Era lunedì ed ero appena arrivato al comprensorio dove avrei trascorso due settimane di vacanza al mare.
Frequentavo quel posto da tre anni. Una doppia fila di villette a schiera con giardino con accesso diretto in spiaggia che si sviluppava attraverso un sentiero che attraversava una piccola pineta e una duna con vegetazione mediterranea.
Era l’ideale per riposarsi. Ogni villetta aveva il suo ombrellone e i suoi lettini e non c’era bisogno di correre per accaparrarsi una sistemazione. I frequentatori erano per lo più famiglie benestanti di età avanzata, alcune con nipoti al seguito; pochi i ragazzi, per lo più concentrati sui due campi di pallavolo o intorno ad ombrelloni che occupavano in gruppi.
Insomma era quello che mi ci voleva. 62 anni, un anno di lavoro intenso alle spalle, la voglia di leggere almeno tre libri che mi ero scaricato sul mio Kindle.
Ero arrivato con mia moglie e ci aspettavano due coppie di amici della nostra stessa età con le quali avremmo condiviso chiacchere in spiaggia e soprattutto cene luculliane nelle rispettive villette o nei ristoranti di zona.
Sistemate le cose nella casa ci siamo diretti in spiaggia. Alcuni saluti con persone conosciute di viste e dritti alle sistemazioni che amavamo; in mezzo alla spiaggia, lontano dagli accessi, in seconda fila, in modo da essere meno disturbati possibile.
Nel percorso per raggiungere le postazioni desiderate la vedo. Matura, capelli neri, occhi scuri con un po’ di occhiaie, seno abbondante (almeno una quinta), fianchi larghi, un po’ di pancia: praticamente il mio ideale di donna. Indossava un bikini scuro e prendeva il sole sul lettino.
Passandole accanto l’ho praticamente divorata con gli occhi facendomi notare subito da lei.
Mi sono piazzato con la sdraio in modo da poterla vedere con facilità. Era con il marito, impegnato per lo più al telefono o a parlare con qualche amico di passaggio.
Non l’avevo mai vista negli anni precedenti; non era un habitué, una delle tante fiche di plastica che popolavano quel posto: seni rifatti, corpi tonici, capelli sempre a posti.
Lei era selvaggia, vera, emanava femminilità da tutti i pori. Indossava il bikini fregandosene se le sue forme non erano perfette, se le coppe del pezzo di sopra riuscivano a mala pena a contenere le sue generose tette.
All’inizio lei era disposta con il lettino in posizione contraria al mio punto di vista ma poi, nel pomeriggio, girava il lettino per mettersi in favore di sole. Ed io potevo bearmi della sua vista: le cosce, i fianchi, i seni, i piedi con le unghie smaltate di rosso corallo.
Dal primo giorno occupò stabilmente lamia attenzione; facevo finta di leggere ma guardavo solo lei. Presto se accorse e ricambiò gli sguardi.
Il lunedì finì così. Dal giorno dopo ricominciai con le mie attenzioni che via via si facevano più sfacciate; soprattutto quando nel pomeriggio lei si disponeva a favore dei mie sguardi. Favorito dal fatto che mia moglie si piazzava in posizione che non poteva vedermi e che il marito era sempre più occupato nei suoi affari telefonici e sociali, ostentai il mio interesse per lei, fatto di sguardi e di sorrisi che li ricambiava.
Il terzo giorno cominciai ad essere più audace. Le sue grazie e le fantasie che mi suscitavano mi generavano erezioni importanti che non nascondevo; il mio cazzo di 18 cm deformava la parte davanti dei boxer indossati ed io, con malizia, lo evidenziavo passandoci il dito sopra, su e giù per la sua lunghezza. Lei non si scompose, né si scandalizzò; partecipò anzi a questo gioco di reciproche provocazioni fatta da un lettino prendisole all’altro. Indugiava nel cospargersi la crema sul torace, infilando le dita nel pezzo di sopra del bikini con il risultato che i suoi capezzoli si ergevano prepotenti sotto la stoffa; oppure piegava la gamba sinistra e allargandola verso l’esterno, con il risultato di mostrarmi la sua meravigliosa fica carnosa (specie se il movimento era accompagnato da una sistemazione dello slip che ne evidenziava le forme).
Era diventata un’ossessione per me. Non vedevo l’ora che arrivasse il pomeriggio e iniziasse il nostro spettacolino. C’erano sempre i momenti giusti per farlo senza paura di essere scoperti; le telefonate dei nostri consorti, effettuate sulla battigia perché nella zona degli ombrelloni non c’era molta linea; le chiacchere infinite che gli stessi facevano con amici e passanti, che portavano ad una generale distrazione di massa.
Arrivò il venerdì e il timore che fosse l’ultimo giorno. Nel comprensorio, infatti, gli affitti settimanali partivano dal sabato e temevo che l’indomani non avrei più visto la mia musa.
Quel pomeriggio ero molto teso. I reciproci ammiccamenti erano ridotti al minimo.
Nei giorni precedenti lei rimaneva in spiaggia fino alle 19, mentre io tiravo fino al tramonto. Non c’era mai stata occasione di tornare insieme e quindi non sapevo neanche da che parte del comprensorio abitasse. Nessuna possibilità quindi di un appostamento, né di scambiarci il numero di telefono.
Anche lei era nervosa. Si rigirava di continuo nel lettino mostrandomi spesso il suo bellissimo culo; indossava un due pezzi verde bottiglia con lo slip che le si infilava tra le natiche e che lei risistemava di continuo. Un tormento!
