Estate 2003, è passato qualche mese da quella mia prima esperienza in disco a carnevale. Nel frattempo, oltre a frequentare il tipo della disco, strettamente in segreto, da qualche mese ero anche maggiorenne e presi anche la patente.


Agli inizi di agosto, i miei partono per una decina di giorni per una crociera nel Mediterraneo, mentre io rimasi sola a casa, ed ero ovviamente eccitatissima, perché sapevo di avere tutto il tempo possibile e immaginabile per sentirmi ancora più femmina.


Ricordo che abitavo in una casa di campagna a circa 20 minuti di macchina da un comune piuttosto grande.


Avevo voglia di trasgressione e volevo fare qualcosa di inusuale, ovvero di spingermi oltre.


Così decisi di farmi in macchina questi 20 minuti, travestita totalmente, di sera tardi (intorno alle 22), andare a fare un giro innocente, con la macchina di mamma (una panda 750). Arrivò il momento di prepararmi per l’uscita “insolita”, presi alcune cose in prestito di mia madre, un abitino corto e scollato e un paio di zoccoli di legno con tacchi a spillo, mutandine, trucco a volontà, smalto rosso su mani e piedi, una bella parrucca mora e un paio di tette finte (questi ultimi articoli tenuti ben nascosti). Prima di uscire, mi guardo allo specchio, e noto quanto sono davvero bona. Mi sentivo eccitata, ma allo stesso tempo, un po' timorosa, perché stavo facendo un salto nel buio, non sapevo a cosa stavo andando incontro, ma nella vita se mai si prova qualcosa, ma si può sapere se piace o meno.


Così prendo le chiavi, una borsetta e via, salgo in macchina in direzione città.


Arrivata alle porte della città, noto come è piuttosto isolata, è agosto e sono tutti al mare. Sta cosa, un po' mi rassicurava e un po' mi intimoriva. Avevo voglia di fare due passi a piedi, ancheggiare un po', così parcheggio l’auto, scendo e comincio a fare alcuni metri sul marciapiede. Mi sentivo molto a mio agio e prendevo sempre più coraggio. Feci qualche centinaio di metri, per me andava bene così, mi sentivo piuttosto felice e soddisfatta e così tornai a riprendere la macchina per tornare a casa.


La serata sembrava finita lì, ma gli imprevisti sono sempre in agguato, e poco prima di lasciare la statale per imboccare una strada secondaria che portava a casa mia, mi accorgo che qualcosa non va, così mi fermo e scendo per guardare, e subito partono bestemmie e parolacce di ogni tipo, avevo bucato una gomma.


Mi sentivo persa, volevo morire, la ruota l’avrei anche cambiata, ma non stavo vestita in modo così pratica per farlo. Mentre, cercavo di capire cosa fare, eccoti i fari di un’auto che si avvicina, ero praticamente andata, e feci segno di fermarsi. Tre operai (avevano delle tute di lavoro) due sulla 50ina e il terzo più giovane sui 30/35 anni, scendono dall’auto per darmi una mano, mi scrutano dalla testa ai piedi, ma non sembrano accorgersi che ero un maschietto. Scambiamo qualche battuta, e i tre non erano della zona, erano in trasferta, venivano da Napoli. Nel giro di alcuni minuti, mi cambiano la ruota, li ringrazio, ma in quel momento, dentro di me scatta un senso di riguardo nei loro confronti, e chiedo loro, se faceva piacere venire a casa, a prendere qualcosa di fresco e darsi una lavata di mani.


I tre non se lo fecero ripetere due volte. Arrivati a casa li feci accomodare in soggiorno, e poi a turno andarono in bagno per una lavatina di mani e magari a fare altro se ne avevano bisogno. Presi delle birre fresche dal frigo, a loro andava benissimo, e notavo come si guardavano intorno, e uno di loro, dopo aver visto una foto dei miei insieme a me (ovviamente in abiti maschili) esclama dicendo: “Scusa, ma allora tu hai l’uccello?”, io mi faccio rossa dalla vergogna e rispondo affermativamente e poi dico: “E’ un problema per voi?”, e un altro risponde guardandosi con gli altri: “No nessun problema, noi siamo etero, però bisogna ammettere che sei molto sexy e attraente. Vesti bene, poi gambe e piedi super”. Io li ringrazio e mi siedo sul divanetto accavallando le cosce, due di loro si siedono ai miei lati, l’altro rimane in piedi. I due seduti di fianco mi prendono le mani e me le fanno sfregare sui pantaloni, il terzo si denuda davanti a me, mettendo in bella mostra il suo uccellone e fa: “Ti piace eh?”, e me lo infila di forza in bocca tenendomi la testa. Seppur sorpresa della situazione, assecondo il suo volere, e gusto quel cazzo con tanta passione.


Nel frattempo anche gli altri due tirano fuori il cazzo, li sego velocemente e sento le loro mani accarezzarmi le cosce.


A quel punto la situazione si fa sempre più calda, ci fermiamo per qualche minuto, vado a prendere dei preservativi, dissi che se volevano scoparmi dovevano farlo solo a preservativo messo. 


Mi ritrovo distesa, nuda a cosce all’aria, quello a cui stavo spompinando, adesso ha le mie gambe sulle sue spalle, e prima mi fa una leccatina ai piedi e poi mi penetra in culo, mentre gli altri due, quasi inginocchiati vicino a me a farmi ciucciare i loro cazzi.


La cosa va avanti per un bel po' con svariate alternative, e con sempre un cazzo in culo e gli altri due in bocca.


Nel mentre, non mancavano insulti e commenti volgari (anche in napoletano), a me e anche a mia madre, dicendo che se c’era avrebbero scopato volentieri anche lei. Ammetto che quella situazione forse non era l’ideale, ma a me eccitava tantissimo, mi sentivo femmina, e poi le volgarità e gli insulti, mi sono sempre piaciuti.


Mi scopano in vari modi, a pecorina, a cavalcioni, a smorza. Ma io godevo in qualunque modo.


Tutto ebbe fine, quando mi misero sdraiata a terra, e tutti e tre intorno, che mi sborrarono in faccia, facendosi ripulire il cazzo gocciolante. Appena svuotati, si rivestirono in fretta, mi “salutarono” con altre volgarità delle loro, erano quasi le 2 di notte, vedevo l’orologio sul mobile. Ero sfinita e stanca, mi addormentai lì sul pavimento. La mattina dopo quando mi svegliai, pensai di aver vissuto un sogno (o un incubo), ma era successo per davvero. Mi alzai, andai a farmi una doccia, diedi una ripulita a terra e al soggiorno, mi sarei dovuta sentire forse affranta, ma ero contenta, felice, e ripresi la mia “solita” vita da trav.

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