Marzo è il mese in cui la primavera ha inizio, ma per noi voleva essere l’avvio di un nuovo rapporto, reso appesantito dai doveri, dalle abitudini e da tutte quelle rinunce a causa del tempo speso prevalentemente al lavoro e che sempre più avrebbe riempito di silenzi il nostro rapporto affievolendo così ogni desiderio.


Questo era il nostro proposito, ed entrambi avevamo deciso che quella sarebbe stata la nostra vacanza rigenerativa di una consapevolezza tutta da ricomporre. Il luogo scelto era lo stesso che anni prima, per puro caso avevamo trovato e goduto liberamente, ma che questa volta avevamo scelto come il palco e lo scenario del nostro ritrovarsi e che avrebbe potuto suggellare la continuazione o la fine della nostra storia.


La scelta del mese di marzo, per quanto inusuale per noi, era appunto la volontà di voler spezzare le consuetudini e le abitudini che avevano contribuito al logorio della nostra unione. Poche erano le cose che avevamo messo dentro il nostro unico bagaglio, anche perché lì, dove andavamo, non serviva molto se non "spirito, corpo, mente e tanta voglia di natura". La nostra meta era un'isola naturista da sempre, dove stare nudi era la regola.


Un paradiso fatto di essenzialità, in cui la natura, con i suoi profumi mediterranei, ricopre ed accarezza i sensi e lo fa con un'intensità difficile da trovare altrove.


L'isola è situata di fronte alle coste della Provenza, in un territorio in cui per metà l’utilizzo è riservato a militari francesi che li, hanno collocato una base aereo-navale, resa totalmente inaccessibile da reti metalliche altissime e che grazie ad una florida vegetazione rendeva impossibile lo sguardo oltre quelle reti.


La restante parte dell'isola, invece, era stata affidata in concessione dal 1931 a due medici francesi, Gaston e André Dalmont, fratelli gemelli che proprio lì avevano deciso di fondare e costruire un piccolo villaggio naturista che dal porto s'inerpicava lungo un ripido sentiero che conduceva al punto più alto dell'isola, ove sorgeva l’edificio, residenza e laboratorio dei due medici fondatori.


Héliopolis (la ville du soleil) era il nome che i due avevano deciso di assegnare a quel luogo dove sole e natura erano i protagonisti assoluti “malgrado l’uomo”.


Il giorno in cui io e mia moglie .... ma forse è meglio presentarci, …. io sono Mirko, cinquantenne brizzolato, giornalista free-lance alto esile e curvilineo, lei invece è Lara, un'affascinante mora 45enne, psicologa, dal lungo capello, bel seno pronunciato con larghe aureole e con tutte le curve che madre natura le aveva disegnato con dovizia e maestria da farla apparire ai più, ma soprattutto a me, quella "gustosissima" donna strizza cervelli e non solo. Per scelta avevamo deciso di non avere figli!


 


Arrivammo al molo di partenza per l'isola e quel giorno il cielo, già a distanza, si mostrava minaccioso con i suoi colori plumbei che preannunciavano tempesta tanto da mettere in forse la partenza del battello che con i suoi parabordi ondeggiava e urtava pesantemente contro la banchina, ma ecco che le parole rassicuranti del capitano ci fecero capire che da lì a poco avremmo lasciato l’ormeggio alla volta della nostra meta.


Lara, incurante del moto ondoso distese il suo viso preoccupato e regalandomi un silenzioso e fantastico sorriso mi disse: “buona vacanza, amore”, si strinse a me e poggiò il suo capo sulle mie spalle lasciando che i suoi occhi pian piano iniziassero a chiudersi: era bellissima!


 


Staccato il mio sguardo da lei, passai quell'ora di traversata avvolto nei miei pensieri, curando le abili manovre del capitano ad assecondare il moto ondoso irregolare ed ero felice di poter staccare la spina e dedicarmi al nostro benessere e alla cura dei miei sentimenti per Lara.


Il movimento del battello non interruppe per nulla il torpore in cui lei era scivolata, solo il fragore della sirena, che il capitano fece risuonare per ben tre volte all'arrivo nella piccola baia, le diedero il risveglio.


In lontananza riuscimmo a scorgere la piccola sagoma di Pascal, veterano dell’isola e addetto agli approdi, che incappucciato sotto un impermeabile giallo ocra si dimenava per raccogliere e posizionare gli ormeggi e così garantire l’approdo.


