E’ una calda sera d’estate e la luce ambrata del sole che tramonta colora il cielo con sfumature arancioni e rosa.
Un vento leggero, proveniente dal bosco vicino, soffia dolcemente portando con sé una brezza che fa presagire un gradito sollievo.
Ovunque lunghe ombre silenziose iniziano il loro allungarsi sul terreno ammantando tutto quanto con il loro oscuro abbraccio.
Due avventurieri giungono in un modesto villaggio, situato nei pressi della via carovaniera dove merci e fortune viaggiano non senza poche difficoltà. Questo villaggio senza nome e frequentato da mercanti e viaggiatori di ogni sorta.
Mentre il sole tramonta dietro le distanti vette frastagliate, viandanti stanchi trovano conforto qui, le loro strade convergono come affluenti nel cuore della natura selvaggia.
Al centro del villaggio, si staglia la sagoma di una vecchia e grande locanda, sulla cui insegna di legno reca la scritta:
"Il Ginghiale Sbronzo".
I due viaggiatori, un giovane uomo dagli occhi scintillanti e una ragazza dai capelli corvini, si guardano con un sorriso complice, mentre le note di una canzone iniziano a farsi udire attraverso le finestre aperte dell’edificio mano a mano che i due si avvicinano.
“Il nome promette bene.” Annuncia l’uomo. La ragazza annuisce sorridendo.
L’uomo, ammantato in un pesante mantello, apre le vecchie porte della locanda e appena i due mettono piede al suo interno, una miriade di suoni e odori li avvolge.
Pesanti candelabri massicci sospesi ai soffitti bassi rischiarano l’ambiente proiettando luci sui tavoli imbanditi e ombre cupe sui muri di pietra grezza. Lo sfrigolio degli arrosti sulla brace si mescola con i profumi invitanti di spezie e altre libagioni.
Un bardo, seduto su un piccolo palco di legno, intona una melodia avvincente. Le sue dita scorrono agili sulle corde di un liuto, e la sua voce dolce e melodiosa canta una canzoncina sconcia e allegra.
La musica si diffonde nella locanda come una carezza, catturando le menti di chi ascolta e regalando un'aura di allegria all'atmosfera.
Per un istante fuggente, la locanda si avvolge in un silenzio sospeso, come il respiro trattenuto di un cacciatore nell'attesa della preda. Gli sguardi curiosi dei presenti si fissano sui due appena giunti, catturati dalla loro presenza enigmatica.
Tuttavia, la curiosità svanisce in un soffio, come nebbia che si dirada al primo sole mattutino, e in un battito di ciglia, ciascuna testa ritorna al proprio mondo. Il vociare e i sussurri, sopiti solo momentaneamente, ritornarono a impregnare l'atmosfera della locanda.
"Posto simpatico," pronuncia la ragazza, con un sorriso timido, mentre si toglie il cappuccio dalla testa, rivelando una chioma di capelli scuri che cadono morbidi sulle spalle.
L'uomo che la accompagna osserva attentamente l'ambiente circostante, lasciandosi catturare dalla vivace atmosfera della locanda. Il suo sguardo si possa sulle cameriere che si muovono con agilità tra le cucine e i tavoli, trasportando con maestria vassoi carichi di deliziosi arrosti e zuppe fumanti.
"Si, direi proprio di si," concorda l'uomo, un brillante accenno di malizia nei suoi occhi che si dipinge nel suo volto.
I due si accomodano a un tavolo vicino, sfoggiando un sorriso rilassato mentre si liberano dei mantelli polverosi. Con grazia, si adagiano su delle vecchie ma solide sedie di legno, sentendosi a loro agio in quel luogo di baldoria.
Chi è seduto vicino a loro non riesce a resistere al richiamo della curiosità e getta brevi occhiate furtive alla ragazza, mentre lei, con un gesto elegante, si ravviva i lunghi capelli scuri.
Due lunghe orecchie a punta spuntano dai suoi capelli, rivelando, senza ombra di dubbio, la sua origine elfica.
