lucidità cosa stesse succedendo.
Bastava soltanto essere molto razionali, usare la logica, e parlare onestamente con me stesso. La conversazione andò più o meno in questo modo.
 
Dobbiamo risolvere questo problema, e lo dobbiamo fare nella maniera più indolore e professionale possibile. Perché qui è di questo che si parla, Dario: professionalità. Sei stato poco professionale, e la cosa migliore da fare è rendere subito le tue più sincere scuse a Sofia.
Che poi, anche tu… ma come ti è venuto in mente? Fare certe cose con ancora la cliente presente nello studio. Avresti potuto aspettare che andasse via, e poi infilarti tutte e tre le dita nel culo, se proprio avessi voluto.
Invece no!
Sempre questa dannatissima impazienza!
Ma ti rendi conto di che figura di merda hai fatto?! E se andasse a denunciarti? Ha un milione di followers, la tipa! E se facesse uno di quei video, dove col volto a pezzi e l’espressione da cagna bastonata andasse a dire a tutti che ha subito una violenza da parte tua?!
Riesci a capire gli effetti collaterali delle tue azioni, una buona volta?!
Perché cazzo vivi con addosso questo delirio di onnipotenza?! Lo sai che questo è uno dei principali motivi per cui stai sulle palle a tutti quanti?! Ma come cazzo fai, ogni santa volta, a non riuscire a separare…
No aspetta.
Non lo fai ogni santa volta.
Tu separi più che bene il lavoro dalla vita privata, e quindi dalle tue pulsioni.
Le tue pulsioni…
Tu non hai mai avuto un atteggiamento del genere. Un comportamento, intendo. Non ti ha mai eccitato nessuno, dei tuoi pazienti, giovani o vecchi che fossero.
 
E allora perché?
 
Davvero è bastato un paio di tette al vento e l’atteggiamento da santarellina arrapata a farti mandare all’aria anni e anni di sacrifici?
Cioè. Altre ragazze giovani sono già venute, da te.
Anche alcune molto belle. Ad alcune di loro hai anche rifiutato avances e proposte.
Quindi… quindi il problema… è Sofia?
Il problema è Sofia, Dario?
Dimmi.
Il problema è quella donna?
 
