La signora Dolores era il quadro preciso di ciò che avrebbe dovuto essere: una vedova perfetta: giovanile, ma seria; ancora bella ma composta.
Aveva da poco superato la quarantina. Il suo viso era provato, solo un’ombra di trucco, quasi invisibile.
Indossava un tailleur nero, gonna al ginocchio, calze grigie velatissime, scarpe nere Valleverde chiuse, da “vecchia”. I capelli castani, non troppo curati, raccolti sulla nuca in un discreto chignon.
Se ne stava seduta sul’bordo della sedia rococò, con le gambe strette, le mani in grembo che stringevano la borsetta … tutta compunta, tutta costretta. Non si poteva vedere ma, di sicuro, stava stringendo anche il culo, per la tensione e per rivestire meglio il suo personaggio per l’occasione.
Era preoccupata davvero ma voleva rendere al meglio la sua interpretazione, con la speranza di far colpo sul “buon cuore” del marchese Giraudo.
Lo aveva conosciuto, e molto bene, tanti anni prima, ma era una donna che non credeva troppo ai sogni, con i piedi ben piantati per terra, ed era certa che lui nemmeno si ricordava di lei: una ragazza come tante, come quelle che la posizione, la ricchezza e il prestigio del casato gli avevano permesso di cogliere; una, tra quelle che andavano e venivano, durante la sua giovinezza di possidente scapestrato.
Al suo fianco sedeva Floriana; indossava Jeans e camicetta bianca di cotone. La ragazza non avrebbe voluto essere con la madre; era certa di annoiarsi presenziando a quelle chiacchiere pietose, da adulti. Ma, adesso che c’era, non si pentiva. La madre l’aveva letteralmente costretta ad accompagnarla; per una donna sola e vedova, recarsi in casa del marchese senza adeguato accompagnamento, sarebbe stato sconveniente.
Floriana era incantata da quel lusso sobrio e possente, da quella mobilia vista solo nei musei. Ciò che l’aveva colpita maggiormente era lo spazio, la grandezza opulenta di ogni cosa. Tutto era grande, a volte enorme.
Erano arrivate in TAXI; nessun autobus conduceva abbastanza vicino all’antico caseggiato, in quel gomitolo di vecchie strade, seppur prossime al centro di Catania. Già arrivare a piedi, dal cancello alla villa, era stato un viaggio tra viali circondati da aiuole di terra battuta, costellati da alberi secolari, che conferivano all’ambiente una freschezza umida e antica … lievemente triste.
Il portone principale troneggiava dietro un alto colonnato impreziosito da una loggia in marmo consunto dal tempo; di sopra, invece, la ringhiera in ferro si alternava a dei basamenti su cui erano adagiati enormi vasi di terracotta, a forma di anfora, da questi, mollemente e deliziosamente, pendevano piante bellissime, curate e lucide.
Una signora elegante, le stava aspettando e con molta gentilezza le aveva accompagnate, attraversando saloni grandi quanto la parrocchia.
La donna spiegò che Palazzo Giraudo era sotto il patrocinio dei Beni Culturali e che si visitava su appuntamento. Il marchese, invece, quelle poche volte che era a Catania, viveva nella zona dei piccoli appartamenti, una volta destinati alla numerosa servitù.
Dopo pochi passi Floriana dovette rendersi conto che il concetto di piccolo, per la signora, era molto relativo. Però, effettivamente, dopo varie porte istoriate e dorate, arrivarono ad una sala d’aspetto abbastanza usuale, dove vennero fatte accomodare.
Senza chiedere se gradivano o meno, una cameriera con tanto di grembiule immacolato, pose sul tavolino a pochi passi da loro, un vassoio di pasticcini e piccoli sandwiches, una teiera e un bricco con della cioccolata calda.
Naturalmente la signora Dolores non prese nulla, mentre Floriana assaporò il gusto forte e pastoso del cacao denso e voluttuoso.
Da una delle porte proveniva un brusio, a volte concitato; probabilmente era il marchese in persona, che trattava i suoi affari.
Passò più di mezz’ora, poi la stessa cameriera di prima tornò e le fece accomodare nello studio. L’ufficio, più che piccolo, era costipato: completamente circondato da scaffali antichi, zeppi di libri e documenti. Era una stanza speciale, alta cinque metri; la parte in fondo era, praticamente, una enorme vetrata antica, con le lastre leggermente opacizzate dal tempo, però la veduta che si godeva da quel punto era spettacolare.