La novità non passa inosservata, e qualcuno tra i vicini non può fare a meno di dare una gomitata discreta ai propri compagni, attirando l'attenzione sulla nuova arrivata.
Una giovane e sorridente cameriera si avvicina al tavolo dei nuovi venuti, emanando un'aura di calda ospitalità.
"Benvenuti al Cinghiale Sbronzo," saluta con sincero entusiasmo. "Che cosa posso portarvi?" La sua voce è melodiosa e accattivante, e il suo sguardo è aperto e radioso.
L'uomo, intrigato dalla giovane cameriera, lascia che il suo sguardo si posi su di lei per un breve istante, notando con discrezione la generosa scollatura del suo vestito.
Con garbo e gentilezza, ordina: "Due pinte di scura, carne per me e una zuppa per la mia amica…" poi mostrando sicurezza, estrae una brillante moneta d'oro da una tasca del suo vestito e la pone con decisione sul tavolo. Un accenno di malizia traspare dal suo sguardo quando aggiunge:
"...e compagnia per stanotte."
Il gesto audace dell'uomo suscita un sorriso compiaciuto nella cameriera, che accoglie l'offerta con affabilità. Prende velocemente la moneta, facendola scomparire abilmente tra le pieghe del suo vestito con un movimento veloce.
"Certamente, signore, molto volentieri," risponde lei, ammiccando con lo sguardo.
Con un movimento leggiadro, la cameriera si sposta tra i tavoli, dirigendosi verso la cucina con un'energia contagiosa e scomparendovi al suo interno, mentre l’uomo non smette di fissarla neanche per un secondo.
"Gli e lo dovevi chiedere proprio di fronte a me?" il viso dell'elfa si corruga in un'espressione d’imbarazzo, mentre tenta di fulminare il suo amico con uno sguardo accusatore.
"E come facevamo a ordinare da mangiare?" risponde l'uomo con aria innocente, mentre cerca di nascondere il suo sorriso compiaciuto.
"Fai sul serio?" chiede nuovamente l’elfa.
"Forse non desideravi la zuppa? Hai sempre voluto la zuppa ogni singola volta!" Il tono scherzoso dell’uomo cela un accenno di complicità con l’elfa che siede al suo fianco.
"Intendo la cameriera, scemo!" sospira l'elfa, lasciandosi andare a un lieve sospiro di stanchezza.
"Sì, è molto carina, l'hai notato anche tu vero?" aggiunge l'uomo, reclinandosi con agio sulla sedia, mettendosi le mani dietro la testa fissando la sua amica.
"Cioè, " si lamenta l'elfa, lottando per nascondere il suo disappunto, "gli hai persino dato una sovrana!”
“Con quella si potrebbe comprare una mucca al mercato!”. Il rossore le colora le guance mentre cerca di rimanere seria con il suo amico.
"Ecco cosa mi ricordavano le sue tette," risponde l'uomo con uno schiocco delle dita.
"Galdor, sei impossibile!" esclama l'elfa, scandendo le parole mentre il suo viso diventa ancora più rosso.
"Cos'è che ti rode tutte le volte che andiamo in una locanda?” domanda l'uomo; “Preferisci forse mangiare di fuori all’aria aperta?"
"Cosa mi rode?" risponde l'elfa, sentendosi offesa, spalancando gli occhi incredula di fronte le parole del suo amico.
"Mi rode che ci provi con tutte le locandiere, le figlie dell'oste, le cameriere, le menestrelle che abbiano due meloni sotto il vestito! Le paghi una fortuna e lo fai sempre davanti a me!" esclama, scandendo la sua indignazione tutta in un'unica frase concitata.
"Scusa, Elly..." pronuncia Galdor, il tono della sua voce è contrito mentre cerca di riconciliarsi con l'amica. Poi prosegue in tono scherzoso, "ma ti preoccupi per le mie finanze, che io ci provi con chiunque o che lo faccia solo con donne che abbiano più tette delle tue?"
L'elfa sembra ormai senza parole. Persino le sue orecchie tradiscono il suo imbarazzo, arrossendo vistosamente.