Pascal fu il nostro primo contatto fisico con l'isola, le sue mani rugose strinsero saldamente dapprima quelle di Lara, per aiutarla al salto dalla passerella ondeggiante, per poi stringere le mie che, con riconoscenza si strinsero subito a lui per un abbraccio. Il buon Pascal era una nostra vecchia conoscenza sull’isola, divenuto anche un caro amico e con ciò favorendo il nostro accesso alla ristretta comunità di Héliopolis!


Iniziava a piovere a scrosci!


Pascal raccolse subito l'unico bagaglio al nostro seguito e con passo spedito inforcò il sentiero che portava alla casa che ci avrebbe ospitato, farfugliando qualcosa d’incomprensibile, ma io sono certo che fossero solo le sue singolari e frequenti "petites malédictions françaises".


Lara era zuppa e stizzita, perché io avevo dimenticato l’ombrello in auto, il suo unico strumento di riparo fu dunque il mio ampio giubbotto di pelle, tolse le scarpe per evitare scivoloni e dietro a Pascal in fila indiana ci dirigemmo verso il riparo, ma io incurante della pioggia sorridevo e ammiravo le sue chiappe nervose che dinanzi a me danzavano sotto il vestito zuppo.


Difficilmente porta mutande e quel giorno pure, che spettacolo!


Finalmente arrivammo a destinazione e Pascal frettolosamente apri l'uscio per consentirci di entrare e così finalmente ripararci. La casa che ci ospitava era quella di Marìe, la vecchia madre di Pascal, morta alcuni anni prima, dopo una rovinosa caduta da un dirupo sull'isola. La casa era rimasta integra nel suo arredamento, Pascal aveva deciso di mantenerne struttura ed oggetti come se la madre potesse ritornarvi da un momento all'altro. Era confortevole e deliziosa e con una vista che tra cielo e mare ti lasciava incantato! noi eravamo gli unici affittuari che lui ospitava.


Erano poche le abitazioni sull’isola, come i suoi abitanti, tutte costruite rigorosamente in legno e con finimenti e cura tipicamente francesi.


Non vi erano mezzi di locomozione, ma solo sentieri sterrati e concentrici (sette) che si intersecavano tutti con l’unica strada che portava in cima all’isola.


Pascal fece gli onori di casa mentre i suoi occhi guizzanti scandivano il corpo di Lara reso ancor più palese dopo che lei fece scivolare in terra il vestitino zuppo e tra un’aureola e una chiappa, Pascal riuscì con fatica a raggiungere la credenza per prendere quella bottiglia di uno specialissimo liquore di benvenuto, invitandoci caldamente però al solo pasteggio papillare e invitandoci a non deglutire.


Lara astemia da sempre segui il consiglio senza fatica, io invece dopo il pasteggio non riuscii a non trangugiare quel nettare celestiale che aveva ingolosito le mie papille.


 


Pascal dovette congedarsi subito da noi a seguito della chiamata ricevuta sul suo walkie talkie in cui appunto gli chiesero di tornare urgentemente al porto per rinforzare gli ormeggi al battello, poiché quella sera a causa del maltempo non poteva far rientro al porto di partenza.


Alla chiusura dell'uscio, Lara mi cinse in un caldo abbraccio per poi silenziosamente dirigersi verso la doccia, io mi spogliai e la seguii e mentre il mio sguardo accarezzava il suo corpo, il mio cazzo ricurvo verso l’alto e con le vene pulsanti chiedeva solo di lei.


Sentendolo e vedendolo così spavaldo lei mi lancio uno sguardo interrogativo come per dire “ma di chi cazzo è questo coso”, ed io tronfio ma anche un po' sorpreso e con sguardo da ebete le dissi “sarà mai stato il liquore di Pascal?”.


Il suo corpo ha sempre destato il mio desiderio ma quel giorno ero anch’io sorpreso da cotanta virile arroganza. Lei senza proferire parola mi trasse dentro la doccia tirandomi dentro direttamente con il cazzo in mano, ed inchinandosi a quel trofeo e senza proferire parola lo accolse in bocca con la dovizia e cura, come lei era solita fare, mentre io già sentivo che quello sarebbe stato il pompino del secolo. Malgrado fossi molto eccitato non volevo venire e ciò malgrado il suo sguardo dal basso implorasse quasi che io lo facessi, ma volevo possederla, la feci alzare e girandola di spalle le chiesi di appoggiare le mani alla parete della doccia e allargandole le gambe diressi il mio cazzo impertinente dentro la sua fica che grondante di pioggia, acqua ed umori, facilmente lo accolse nella sua interezza in un abbraccio e con un sussulto seguito da un respiro mozzato come se per un attimo il mio cazzo le avesse fermato il tempo.