C’erano tre scrivanie, vari computer accesi, un divano spartano, poi c’era un letto, camuffato da divano, ricoperto di stupendi cuscini di raso.
– Eh si! – disse una voce allegra e sonora, notando Floriana che fissava stupita proprio il letto, che era posto ad angolo, tra due pannelli rivestiti di seta. – La signorina non si sbaglia, – continuò la voce – quello è proprio il mio letto. E’ un sistema all’americana: full immersion, sempre dentro … dormo, lavoro, vivo qui … non mi chiedete però se ne vale la pena … – sorrise ancora – … comunque, almeno, è comodo!
Dalle ombre della biblioteca, una figura imponente si fece avanti e la voce prese anche corpo, il marchese le accolse con estrema cordialità. Con sorpresa di Floriana, abbracciò e baciò la madre come se la conoscesse da tempo, cosa che fece arrossire la signora, impreparata a tanta cortesia.
L’uomo porse le condoglianze per il lutto di Dolores, poi strinse la mano a Floriana, infine le carezzò la guancia, facendole un complimento bonario … disse qualcosa riguardo ai fiori, che però la ragazza non afferrò.
Era abbastanza alto, estremamente raffinato nei modi e gentile, ma negli occhi neri il guizzo di un’intelligenza acuta e, all’occorrenza, perfida, non si poteva nascondere.
Era più giovane di quanto Floriana si era immaginata, ma lei si innamorò del fatto che anche lui indossava dei Jeans, “sopraffini” … ma pur sempre Jeans. Questa constatazione la rese briosa. Anche, il suo profumo le piacque: molto particolare, pieno di venature calde, antiche, rassicuranti. Tempo dopo avrebbe scoperto che si chiamava: Habit Rouge, uno dei più vecchi profumi della Guerlain di Parigi.
Mentre Floriana studiava l’ arredamento, la madre esponeva al marchese le sue vicissitudini, dandogli del voi, come si usa nel meridione. Lui, ascoltò senza interrompere, come tutte le persone speciali, aveva la caratteristica di mostrarsi concentrato. Resta un mistero, poi, sapere se capiscono accuratamente ciò che gli si dice, oppure se se ne stanno a pensare ai fatti loro, nascondendo ad arte la noia.
La signora Dolores, in realtà, non cercava che un aiuto per trovare un lavoro, uno qualsiasi; la morte prematura del padre di Floriana li aveva lasciati in una situazione abbastanza preoccupante, dal punto di vista economico.
Il marchese la lasciò parlare. Ogni tanto guardava sia la madre che la figlia, e Floriana si beava di quello sguardo, che sembrava molto interessato a lei, senza nasconderlo.
Quando la donna finì la sua esposizione, rossa in viso per la concitazione e l’emozione, l’uomo rimuginò per qualche istante senza esprimere alcun parere, con gli occhi chiusi e le mani giunte, dietro alla piccola scrivania in mogano.
– Bene, bene, bene … – disse inaspettatamente – ho capito tutto!
Si alzò e si avvicinò alla ragazza:
– Fatti vedere – disse – che bella che sei diventata … e poi con una bella mammina come la tua il risultato non poteva essere che questo! – Sorrise.
La signora Dolores, invece di entusiasmarsi si rattristò, convinta che tutto quanto aveva raccontato al suo conoscente fosse caduto nel più totale disinteresse. Il marchese era rimasto il donnaiolo che lei ricordava (certo che lo ricordava, e abbastanza bene). Ma l’altro, la stupì con delle affermazioni del tutto inaspettate:
– Ora dobbiamo organizzarci … ci devo pensare a questa faccenda. Voglio il meglio per voi; voglio il meglio per la tua famiglia … cosa pensi? Io non dimentico le amicizie e le rispetto e … a proposito, sei tu che mi manchi di rispetto, sai! – esclamò all’improvviso.
Dolores si raggelò e anche Floriana avvertì la sua sorpresa.
– E certo … arrivi in casa mia … signor marchese; il voi; il lei! Io per te, anzi per voi sono Damiano, ricordatelo! – poi sorrise, stemperando la tensione che aveva lui stesso creato. – Lo so, non ci vediamo da anni, faccio una vitaccia … sempre in giro, ma non mi sono mai dimenticato del fascino della tua mamma, sai? Una delle più belle donne della città. – disse, rivolto a Floriana.