"Io, io..." tenta di balbettare l'elfa indignata, poi, preso il suo mantello tra le mani, lo tira addosso al suo amico.
"Sei uno scemo!" gli dice, prima di alzarsi e andare a fare un giro nella locanda per darsi una calmata.
“E’ arrabbiata per le tette…” sorride Galdor sottovoce mentre lotta per liberarsi dal mantello.
“…sempre colpa loro.”
Passati alcuni minuti, la cameriera ritorna al tavolo con tutte le cose che i due hanno ordinato. Poco dopo, un'elfa alquanto affamata si riavvicina, ora focalizzata sulla zuppa che si trova sul tavolo.
"Buon appetito Elaria!" esclama Galdor con un sorriso rivolto all'amica.
L'elfa, con un boccone ancora in bocca, farfuglia:
"Se non fossi la miglior lama delle terre alte che io conosca, col cavolo che farei ancora coppia con uno scemo come te."
L'uomo accoglie le parole di Elara con bonaria comprensione.
"Lo so, lo so..." risponde, accettando le sue critiche con leggerezza.
"Devi smetterla di rincorrere le sottane, Galdor. Abbiamo già abbastanza problemi da affrontare," afferma Elara con un sospiro.
"Lo so, lo so..." risponde Galdor, ammiccando a Elara con complicità.
"Sul serio, dovrei lavorare alla corte di qualche feudatario o in qualche ordine cavalleresco, con qualcuno che mi apprezzi!" continua a lamentarsi Elara, ancora con la bocca piena.
"Lo so, lo so..." ribadisce Galdor, divertito dalla scenetta della sua amica.
Elara affonda il cucchiaio nella zuppa, facendo sussultare la ciotola, e prosegue:
"Non mi dovrei fare il mazzo per qualche miserabile moneta a cacciare mostri nel mezzo del nulla, sempre al freddo, nel fango e sotto la pioggia."
"Cacciare mostri frutta un sacco di monete d'oro," obietta l'uomo, prendendo un morso di carne.
"Non sono sufficienti per dovermi sorbire un pervertito come te!" puntualizza Elara, infilando il cucchiaio colmo di cibo in bocca con un certo aplomb.
Galdor sospira, cercando di non farsi travolgere dalle critiche di Elara.
"Lo so, lo so..." risponde, cercando di trovare una via di scampo a quelle accuse, ma lasciando trasparire un sottile sorriso.
“Tu non mi prendi mai sul serio," continua Elara, avendo chiaramente ancora molto da dire al riguardo.
"Sei sempre dietro a correre dietro le sottane di qualche contadinella."
Mentre Elara affonda il cucchiaio nella sua zuppa, continua il suo sfogo:
"E non iniziarmi col tuo 'Lo so, lo so...'! È frustrante, Galdor! Sono un'elfa, avevo sogni, aspirazioni!", poi l'elfa manda giù il boccone con una certa rabbia.
"Lo so, Elly," risponde Galdor, strizzandole un occhio con fare scherzoso, "eri la più giovane paladina dell'Ordine della Fenice. Poi hai dato un pugno all'alto sacerdote e ora ti ritrovi ricercata nel tuo regno. Dai la caccia ai mostri insieme a me quassù al nord. Ho riassunto bene la situazione?"
“Tu, stanotte!” esclama l'elfa puntandogli il cucchiaio, facendo volare via qualche schizzo di zuppa sul tavolo. "Vedi di dormire con un occhio aperto!"
“Lo so, lo so…” risponde Galdor, continuando a gustare il suo arrosto.
“Lo sai benissimo perché ho dovuto abbandonare casa mia.” Continua a parlare Elara, sempre con il cucchiaio puntato su Galdor.
“Quel porco, l’alto sacerdote, mi aveva messo le mani addosso, solo perché sembro una ragazzina!” L’elfa annega la disperazione con un’abbondante sorsata di birra.
“Lo so, lo so…” ribatte Galdor, dimostrando comprensione.
