La risata cinica e divertita dalla dottoressa Bovardi risuonò per tutta la casa non appena ebbe davanti agli occhi il pene duro ed eretto di mio figlio. Era euforica e visibilmente eccitata. Senza chiedere permesso toccò la carne offesa di Luca con un paio di lente carezze incurante di provocarli ulteriore disagio. Le sue mani da estranea passarono sui segni rossi sui glutei per poi arrivare con le dita a ambire l'asta del suo membro premuta contro il resistente cuoio della cavallina.
Io non feci nulla e fatico ancora oggi a credere di non aver reagito. Lo shock di aver scoperto che in qualche modo mio figlio gradisse quella particolare situazione mi aveva lasciato letteralmente di sasso. Rimasi immobile dietro di lui con uno dei maledetti frustini di mia madre pensando all'idea che lui potesse provare piacere a fare particolari giochi erotici con me e sua zia mezze nude. Io e Rosa ci guardammo negli occhi per un attimo che durò un'eternità, eravamo entrambe perse e spaventate per ciò che stava succedendo. Le cose non stavano andando come ci eravamo immaginate e, cosa ancora più importante, Luca non si stava comportando come ci saremmo aspettate. Possibile che lui provasse piacere ad avere la testa incastrata tra le cosce di sua zia Rosa? O che gli piacesse venire punito da me?
Il sospetto di non conoscere davvero mio figlio si insinuò nella mia mente. Pensavo di aver cresciuto un ragazzo educato e sensibile con interessi lontani da simili perversioni perchè troppo occupato a dedicarsi al suo corso Dams ed a coltivare la sua vena artistica. Evidentemente mi sbagliavo. Era chiaro che Luca avesse un suo lato nascosto. Non me n'ero mai accorta, a differenza di mia madre. L'idea che lei non avesse inserito nel suo testamento quelle accuse infamanti in modo gratuito mi atterriva, non ero sicura di voler sapere tutti i segreti di mio figlio. Nemmeno Rosa voleva. Era come se entrambe avvertissimo che c'era un limite da non superare. Forse io e mia sorella ci saremmo fermate ma la dottoressa Bovardi no. Lei andò avanti incurante del nostro stato d'animo.
"Mi dispiace dirvelo signore ma questo ragazzo è un vero porco!" esclamò la Bovardi dopo aver spento le sue ultime risate. " Un ragazzo perbene non si sarebbe mai prestato a fare certe cose con sua madre e sua zia. Solo un pervertito avrebbe accettato le condizioni imposte dal testamento."
Una parte di me non voleva credere alle sue parole. anche Rosa scuoteva la testa scettica come me sull'ipotesi che quello che stava succedendo a Luca piacesse. Per questo motivo lo spronammo a dire qualcosa.
"Luca dì qualcosa!" dissi io dietro di lui.
"Ti prego Luca. Spiegaci. Dì qualcosa... qualunque cosa." intervenne Rosa.
Luca rimase in silenzio. Dalla sua bocca non uscì una parola.
"Vuoi smettere Luca? Vuoi che ci fermiamo?" chiesi io.
Arrivati a quel punto confesso che sperai mi dicesse sì invece proseguì a mantenere un ostinato silenzio che sembrò sempre piu una implicita ammissione di colpa.
"Luca vuoi smettere, vero?... VERO?" chiese Rosa che faceva fatica a credere che Luca fosse contento di avere la testa incastrata tra le sue cosce.
Il suo silenzio mi irritava, non riuscivo a credere che lui fosse contento di essere legato su una scomoda cavallina per fare giochi sadomaso davanti ad un'estranea. Lasciai la mia posizione alle sue spalle e feci il giro della cavallina e mi chinai per poterlo guardare negli occhi. Il suo sguardo era sfuggente.
"Luca... Ti ricordi cosa ci siamo detti l'altra sera a casa? Se vuoi interrompere questo schifo devi solo dirlo. Vuoi smettere?"