– Andate adesso, lasciatemi pensare, – indirizzando altrove il suo interesse – per stasera devo anche sistemare un sacco di cose, parto per Roma, ma venerdì dovrei essere di ritorno. Dammi il tuo telefono, Dolores, ti chiamo io!
La signora ubbidì immediatamente. Madre e figlia erano sorprese dagli atteggiamenti discordanti del marchese Giraudo, ma sperarono ardentemente che il suo interesse improvviso fosse sincero.
Si avviarono lungo il viale che portava al cancello, era quasi sera.
Non si dissero nulla per evitare che orecchie indiscrete potessero ascoltare, ma l’espressione di Dolores non era delle più entusiaste: conosceva quel tipo di persone ed era convinta che, entro dieci minuti, il marchese si sarebbe dimenticato persino della sua esistenza.
Poco prima di uscire dal cancello, la signora Dolores chiese alla figlia di prendere il cellulare per cercare un taxi. Due donne sole, per quelle strade silenziose, potevano rischiare qualche brutto incontro a quell’ora. Ma, mentre Floriana armeggiava con la rubrica, una grossa Mercedes, grigio metallizzato, percorse silenziosamente il vialetto fino a fermarsi pochi metri davanti a loro.
Un elegante autista ne uscì e aprendo la portiera posteriore, le invitò a salire.
– Sono Ramon, il marchese Giraudo vi prega di accettare un passaggio, prego.
Le due donne si guardarono e senza pensarci due volte salirono, ringraziando il provvidenziale intervento di Ramon.
2
Dopo pochi minuti erano già a casa. Dolores era frastornata mentre Floriana si era invaghita di tutto ciò che aveva visto in quella villa meravigliosa: incluso l’attempato marchese. Nonostante l’uomo avesse oltre vent’anni più di lei, non riusciva a dimenticare il fascino di quel signore. I ragazzini che già le ronzavano intorno, diventarono all’improvviso, insignificanti e scialbi. Non comunicò alla madre tutta questa eccitazione, l’avrebbe di sicuro presa in giro. Erano sole, con la nonna di là che guardava la TV. Il fratello era a giocare a calcetto; ormai i loro rapporti incestuosi erano un ricordo lontano che entrambi cercavano di ignorare, spesso evitandosi accuratamente.
Ora, Renatino, aveva anche la sua prima ragazza e tutt’altre avventure a cui pensare.
Solo tre giorni dopo, il venerdì mattina, un fioraio consegnò un bellissimo mazzo di piccole rose bianche con un biglietto del marchese, su cui era scritto: “Alle belle signore di Catania” … e null’altro.
A Dolores cominciò a battere il cuore, sperava tanto in quell’aiuto e poi, di nascosto dei figli, carezzò quelle rose, permettendosi un attimo tutto per sé e per perdersi nei suoi ricordi nascosti. Poco dopo, quando i ragazzi erano a scuola, si concesse un momento del tutto privato. Chiuse accuratamente la porta per evitare di essere disturbata dalla vecchia suocera, o dai vicini, e si rannicchiò sul divano, perdendosi nel passato.
La sua storia col marchese, se così si poteva definire, si sarebbe dovuta perdere nei meandri del tempo, invece era ancora molto presente nei suoi pensieri, dopotutto era stata la prima, e l’unica, volta in cui aveva tradito il marito. E pensare che era proprio a causa sua, della buonanima, che il destino aveva permesso che cadesse in tentazione.
Un mattino di tanti anni prima, all’aeroporto, erano capitati sullo stesso aereo del giovane, affascinante nobiluomo, destinazione Roma. Lui riconobbe suo marito, lo aveva frequentato per motivi di lavoro, e fu molto gentile con entrambi … Dolores avrebbe saputo soltanto poi, che tutto quell’interesse era più per lei che per problemi di salute del suo uomo.
La permanenza nella capitale fu più lunga del previsto e, per una serie di coincidenze ebbe bisogno di rivolgersi a Damiano. Questi non aspettava di meglio … la signora Dolores era un bocconcino assai prelibato. Fu una storia di puro sesso, non poteva e non doveva avere futuro, né implicazioni, ma la donna non avrebbe mai dimenticato quelle quattro settimane, vissute da regina.
