Credo di aver rinunciato da subito al mio ruolo di maschio.
Fin da i cosiddetti “giochi da maschietto” mi lasciavano indifferente, mentre le bambole e i finti trucchi di mia sorella, più grande di me di due anni, mi divertivano. Spesso giocavo con lei.
Durante le scuole medie però è esplosa la “consapevolezza”.


Giravano dei giornaletti, rapinati a fratelli più grandi, con scene di sesso esplicite. Nell’ora di ricreazione eravamo tutti intorno al fortunato possessore che li sfogliava, per commentare, senza probabilmente capire granché di quello che vedevamo. Nelle scene di amplessi omosessuali la parola più frequente nei commenti era “froci”, e giù gran risate di tutti. Compreso me che assecondavo gli altri ma avevo dentro di me, guardando quelle foto, una tempesta di sensazioni contrastanti (ma forse neanche tanto contrastanti).
La sera, nella mia stanzetta, non potevo fare a meno di ripensare a quei corpi di maschi che facevano sesso e masturbarmi al pensiero.
Riuscii a procurarmi uno di quei giornaletti, comprandolo da un compagno che ne era particolarmente fornito, e ne scelsi uno con abbondanti scene omosessuali, così la sera non dovevo sforzare la mia immaginazione.
Credo di aver consumato quel giornaletto molto più dei libri di scuola.
Cominciai anche a masturbarmi con alcuni oggetti per capire cosa si provava nella penetrazione. Provai prima con le dita, fin dove riuscivo, poi con dei contenitori di sigari di mio padre, poi con tubetti di vario tipo, lubrificandoli sempre con del sapone liquido. Tutti mi davano un notevole piacere, ma non avevo idea della differenza che ci fosse con un membro adulto e duro.
Alla fine trovai l’oggetto “perfetto”, il manico di gomma di una spazzola di mia sorella, che subito “sequestrai” nascondendola in fondo ad un mio cassetto. Probabilmente ancora oggi mia sorella si chiede che fine abbia fatto quella spazzola.
La mia curiosità mi spingeva sempre oltre. Con dei contorsionismi, sdraiato sulla schiena, tirando indietro le gambe, magro e agile com’ero, riuscivo a succhiarmi un pochino il cazzetto, così in quella posizione mi masturbavo e riuscivo ad assaggiare il mio sperma. Era un liquido non molto denso e dolciastro che mi piacque da subito perciò assaporarlo e inghiottirlo era il mio passatempo preferito.


Fui iscritto poi ad un liceo del centro. Dei miei compagni di classe soltanto due provenivano dalla mia stessa borgata, quindi fu naturale legare con loro e frequentarli anche al di fuori della scuola. La loro comitiva, come altre, si incontrava presso il bar centrale della borgata per parlare di calcio, di ragazze, i più grandi di caccia, di pesca, tutti argomenti di cui facevo finta di interessarmi mentre mi erano del tutto indifferenti. Era quel minimo di “socializzazione” che mostravo mentre la mia indole mi portava piuttosto nell’intimità di casa, seduto in un angolo a leggere un libro.


Un altro luogo d’incontro della comitiva era un vecchio lavatoio semi diroccato che stava in mezzo al “pratone”. Lì si facevano piuttosto le cose “proibite”, come fumare cose lecite e non lecite, masturbarsi con giornali sconci, e commentare volgarmente gli “exploit sessuali” avuti con quella o quell’altra ragazza.
Tutte cose cui partecipavo da osservatore con un certo imbarazzo, solo per seguire i due compagni di scuola. La sera, a casa, mi masturbavo pensando ai cazzi che avevo visto in quell'ex lavatoio.


Una sera d’agosto seguii controvoglia i miei compagni al lavatoio, ricordo l’odore di terra bagnata, dopo la pioggia della mattinata e, entrando, il solito odore disgustoso d’urina e di sporco che permeava quel luogo. I ricordi olfattivi sono i più persistenti anche a distanza di molti anni.
Io stavo un po’ in disparte e, dopo un po’ il mio sguardo incrociò quello di un ragazzo sui 28/30 anni, seduto in un angolo, che mi fece segno di avvicinarmi. Quando fui vicino mi chiese come mi chiamassi.
"Daniele. Ma mi chiamano Lino, cioè Danielino, perché sono magro e non molto alto“.
“Io Fulvio. Vieni qui parliamo un po’, siediti qui” intendeva sopra di lui.
“No, grazie, posso stare anche in piedi“, dissi arrossendo, con un sorriso imbarazzato.
“Ho detto vieni qui e mettiti seduto sopra di me“ lo disse con un tono che a me sembrò imperativo, perciò mi sedetti.


Lui mi fece spostare assestandomi per avermi esattamente sopra il suo membro. Aveva dei pantaloni leggeri di lino e io dei pantaloncini al ginocchio, leggeri anche quelli, per cui la stoffa che separava il mio culetto dal suo cazzo era veramente esigua. Lo sentivo chiaramente.
Dentro di me c’era un uragano che mi possedeva lo stomaco. Mi vergognavo ma, allo stesso tempo, ero estremamente eccitato.
Mi fece alcune domande su quanti anni avevo, sulla scuola che frequentavo, su dove abitavo, su cosa mi piaceva fare al di fuori della scuola, tutte cose “normali” alle quali rispondevo con monosillabi, troppo teso da quella situazione che mi infiammava.