Mentre io sentivo e percepivo le pareti della sua calda vulva aderire armonicamente come non mai, fu così che iniziammo all’unisono una danza in cui lei con le mani poggiate al muro della doccia e con le mie ferme sui suoi fianchi ci muovevamo al ritmo naturale dei sensi e solo quando lei fremendo mi fece capire che stava per venire io le esplosi dentro in un orgasmo urlato e con una quantità di sperma e colpi che la lasciarono vibrare per un tempo indefinito e tra quei sussulti e respiri il suo corpo si congedò da quell’amplesso accasciandosi a terra ancora tremante, mentre il mio cazzo ancora vibrava dritto dopo il suo distacco.


Passarono alcuni attimi prima di riuscire a recuperare quel tempo trascorso nel piacere per riconnetterci con il luogo e guardandoci con gioia e stupore per quanto accaduto e per entrambi come se quella fosse stata la prima volta di una ritrovata gioia sessuale e di amore animale. Quella nostra prima notte sull'isola trascorse tra saette, tuoni e tante coccole, ma poi ci addormentammo stanchi.


Il mio sonno per quanto profondo fu un incubo, un continuo susseguirsi d’immagini ravvicinate, di volti e sguardi pungenti ed arditi, alcuni erano volti noti, altri no. La mia Lara, Pascal, Gaston e André ed anche Marie che insieme, danzando, mi giravano intorno; Ero immobile al centro di quel cerchio, in terra, completamente nudo, incapace di ogni reazione. Improvvisamente il cerchio si aprì e comparve Lei, una giovane donna sconosciuta, che con i suoi veli bianchi danzava e mi sfiorava, i suoi occhi acuminati e profondi mi trafiggevano, il suo corpo era sinuoso e sul suo bianco seno un tatuaggio dorato a forma di S, luccicava.


Quel mattino mi risvegliai solo nel letto, madido di sudore e in posizione fetale. Faci fatica a slegare le articolazioni e a rimettermi in piedi. Lara non era in casa!


Dal terrazzino, i colori, il mare e i profumi dalla vegetazione selvaggia esplodevano violentemente ai miei occhi e completarono il mio risveglio. Un raggio di sole illuminava la bottiglia che la sera prima era stata posta al centro del tavolo in cucina, e che era semivuota. I miei ricordi facevano fatica ad affiorare, ricordo solo quello strano sogno e quella danzatrice sconosciuta con la Esse tatuata sul seno.


 


Improvvisamente, si aprì l’uscio e una radiosa Lara con il suo piccolo pareo color crema apparve e avanzò verso di me stringendomi in un abbraccio che subito riscaldò il mio corpo. Si era svegliata molto presto e mi disse che erano stati vani i suoi tentativi di buttarmi giù dal letto, per cui aveva deciso di lasciarmi dormire e andare su, in cima all'isola, per salutare i gemelli Gaston e André.


La casa in cui loro vivevano era sul punto più alto dell’isola con a fianco il faro e da lì lo spettacolo era davvero mozzafiato, un luogo da dove potevi osservare lo scandire del tempo e veder scorrere intorno a te i cicli della vita, quasi che lì fosse stato posto il perno di un meraviglioso ingranaggio!


Lara, arrivata al cancello aveva suonato più volte, ma nessuno le aveva risposto, quando stava per andarsene si sentì chiamare e, in lontananza, vide arrivare una giovane donna che con un incedere elegante le venne incontro e le disse: “Non ti ricordi di me, sono Alexia, la nipote di Gaston e André”.


Lara trasecolata le rispose che mai avrebbe potuto immaginare che quello scricciolo incontrato li sull’isola, alcuni anni fa, potesse trasformarsi così.


Era bellissima, un corpo statuario con una pelle chiara e vellutata e con un tatuaggio che disegnava una S dorata sul suo seno. Lara ne fu subito colpita e attratta. Entrarono in casa e Alexia le si avvicinò dicendole che lei era lì per accudire gli zii settantenni.