Damiano si era dedicato a lei anima e corpo. Appena lasciato il capezzale del marito dopo l’ora di visite, la signora passava tutto il suo tempo col marchese; forse fu per la passione repressa da anni, per lo stress o, semplicemente, perché aveva perso la testa, fatto sta che la morigerata madre di famiglia si trasformò in una insaziabile macchina del piacere. Ricordò sensazioni sopite, che piano presero il sopravvento nella sua mente, e la donna, che già si stava masturbando, fu scossa da un orgasmo lungo, rumoroso ed intenso, lasciandosi andare senza remore. Era paga e tranquilla, finalmente, dopo mesi di tribolazioni e di incertezze forse, per la sua famiglia, tornava a splendere il sereno.
***
A mezzogiorno il telefono squillò e Damiano in persona invitò la donna a cena, da sola questa volta, per comunicarle importanti novità. Paga sessualmente e resa venale dal bisogno, Dolores fece salti di gioia, non certo per la speranza di essere scopata dal marchese, ma per la probabilità di ottenere un lavoro e riuscire a sbarcare il lunario, e forse mandare persino i figli all’università.
Il pomeriggio volò. Dolores fece venire la parrucchiera; poi procedette a una depilazione accurata e si vestì, cercando di entrare in uno dei pochi abiti decenti che le erano rimasti, sprofondato nell’armadio da un decennio. Per fortuna le tribolazioni degli ultimi due anni le avevano fatto perdere alcuni chili, acquistati con la maturità, così, ironia della sorte, poté indossare di nuovo la quarantadue. La figlia la costrinse anche a usare un reggicalze e le nascose le collant, in più, da una sua amica, recuperò un corpetto con reggiseno, che era veramente molto sexy. Dolores si indignò e si vergognò:
– Vado a una cena per forza e per bisogno, mica devo andare a fare la zoccola! – gridò alla figlia; ma alla fine si fece convincere. Nella testa, durante il passaggio nella macchina del marchese, ripensò a sua figlia e alla frase che aveva pronunciato Floriana, la sua bambina:
– Dai mamma, metti il corsetto, non si sa mai … ! – “Eh, sì,” pensò tra sé, “il tempo passa e anche Flory non era più piccola e ingenua…” Come ignorarlo?
Alle otto in punto entrava nel ristorante alla periferia di Catania: piccolo, accogliente, servizio impeccabile, pesce squisito!
Damiano, il marchese Giraudo, arrivò pochi minuti dopo, insieme a un altro signore, un giovane, che però si allontanò prima che si avvicinasse al tavolo, dove Dolores sorbiva un aperitivo leggero.
– Grazie di tutte queste premure, mi confondete … volevo dire: mi confondi – abbozzò Dolores, alzandosi, mentre Damiano accennava un baciamani affettato.
– Non dire mai più queste cose … – disse il marchese – Tu non sei da meno a nessuno; il destino ci pone in situazioni diverse, ma le persone per bene, che hanno dignità … non sono mai da meno a nessuno, ricordalo. – Sorrise, tenendole la mano, poi sedette.
Poi la scrutò con una certa attenzione:
– Ma sai che per te non passano gli anni? Ti trovo veramente in forma … che fisichetto … ma come fai? –
– Ah, guarda – disse la donna sorridendo sinceramente – che ti devo dire? Saranno i problemi!
Cenarono leggero, con Damiano che la invitava a godersi la serata, a rilassarsi, a sorseggiare quell’ottimo bianco che la “casa” poteva offrire. Ma i minuti passavano e la donna si preoccupava sempre di più … iniziò a pensare che l’invito fosse mirato solo a portarsela a letto, com’era successo anni prima. Non che non avesse voglia, dopo due anni di astinenza e di guai, ma la sua impellenza era pensare ai bisogni della famiglia, prima che alle sue “avventure”. Il vino l’aveva riscaldata ma non abbastanza da farle perdere la testa. Provò a tampinare il marchese, con discrezione. Lui si fece per un attimo serioso … poi disse:
– E dai, rilassati! Che fretta c’è? A tavola non s’invecchia. – poi sorrise mentre negli occhi gli balenava un guizzo astuto. – Non mi sono dimenticato di niente… Mi faccio un mazzo così, sai? Vado in America … giro mezzo mondo … – sorseggiò il vino – però, non mi avranno anche quando mangio … non mi piace! La moda adesso sai qual è, Dolores? – La donna fece cenno di no e Damiano continuò, allegro: – Pranzo d’affari, cena d’affari, persino la colazione la mattina … vogliono parlare d’affari! Sai che ti dico – abbassò la voce e sussurrò: – che se ne vadano affanculo! Io, almeno quando mangio, voglio essere lasciato in pace e divertirmi … o, corteggiare una bella donna come te … ah ah! – Rise di gusto.