“Dovevo dargli una lezione! Il mio onore lo esigeva! Non potevo permettere che quel maiale continuasse a fare quelle cose con tutte le novizie del tempio.” Altra sorsata di birra per l’elfa.
“Lo so, lo so… e adesso quel tipo sta continuando a farlo ancora, anche se adesso ha il naso rotto. Hai il mio rispetto per questo, Elly. Salute.” Galdor avvicina il suo boccale a quello di Elara, facendo risuonare il vetro dei due bicchieri.
“Salute!” risponde Elara, mentre si scola la sua birra fino all'ultima goccia.
“Un'altra!” chiede l’elfa a una cameriera che passa lì vicina, mostrando il boccale vuoto.
La serata prosegue con gli sproloqui di Elara riguardo alla sua vita che sembra andare a rotoli, mentre Galdor la sopporta divertito, godendosi il sapore succulento dell'arrosto e la buona birra scura, limitandosi a risponderle qualche volta il solito ‘Lo so, lo so…’
I due continuano la loro cena seduti al tavolo, la fiamma del caminetto danza, scaldando l'atmosfera intima e allegra della locanda.
Mentre la luce del tramonto svanisce, le candele appese ai muri illuminano la sala con una tenue luce dorata. Nel frattempo, il menestrello, accompagnato dal suono delicato del liuto, continua a intonare canzonette divertenti e volgari intrattenendo con efficacia gli avventori.
Alla fine della serata, rimangono solo gli ultimi irriducibili ubriaconi e qualche altro avventuriero, intenti a sorseggiare birre e liquori mentre condividono storie di gloria e sventure. Le cameriere, con sorrisi pazienti, puliscono i tavoli cercando di convincere gli avventori sbronzi ad andarsene a casa loro, ripetendo a tutti che è ormai notte inoltrata.
A un certo punto, mentre le cameriere stanno risistemando il locale, Galdor, con un'espressione complice, strizza l'occhio alla giovane cameriera che li ha serviti al tavolo al loro arrivo.
La ragazza, dall'aria dolce, gli sorride di rimando e gli fa un cenno di raggiungerla al piano superiore.
Galdor, un po' alticcio a causa delle bevute della serata, si alza con un grosso sorriso sulle labbra.
"Elly, ho bisogno di allontanarmi per un attimo... ti dispiace se ti lascio sola?" chiede quest’ultimo, cercando di celare una certa urgenza.
L'elfa, ormai più ubriaca dell'uomo, sbatte le palpebre pesanti e lo guarda con un misto di malinconia e ironia.
"Sì, vai pure, vai dalla tua mucca e visto che ci sei, vedi di crepare!" risponde scherzosamente.
"Perfetto, vedo che sei in forma, allora ti saluto." Galdor le sorride complice, poi, con passo spedito, si avvia verso le scale che portano alle stanze del primo piano.
Elara, con occhi tristi ma anche con una sfumatura di affetto, lo fissa mentre se ne va. Nel frattempo il menestrello annuncia ai pochi rimasti la sua ultima canzone.
L'elfa, ormai avvolta dai vortici dell'ubriachezza, si alza a sua volta dal tavolo con una certa goffaggine. Poi raccoglie le proprie cose e afferra anche l'equipaggiamento di Galdor.
I suoi passi, normalmente silenziosi come quelli di un gatto, ora sono pesanti e incerti mentre procede sulle scale che portano di sopra. Il peso combinato dei loro bagagli la fa traballare leggermente.
"Speriamo in una camera decente," sospira Elara, un leggero velo di incertezza cala sui suoi occhi mentre stringe un istante le palpebre per cercare di ricordare il numero della stanza che le avevano assegnato.
Le luci fioche della locanda avvolgono il corridoio, e le voci degli avventori si mescolano a rumori di bicchieri e cucchiai che tintinnano in lontananza.
Con passo traballante, ma sempre con un'eleganza innata, riesce finalmente a individuare la porta giusta. Con un movimento maldestro, v'inserisce la chiave che le era stata consegnata poco prima. Il meccanismo gracchia un po', ma la porta si apre per accogliere l’ospite.