Luca non disse una parola. I suoi occhi guardavano basso anche se ogni tanto sì sollevavano fulminei incontrando le mie pupille lucide per poi ricadere giù.
"Lui non vuole smettere." intervenne la dottoressa Bovardi. "Sta vivendo il suo sogno proibito. Perché dovrebbe? Questo comunque è un problema. Vostra madre voleva che Luca fosse punito ma mi pare evidente che questo per lui non sia esattamente il supplizio che lei doveva aver immaginato. Non posso considerare soddisfatte le volontà testamentarie della defunta, non così. Però penso ci sia ancora un modo per poter rimediare. Aspettatemi qui, torno subito."
Io intanto cercavo di aggrapparmi alle mie illusioni sempre più flebili.
"Luca..." tornai a rivolgermi a lui con una prima lacrima di disperazione che mi scendeva su una guancia mentre la Bovardi lasciò per un momento il soggiorno. "Ti prego... dimmi che vuoi smettere. Dimmi che questo è un incubo proprio come lo è per me e per zia Rosa."
Da parte sua solo silenzio, nient'altro che silenzio.
"Luca..." sussurrai per un ultimo debole tentativo di fargli dire qualcosa.
Il mutismo di mio figlio si interruppe solamente quando vide tornare la Bovardi e portare in salotto il suo trolley. Da quel momento in poi Luca non ebbe piu un'espressione di imbarazzo sul viso ma bensì tanta paura addosso. Fu subito chiaro che Luca avesse altre cose da nascondere ed una coscienza irrimediabilmente sporca e compromessa da chissà quale turpe segreto. Con la testa ancora stretta tra le cosce di sua zia Rosa iniziò a manifestare la suadisapprovazione. Iniziò persino a dimenarsi per cercare inutilmente di liberarsi dalla stringente morsa delle cinghie di contenzione che lo tenevano legate alle solide gambe della cavallina.
"N-no. N... No." ripetè lui con la bocca compressa dai muscoli dell'interno coscia di mia sorella che tenevano ferma la sua testa impedendogli anche di scuoterla.
"Come pensavo." disse la Bovardi accorgendosi della reazione di Luca. "L'unico modo per farlo soffrire davvero è spogliarlo di ogni sua privacy oltre che dei suoi vestiti. Come notaio e professionista di legge vi devo dire che si tratta di un reato ma arrivati a questo punto penso che bisogna fare il tutto per tutto se non volete che quell'imbarazzante parte di testamento venga letta anche al resto della vostra famiglia."
Invadere la privacy di mio figlio. L'ennesimo gesto che mi avrebbe reso simile a mia madre quando frugava sistematicamente nei cassetti di camera mia incurante del fatto che io fossi presente o meno. Anche la motivazione sarebbe stata la stessa. Anch'io proprio come lei mi sarei abbassata a frugare tra i suoi effetti personali ed a violare il suo spazio più intimo e riservato pur di trovargli colpe, bugie o tracce di comportamenti sconvenienti.
Non potendo muovere la bocca in libertà Luca continuava a muggire dei no confusi e delle frasi di difficile comprensione. Finalmente mi cercò con lo sguardo non vedendomi dato che non poteva muovere il collo, voleva supplicarmi di intervenire ed impedire quello che sarebbe accaduto di lì a poco. Io non feci nulla, non mi mossi.
Mi fece impressione accorgermi che desideravo aprire il trolley di Luca sentendo la tentazione fortissima di calpestare il suo volere, qualunque esso fosse. Fu la stessa sensazione che provò mia sorella, anche lei non fece nullaper difendere la privacy di suo nipote.
Pochi secondi d'imbarazzo e di silenzio, interrotto appena dai mugugni di disapprovazione di Luca, poi le dita della dottoressa Bovardi iniziarono a muovere la zip principale del trolley di mio figlio. Ci fu subito una sorpresa a cui né io e né Rosa eravamo preparate.
