Dopo aver letto quelle orripilanti chat il primo gesto che mi venne da compiere fu dettato dalla rabbia. Diedi a Luca uno schiaffo, un gesto a cui non ero mai ricorsa con lui dato che io e mio marito lo avevamo educato in ben altro modo. Il suono del palmo della mia mano che impattò malamente contro la sua guancia sinistra rimbombò forte in quel soggiorno. Ricordo anche il segno delle cinque dita che sarebbe rimasto sul suo viso per un tempo indefinito come ricordo anche la domanda che tormentavo i miei pensieri quella maledetta domenica.
Perché?
Perché Luca ha fatto tutto questo? Perché mio figlio si è comportato in un modo così riprovevole? Queste domande erano tanto mie quanto di mia sorella che, proprio come me, pretendeva delle risposte. Ci avvicinammo a lui per chiedere conto delle sue azioni. Le nostre cosce nude erano a pochi centimetri dalla sua faccia precludendogli la vista e forse anche quel po' di ossigeno in più che gli serviva per respirare ansiosamente. Era talmente agitato che iniziò a tremare. Purtroppo per lui né io e né Rosa eravamo più predisposte a lasciarci intenerire. Non più.
"Come hai potuto fare una cosa del genere?" gli chiesi io con un tono di voce freddo che credevo non mi appartenesse neppure.
"Mi dispiace… Io…"
"Ti dispiace? Non hai soltanto dato via le nostre mutande. Hai venduto a degli estranei tracce di noi, della nostra urina, dei nostri umori e persino dei nostri… Che schifo Luca! Che schifo!"
"E ci hai ricoperto di insulti." rincarò la dose Rosa. "Come ti sei permesso Luca? Noi siamo la tua famiglia. Anna è tua madre. Tua madre! E tu le hai dato della troia, ti rendi conto?"
Troia. Essere descritta così da mio figlio mi ferì in un modo che non riesco neppure a descrivere ancora oggi.
"Secondo te sono una troia Luca?" gli chiesi io per verificare se potesse avere il coraggio di offendermi anche di persona.
"No... Certo che no. Io…"
"E allora perché hai parlato di me in quel modo? Perché?"
"Per poter vendere le vostre mutande ad un prezzo più alto." intervenne la dottoressa Bovardi che alle nostre spalle si stava godendo tutta la scena di una famiglia costretta ad umiliarsi per non soccombere sotto il peso di così tanti segreti inconfessabili. "I morti di figa sono capaci di cose incredibili. Col cazzo gonfio possono arrivare a spendere cifre esorbitanti per un paio di copriculo usati da una donna."
"Vuoi dei soldi? Posso darteli io." risposi io." Per cosa ti servono?"
"Io... Io…"
"Vuole spendere quei soldi durante l'Erasmus." rispose per lui la dottoressa Bovardi che aveva sotto gli occhi le chat che Luca condivideva coi suoi amici più stretti.
L'obiettivo di Luca era quello di trascorrere quel periodo di vacanza e studio in Olanda per "svuotarsi le palle come si deve", cito testualmente il testo della chat, mettendo finalmente piede in quei bordelli in cui aveva sognato di entrare da quando il sesso aveva iniziato ad invadere e ad occupare gran parte dei suoi pensieri. Come già sapete io ero contraria ad accettare che lui partisse per l'Erasmus perché avevo paura che compagni di viaggio sbagliati avessero potuto traviarlo non accorgendomi che il suo rapporto con l'altro sesso era già marcio ancor prima della partenza. Mio figlio vedeva quelle prostitute all'estero come semplici oggetti di piacere e vedeva la mercificazione della donna come qualcosa di positivo. Non erano questi i valori che pensavo di avergli trasmesso. Un forte senso di amarezza mi colse. Anche mia sorella non reagì bene scoprendo quei nuovi particolari dettagli.
"Ti servono soldi per pagarti il puttan tour ad Amsterdam Luca?" gli chiese Rosa con velenoso sarcasmo. "Che ne pensi di queste mutande che indosso? Quanti soldi puoi fare con queste mie paia di copriculo? Cento? Duecento euro?"
Rosa non attese nemmeno di ascoltare una risposta. Si sfidò le mutande prima di sventolarle con la mano davanti alla faccia di Luca e di infilargliele poi in bocca mentre lui mugugnava e sbuffava scuotendo la testa.
