Durante quella settimana avevo avuto la possibilità di cercare meglio Sophie in rete, senza sorprendermi del vasto seguito che aveva su Instagram.
Ebbi un’anteprima di ciò che era il suo seno attraverso le duecento e più fotografie che aveva in bikini, gran parte scattate per lavoro, con una sponsorizzazione in bella vista, scattate in luoghi esotici e pieni di sole.
I suoi primi piani ritraevano i particolari di quegli occhi da asiatica di terza generazione e la morbidezza delle sue labbra.
Ero riuscito poi a vedere qualcosa di un po’ più discinto, la sera prima, cercando per bene su Google in qualche sito di che leakava le fotografie che le modelle vendevano su Onlyfans.
E Sophie non faceva eccezioni.
Venti euro al mese, per delle fotografie erotiche che la ritraevano quasi sempre senza mutande, ma lateralmente, a mostrare la rotondità di quel culo tonico, totalmente in contrasto con le morbidezze del seno, spesso raccolto tra le braccia, voluminoso e oggetto della mia curiosità.


Pensai che avrei voluto sbatterci il cazzo in mezzo, ma poi rinsavii.
Dovevo essere professionale.


Tuttavia, vidi diverse foto di lei a braccia aperte, senza reggiseno ma con dei grandi copricapezzoli a forma di cuore, a nascondere il nudo integrale di quelle tette enormi, e la cosa m'intrigò così tanto da chiederle di procurarseli anche per la nostra seduta successiva, oltre a qualche paio di mutandine di carta.
Sì, insomma, di quelle che si usano per i massaggi.

- Non sarai del tutto nuda. In questo modo riuscirai a essere un po’ più a tuo agio. E porta con te i plug.
 
Fissavo il suo sguardo lussurioso, in quella legalissima espressione di prostituzione digitale, pensando che fosse incredibile che una donna così bella non riuscisse a raggiungere l’estasi.



 *



Raggiunse il mio studio allo stesso orario della settimana precedente. Lara l’accolse e l’accompagnò alla mia porta, bussando e annunciandola.
- Dottor Scotto, la signorina Rose, l’appuntamento delle diciotto.
La feci entrare, e vidi Lara tornare alla propria postazione. Sophie sorrideva timida, paonazza in volto, con indosso un paio di fuson grigi e un crop top sportivo, a contenere tutto quel ben di dio che la natura gli aveva dato. I capelli erano legati in una pratica coda di cavallo che lasciava scoperto il lungo collo.
Era rimasta sull’uscio, guardando me, in camice, che finivo di compilare la prescrizione per il Viagra di un altro paziente, tale Antonio Stefanelli, anni trentuno, professione architetto, spaventato dalle donne.
- Sophie. Accomodati, finisco subito. - le dissi. Quella avanzò lenta, sedendosi sulla poltroncina che avevo di fronte.
- Salve, Dario.
- Allora… - dissi, continuando a scrivere. - Com’è andata, questa settimana? Hai usato il plug?
Aveva annuito.
- Ce l’ho addosso anche adesso, come mi ha detto.
- E… - presi una piccola pausa, mentre firmavo ordinatamente lungo la linea. - … e ti ha fatto male?
- No… - rispose, vedendomi chiudere il cappuccio della mia penna e riporre le prescrizioni nel cassetto. Catturò poi il mio sguardo e mi sorrise. - No, è più un fastidio. Ma solo all’inizio… è come ha detto lei, il mio… ano… poi si abitua…
- E le sensazioni?
- Devo dire, all’inizio erano più forti… poi è quasi come se mi ci fossi abituata.
Annuii.
- E hai provato un po’ d’eccitazione sessuale, durante questa settimana? Hai provato a masturbarti?
La vidi fare rapidamente cenno di no.
- Sentivo le sensazioni ma se dovessi dire di essere eccitata al punto da… da toccarmi, ecco, no. Non… non so.
- Bene. Come ti dicevo, oggi vedremo in che modo il tuo corpo risponderà agli stimoli.
Mi alzai in piedi, vedendola sollevare le sopracciglia e fissarmi.
- Vogliamo procedere? - domandai poi. Fu lei, stavolta, ad annuire, per poi guardarmi raggiungere il separé alle sue spalle e aprirlo, mostrando un grande lettino, simile a quello usato per i massaggi ma più largo e comodo. Ai lati c’erano due comodi poggiagambe di lattice, a scomparsa, ottimi per la stimolazione vaginale e anale.
La guardai, che non riusciva a nascondere il suo nervosismo.
- Sì…
- All’inizio può essere un po’ imbarazzante, mi rendo conto, ma non sarai nuda, e non mi permetterò di toccarti da nessuna parte senza il tuo permesso. Ti chiederò il consenso di qualsiasi cosa, perché è giusto che tu ritrovi la potenza della tua sessualità, ma non dimentico che sei stata vittima di violenza.
Lei mi guardava immobile, con quegli occhi da cerbiatta, e l’unico mio pensiero ritornava alla settimana prima, e all’espressione di piacere che aveva provato quando il plug che aveva nel culo le aveva toccato i punti giusti.
- Va bene… - titubò, alzandosi. La presi per mano e l’accompagnai sul lettino.
- La camera è insonorizzata. Ciò significa che quando e se arriverà un orgasmo, potrai urlare quanto più forte i tuoi polmoni ti consentiranno di fare, e lo stesso nessuno riuscirà a sentirti. Tranne me, ovviamente… - sorrisi. - Ma io sono il tuo dottore. E ti aiuterò. Tutto chiaro?
- Credo di no.
- E allora spogliati. Finisco coi preparativi e ti raggiungo.
 
