Capitolo 1


Sono nuda, in piedi di fronte allo specchio. Il mio riflesso mi sorride di rimando, sostenendo fermo il mio sguardo azzurro e domandandosi cosa ci faccio lì.
La memoria decide di ripescare i ricordi dell'estate di due anni fa. L'eco di ciò che abbiamo fatto non si è mai attutito, anzi, si è amplificato al punto da rimbombare potente tra le pareti di casa, autoalimentandosi e diventando l'ospite gradito e al contempo indesiderato che tutti vogliono che vada via, ma che nessuno ha il coraggio di cacciare.


Fingo di tornare indietro nel tempo, quando, durante quelle lunghe giornate, giocavo con lui e gli facevo credere di avere il controllo su di me: ignorare rende felici. Ho di nuovo ventinove anni, nella mia mente.


Con un dito sfioro le mie spalle larghe; sostengono le ciocche che si credono abbastanza audaci da allungarsi fino a raggiungerle, come se fossero tanti gatti neri che si stiracchiano crogiolandosi nel calore di un pomeriggio estivo, guadagnando faticosamente pochi centimetri alla volta. Sistemo la frangia spostandola dagli occhi, prima di riprendere la carezza che ho deciso di regalarmi. L'indice continua a percorrere le curve sinuose del mio corpo, scende lungo il braccio e arriva al seno pesante. Compie un cerchio attorno alla sfera e punta al capezzolo. Vuole svegliarlo e non fa fatica a raggiungere il suo scopo, aiutato da quel ricordo. Lo pizzico e stringo forte, al punto da farmi scappare un gridolino di piacere.


Ripenso alla sera in cui tutto iniziò, quella in cui cambiai. Quella in cui avevo due dei miei principali orifizi riempiti da altrettanti uccelli e la luce di un flash davanti agli occhi, a immortalare il momento. L'unghia dell'indice tinge di rosso la pelle lattea all'altezza del fianco. Sento qualcosa, sono viva.


Trascino il dito fino all'ombelico, solo per concedergli la libertà di ambire ad altre mete, mentre il mio sguardo languido fa a gara con quello dello specchio. Più giù, sotto quel piccolo ovale asimmetrico, un soffice batuffolo di peluria nera aspetta pazientemente il suo turno. Il piccolo boschetto cresce rigoglioso, sul terreno fertile del mio monte di Venere. Gioco con i peli, li attorciglio intorno all'indice. Se mi concentro, mi sembra quasi di sentire il cazzo di Marco dentro di me e la cappella di Andrea a contatto con la mia lingua. Non resisto più.


Urlo a mio padre di non entrare in camera mia, anche se potrebbe benissimo farlo, non sarebbe un problema. Lo so, e lo sa.
Mi sposto sul letto e mi sdraio. Allargo le gambe, infilo le dita e mi immergo nel ricordo, nella spirale di sesso e depravazione che due anni fa ci ha intrappolati al suo interno. Porto la mano alle labbra, voglio sentire che sapore ha il mio sudore e la mia fica. Passione, profuma di passione.


Il clitoride mi brucia per quanto lo sto sfregando. Ignoro il dolore per poter amare il calore. Due dita non sono un uccello, ma mi aiuteranno comunque a raggiungere il mio scopo. Mentre mi masturbo, continuo a chiedermi come ho fatto a trovarmi lì, quella sera, e soprattutto come ho potuto permettere che due uomini mi scopassero contemporaneamente.


"Pap... papà..", ansimo, "Sto.. per... sto... per..."


Urlo. E dalla stanza accanto lui capisce che ho raggiunto l'orgasmo.

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