Presero per dessert dei biscottini alla mandorla con del Passito di Pantelleria e continuarono a parlare del più e del meno, e del passato.
Damiano si rilassò e la stessa Dolores, dopo una breve telefonata di controllo a casa, decise di prendere la serata così come veniva.
– Vieni – disse il marchese – raggiungiamo un angolino più tranquillo, voglio farti vedere che posticino speciale è questo.
La scortò all’esterno e uscirono dal locale, ma non salirono in macchina; girarono invece intorno al piccolo e caratteristico edificio, di una rustica eleganza. Ai lati che non davano sul mare la palazzina era circondata da olivi secolari e frondosi pini scuri.
Dalla scogliera, poco distante, proveniva il tranquillo sciabordio delle ondate e, nella sera inoltrata, sorgeva una luna bianca e luminosa. Damiano la prese per mano.
– Stai attenta – sussurrò, mentre la donna arrancava sui tacchi … impreparata al pavé sconnesso.
3
Dolores non voleva dire di no.
Voleva dimenticarsi di tutto, quella sera, e benedisse in cuor suo la figlia, che tanto aveva insistito perché si vestisse in maniera eccitante. Si era accorta, infatti, degli sguardi sempre più bramosi di Damiano, e anche della sua soddisfazione nell’averla portata con sé, in quel ristorante così esclusivo. Man mano che arrivavano i clienti, alcuni dei quali conoscevano il marchese, la sua figura di donna, vestita in maniera elegante, corpo piacevole e prosperoso nei punti giusti, attirò, e non poco, lo sguardo e la curiosità dei convenuti.
Non raggiunsero la scogliera, come aveva creduto Dolores, appena girato l’angolo, s’infilarono in una porticina e si inerpicarono su una piccola scala di legno. Salirono l’unico piano della struttura, raggiungendo una suite. Da un lato della stanza principale si accedeva a una torretta caratteristica, sul fronte era stata incastonata una grande vetrata che dava sulla scogliera e sul mare blu.
Era un’alcova, arredata semplicemente con mobili in stile marinaresco, di mogano, e rifiniti a mano da artigiani di pregevole abilità. Nella stanza da letto c’era poi un divanetto rivestito di stoffa blu e un letto a baldacchino, intarsiato da disegni arabescati.
Qualcuno aveva posto sul tavolino un vassoio con una bottiglia di Champagne, nel giusto cestello ghiacciato; due calici di cristallo erano lì, pronti per essere adoperati.
La casa era illuminata solamente dalla luna. Damiano non si mosse; restarono in piedi e in silenzio per alcuni minuti.
Dolores guardava fuori, il mare, le luci della città sembravano lontane, tanto da appartenere ad un altro mondo; si stupì nel non sentirsi spaventata da tutto questo.
La sua voce la strappò dalle sue fantasie. Si era accostato alle sue spalle e le aveva domandato con semplicità:
– Vuoi luce? – e lei, prontamente, rispose di no.
– Ti ho pensata tante volte – le disse poggiandole le mani sulle spalle, con delicatezza.
– Allora mi batti su tutto il fronte – disse Dolores.
– Cosa vuoi dire? – rispose lui, un po’ sorpreso.
– E’ semplice… un uomo che vive come te, che avrà avuto altre cento avventure, oltre a un ospite squisito, si dimostra veramente delicato a ritrovare, tra tanti ricordi, una povera ragazza come me; come ero io, intendo.
Lui sapeva ascoltare, e rimembrava quella breve avventura. Lei lo eccitava perché era una donna semplice, senza fronzoli. Non aveva mai fatto la gatta morta: o sì o no; o dentro o fuori! Quando si decise ad accettare la sua corte, niente rimorsi, niente sensi di colpa, nessuna sceneggiata. Per quasi un mese fu tutta sua, imparando da Damiano tutto quell’erotismo che lei non aveva mai conosciuto prima; aveva fatto cose che, con il suo stesso marito, non si sarebbe nemmeno sognata di proporre.
– Per me, invece, – aggiunse Dolores – è stato molto più facile ricordare, visto che sei stato l’unico. L’unico momento veramente bello della mia vita.