"Che delusione Luca! Davvero!" fu il commento che si lasciò scappare mia sorella osservando dall'alto suo nipote.
Rosa era furiosa. Ed io? Io non so bene che stato d'animo avessi in quel particolare momento. In quest'ultimo anno ho perso il conto delle sedute di psicanalisi a cui ho partecipato eppure ancora oggi faccio fatica a sentire come io mi sentissi quel giorno avendo davanti agli occhi mio figlio legato e costretto su quella cavallina di merda e mia sorella che gliene diceva di tutti i colori mentre la sua fica nuda era a pochi centimetri dalla sua faccia. Posso solo ipotizzare che quella difficile situazione mi avesse stressato più del dovuto e che scoprire un lato di mio figlio che non conoscevo mi avesse turbato nel profondo. La mia psicanalista ha ipotizzato che io avessi iniziato a dissociarmi per proteggere me stessa. Non lo so. Forse. Posso solo dire che da quel momento in poi iniziai a comportarmi in un modo che non era il mio.
"Sai che c'è Luca?" gli dissi io interrompendo la ramanzina che Rosa gli stava facendo. "Voglio aiutarti anch'io a guadagnare soldi per il tuo puttan tour ad Amsterdam."
Lui mi guardò con aria perplessa, mi pare avesse provato a dire anche qualcosa tenendo sempre le mutande di Rosa in bocca. Smise però di muovere la bocca non appena si accorse che i miei slip bianchi iniziavano d'improvviso ad inumidirsi della mia pipì. Non ne feci molta ma me ne uscì abbastanza per bagnare bene le mutande senza far cadere troppo liquido sul pavimento del soggiorno della padrona di casa che quando vide gocciolare per terra non si scompose più di tanto.
"Oh fai pure Anna." commentò la dottoressa Bovardi. "Finché non la fai sul mio tappeto persiano va tutto bene."
Ad alterarsi un po' fu invece Rosa che aveva nuove parole al veleno per Luca.
"Hai visto Luca? Per colpa tua a tua madre è venuta la pipì per il nervoso. Quando avremmo finito con te ti costringerò io stessa a raccogliere quello che c'è per terra con la lingua."
Luca provò a difendersi a parole ma le mutande di Rosa nella sua bocca gli impediva di dire qualcosa di vagamente comprensibile mentre a pochi centimetri dalla sua faccia oltre alla vista della grossa vulva un po' slabbrata di sua zia si aggiunse anche la vista della mia carnosa fessura nuda da cui lui era uscito anni prima. Mi accorsi di come l'odore pungente della mia urina iniziasse a infastidirlo ma io non mi feci intenerire. Non ero nello stato d'animo per essere sua madre e di preoccuparmi per lui. Non più. Con un rapido gesto delle mani applicai le mie mutande bagnate sulla sua testa come fosse un umiliante passamontagna mentre lui sbuffava e si dimenava.
"I tuoi amichetti depravati faranno a gara per avere questo copriculo tutto pisciato. Sei contento Luca?" chiesi io con un sarcasmo che non credevo di avere.
Ricordo che continuavo a guardare Luca mentre sbuffava e si lamentava cercando anche di lottare contro le cinghie di contenzione che lo assicuravano alla cavallina, lo osservavo senza provare nulla di quello che una madre dovrebbe provare per un figlio che soffre. Non riuscivo piu a guardarlo con gli occhi amorevoli di prima. Mi aveva mentito e mi aveva sempre preso in giro facendo finta di essere un ragazzo dai pensieri puliti mentre invece era un pervertito che aveva agito persino alle spalle mie di mia sorella per portare avanti i suoi giochi schifosi lucrandoci addirittura sopra.
Per quanto mi dolesse ammetterlo mia madre aveva ragione. Luca era un vizioso. Lei come aveva fatto a scoprirlo? Come aveva fatto a sapere di quel lato nascosto che celava suo nipote? A queste domande rispose la dottoressa Bovardi che oltre a divertirsi ad osservare il nostro degradato ritratto familiare provava a piacere nel tirare fuori dettagli rendendoli colpi di scena inaspettati. La risposta fu l'ennesima botta a cui né io e nè Rosa eravamo preparate.
"Nella cartella testamentaria oltre al quaderno degli appunti di vostra madre c'era anche un'altro quaderno."
"Un altro quaderno?" chiedemmo io e Rosa praticamente all'unisono.