Con un sospiro di sollievo, Elara entra dentro la stanza trascinandosi dietro il suo equipaggiamento e quello di Galdor facendolo strisciare rumorosamente per terra.
Elara, senza riuscire a fare altro, abbandona la loro roba sul pavimento in un angolo della stanza. L'elfa si trascina verso il letto con passo stanco, mentre tenta di togliersi gli stivaletti, calciandoli via da una qualche parte con un gesto di disinvoltura.
Poi tocca al corpetto aderente di cuoio, sbottonandolo con delicatezza rivelando le sue forme aggraziate, coperte solo da una leggera camicetta bianca.
I pantaloni di cuoio logoro seguono per ultimi, scendendo lungo le sue lunghe gambe sinuose dal colore dell’avorio.
Quando finalmente Elara si spoglia di ogni indumento tranne la camicetta, si abbandona sul morbido letto. Il tessuto delicato sfiora la sua pelle, offrendo un abbraccio accogliente che la avvolge con calore.
"Com'è soffice..." sussurra Elara, accarezzando con le dita il cuscino vicino a lei, come se volesse condividere un piccolo momento intimo con il suo letto.
L'elfa sta finalmente per addormentarsi, avvolta dalla tenue luce della luna che filtra attraverso la finestra socchiusa. Un'atmosfera di quiete avvolge la stanza, mentre Elara lascia che la stanchezza e la calma della notte la avvolgano.
Improvvisamente, un rumore molesto fa sobbalzare la giovane avventuriera nel suo comodo letto.
Sono grida, grida di donna, che risuonano attraverso le pareti della locanda. Elara si preoccupa, il cuore le batte con più forza mentre cerca di identificare l'origine di quelle voci. Poi, con un’imprecazione sommessa, capisce: è la voce della cameriera che li aveva serviti poco prima, e quella di Galdor.
I due si stanno chiaramente divertendo molto, e dai toni dei loro gemiti, sembra che stiano vivendo un momento di passione oltremodo sfrenata.
"Dei!" esclama Elara, la sua pazienza messa a dura prova da quella situazione. Le due stanze adiacenti sembrano non offrire alcun isolamento nonostante il muro di pietra, e ogni dettaglio della loro copulazione sembra filtrare attraverso le pareti e arrivare alle orecchie dell'elfa.
Con un misto d’imbarazzo e irritazione, Elara sprofonda la testa nel cuscino cercando di ignorare i suoni indesiderati. Tuttavia, neanche così, le incontenibili urla di piacere di quei due sembrano diminuire.
La serenità della notte sembra ormai compromessa. Le grida di piacere e le risate di Galdor e della cameriera continuano a riempire l'aria, e l'elfa si domanda quanto a lungo dovrà sopportare quella situazione.
Con un lungo sospiro di rassegnazione, Elara si adagia sul morbido cuscino, cercando di trovare una posizione comoda per addormentarsi.
Poco alla volta, si arrende all'idea di potersi godere il meritato ristoro. La notte, che avrebbe dovuto essere di riposo, si trasforma in una lungo e movimentato calvario, con una colonna sonora ben poco rilassante, costituita dalle grida di piacere provenienti dalla camera adiacente.
Nel buio della stanza, le risate di Galdor e della cameriera sembrano riempire l'intero spazio, ed Elara non può fare a meno di sentirsi un po' invidiosa di quella ragazza.
"Beata lei," mormora tra sé e sé, sorprendendosi della sua affermazione.
"Io gelosa di quella mucca? Figuriamoci!" esclama l'elfa, cercando di scacciare da sé quel pensiero.
Ormai non sa se essere più invidiosa del seno di quella ragazza o del fatto che si trovi in compagnia del suo amico.
Senza volerlo, l'elfa si porta le mani sotto la morbida camicetta, tastandosi il seno in modo quasi istintivo. Un senso di malinconia la avvolge, pensando all'eventuale confronto delle sue forme con quelle della giovane e prosperosa cameriera.
Come una collinetta poco elevata che si stende ai piedi di una maestosa montagna, si dice tra sé, facendosi un paragone per nulla incoraggiante nella sua mente.