Lui un po’ recitò, e si mostrò sorpreso da quella confessione. – Ma… ma, tu! Tu? Per quasi quindici anni… sei sparita, io…
– E così doveva essere! – disse lei. Poi si voltò e con gli occhi che luccicavano nella penombra, lo fissò a lungo prima di baciarlo, appassionatamente, sulla bocca. Cercò di ricordare come si faceva; mosse la lingua e cercò la sua. Succhiò, premette e Damiano sentì che la testa gli girava. Immediatamente, il suo cazzo si inturgidì con una prontezza che non si aspettava: ecco cosa aveva Dolores, la passione … ora lo ricordava… e ne aveva tanta in corpo; sempre sopita, sempre nascosta, sempre sacrificata. Una famiglia povera, un matrimonio pieno di stenti, un mondo di responsabilità sulle sue piccole spalle. Solo con lui la sua passionalità era esplosa come un vulcano e adesso stava accadendo ancora… Tutto ciò lo eccitò in maniera sconvolgente.
– Spero di piacerti ancora! – disse lei in un sussurro; poi aggiunse, enigmaticamente, – Solo per questa notte! – Strano a dirsi, il marchese non mosse alcuna obiezione, pur se inebriato dall’eccitazione, anzi aggiunse qualcosa di inaspettato.
– Solo per questa volta! – Confermò.
Dolores fu sorpresa da tanta arrendevolezza ma ormai le danze erano aperte e, adesso, aveva ben altro cui pensare.
Damiano le porse il cazzo, appena estratto dalla patta e lei rabbrividì quando lo trovò con la piccola mano. Erano quasi due anni che non toccava un pene… vero, voglioso e palpitante. Per decoro si stava trattenendo, ma la sua bocca bramava di assaporare tutta quella virilità… desiderava che la voglia di lui le esplodesse tra le labbra, sotto la carezza arrendevole della lingua. Quante volte, masturbandosi nel bagno, aveva desiderato di fare un pompino? Soprattutto le mancava il sapore dello sperma, il piacere di far venire un uomo nella bocca. I momenti della sborrata … quando lui diventa indifeso, come un bambino, e per pochi istanti si abbandona completamente a te! Allora il suo piacere diventa un tributo. Denso, corposo, caldo e prorompente. Lo sperma è un premio … un trofeo … per la donna! Significa: brava, sei grande, mi hai fatto godere… prenditi tutto me stesso!
È così che arriva il seme, col suo odore inconfondibile, col suo sapore unico… diverso da uomo a uomo, arriva e t’insemina, dovunque ricada.
A volte ti riempie la pancia, e il cazzo dell’uomo ci sguazza dentro, mentre finisce di chiavarti, trasformandolo in una spuma lattiginosa e attaccaticcia. Altre volte ti arriva nel culo, e ti gonfia: la senti. Percepisci i fiotti, che si riversano dal pene che spinge come se non gli bastassi mai. E poi addosso, in bocca, sui seni…
Nei suoi ditalini solitari pensava spesso di riceverne tante di sborrate addosso. Vari cazzi del tutto sconosciuti… spruzzavano per lei… e lei beveva, doveva berne tanto di quel succo, succhiandolo direttamente dai grossi glandi eccitati.
Damiano la teneva stretta e i baci continuavano, mentre lui, sempre più caldo, le carezzava tutto il corpo, insinuandosi sotto gli strati degli abiti e poi sotto la gonna, accartocciandola verso il busto e apprezzando con le dita i mille punti in cui la carne e la seta s’incontravano, creando un piacere al tatto, che mai dissetava l’uomo arrapato.
Felice della risposta notevole del suo pene, il marchese premendole sulle spalle, le impose di andare giù, di scendere e continuare i suoi baci, ma dedicandosi ad un altro “oggetto” del desiderio. La donna, anche se scomoda, non volle inginocchiarsi: preferì restare accovacciata, anche se le era difficile tenere l’equilibrio sulle scarpe coi tacchi. Era comunque decisa a dare spettacolo del suo corpo, anche se, solo poche ore prima, quasi se ne vergognava. Tirò la gonna sui fianchi, divaricò le cosce, tanto che la mutandina bianca si bagnò immediatamente a contatto della figa aperta. Il reggicalze a bande sottili, seguiva perfettamente le sue curve: l’inguine, la natica tornita. Spiccava sulla pelle, non abbronzata, ma comunque scura, e raggiungeva le calze grigie, velate, estremamente eccitanti.