E fu lì che inizio a raccontarle ciò che accadde alcuni mesi fa, in cui vennero ritrovati entrambi per terra, in uno stato catatonico dal quale però uscivano solo dopo il tramonto, stato che impediva loro qualsiasi funzione motoria e di linguaggio. Lara, entrando nel salone posto in fondo alla casa, riconobbe subito le figure dei due, entrambi sedevano su sedie a rotelle poste vicino l’una all'altra e con lo sguardo fisso nel vuoto, ma integri nel corpo, ringiovaniti e come se per loro il tempo si fosse fermato.


Lara provò a farsi riconoscere, ma Alexia l’invitò a desistere perché era del tutto inutile. Le raccontò inoltre che sebbene non siano note le circostanze dell’accaduto si pensa che sia il risultato di un intruglio medicale da loro formulato e ingerito, frutto dei loro lunghi studi e sperimentazioni.


Entrambi sostenevano che dalle piante poteva ricavarsi tutto ciò di cui l’uomo poteva aver bisogno e nella speranza di riuscire fermare il tempo biologico, quell'epilogo sembrava smentire il fondamento di quelle convinzioni e delle loro aspettative. Ma Lara rimase sorpresa dal loro stato di salute e colpita da quanto raccontatole da Alexia che per nulla preoccupata invito sia lei che Mirko a ritornare nel pomeriggio e dopo il tramonto.


Quando al suo rientro Lara mi raccontò la storia era visibilmente angosciata, e non nascondo il mio turbamento nel sentire quei fatti soprattutto nella parte in cui Lara mi descrisse Alexia (la donna del mio sogno di cui non le feci alcun cenno) e la storia del risveglio post tramonto.


Andammo al mare e lì restammo sino al calar del sole, senza dirci nulla ma entrambi incuriositi da quella storia!


Rientrammo a casa solo per una doccia, io mi feci pure un bicchierino di quel liquore, dopodiché decidemmo di andare a trovare Alexia e gli zii, entrambi eravamo curiosi su quella visita ma, senza sapere che la sorpresa avrebbe superato ogni immaginazione!


Lara era bellissima come sempre, il suo pareo era diventato un foulard ed io guardandola avevo la conferma di quanto l’amassi. Facevo un po’ fatica a starle dietro e ciò non credo fosse dovuto alla visione del suo corpo o ai contrasti di luce offerti dalle sue forme, piuttosto adducevo la mia difficoltà alla giornata trascorsa al mare.


 


Arrivammo dinanzi al cancello, ed io ero visibilmente affaticato. Lara suonò e dopo poco vidi arrivare Lei, Alexia incredibilmente bella, era lei la donna del mio sogno, a quel punto ne ero certo, la conferma non fu solo il tatuaggio che aveva impresso sul seno, ma il suo profumo e i contorni delle sue labbra…. e per quanto ciò possa sembrare assurdo, io rivivevo l'essenza di quel mio vivido sogno fatto la notte prima.


Lara si avvicinò a lei per darle un bacio, io provai a fare altrettanto e biascicando a mala pena il mio nome, inesorabilmente caddi a terra, a peso morto!


Sì, era successo, ero steso a terra e non riuscivo né a parlare né a muovermi, loro erano lì attorno a me che si affannavano per riportarmi a uno stato di coscienza... volevo fargli sapere che c'ero e le sentivo, ma non potevo: avevo perso il controllo delle mie funzioni.


Lara era lì che si disperava ed io avrei voluto dirle calmati sono vivo... ma non potevo!


A quel punto vennero fuori gli zii di Alexia, i redivi gemelli Gaston e André, che correndo vennero fuori per prendermi e come un sacco di patate mi trascinarono dentro in casa. Le loro voci e i loro sguardi si rincorrevano, percepivo oltre alla confusione intorno a me, la preoccupazione di Lara che continuava a chiamarmi e chiedere sia a Gaston e André, di fare qualcosa e aggiunse: ma avete visto ha il cazzo duro, ma come può essere??


Gaston le chiese se io avessi bevuto qualcosa e lei rispose di no, che eravamo stati solo al mare e nulla di più…! Ma ne sei certa? André invece si chinò e avvicinandosi alla mia bocca annusò il mio alito e disse: lui ha bevuto il nostro liquore!! Lara sei certa che non abbia bevuto nulla? E Lei confusa e con voce dimessa raccontò della bottiglia di liquore di Pascal della sera prima.


