Era quella calda estate in cui, nel pieno della mia adolescenza,avevo appena concluso il quinto anno delle elementari e trascorrevo le mie vacanze in attesa di iniziare a frequentare le scuole medie. 



Finalmente!!! Le tanto attese e sospirate vacanze. Vivendo in una cittadina della Sicilia che si affaccia proprio sul mare, era inevitabile trascorrere gran parte delle mie giornate al mare.



Quell’estate, come sempre, mio padre era impegnato col lavoro ma mia mamma, casalinga e con un unico figlio, cioè me, era libera da qualsiasi impegno. E poi c’erano gli zii di mamma che vivevano al nord ma che, essendo ormai pensionati ed essendo originari di questa Terra, venivano a trascorrere i mesi di luglio e agosto in Sicilia. Anche mia zia, sorella di mamma, si era sposata e viveva nel nord Italia. Ma quell’estate aveva pensato di trascorrere le sue vacanze estive da noi, in compagnia della sua sorellona maggiore.



Una mattina, come consuetudine, gli zii di mia mamma e mia zia sono passati da casa nostra e, tutti e cinque, siamo andati nella spiaggia che distava solo pochi minuti di macchina da casa nostra e che frequentavamo abitualmente.



E così, eccoci finalmente in spiaggia. Lo zio di mamma parcheggia l’auto, scendiamo e ci dirigiamo verso la solita postazione dove posizionare i teli da spiaggia. Nel mentre, ammiro mamma sfilarsi il prendisole bianco, sfilandolo dalla testa, e mostrando sotto di esso il solito costume intero, di un colore non meglio identificabile tra verde e azzurro. 



Odiavo quel costume. Da anni speravo invano che si decidesse a comprare un costume a due pezzi da indossare in spiaggia. Mamma aveva due tettone fantastiche, come le ho già descritte negli altri miei racconti, e il due pezzi le avrebbe sicuramente fatte risaltare ed apprezzare a dovere, mentre quell’odiato intero si limitava ad evidenziare un lungo solco fra le due tettone compresse tra loro.



Ed eccoci finalmente insediati in spiaggia per trascorrere l’ennesima giornata di mare. Ricordo benissimo che era il mese di agosto e quella notte c’era stato un breve temporale. Non ci speravo, temevo che la giornata non sarebbe stata promettente per poter balneare. Ma fortunatamente, con le luci del giorno, il temporale era del tutto passato. Però era rimasto un fastidioso vento di maestrale che faceva agitare il mare.



“E allora? Mica ci scoraggiamo, il bagno lo facciamo lo stesso”, disse mamma. “Anche col mare mosso”. Le più coraggiose sono state mamma e zia che, prendendo l’iniziativa, insieme si sono avventurate verso le onde. Io, invece, dalla battigia a pochi metri da loro, attendevo guardandole, mentre avanzavano e si immergevano sempre più nelle azzurre acque.



Il mare mosso faceva faticare Mamma ad entrare in acqua e così, per agevolare i suoi movimenti, si volta verso la spiaggia, avanzando lentamente all’indietro, tipo gambero. Passo passo, l’acqua le era arrivata già ai fianchi. Anch’io avanzavo verso di lei ed ero già immerso con l’acqua fino alle mie ginocchia. Zia affiancava mamma, posizionata alla sua destra, e mi dava le spalle. In quel momento volto la testa all’indietro, guardando verso gli zii di mamma che se ne stavano seduti sulle loro sdraiette, a una manciata di metri dalla battigia, e controllavano tutti i nostri passi.



Proprio in quel mio momento di distrazione sentii mamma urlare: “ahhhhh, la mia minnaaaaaa”. 



In Sicilia la “minna” è la denominazione abituale della tetta, del seno materno. A me la parola minna ha sempre suscitato una particolare ed istantanea erezione. E così fu, anche in quel contesto, enfatizzato dal suo modo di urlare quella parola afrodisiaca ai quattro venti.



Mi rivolto verso il mare e lo spettacolo che mi trovo davanti era ad elevato tasso erotico, vuoi per la mia condizione di adolescente, vuoi perché in quegli anni vedere un seno scoperto non era una situazione proprio abituale. Eravamo negli anni ‘80 in cui non esisteva nemmeno internet.



Ma torniamo a mamma. Aveva una tettona fuori dal costume, la sua tetta destra, per essere precisi. Chiamiamolo pure mezzo topless!!! La tettona era bianca come il latte, evidenziata dal segno del costume. Tutt’attorno alla mammella, infatti, la pelle era più scura, per via dell’abbronzatura, e il contrasto bianco/nero la faceva risaltare ancora di più.


Al centro della mammella c’era la sua areola che conoscevo bene, ma che non avrei mai immaginato di vedere esposta ai quattro venti in quel frangente. Scura, come anche il capezzolo, di un colore fra il rosa e il nocciola. Al centro il capezzolo, turgido, grosso come il mio dito mignolo. Mi sono sempre chiesto se quella condizione di erezione capezzolare fosse dettata da una sua improvvisa eccitazione per il contesto in cui si era trovata, o semplicemente dall’effetto del vento fresco che soffiava sulla pelle bagnata e accaldata dal sole.



Ma cos’era successo esattamente? Non so come, ma nel mio momento di distrazione un’onda più forte delle altre l’aveva colpita alle spalle sganciandole la bretellina che sorreggeva la coppa del costume. Quindi la coppa era caduta giù, sulla pancia di mamma, scoprendo interamente la mammella. 


E lei, invece di coprirsi alla meno peggio, magari semplicemente posando il palmo aperto della mano su parte della tetta (la mano non avrebbe comunque coperto tutta la tetta, ma almeno areola e capezzolo, quelli sì), continuava ad annaspare in acqua urlando e richiamando l’attenzione dei bagnanti presenti in spiaggia. 



In quel momento, d’impeto, mi rivoltai alla mia destra e alla mia sinistra, e vidi diversi “maschietti” intenti ad ammirare l’insolita scena. C’erano anche donne incuriosite e, chissà, forse anche invidiose di quella latteria. 



Sulle mie guance si disegnò un timido sorriso misto ad altrettanta soddisfazione. La mia mammona stava mostrando parte del suo bendidio a fortunati spettatori: la sorpresa che nessuno di noi, soprattutto io, si aspettava.



Mi rivoltai verso di lei e la mammella, dalla quale mi ero nutrito quando ero ancora in fasce, era ancora libera al vento. Ancora ondeggiante in tutte le direzioni per via dell’annaspare di mamma nelle acque del mare. “Che troia”, pensai in quel momento. Invece di nasconderla immediatamente, com’è giusto che sia, lasciò ai bagnanti il tempo di ammirarla.



Dopo lo spettacolino, stile programma TV “Colpo Grosso”, mamma riprese il controllo della situazione riafferrando la bretellina che tirò su, verso il collo e sollevando la coppa dove, aiutandosi con l’altra mano, riposizionò con cura, spingendo in dentro con colpetti decisi delle dita, la “minna” ribelle.



Quell’episodio rappresenta l’unica occasione in cui vidi la “minna” di mamma nuda in un ambiente scoperto e con tantissimi e ignari spettatori, e non vi nascondo che, per molti anni, il ricordo di quei preziosi minuti stimolò il movimento della mia mano sinistra nei miei calzoni.


 

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