Con le gambe aperte, come dovesse pisciare a terra, Dolores prese in bocca il membro tosto di Damiano che spuntava dal pantalone nero, insieme con la sacca delle palle, gonfie e dure come pietre. Senza fronzoli, la donna iniziò il pompino. Inghiottiva e mollava tutto il cazzo, come una vagina. A lui dovette piacere, perché le mise la mano sulla nuca e agevolò l’andirivieni lasco della testa. Il coso le viaggiava in bocca, facendo avanti e indietro, senza incontrare particolari ostacoli, tranne che per la “capocchia”, che la urtava costantemente sull’indotto della gola, sfondandolo.
Dolores gli prese in mano le palle, pregustandosi il piacere di prendere in bocca anche quelle. Poi, mentre continuava le sue oscillazioni cadenzate, ricordò il passato e rispolverò depravazioni sopite, che solo con Damiano aveva provato. Conoscendo i suoi gusti, si fece spazio fino alle natiche dell’uomo e, con l’indice puntuto, gli trafisse il culo in un sol colpo … con determinazione.
Lui saltò dal piacere e il suo pene ricevette una scarica di adrenalina pura. Ma non voleva venire subito. Era un amante esperto e navigato. Un uomo come Damiano non si fa trovare impreparato, mai.
Nonostante quella sera non fosse certo di quel fuori programma, nel pomeriggio aveva preso una pasticca energetica a base di erbe, che nel caso, gli manteneva il cazzo in tiro per parecchio tempo. Mescolandosi all’eccitazione, che saliva alle stelle, nel marchese, sangue e umori agirono in sinergia, dandogli un’erezione che non provava da almeno dieci anni.
Sfilò il membro dalle labbra, la aiutò a risollevarsi e la strinse a se gustandosi le sue forme, con carezze diffuse e decise. Era ancora assai piacente: una lieve mollezze delle forme e una pelle meno elastica di quella di una ventenne, la rendevano, come dire, un po’ più molle, ma questo ne faceva un “body” più lascivo e adatto alle perversioni.
Lentamente, senza fermarsi, si spostarono verso il letto e lui si distese, in attesa. Dolores ricordò altri particolari dell’antica passione… lui, allora era già un vizioso e lei lo accontentava di buon grado, pur non condividendo le sue manie. Così, accese una lampada a portata di mano e iniziò a spogliarsi, lentamente, per il piacere del suo amante. La luce accarezzava perfettamente la sua silhouette nella stanza in penombra.
Dolores rimase solo con la guepière, da cui pendevano i nastri del reggicalze, ma le calze le aveva tolte già, sfilandole piano, una dopo l’altra, non le aveva riposte però. Se le era passate attorno al collo, a mo’ di sciarpa. Si voltò per farsi ammirare, senza dare segni di piacere, mettendosi in mostra come una schiava, offerta da un mercante senza scrupoli, e lasciò che lui la valutasse; sapeva che questo lo eccitava. Poi, sempre mostrandosi disponibile, si avvicinò al letto; Damiano giaceva, col pantalone ancora addosso, e, dalla patta, si ergeva il suo cazzo, lungo, non spesso, con il glande estroflesso completamente dal prepuzio, sempre più grosso e gonfio, le ricordò un grosso fiammifero dalla testa rossa.
Dolores, rammentando la lunga astinenza, non riusciva a staccare gli occhi da quel bel pene svettante … chissà se mai ne avrebbe potuto godere ancora dopo quella sera. I suoi movimenti erano accompagnati dal battere leggero dei tacchi sul pavimento: tolte le calze, aveva indossato di nuovo le scarpe nere, come a lui piaceva.
Il marchese cominciò a tastarla con la destra, non erano carezze … premeva, soppesava il suo corpo, come un macellaio che valuta la carne di una giovenca. Toccava i fianchi, premeva le natiche, stringeva le tette e le tirava i capezzoli al limite del dolore. Infine si dedicò alle parti più intime, e lei, per non contraddirlo, si mise di spalle e si abbassò in avanti, poggiando le mani su una sedia. Divaricò le gambe per permettere alle mani di lui di tastare e saggiare, con comodo.
Si preoccupò un poco (conoscendo i suoi gusti): era tanto che la sua figa non veniva profanata. In compenso era bagnata… e molto. Bastò un poco di saliva e quattro dita di Damiano s’infilarono completamente nella sua vagina, premendo con forza e dilatandola. Per fortuna non aveva intenzione di penetrarla con tutta la mano, fino al polso, come era accaduto in passato: ora quei ricordi le offuscavano i sensi e la rendevano molle nelle gambe. Subito dopo dedicò lo stesso trattamento all’ano stretto di Dolores.