Nascoste all'interno del trolley di Luca c'erano le mutande mie e di mia sorella, quelle che avevamo indosso il giorno prima. La dottoressa Bovardi le prese e ce le lanciò, non appena mi ritrovai in mano quel mio indumento intimo immaginai mio figlio frugare tra la biancheria usata che tenevo nel mio bagaglio e di rubarmi gli slip color lilla per renderlo un suo feticcio. Quel pensiero mi fece inorridire ed io iniziai a guardare Luca con occhi diversi. Mi abbassai piegandomi con le ginocchia per avere il mio sguardo all'altezza del suo e mostrargli tutta la delusione che provavo per il suo comportamento.
Iniziavo finalmente a spiegarmi perché a casa mia da un po' di tempo stesse sparendo la mia biancheria intima. Le mie mutande, quelle che mettevo nella cesta della biancheria sporca, scomparivano senza un motivo apparente. Ne compravo di nuove ma anch'esse, poco prima del passaggio in lavatrice, diventavano introvabili. Quel giorno scoprii che anche mia sorella aveva il mio stesso problema, a lei addirittura erano sparite le mutande bianche che facevano parte del suo abito nuziale che prima di sposarsi aveva preparato nei minimi particolari. Quelle mutande erano importanti per lei, erano una specie di suo personalissimo portafortuna che indossava nelle giornate importanti. Un giorno però scomparvero anch'esse prima di essere lavate. Mentre teneva in mano delle sue altre mutande colorate di un delicato celeste a Rosa venne voglia di sapere che fine avesse fatto quel prezioso indumento intimo.
"Luca..." disse lei cercando di mantenere la calma. "... Hai preso tu le mutande del mio abito di nozze?"
Luca non disse nulla. Rosa prese quel silenzio come un implicito assenso.
"Ci tengo a quelle mutande." continuò Rosa tradendo un leggero nervosismo con la voce. "Dove sono? Cosa ne hai fatto?"
Mia sorella perse la pazienza di fronte a quel mutismo ostinato. Smontò finalmente dal collo di Luca liberandolo momentaneamente da quell'imbarazzante presa in cui era costretto ed anche lei si acquattò come avevo fatto io per guardarlo in modo torvo.
"Luca mi vuoi rispondere? LUCA!"
La risposta non la avrebbe ottennuta da lui ma dalla dottoressa Bovardi che teneva il telefono che Luca aveva lasciato incautamente all'interno del suo trolley. Non era lo smartphone che gli vedevo usare ogni giorno, era un suo secondo dispositivo di cui ignoravo l'esistenza. Io e Rosa ci scambiammo sguardi increduli domandandoci cosa potesse mai nascondere Luca per giustificare il possesso di un secondo telefono. Io e lei sentimmo di colpo salire la curiosità, la preoccupazione e molto altro ancora. Ormai era rimasto solo il pin di quel cellulare a proteggere i suoi segreti.
"Se non vuoi confessare tu lo farà il tuo telefono Luca." disse Rosa sempre più nervosa. "Il pin! Diccelo!"
Lui tenne lo sguardo basso e balbettò parole confuse sul rispetto della sua privacy ma Rosa ribatté immediatamente.
"Non vedo perché devo rispettare la tua privacy dato che tu non hai rispettato la mia. Ed inoltre..." aggiunse poi mia sorella alzandosi per Andare alle spalle di lui. " ...ti sei comportato da stronzo con me per cui penso di avere il diritto di comportarmi allo stesso modo."
Vidi Rosa avvicinarsi al baule di nostra madre per cercare uno strumento. capii subito cosa volesse fare. Cercai di farla desistere ma lei fu irremovibile.
"Mi dispiace Anna ma sai bene quanto sia importante il mio abito di nozze per me, mutande comprese. E lo sa anche lui ma nonostante ciò se ne è comunque fregato. Se non scioglie la lingua da solo allora lo aiuto io."
Rosa scelse d'impugnare una vecchia bacchetta che in famiglia usavamo per far crescere in altezza le piante di pomodoro, composta da un legno flessuoso e resistente ma anche fastidiosamente ruvido. L'ho sperimentata sulla mia pelle da giovane e non fu una bella esperienza, Ricordo che a mia madre bastavano due o tre colpi di quella bacchetta per mandarmi in fiamme la cute. Rosa doveva essere piuttosto arrabbiata per aver scelto uno strumento capace di percuotere la carne in modo non proprio leggero.