Le sue dita delicatamente sfiorano il suo seno e i suoi capezzoli facendola sussultare. L'elfa avverte un pizzico d’invidia. Non può fare a meno di notare la differenza tra le sue forme più acerbe e la generosità del seno della ragazza nella stanza accanto.
"Maledetta mucca..." sussurra Elara tra sé e sé, come se volesse scaricare la sua frustrazione con qualcuno. Poi, con un filo di voce, continua: "... e maledetto Galdor; perché non ci ha mai provato nemmeno una volta con me?"
L'elfa si abbandona a un momento di malinconia, ammettendo apertamente il suo desiderio di passare un po' più di tempo in intimità con lui.
Galdor, negli ultimi anni è sempre stato un ottimo amico e un compagno di avventure fedele e valoroso. Ma ora, nella quiete della notte, Elara sente il desiderio di conoscerlo in un modo diverso, di vedere cosa si cela dietro quegli occhi scintillanti e quel sorriso divertito.
La sua mente si riempie di immagini di momenti condivisi, di risate e sguardi complici. Ha sempre apprezzato l'amicizia di Galdor, ma ora vuole di più. Vuole vedere se tra loro c'è qualcosa di più profondo, qualcosa che va oltre l'amicizia.
Elara si muove nel letto, cercando di trovare una posizione comoda per addormentarsi, ma la sua mente è troppo agitata. Pensa a tutte le possibilità, ai "se" e ai "ma", alle emozioni contrastanti che la travolgono.
Mentre si agita nel morbido letto, Elara inizia a provare un certo "fastidio" tra le gambe. Sfregandosele leggermente tra loro, spera di alleviare quella sensazione ma quest’ultima sembra crescere sempre di più.
Nonostante i gemiti che provengono dalla stanza accanto, l'elfa non può fare a meno di essere disturbata da quella pulsione crescente. Elara si sente travolta da un turbinio di sensazioni contrastanti.
Man mano che la tensione aumenta, l'elfa si lascia sfuggire un ansimo chiaro che sembra quasi rimbombare nella sua stanza. Ogni gemito di piacere della cameriera e di Galdor sembra echeggiare dentro di lei, accendendo una fiamma di desiderio che lotta per divampare senza controllo.
Elara cerca di nascondere l'imbarazzo e la frustrazione che prova. Vorrebbe essere altrove, lontana da quella situazione imbarazzante e carica di tensione sessuale; ma non ci riesce.
Lentamente le mani che sono ancora sotto la sua camicetta scivolano sempre più in giù, raggiungendo le sue mutandine, che lei scopre, infine, essere già colpevolmente bagnate.
L’elfa ignora la cosa e infilandosi le dita sotto il suo indumento intimo inizia a occuparsi del suo “fastidio” e senza neanche accorgersene Elara inizia ad ansimare animatamente mentre si regala piacere con le sue mani mentre si titilla il bottoncino che si trova nel suo sesso e mentre le sue dita iniziano a massaggiarlo senza sosta.
Così, mentre le grida dalla stanza accanto continuano senza scemare d’intensità, Elara si masturba pensando di essere al posto della cameriera. Il suo amico sopra di lei che la riempie di baci e la sua virilità che s’insinua dentro di lei regalandole emozioni uniche.
Ben presto l’elfa si dimena sul letto tormentandosi il sesso quasi all’unisono con le grida degli altri due e quando la cameriera viene, sonoramente, anche Elara viene, inarcandosi sulla schiena pensando a Galdor.
Elara si rialza distrutta dal letto, il petto che si solleva e si abbassa rapidamente mentre l'ansia si fa strada dentro di lei. È stanca e sudata, come se avesse percorso decine di miglia in una frenetica corsa. In realtà, è stata solo la sua mente a viaggiare, lasciandosi andare all'immaginazione e alla lussuria per quei pochi minuti.
La stanza è avvolta nell'oscurità, illuminata appena dalla tenue luce della luna che filtra attraverso la finestra socchiusa. Nonostante ciò, gli occhi dell'elfa riescono a scrutare nel buio, cercando di dare un senso a tutte le emozioni che l'hanno travolta.