"Si un quaderno di disegni. Ma non è di vostra madre. Appartiene a Luca."
Quando ce ne mostrò la copertina Luca si bloccò tutt'a un tratto smettendo di sbuffare, lamentarsi e dimenarsi.
Quello che la dottoressa Bovardi ci consegnò era un quadernone che anni prima sarebbe dovuto servire a Luca durante il periodo delle scuole superiori. Avrebbe dovuto usarlo per studiare ed invece lo aveva utilizzato per altro. La sua passione creativa stava sbocciando proprio in quegli anni. Prima di avvicinarsi al mondo della pittura Luca si dilettava con l'hobby del disegno a mano libera. Aprendo le pagine di quel quaderno fu subito chiaro, sia a me che a Rosa, come già allora la sua vena artistica fosse già insozzata di tanta lercia perversione.
Luca tornò dimenarsi più di prima ed a sbuffare ancora più rumorosamente. Avrebbe voluto intervenire e dire la sua facendosi togliere magari le mie mutande zuppe di urina che aveva in testa ma a me ed a mia sorella non serviva ascoltare la sua versione perché quel quaderno era più che eloquente.
La passione di Luca per le puttane era qualcosa di incredibile. Tra i suoi sogni non c'era quello di innamorarsi e trovare una ragazza con cui fare sesso in modo spontaneo, lui si eccitava proprio all'idea di pagare per scopare. La sua donna ideale non aveva neppure delle caratteristiche precise. I disegni tratteggiati in quel quadernone ritraevano donne bianche, nere ed in misura minore asiatiche. Neppure l'età faceva da filtro dato che tra le sue fantasie disegnate su carta comparivano anche donne mature alternate con ragazze più giovani. Lo eccitavano tutte perché avevano una cosa in comune, erano prostitute. Tutte quante ritratte messe a pecora ed appoggiate al cofano di un'auto mentre il cliente entrava loro da dietro circondati quasi sempre da una location simile ad una periferia squallida e degradata.
Ricordo che i miei occhi sgranati ed increduli continuavano a scorrere le pagine di quel quadernone ed a un tratto mi venne in mente l'immagine di mia madre stravaccata sul suo letto matrimoniale con le cosce spalancate occupata a toccarsi contemplando quei disegni osceni. Non mi avrebbe stupito che nostra madre potesse essere anche una grande ipocrita capace persino di sollazzarsi con i turpi disegni dimenticati in casa sua da suo nipote per poi prendere le distanze da quelle sozze opere artistiche alludendone nel suo testamento. Non le era bastato farmi comportare come lei, aveva anche voluto punirmi spiattellandomi in faccia i turpi segreti di mio figlio. Che stronza!
Avevo la mente occupata da tutti quei turpi pensieri quando all'improvviso un urlo mi fece tornare alla squallida realtà di quella domenica mattina. Era stata Rosa ad emettere quel grido.
"NOOOO! CHE SCHIFO LUCAAAA! CHE SCHIFOOOO!"
Mia sorella era tornata alle spalle di Luca per riprendere la bacchetta di legno usata in precedenza e punirlo per tutte quelle porcherie che aveva pensato e messo su carta ma la vista del membro di lui tornato nuovamente duro ed eretto la fece letteralmente trasalire. Io invece, come vi ho già detto, non provavo nulla. La vista di quella rotonda e rosea cappella che era uscita di nuovo dalla sua guaina di carne come a volerci fare un ultimo affronto ottenne solo un mio sguardo freddo.
La dottoressa Bovardi si stravaccò nuovamente sul divano ammirando divertita l'intera scena. A lei il redivivo turgore di Luca faceva effetto.
"Povere illuse!" commentò la padrona di casa mentre una sua mano iniziò ad avvicinarsi pericolosamente alla sua vagina poco coperta dalla corta minigonna che indossava. "Mi pare evidente che questo gran maiale provi piacere a farsi umiliare. La sua fissa per le puttane ne è la prova perché anche il sesso a pagamento è un'umiliazione per lui. Avere rapporti con una donna che non lo ama né lo desidera, e persino pagarla, deve essere qualcosa che glielo fa rizzare durissimo."
"Io... io non capisco." diceva Rosa tra sè e sè a voce bassa. "N-non è possibile. Ci siamo io e sua madre mezze nude vicino a lui. Ha le mie mutande in bocca e quelle di Anna tutte pisciate che gli coprono la testa. Abbiamo visto quel quaderno con tutti quei suoi disegni di merda... Lo abbiamo completamente sputtanato... E lui ha un'erezione. Ma come?"