Parcheggiai sotto al mio studio e sospirai. Raccolsi giacca e ventiquattrore, chiusi la macchina e salii di sopra. Lara era già all’opera, e un caffellatte ancora caldo fumava sulla sua scrivania.
Lo presi, che sapevo fosse per me, quindi le diedi il buongiorno.
- Salve, dottor Scotto.
- Ci sono messaggi?
Quella abbassò lo sguardo verso il pc e annuì.
- Sì. Oltre alle solite newsletter c’è la conferma di Riccardo De Rieti per la terapia, il quindici del mese prossimo. Ha detto che manderà in giornata copia dell’accordo tra le parti firmato e distinta di bonifico per le prime tre sedute.
Annuii. – Quello di Padova?
- Sì. Quello che ha fatto quel reality show in tivvù, dove le coppie scoppiano.
Feci spallucce e inarcai le sopracciglia. – Non mi chiedere cose che sai che io non so.
- Temptation Island.
- Non mi dice nulla. – ribattei subito.
- Carino. Ti tiene incollata alla tivvù. – ridacchiò subito dopo, strizzando gli occhi azzurri e portando una mano alla crocchia bionda. – E poi qui c’è la posta. – aggiunse, dandomi tre buste da lettere.
- Che roba è?
- Immondizia, due. E una è una raccomandata.
Catturò la mia curiosità.
- E da chi?
- Non ne ho idea. Non guardo le cose indirizzate a lei.
Almeno, non più. Una volta si ritrovò davanti a delle fotografie di nudo artistico indirizzate a me da una vecchia paziente. Una vecchia paziente. Aveva settantuno anni e dovetti esserle rimasto davvero impresso, perché le allegò a una lettera di ringraziamento per la sua vita sessuale ritrovata, col suo nuovo marito di quarant’anni più giovane.
Insomma, Lara non pensava fosse possibile che io ricevessi cose del genere e manco fu la prima volta, a dire il vero. Fu semplicemente la prima volta che le vide.
Entrai nel mio ufficio e levai la giacca prima di sedermi. Un brivido mi attraversò di lungo mentre mi accorsi dello spettro di Sofia che mi fissava. Fu come se vedessi me stesso e quella donna, da un’altra prospettiva.
Un po’ come in quel film con Adam Sandler. Avrei davvero voluto un telecomando, per stoppare certe parti della mia vita, cancellarle, saltarle velocemente e tornare indietro, a quando il mondo era diverso.
I due monitor che avevo davanti si accesero, dodici mail, molte newsletter del settore e rappresentanti medici che portavano le loro soluzioni del millennio per l’impotenza. Non me ne curai, aprii una nuova mail e cominciai a pensare alle parole migliori.
Fu qualcosa del tipo buongiorno Sofia, spero di trovarti bene e bla bla, vorrei scusarmi per l’inconveniente della seduta di ieri e ancora bla bla. Insomma, le feci capire che avevo sviluppato un controtransfert e che stavo proiettando in lei situazioni irrisolte del mio passato.
Come il desiderio.
Non gliel’ho scritto, ovviamente, ma questa storia non è stata semplice da metabolizzare neppure per me.
Per queste e altre difficoltà che non andrò a elencare ti posso tranquillamente consigliare i servizi della dottoressa Marinelli, il numero lo trovi in allegato assieme alla distinta di bonifico che ho appena effettuato, per la restituzione del denaro della terapia.
Le scrissi che ero costernato e che le auguravo il meglio per poter gestire al meglio la sua problematica.
Cordiali saluti,
Dottor Dario Scotto.
E inviai.
 
Fu come liberarsi da un’ancora attaccata alle caviglie.
Avevo restituito al mio nome un po’ di serietà dopo la figura barbina a cui era stato esposto dodici ore prima, e mi ero comportato nella maniera più professionale possibile.
E quindi la mia giornata passò relativamente veloce, con due visite e un appuntamento nel solito albergo, dove incontrai la moglie di un ricco dirigente Pirelli. Sabrina Incocciato, si chiamava, e si era presentata in una camicetta bianca scollata, a mostrare il seno, cadente e segnato dal tempo.
Scommisi fosse una bella donna, una ventina d’anni prima.
Una donna trofeo, di quelle che il marito portava in giro come se fosse un labradoodle da competizione.
Certo, nulla a che vedere con Sofia ma, se devo essere onesto, non pensai più a lei.
Giuro.
Quando dico che fu come liberarsi di un peso lo faccio con cognizione di causa. Non è stato semplice convivere in quei giorni con la convinzione di non avere il controllo delle proprie pulsioni.
Insomma, non ho mai avuto un’erezione come quelle che ho sperimentato con lei, nel pieno delle mie facoltà professionali. Nessuno dei miei pazienti mi aveva mai eccitato in quel modo, al punto da sentirmi a disagio per la voglia che avevo di scopare con lei, né avevo mai sottratto oggetti dal mio studio usati da qualcun altro, come successo col plug anale.
Mai mi sarei sognato di leccare gli umori vaginali di una donna in cerca d’aiuto.
 
Rabbrividivo.
 
Mi facevo davvero schifo. Mi chiedevo come avessi fatto a toccare quel fondo così buio, che per quanto esuberante e libero sessualmente fossi, non mi ero mai reputato così abietto.