"Allora Luca..." tornò a chiedere Rosa a suo nipote iniziando a far pericolosamente scorrere il ruvido legno della bacchetta sui suoi rotondi glutei già infiammati. "Trovi il fiato di parlare da solo o te lo faccio trovare io? Dicci il pin del tuo secondo telefono."
Luca non obbedi chiudendosi ancora era uno stirato silenzio che comunque non dura molto a lungo.
TWAK
Il ruvido legno di quella maligna bacchetta piovve sul suo sedere con un rumore poco fragoroso ma con un impatto doloroso tanto che Luca scappò un lamento che pareva quasi il latrato di un cane. Subito dopo però tornò a tenere la bocca chiusa.
TWAK TWAK
Rosa infierì dando altri due colpi veloci e ritmici mentre guardava il culo arrossato di suo nipote con uno sguardo impassibile come se avesse smesso già da un po' i panni dell'amorevole zia che era sempre stata per diventare altro. Per alcuni istanti vidi i suoi movimenti ed il suo modo di fare sempre più simile quello di nostra madre, iniziò ad avere il tono malevolo che aveva lei quando ci coccolava in quel modo così brutale. Rimasi a bocca aperta osservandola.
"Perché mi guardi così?" mi chiese lei dopo essersi accorta di avere addosso il mio sguardo sconcertato. " Non lo vorrai mica difendere?"
"No però... Per un paio di mutande mi sembra una punizione eccessiva."
"Non è solo per quello. Ma non capisci che se sopporta il male che gli fa questa bacchetta di legno vuol dire che ha parecchie cose da nascondere?"
Io non sapevo che pensare e non sapevo a chi credere. Non volevo scegliere da che parte schierarmi. Non volevo scegliere tra mio figlio e mia sorella. Comunque sia quella fase di stallo scandita dai sordi colpi della canna di legno sbattuta a ripetizione sul sedere di Luca non durò a lungo. A Rosa bastarono altri tre colpi per obbligare suo nipote a rivelare i quattro numeri che componevano il pin del suo secondo telefono.
Penso che io e mia sorella Rosa saremmo potute essere preparate a scoprire una cronologia web piena di accessi a siti porno o una relazione segreta omosessuale con un'altro ragazzo. Non ci sarebbe stato nulla di terribile fosse stato così. La verità però era ben altra.
Luca vendeva online le nostre mutande usate ad una clientela di depravati e la cosa peggiore era che non si fosse fatto il minimo scrupolo di raccontare che quelle in vendita erano gli indumenti intimi di sua madre e di sua zia. Non aveva fatto i nostri nomi, per fortuna, ma scoprire il modo in cui appellava me e Rosa durante le varie compravendite era qualcosa che mi fece gelare il sangue. La dottoressa Bovardi ci lesse alcune chat intercorse tra Luca ed i suoi acquirenti in cui giustificava il prezzo alto di quegli imbarazzanti feticci col fatto che lui avesse "smutandato quella troia di sua madre per poter far avere loro il copriculo usato di una vacca cinquantenne".
Ascoltai impietrita il tono volgare di quelle chat con tutte quelle offese ripetute che Luca rivolgerà nei miei confronti e di quelli di mia sorella, Ribattezzata da lui come "zia baldracca". Chiedemmo di leggere coi nostri occhi il contenuto di quelle chat e la Bovardi ci lasciò quel telefono facendoci prendere visione dello schifoso business che lui aveva messo in piedi alle nostre spalle. Quando io e Rosa riconoscemmo dalle foto alcune delle nostre mutande e ne avemmo abbastanza di quelle disgustose conversazioni rivolgemmo di nuovo la nostra attenzione su mio figlio.
Luca meritava davvero una lezione, da quel momento in poi io e mia sorella ne eravamo fermamente convinte.