Rosa si poneva domande. Io no. Nel mio particolare stato mentale non provavo niente. Ricordo solo che la vista della nuova erezione di Luca mi dava parecchio fastidio e l'unica cosa che volevo era che tornasse ad ammosciarsi e ad avvizzire come un frutto molle. Tolsi la bacchetta di legno dalle mani di mia sorella ma mentre mi accingevo a prendere di mira le terga di mio figlio la padrona di casa mi fermò.
"Quella bacchettina non spegnerà l'eccitazione di questo porco." sentenziò lei. "Se volete impedire che Luca si spari le seghe ogni volta che penserà a questa giornata dovete superare i vostri limiti oltre che i suoi."
Guardai la dottoressa Bovardi messa a gambe spalancate Con la mano destra sempre più attiva nel molestare le sue labbra vaginali e la sua minigonna gettata a terra poi mi voltai e guardai il baule di nostra madre.
"Brava Anna! Tu mi hai capito." esclamò quella ambigua professionista di legge.
"Cosa? Cosa ha capito?" chiedeva ansiosamente Rosa.
Non servì risponderle a parole perché per spiegarle mi bastò tirare fuori da quel maledetto bagaglio lo strumento peggiore tra i giocattoli di nostra madre. Lo scudiscio calabro sembrava aspettarmi là nel fondo di quel baule per farsi raccogliere dalla mia mano e quando lo solleverai lo guardai per un attimo con lo stesso timore di tanti anni prima.
Ricordo che sentii come un brivido corrermi lungo tutta la schiena. Avevo come l'impressione che mia madre fosse lì presente nel soggiorno in qualche modo. Non saprei altrimenti perché la prima cosa che feci dopo aver estratto dal baule quel terrificante strumento fu quello di mostrarlo a Luca proprio come nostra madre faceva con me e Rosa per spaventarci quando eravamo giovani. Anche a mio figlio quello spesso cordone nerissimo reso ancora più minaccioso dagli spessi nodi di cuoio infuse una paura potente ed improvvisa. Iniziò a dimensarsi come mai aveva fatto prima. Lottò con le spesse cinture di contenzione come se in gioco ci fosse la sua vita Mentre le sue urla venivano strozzate dalle mutande che sua zia gli aveva messo in bocca poc'anzi.
"Anna! Sei matta? Non vorrai mica usarlo?" mi domandò Rosa spaventata.
Avremmo dovuto usarlo entrambe. Questo ci disse la Bovardi per spronarci ad usarlo e fare in modo che Luca non si fosse azzardato mai a mettere me e mia sorella nelle sue lerce fantasie sessuali. Quella mattina sarebbe dovuta diventare il giorno più brutto di tutta la sua vita ed io, col cervello che aveva spento i miei sentimenti per proteggermi da tutto quello schifo, ero la persona giusta per quel compito. Almeno così credevo perché d'improvviso ebbi un'esitazione.
Le natiche nude ed esposte di Luca dolcemente arrossate dai colpi ricevuti alcuni minuti prima e quel suo pertugio anale appena dischiuso il mezzo ai suoi carnosi glutei furono una vista che faceva appello a quel senso materno che avevo smarrito. Penso sia stato per questo che esitai porgendo quell'orrendo strumento correttivo a mia sorella a cui implicitamente stavo chiedendo di superare un limite che non era disposta ad oltrepassare.
"NO! Non Posso! Non voglio prendere in mano quell'attrezzo orrendo. Basta! BASTAAAA!!!"
Quella prova era diventata troppo pesante da sopportare per lei che scappò via da quel soggiorno e soprattutto da quella situazione degradante. Ricordo il rumore dei suoi passi di corsa a piedi nudi ed il loro rumore via via più debole e distante ed i suoi occhi lucidi che faticavano ad trattenere le prime lacrime.
Avrei avuto la sua stessa reazione se avessi potuto. Invece rimasi immobile ed impassibile di fronte alla vista del corpo nudo ed inerme di quello che sarebbe dovuto continuare ad essere mio figlio ma che per me era diventato nulla più che un porco da punire o, come avrebbe detto mia madre, un peccatore a cui fare espiare le sue colpe.