Improvvisamente verso le 17,30 si alzò, disse delle cose al marito che annuì, prese il suo pareo e se lo pose in vita, incamminandosi verso l’uscita della spiaggia.
Questo improvviso cambiamento delle sue abitudini mi scosse dal torpore nervoso in cui ero piombato. Senza pensarci infilai la maglietta, dissi a mia moglie che sarei andato a casa perché avevo preso troppo sole e mi incamminai dietro a Lei.
La raggiunsi sulla parte del sentiero che attraversava la duna. Le passai accanto e le sorrisi, ricambiato. Non sapevo cosa fare e improvvisamente mi ricordai che più avanti, in corrispondenza della pineta, c’era un viottolo interno, invisibile dal comprensorio e dalla spiaggia, che scorreva parallelo ai filari di alberi; era stato realizzato per fronteggiare eventuali incendi e quindi era privo di arbusti e altra vegetazione che avrebbe potuto prendere fuoco e ostacolare l’azione dei pompieri.
Mi fermai all’incrocio tra sentiero e viottolo e l’aspettai. Sentivo i suoi passi in avvicinamento e non sapevo neanche io cosa avrei fatto quando mi avesse raggiunto.
Ad un certo punto spuntò dal sentiero e mi guardò, fermandosi; io le sorrisi e, preso anche da un po’ di panico, entrai nel viottolo sperando che mi seguisse. Non credevo lo facesse e quindi ero rassegnato a farmi una solitaria passeggiata quando, dietro di me, sentii i suoi passi.
Con il cuore che batteva impazzito scorsi uno spiazzo laterale dove c’era un tronco di pino segato a 60 cm da terra; mi fermai e quando lei sopraggiunse le afferrai un braccio e la portai a me.
Le nostre bocche si incontrarono immediatamente e le nostre lingue cominciarono ad esplorare la bocca dell’altro. Le mani erano impazzite; dopo averle sciolto il pareo la accarezzavo ovunque, soffermandomi sulle tette che tirai fuori dal costume e cominciai a baciare, leccare; succhiavo quei capezzoli stupendi che diventavano sempre più duri; leccavo l’incavo dei seni per risalire sul collo, sulle labbra e poi scendere di nuovo sui seni.
Le mani scesero per sfilarle lo slip che lei allontanò con un gesto della gamba; finalmente potevo toccarle la fica, carnosa, naturale come piace a me, bagnatissima. Le dita si soffermarono sul clito massaggiandolo circolarmente per poi introdursi in quella cavità che avevo così desiderato.
Lei gemeva e aveva portato una mano alla bocca per non fare rumore. Mi inchinai e contemporaneamente le feci poggiare la gamba sinistra sul tronco. Cominciai a leccarla; le cosce, le grandi labbra, il clito; la bocca si riempiva dei suoi umori ed io ero in estasi. Lei, con l’altra mano, mi spingeva la testa sul sesso in modo che la lingua entrasse ancora di più; io favorivo questa pressione palpandole il culo. L’altra mano stringeva il seno sinistro, strizzandole forte il capezzolo.
Un fremito più forte e un parziale cedimento delle sue ginocchia mi fecero capire che aveva avuto il primo orgasmo; contemporaneamente un liquido dolcissimo mi invase la bocca e lo ingoiai con voluttà.
Ma ora toccava anche a me. Le scansai dolcemente il piede dal tronco e mi ci misi seduto, non prima di essermi tolto il boxer da bagno. Il cazzo svettò dritto, duro con la cappella rossa e gonfia.
La chiamai a me e lei, allargando le gambe, si posizionò sopra il mio sesso. Un po’ di pressione ed entrò in quell’antro infuocato e fradicio, fino alle palle. Comincia a muovermi e tanta era la voglia che il suo peso mi era assolutamente indifferente; anzi, quando la lasciavo venir giù, la cappella sbatteva forte contro il suo utero dandomi sensazioni meravigiose.
Entrammo in sintonia con i movimenti. Mi cavalcava dolcemente ma decisamente, le piaceva sentirlo tutto dentro, fino alle palle; la mia bocca era impazzita e passava dalle sue labbra, con baci appassionate dove le lingue si intrecciavano, ai suoi enormi seno che leccavo voracemente succhiando i capezzoli.
I nostri sospiri e gemiti cominciavano a farsi sempre più forti ma poco importava. Sentii arrivare l’orgasmo e provai a trattenermi ma ero troppo eccitato. Le scaricai dentro una gran dose di sborra continuando a pomparla vigorosamente; lei, dal canto suo, mi dimostrò il suo piacere inondandomi le cosce con i suoi umori.
Ci fermammo per riprendere fiato. Eravamo sudatissimi e mi ritrovai a leccarle il suo sudore dal collo, dai seni, dalla faccia: era buonissimo.
Lei si alzò e si inchinò prendendomelo in bocca per ripulirlo dai miei e suoi umori. Era meticolosa nell’operazione e non trascurò neanche le palle.
Poi si alzò e mi baciò donandomi quel mix di sapori che non avrei più dimenticato.
Si rinfilò lo slip e si mise a posto il pezzo di sopra. Annodò il pareo in vita e riprese il sentiero; io mi mossi cinque minuti dopo.
Non ci eravamo detti una parola.
Il giorno dopo in spiaggia, al suo posto, c’era una simpatica mamma con due piccoli che mi “allietarono” i rimanenti giorni di vacanze con strilli e lagne.

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