Con un gesto deciso, Elara si sbarazza delle mutandine ormai completamente bagnate, che le provocano una sgradevole sensazione di appiccicoso sulla pelle.
Si sente un po' a disagio, ma il desiderio di liberarsi di quel fastidio è più forte della vergogna. Rimane solo con la sua camicetta, sentendo la freschezza dell'aria sulla sua pelle umida e accaldata.
Il letto è ancora caldo e disordinato, testimone silenzioso del tumulto interiore dell'elfa. Lei si siede sul bordo, cercando di ristabilirsi e riprendere fiato. Le gambe le tremano leggermente, ma lei cerca di ignorare la sensazione di debolezza che la pervade.
La luna continua a sfilare nel cielo notturno, gettando strisce di luce argentata nella stanza. Elara cerca di concentrarsi su quella luce, cercando di placare le emozioni tumultuose che si agitano dentro di lei.
Le grida nella stanza accanto sembrano aumentare invece di diminuire. Galdur sta dando il meglio di sé e l'impetuoso susseguirsi di gemiti mette ancora più a disagio Elara. Lentamente, la giovane elfa trova il coraggio di agire; senza pensare troppo, apre la porta della sua camera e si avventura nel corridoio, avanzando con passo incerto e silenzioso, come una furtiva ombra nella notte.
Con i piedi scalzi, Elara raggiunge la porta della stanza di Galdur, e con cautela appoggia l'orecchio sull’anta. I suoni della passione che provengono dall'interno sono chiari e distinti, e ciò mette ancora più a disagio l'elfa, la quale inizia a sentire un leggero calore riscaldarle la faccia.
Nel tentativo di captare ogni singolo suono, Elara preme ancor di più l'orecchio contro lo porta. Ma mentre si concentra sui gemiti di Galdur e della ragazza, la porta della camera si spalanca, e l'elfa perdendo l'equilibrio, capitombola all'interno della stanza.
L’elfa si ritrova sdraiata a terra, incredula e completamente imbarazzata, mentre Galdur e la ragazza, continuano la loro ardente danza di passione.
Elara tenta maldestramente di alzarsi, ancora incredula e in preda all'imbarazzo, quando i due amanti si accorgono improvvisamente della sua presenza. La cameriera, spaventata e imbarazzata, afferra istintivamente le lenzuola per coprirsi, mentre Galdur, voltandosi verso la porta aperta, è sorpreso di riconoscere la sua amica.
"Elara!" esclama l'uomo, la voce mista tra la sorpresa e l'imbarazzo.
L'elfa rimane immobile, come paralizzata dalla vergogna, mentre cerca di trovare le parole giuste per scusarsi. Il suo volto è arrossato, e il cuore le batte così forte da farle quasi male.
"Scusa, scusa!" balbetta Elara, cercando disperatamente di dire qualcosa che possa attenuare l'imbarazzo della situazione. Si affretta a girarsi e a fuggire dalla stanza, chiudendo rapidamente la porta alle sue spalle.
Arrivata nella sua stanza, Elara si lascia cadere sul letto, afferrando un cuscino e nascondendo il viso. Vorrebbe scomparire, vorrebbe poter cancellare quel momento imbarazzante dalla sua mente.
Le urla e i gemiti di Galdur e della cameriera riprendono a risuonare nell’altra stanza, rendendo ancora più difficile dimenticare quella strana e imbarazzante situazione.
"Perché dovevo andare a curiosare?" si chiede l'elfa, pentita di aver ceduto alla sua curiosità e di essere finita in quella situazione imbarazzante, mentre il sonno si fa strada sempre di più.
Il mattino dopo, mentre il sole fa capolino dalla finestra socchiusa, illuminando la stanza con un caldo bagliore dorato, Elara si risveglia sbadigliando e stiracchiandosi. La stanchezza della notte passata sembra averla abbandonata.
“Buongiorno Elly” La saluta calorosamente il suo amico Galdur, con un sorriso affettuoso.