*


Il sole era tramontato e avevo scelto di portare la giacca tra le mani, fino all’auto. Non sarei riuscito a metterla e a levarla senza sentire quella fastidiosa sensazione del sudore che mi si attaccava addosso. Accesi il motore e da Spotify misi su una playlist con dell’hard rock e cose del genere.
Mi sentivo di buonumore, finalmente, e avevo allontanato tutti gli spettri della notte precedente. La Mercedes scivolava sull’asfalto che era un amore, liscia e maneggevole, solida e agile. Percepivo la morbidezza dello sterzo e mi godevo gli ultimi sprazzi di luce prima che le stelle sporcassero il cielo notturno.
Il contachilometri segnava spesso e volentieri i cento all’ora, anche dove il limite era ottanta, ma ero così sicuro di riuscire a fuggire da Alcatraz, quella sera, che nulla avrebbe potuto fermarmi.
Beh, tranne il nome di Sofia in sovrimpressione sullo schermo centrale.
La sua telefonata aveva appena bloccato rock and roll ain’t noise pollution degli ACDC, e io rimasi immobile a guardare la linea tratteggiata allontanarsi dalla mia sinistra.
Battei le palpebre e sospirai. Forse non era il modo migliore per tagliare un rapporto, una mail.
Neppure uno professionale.
Riempii i polmoni e risposi.
- Sofia. – dissi, fermo.
- Dario…
La sua voce era morbida come panna montata, ma non riusciva a nascondere un velo di turbamento e nervosismo.
- Buonasera.
- Cos’è successo? – chiese subito. E io, che dal canto mio sapevo benissimo come rispondere a questa domanda, conscio di non poter essere sincero, mi limitai a sospirare.
- Non è successo nulla. Semplicemente…
- E allora perché vuoi che vada da questa dottoressa Marinelli?
Il tono era alterato. Riuscivo a vedere il suo viso nel riflesso del parabrezza, accanto al mio, mentre inclinava ogni muscolo del volto, indossando quella maschera dispiaciuta e contrariata.
- Ti assicuro che è una professionista migliore di quanto pensi e…
- Credi che sia stato facile?
Il mio cuore saltò un battito. Aveva cominciato a piangere.
- Sofia…
- Credi che sia stato facile dare fiducia a un’altra persona? S-Semplicemente fare il… il passo che mi ha portata da te, Dario… s-sai q-quanto è sta-tato di-difficile… me-mettere me al primo posto?
Il volto nel parabrezza era disperato. Avevo visto quella donna piangere già una volta, durante il nostro primo incontro, ma era diverso.
Era profondamente diverso, e nel mio petto il cuore aveva deciso di lasciare soltanto un biglietto, e di andare via.
- Mi spiace… so che non…
- No! – esclamò subito, interrompendomi. – Tu non sai niente! Non hai idea di quanto dura sia stato mettermi in gioco! E di superare tutta quella… storia di merda, in cui ero la povera vittima! A che cazzo serve avere un corpo se hai paura di guardarlo allo specchio?!
- Hai ragione, su questo. Ti sosterrò su ogni tua scelta, ma per il tuo bene è meglio che…
- Qui non si tratta di me! Io mi fido di te! Ho bisogno di te per quello che sto affrontando!
- Sofia… io non posso.
- Perché?! – urlò poi, riempiendo tutto l’abitacolo con la sua disperazione. – Perché non puoi?! Che cosa è successo?! Che cosa ho sbagliato, stavolta?!
Sorrisi dolcemente, come un padre che vede un figlio cadere per terra e cominciare a piangere.
- Non hai fatto nulla, tu. Il problema è che io…
- Che cos’è, questo… questo transfert… come si chiama, cazzo.
- Controtransfert erotico, Sofia.
- Sì.
- Io non… non riesco a spiegarmi in maniera tranquilla. Non voglio ferirti in alcun modo e…
- E credi che andando via e lasciando tutto così non mi ferisca?!
- No, hai ragione. Avrei dovuto incontrarti e dirtelo da vicino. Dove sei, ora?
- Terrazza Martini.
- Se vuoi ti raggiungo lì.