E così feci.
Tornai da lei un minuto dopo, che mi aspettava col volto basso e quelle tette enormi nascoste dal proprio abbraccio. Cercai di non indugiare troppo con lo sguardo sull’addome piatto, né sulle cosce strette, a riempire di pieghe quella mutandina di carta.
- Benissimo. Ora stenditi e vediamo un po’ che succede al tuo corpo…
- A pancia sotto?
- Sì. - risposi, nascondendo a meraviglia l’amarezza di non poter vedere quelle bocce stupende, anche se lo feci parzialmente, mentre si voltava, dandomi la schiena.
E io non potei far altro che guardare estasiato la sua linea, che partiva dalle spalle e divideva in due il suo corpo, morbido sui fianchi, dove si allargava. Due fossette si andavano a nascondere sotto al bordo dello slip di carta, sottile, che lasciava intravedere la pelle rosea.
E indugiai.
Indugiai con lo sguardo, per qualche secondo di troppo, mentre pensavo al fatto che una donna così bella e fragile, su quel lettino non si fosse mai stesa. E lei dovette aver capito qualcosa, perché si voltò, con gli occhi di una bestia predata e vulnerabile.
- Cominciamo… - sospirai, distogliendo lo sguardo da quelle cosce e da quel culo. - Come già detto, abbiamo un bel corpo da svegliare. Il trauma ha condizionato la tua percezione del piacere e ciò che faremo oggi è ricordargli che funziona.
Annuì, mentre quelle bocce enormi venivano compresse e strabordavano ai lati del torace, sotto le braccia alzate.
- Ti massaggerò. Indugerò su alcuni punti, un po’ più caldi, e cercherò di capire quali siano quelli che più di aiutano a raggiungere una sana eccitazione. Quindi se dovessi sentire la necessità di gemere, o addirittura di provare l’orgasmo, fallo tranquillamente.
Lei sorrise debolmente, stesa con la guancia sul piano del lettino.
- Vorrebbe dire che ho speso bene i miei soldi.
- Esatto.
E così, olio di cocco nel cinturone, inumidii le mani e partii. Lo feci lentamente, poggiando i polpastrelli sul lato destro della sua schiena.
Lei aveva gli occhi chiusi e teneva i capelli tra le mani, per evitare che l’olio li sporcasse, e sentivo il suo corpo irrigidirsi.
- Tranquilla. - l’ammonii.
- Ci provo…
Presi a massaggiarle la schiena, lentamente, percependo il suo respiro appesantirsi. Guardavo il suo volto, le labbra schiuse e gli occhi che lentamente si perdevano oltre le palpebre.
- È importante ascoltare il nostro corpo… - dissi, mentre i miei occhi vagavano lungo le morbidezze dei suoi fianchi, e poi più giù, su quelle natiche candide. Le mani salirono alle spalle, afferrarono i trapezi tesi della donna e lentamente li sciolsero.
- Con calma… - sussurrai, cominciando a effettuare dei piccoli cerchi coi pollici proprio accanto alle scapole. La vedevo immobile, respirare sempre più profondamente.
- Che bello…
- Sei tesa.
- Lo so… Sto lavorando molto e non sto riposando…
Salii ancora, sul collo, aiutandomi coi pollici a sciogliere quella donna, che continuava a rimanere immobile.
E passai poi a braccia, avambracci e mani, ritornando sulle spalle, e scendendo lateralmente, carezzando leggermente la parte inferiore di quei seni stupendi, giusto per un attimo.
E la percepii sussultare.
- Allora funzioni… - ridacchiai, vedendola sorridere a mezza bocca.
- Non me l’aspettavo.
Arrivai ai fianchi, e indugiai qualche secondo a premere sulle fossette, sentendola gemere.
- Sei bravo a massaggiare…
- Fa parte del mio lavoro… - le risposi immediatamente, scivolando sui fianchi e poi scendendo ancora più in basso, afferrando le gambe cosce proprio al di sotto dei glutei.
- Sei vicino a… - sussurrò lei, sentendo i miei pollici affondare molto vicino al bordo del suo slip. Il calore che emanava quella donna dalla fica era intenso.
- Lo so. Ma non è ancora il momento. Ora t’insegnerò cos’è la riflessologia applicata al tuo organo sessuale.
Continuavo a massaggiare le cosce, spingendo coi pollici fin sotto la mutandina di carta, senza oltrepassarla mai, ma sentendo la morbidezza di quel culo sfiorarmi le unghie. E lo guardavo, cazzo se guardavo quel culo, così pieno e morbido, e stavo combattendo con l’impulso e la curiosità di affondare con l’indice in direzione dell’ano, per vedere se davvero avesse ancora indosso il plug.
 