A quel punto tutto fu a loro più chiaro e iniziarono a raccontare a Lara (ma io sentivo tutto) del loro preparato medicale, che riusciva a rigenerare i tessuti e migliorare il decadimento biologico!


Aggiunsero anche che quella loro scoperta era la causa della loro “catatonia diurna” e sulla quale stavano ancora studiando gli effetti e cercando la cura. Il liquore va pasteggiato e non deglutito come invece fecero loro al tempo della sperimentazione e a quanto pare abbia fatto anche il tuo Mirko!


 ……. con il liquore trafugato da quello stronzo di Pascal……aggiunse Alexia.


Lara inizio a piangere, chiedendo a loro di fare qualcosa, Gaston la fece sedere dicendole stai calma, lo stiamo facendo!


Il mio sogno della notte precedente stava letteralmente prendendo corpo, io ero al centro dei loro discorsi ed incapace di muovermi steso per terra, loro mi giravano intorno e mi guardavano, i miei pensieri lucidi si accavallavano a tutto quel vocio e a quanto pare avevo sentito pure di avere il cazzo in tiro, incredibile!


La voce di Alexia risuonava nella stanza e pian piano iniziai a sentirla più distintamente, anche quella di Pascal si aggiunse al coro, mentre a distanza cercava di discolparsi dicendo che lui “ci aveva avvisati”, ma inutile io stavo proprio vivendo quel paradosso e non era più un sogno. André chiamò a sé Alexia dicendole, tu sai cosa fare! Sentivo ma non capivo cosa stesse per accadere, i miei occhi puntavano verso il tetto e l’unica cosa che distinguevo oltre le voci era il lampadario sopra di me mentre un velo bianco passava tra i miei occhi e quel lampadario.


Nella stanza pian piano si spensero le voci in brusii, loro osservavano una scena che io non riuscivo a vedere, Alexia decisa si mise a sedere…sul mio cazzo, dove pian piano scivolò! Ebbene si, lei sapeva cosa fare, come disse lo zio, la sua vagina in un abbraccio scivolò sul mio irto cazzo che pian piano raccolse i suoi caldi umori, lei aveva la cura, lei produceva la cura per il risveglio dei sensi perduti, i miei. Percepivo il rumore di quella danza, il suono era a me noto, lo sciabordio della vagina sul mio cazzo fu la sensazione uditiva chiara che pian piano aumentava trasformandosi anche a sensazione tattile, gli umori della sua vagina stavano risvegliando ciò che stava attorno al mio cazzo, un risveglio corporeo che con un brivido si riverberava nelle vene e nelle carni come un’onda. I miei muscoli iniziavano a sciogliersi per il movimento, le dita dei piedi si dispiegavano e iniziavano a contrarsi, le mie gambe iniziavano a dispiegarsi e piegarsi per dare sostegno a quel corpo che su di me si muoveva, il mio torace e il mio collo iniziavano a contrarsi, le pupille si muovevano mentre le mie palpebre si muovevano, distintamente riuscivo a sentirla e vederla, era saldamente aggrappata attraverso le sue mani sul mio torace e con la vulva sul mio cazzo, mi stava letteralmente fottendo ed io adesso fottevo lei.


Nello stordimento dei sensi non sentivo più nessuno, io ero dentro di lei con anima e corpo e nulla mi distraeva più, malgrado fossi al centro di quella stanza con gli occhi di tutti puntati su di me, su di noi! Alexia con la sua cura e medicamento adesso chiedeva piacere, lo sentivo dall’intensità dei suoi movimenti e dal fragore che i suoi glutei facevano sbattendo sulle mie gambe. Io mi irrigidivo e sentivo pienamente il mio cazzo pronto ad esploderle dentro, lei mi guardava con un’intensità pungente, il suo tatuaggio dorato luccicava mentre con il capo mi avvicinavo al suo splendido seno per afferrarlo in un bacio e appena la mia lingua scivolo sulla sua aureola, insieme, esplodemmo in un fragoroso orgasmo che, sono certo risuonò dall’alto e sino al porto, nel buio del villaggio illuminato dalle sole stelle.


-------segue

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