Ed io cosa ero? Non so rispondere a questa domanda. La dottoressa Bovardi ormai aveva perso ogni freno inibitore ed aveva iniziato già da un pezzo a sgrillettarsi la fica buttata sul divano con le gambe spalancate mentre godeva del disagio di Luca e del mio difficile momento personale. Ormai gemeva e basta. Le dita delle sue mani scorrevano veloci sulla sua vulva e non agitavano più i sottili fili che facevano muovere me, mia sorella e mio figlio come stupidi burattini.
Eppure ricordo che il mio braccio destro con in mano il pesante scudiscio calabro si alzò per aria come se a sollevarlo fosse qualcun'altro. D'improvviso ebbi la forte sensazione di sentire mia madre sussurrarmi nell'orecchio. Quella voce dall'oltretomba la riconobbi subito per quelle sue parole intrise di delirio religioso. Per un lasso indefinito di tempo le sue convinzioni divennero le mie. Mi duole ammettere che in quella manciata di minuti tutto mi fu tremendamente chiaro. Punire un peccatore è un ruolo che va oltre i legami di sangue. Purificare un'anima facendone soffrire il corpo è un compito morale che andava oltre ad un rapporto madre-figlio.
In preda a quei pensieri far cadere il primo colpo di quel tremendo scudiscio fu un gesto terribilmente facile.
CIAFF
Ricordo il grido scomposto di mio figlio appena smorzato dalle mutande di Rosa che era costretto a tenere in bocca ed i suoi movimenti isterici trattenuti dalle cinghie della cavallina. La carne del suo sedere prese già un rosso più vivo ben lontano dal delicato colore rosa che le precedenti "coccole" gli avevano lasciato addosso. Tutto ciò che io feci fu sollevare di nuovo il mio braccio per prepararmi a sferrare un nuovo colpo.
Prima di far sbattere ancora il duro cuoio nero sul culo di Luca la maligna vocetta di mia madre mi ricordò quale fosse la posta in gioco aiutandomi ad immaginare squarci di futuro in cui Luca avrebbe speso tutti i suoi soldi pagando puttane di strada per scopare in squallidi giacigli di fortuna ricavati
nei campi attraversati da strade statali. Punirlo era l'unica cura per salvarlo dalla dipendenza dal sesso a pagamento in cui era evidente fosse già caduto.
CIAFF
La mia mano scese di nuovo. Lo schiocco sulle carni di Luca fu più rumoroso del precedente e gli provocai più dolore. Il duro impatto dello scudiscio sulla sua cute già arrossata fu per lui come una scarica elettrica che lo fece prima sussultare e poi dimenare come un indemoniato. Il suo sedere era sempre più rosso mentre, pur non potendo vederlo bene in viso, ebbi la netta sensazione che stesse iniziando a piangere per il male.
Io però non potevo fermarmi. La rediviva voce di mia madre, entrata chissà come nella mia testa, mi ricordò di come Luca si fosse eccitato poco prima quando il gioco che coinvolgeva me, lui e mia sorella Rosa gli aveva provocato una vistosa erezione. Non potevo permettere che lui coltivasse sogni erotici di natura incestuosa conservando questa esperienza tra i ricordi che avrebbe usato nei suoi momenti di solitario piacere. Per questo non dovevo sentirmi in colpa se avevo smesso i panni della madre amorevole per vestire quelli della feroce aguzzina. Per questo la mia mano scese di nuovo.
CIAFF
I glutei di Luca si arricchirono di un uomo rossissimo segno mentre fece altri indefiniti lamenti misti a grida di dolore, ebbi poi la sensazione di sentire le sue prime sofferenti suppliche. Era difficile per lui formulare parole ben scandite avendo ancora le mutande di sua zia in bocca.
Credo mi stesse supplicando di fermarmi ma io non lo ascoltai perché il subdolo sussurio di mia madre mi diceva che avrei dovuto continuare ad infliggergli dolore. Da vera stronza qual'era sempre stata volle ricordarmi la sua volontà testamentaria e di come la dottoressa Bovardi non avrebbe avuto scrupolo nel rivelare al resto della famiglia gli schifosi segreti taciuti fino ad allora. Dovevo ascoltarla. Dovevo far scendere un'altro efferato colpo.