Quando tutti stavano per andarsene, i miei compagni mi chiamarono, ma lui mi sussurrò all’orecchio:
“Digli che resti un altro po’”
Obbedii, quasi in trance. Dopo poco eravamo soli e io ero sospeso in quello che Proust avrebbe potuto definire “un istante immenso di lucidità impotente e suprema”.
“Siamo rimasti solo noi“ dissi dopo un attimo, timidamente.
“Sì, così stiamo più tranquilli. Alzati dai“.
Io mi alzai e lui subito dopo di me. Me lo trovai davanti, vicinissimo, e finalmente potevo vederlo bene. Alto più di me almeno di 15 cm, muscoloso, capelli corti e barba di un paio di giorni, naso aquilino, un po’ Lee Van Cleef senza baffi. Non si poteva dire che fosse bello. Almeno per i miei gusti.


“Lo vuoi vedere?“ mi disse.
“Cosa? “ domandai con fare ingenuo.
“E dai, non fare lo stronzetto“ disse ridendo “quello su cui sei stato seduto finora“.
Non sapevo stupidamente cosa rispondere.
Ma lui non aveva nessuna intenzione di aspettare la mia risposta, si aprì i pantaloni e calò i boxer.
Per la prima volta mi trovavo davanti un cazzo che prometteva di essere per me. Era incappellato, di una grandezza notevole e nodoso
“Toccalo, senti come me lo hai fatto diventare“
Io esitavo, con le classiche farfalle nello stomaco, senza riuscire a spiccicare una parola, ma lui mi prese la mano e l’avvicinò al suo cazzo sguainato fino a toccarlo.
“Dai che mica ti morde, nessuno ci vede, sentilo com’è duro“.
Lo sfiorai un po’, poi lo avvolsi con la mano.
“Su, muovi la mano come se ti stessi masturbando, solo che lo fai a me invece che a te stesso“
Cominciai a masturbarlo
“Dai così, bravo, vedi che non succede niente, anzi se continui qualcosa succede…aspetta, no, mettiti seduto dov’ero io prima“
Obbedii ancora, meccanicamente. Lui mi venne davanti vicinissimo, sfiorando con il suo cazzo il mio viso, odorava di pulito e in quello squallido e puzzolente posto, mi sembrò molto invitante.
“Leccalo un po’ dai, vedrai che ti piace“
“Non l’ho mai fatto“ dissi con un filo di voce.
“C’è sempre una prima volta e per te è questa, forza“
Ancora una volta mi sottomisi ai suoi modi autoritari, ma non era proprio quello che volevo?
Leccai con passione la sua asta per tutta la lunghezza, fino alle palle, poi istintivamente, feci quello che vedevo nei famigerati giornaletti, lo avvolsi completamente con le labbra scoprendo la cappella masturbandolo con la mano.
“Bravo, cazzo, così mi fai venire, bravissimo, non strusciare coi denti, solo labbra e lingua, dai succhiami il cazzo“
Al culmine dell’erezione, mi prese la testa e cominciò a guidare lui il movimento affondandomelo fino in gola, quando sentiva i miei conati si ritraeva per poi affondare di nuovo
“Dai, così, bravissimo, ci avrei scommesso che eri un frocetto coi fiocchi"
Dopo un po’ lo sentii dirmi
“Cazzo togliti sennò ti sborro in bocca“
Ma inutilmente perché avevo deciso dall’inizio che avrei voluto sentirne il sapore. I primi schizzi mi arrivarono direttamente in gola, poi lo trattenni in bocca fino a che si sfilò e ingoiai tutto. Sia la densità sia il sapore erano differenti dal mio, aveva un che di amarognolo, ma mi piacque comunque un casino.
Ero eccitatissimo ma mi vergognavo da morire.


“Non ci credo che è la prima volta“ mi disse “sei stato mitico“
“Ti giuro che è la prima volta, però ci ho pensato tante volte, avevo una voglia pazzesca di provare“.
Sulla strada di casa parlammo ancora un po’.
“Ma tu l’hai già fatto con altri come me? “ gli chiesi.
“In che senso come te? “
“Froci. Mi hai chiamato tu frocetto no? “
“Sì certo che l’ho fatto, mi piace parecchio perché avete una sensualità mille volte superiore a quella delle donne“
“Eh, esagerato“
“Dammi retta, me ne sono fatti parecchi e te lo posso assicurare“
Quando ci separammo lui mi disse
“Ti va di vederci anche domani sera“
“Sì, certo, allo stesso posto?" lo volevo veramente ed ero disposto anche a sopportare di nuovo il disgusto di quel lavatoio.
“Ma noo, a parte lo squallore del posto, se ci becca qualcuno vado in galera, non ti scordare che sei , frocetto ma “. disse sorridendo “Vieni da me, vivo con mia madre, ma ce ne andiamo in garage e staremo tranquilli“
Mi diede il suo indirizzo e ci lasciammo.


A casa, la sera, non riuscivo a dormire, pensando, in un turbine di ipotesi piccanti, a quello che poteva capitare, il giorno dopo, di bello o di doloroso al mio culetto.
Il manico della spazzola di mia sorella lavorò molto quella sera.