Lei non si sottrasse, aiutandosi con il movimento delle gambe, mentre le ginocchia esprimevano il dolore che provava, stringendosi e allargandosi da sole. Dopo le mani, il marchese si spostò per porle il volto tra le natiche, per profanarla con la lingua impazzita. Premeva, possedeva i buchi; succhiava la carne morbida, tra ano e vagina, le grandi e le piccole labbra e anche il clitoride: li faceva vibrare come petali di rosa scossi dal vento. Gli odori della donna erano talmente forti che lei stessa li avvertì … ma lui sembrava gradire. Si percepiva da come sbuffava e da come si masturbava a scatti, per godersi l’erezione.
Una donna che non lo conosceva, sarebbe corsa in bagno appena entrata in camera, ma Dolores, pur desiderando di orinare da oltre un’ora, aveva resistito. E aveva fatto bene, perché adesso era proprio Damiano, pieno di foia, a farle un accurato, delizioso bidet.
4
Dopo un poco lui si distese di nuovo … lei sapeva cosa voleva.
Lui era immobile e aspettava pronto, sul letto comodissimo, con le lenzuola azzurre che profumavano lievemente di gelsomino.
Come una geisha, con movimenti servili, gli sfilò le scarpe e i pantaloni, lasciandogli le calze nere di filo di Scozia. Armeggiò col suo pene per sfilarlo dai boxer e lasciandolo completamente nudo. Allora prese una delle sue calze e con maestria la annodò, strettissima, alla radice del pene di Damiano, sotto allo scroto, l’altra calza, dopo essersela infilata completamente nella figa piena di liquidi, gliela infilò in testa, fino al collo: ora sembrava un rapinatore di banche col viso mascherato da una calza invischiata di femmina. Il marchese era già al settimo cielo. Attendeva la sua punizione, in silenzio, incredibilmente eccitato dai maneggi di Dolores, ormai totalmente troia.
Lei si tolse una delle scarpe, e iniziò la sua “passeggiata” sul corpo disteso di lui. Era in piedi e indossava la scarpa col tacco appuntito sulla mano sinistra, mentre con la destra gli carezzava la pelle, nel punto del corpo che avrebbe, subito dopo colpito. Iniziò dallo scroto. Scansando le palle con le dita, piazzò la calzatura sul suo cazzo e il tacco nero tra i suoi coglioni, poi, senza alcuna pietà, premette automaticamente, come una donna che sta stirando una camicia.
Damiano sobbalzò sul letto, sorpreso ed eccitato dal dolore, con l’animo squassato dal suo vizio, incapace di opporsi alle prossime “prove”. Dolores premette e a lungo, facendo solo attenzione a non sfregiarlo.
La donna era meccanica e crudele, operando quei gesti come un aguzzino idiota. Non faceva che eseguire un compito, degli ordini che aveva imparato tanti anni prima, quando, dopo la visita al marito, passava tutto il tempo con Damiano, a praticare il sesso sadico e masochista, che lo faceva andare in estasi. Lo aveva seguito in quelk viaggio allucinante per compiacerlo… ma poi si accorse che aiutava anche lei a scaricare la tensione; non era che una serva sessuale, un ruolo mai provato in vita sua.
Ecco, forse era questa era la parte che la eccitava: servire, anche quando lo puniva e lo straziava.
Gli attaccò con veemenza le ginocchia, premendo coi tacchi sulle rotule, controllando le sue mani per leggerne i messaggi e capire i suoi limiti. Poi gli violentò l’ombelico… quando il tacco ne uscì, lasciò un segno rosso e tanto dolore. Dopo toccò ai capezzoli dell’uomo, furono sollecitati fino all’estremo, martellati e sfigurati col tacco spigoloso e implacabile.
Quando Damiano sbuffava di dolore e libidine come un torello imbestialito, la donna lo mollò. Si allontanò da lui e si recò in bagno, accendendo le luci bianche, implacabili e fredde.
La voglia di pisciare ora era tanta, ma si trattenne, ormai decisa a dare il massimo del piacere.
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Aggiunto: 5 mesi fa
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«Leggerti è veramente piacevole, i tuoi racconti sono unici, anche se, in questo caso, non trovo il finale, il racconto continua su un altro sito ma anche lì termina in tronco»
«Mi fai sempre immedesimare nella protagonista»
«ma perchè questo racconto si chiama sacrificio anale se di anale non c'è nulla? Avete sbagliato il titolo? »