“Grazie” risponde l’elfa stropicciandosi gli occhi mentre tenta di fissarlo contro luce.
“Dormito bene?” Gli domanda l’uomo con un tono apprensivo.
"Si..." risponde nuovamente l'elfa, cercando di mantenere un tono naturale, ma la memoria della notte precedente torna a galla. La clamorosa gaffe compiuta fa arrossire il suo viso e persino le orecchie.
L’elfa, presa dal panico e dall'imbarazzo, afferra il cuscino con forza e se lo preme sulla faccia, come se volesse sparire alla vista del suo amico. La sua voce, soffocata dal tessuto, riesce a sfuggire solo in piccoli ansimi.
"Scusa, scusa, scusa!" urla Elara, cercando di nascondere il viso nel cuscino, come se volesse svanire nel nulla.
"Elly, non c'è nessun problema," dice Galdur, cercando di tranquillizzarla. "Non è nemmeno la cosa più imbarazzante che mi sia capitata."
Le parole dell'amico non fanno altro che far arrossire e disperare ancora di più Elara, che si sente terribilmente stupida.
"Ma è la cosa più imbarazzante che sia capitata a me!" afferma l'elfa, togliendosi il cuscino dalla faccia per rispondere al suo amico.
"Non c'è nulla di cui vergognarsi," continua Galdur con un tono rassicurante, cercando di lenire le preoccupazioni di Elara.
"Siamo tutti umani, o elfi, in questo caso. Tutti commettiamo errori e poi sono sicuro che tra poco non ti sentirai più in imbarazzo per quello successo stanotte.”
Elara alza un sopracciglio, curiosa e un po' confusa dalle parole di Galdur.
"Cosa vuoi dire?" domanda, cercando di capire cosa l'amico stia suggerendo.
Galdur le sorride in modo enigmatico, puntandogli un dico indicando un punto del letto.
"Elly..." dice Galdur, lasciando che il significato della sua affermazione emerga pian piano nella mente dell'elfa.
Elara segue la direzione del dito di Galdur con gli occhi. Inizialmente, non capisce cosa stia indicando, poi la comprensione la colpisce come un fulmine. I suoi occhi si allargano, e sente le guance arrossirsi immediatamente.
"Oh, dei!" esclama Elara inorridita, portando le mani al petto e cercando di coprirsi con i lembi della camicetta aperta. Infine, si rende conto con imbarazzo che durante la notte si è addormentata vestita solo con quella, e ora tutto il resto è ben visibile e Galdur deve aver visto tutto quanto.
Galdur si copre la bocca per non ridere apertamente, ma i suoi occhi brillano di gioia per la situazione.
"Non ti preoccupare, Elly," dice lui, cercando di essere galante, "non è la prima volta che vedo una ragazza nuda."
“Perché sarà l’ultima!” esclama l’elfa, gettandosi giù dal letto con un balzo aggraziato, che però lascia scoperto il suo didietro.
Si precipita verso il suo equipaggiamento, frugando freneticamente tra gli oggetti sparsi sul pavimento. “Dov’è la mia spada?” urla la ragazza con urgenza crescente.
“Elly, non sono il migliore nel mio campo se non riesco a prevedere le mosse del mio avversario,” afferma trionfalmente l’uomo, mostrando la spada di Elara che tiene saldo in mano.
“Fuori!” urla l’elfa, arricciando il naso mentre tenta di nascondere le sue grazie con i lembi della camicetta. La sua espressione è un misto d’imbarazzo e frustrazione.
“Ti ordino la colazione, mentre ti rivesti,” grida Galdur, divertito, mentre scappa dalla stanza dell'amica.
Elara borbotta qualche imprecazione tra sé, sentendosi sia irritata con Galdur.
"Perché deve essere sempre così complicato?" si chiede, scuotendo la testa.
«Complimenti mi piace come scrivi....»
«Mi piace come scrivi i tuoi racconti. Tanta fantasia e raffinatezza!»
«Epico!»
«Che fantastica storia!»
«Brava Alessia, davvero eccitante!»