CIAFF
La nuova sferzata ruppe diversi capillari della cute di Luca, il suo sedere iniziò a macchiarsi di piccole gocce di sangue mentre lui volgeva la testa verso il soffitto agitandosi in modo sempre più disperato ed emettendo versi sempre più animaleschi. I suoi spasmi e le sue contorsioni non smuovevano nulla in me. Lo accarezzai ma non era un gesto d'affetto quanto invece un modo per dare fastidio alla sua pelle
traumatizzata.
Forse scioccherò qualcuno dicendo che non mi importò più nulla di lui quel giorno ma a mia difesa posso dire che ne ho parlato diverse volte durante le sedute con la mia psicanalista stupendomi anche del fatto di non ricordare quanti colpi gli avessi inferto durante quella tremenda domenica mattina.
L'unica cosa certa fu che da quel momento il rapporto tra me e lui si ruppe logorandosi forse anche più del suo sedere pesantemente escoriato. Dopo quel weekend ricco di segreti io e Luca tornammo a casa ma nulla fu più come prima. Non parlammo mai di quello che fummo costretti a fare, non servivano comunque parole per capire che verso di me provava sentimenti misti di paura e soggezione. Era succube di me. Non mi guardava più come fossi sua madre, mi trattava una sua particolare ed autoritaria figura. Io, da parte mia, confesso che non provavo più granché nei suoi confronti. Luca non era più il figlio timido e sensibile che pensavo di conoscere, Anzi non lo era mai stato. Penso non sia sbagliato ammettere che vissi quella consapevolezza come un lutto. Mio marito ogni tanto si accorgeva che c'era qualcosa di strano nel nostro rapporto ed ogni tanto mi faceva domande a riguardo a cui io rispondevo mentendo.
Per un breve periodo fu divertente avere in casa un ragazzotto che obbediva ai miei voleri vedendomi come una minacciosa autorità ma usarlo come giocattolo mi stufò presto al punto che lo volli fuori di casa. Gli diedi un mese di tempo per trovarsi una sistemazione e dire a suo padre di avere un impellente necessità di vivere da solo per motivi che avrebbe dovuto inventarsi lui.
Il rapporto con Luca era ormai marcio e compromesso e poco me ne importava. Il legame che tenevo davvero a recuperare era quello con mia sorella Rosa. Dopo quel weekend in cui punimmo Luca lei non rispose alle mie chiamate per settimane ed una volta che mi presentai a casa sua mi lasciò sul pianerottolo. Non riusciva a perdonarmi il fatto di aver impugnato ed usato lo scudiscio calabro. Riuscii perciò ad riavvicinarmi a lei soltanto quando le inviai un messaggio In cui le proponevo di sbarazzarci insieme dell'orrendo baule di nostra madre. Mi fece entrare in casa sua e parlammo di tante cose. Ovviamente mi guardai bene dal dirle ciò confessai in seguito alla mia psicanalista ossia che avevo sentito nostra madre sussurrarmi nelle orecchie un'ultima volta mentre impugnavo quel terrificante scudiscio sentendomi stranamente bene e pensavo convintamente che usarlo era stata la cosa giusta da fare.
Il giorno che seppellimo quel maledetto baule girammo per ore le campagne per cercare un punto dove fare una buca ed abbandonare quell'imbarazzante cimelio di famiglia. Passammo il rassegno campi coltivati e terreni incolti finché Rosa, alla guida dell'auto, non frenò di fronte ad un maneggio per cavalli. Io e lei ci avvicinammo ad un recinto che costeggiava la strada, Accarezziamo le teste di alcuni cavalli affacciati alla staccionata mentre l'odore dei loro escrementi infastidì leggermente le nostre narici.
"È qui che merita di stare il baule di nostra madre."
Rosa voleva che il baule fosse seppellito in quel terreno calpestato dagli zoccoli dei cavalli che facevano cadere lì le loro feci. Voleva farlo per sfregio nei suoi confronti. Io non mi opposi. Rosa era così determinata a lasciare li quel baule che parlò direttamente con i proprietari del maneggio ed offri loro un bonifico di tremila euro. Tanto mia sorella era disposta a pagare pur di ottenere quella rivalsa su nostra madre.
Proprio quando le vanghe finirono di risistemare il terreno smosso io e mia sorella ricevemmo un messaggio della dottoressa Bovardi. Ci comunicò che il testamento di nostra madre era stato archiviato e non erano pertanto previste nuove convocazioni. I nostri turpi segreti di famiglia sarebbero rimasti sepolti come sarebbe stato quel raccapricciante baule da quel giorno in poi. Forse persino più a fondo.
FINE