Ma dovevo calmarmi.
 
- Riflessologia? - domandò poi. - Non è il massaggio thailandese?
- Esatto.
- Al piede.
- Esatto…
E così scesi rapido in basso, lesinando sui polpacci e afferrando entrambe le caviglie.
Alzai gli occhi, vedendo quella statua stesa davanti a me.
- Sophie, ora c’è la possibilità che tu senta qualcosa… non limitarti, se è il caso. Dimmi tutte le sensazioni che provi, parla tranquillamente.
Disse che andava bene, e quindi cominciai. Imparai quella tecnica dopo che un mio compagno di scuola, trasferitosi in Thailandia e aver aperto una clinica chirurgica, mi aveva invitato a Phuket per una settimana, che avevo passato a evitare minorenni e transessuali che si prostituivano per le strade. Mi portò da una giovane donna, che mi aveva giurato aver raggiunto la maggior età, che mi aveva steso sul lettino, nudo, e aveva cominciato a picchiettarmi con forza i calcagni, da sotto la pianta del piede.
E non so come, non so perché, ma mi sono ritrovato col cazzo duro.
- Riflessologia tailandese. - mi aveva risposto il mio amico Marco, con la stessa erezione, sul lettino accanto.
- Ma non ha fatto nulla.
- Punti di pressione. Ne sanno una più del diavolo.
 
Cominciai a massaggiare il piede destro, dal tallone alle dita, attento a ogni singolo punto, con le mani colme d’olio e gli occhi sul culo della donna.
- Questa parte è rilassante… - fece lei. - Non provo alcuna eccitazione…
- Lo so. Perché, di tutto il piede, c’è un singolo punto da prendere in considerazione per sciogliere ogni blocco. Ed è qui.
Le cominciai a premere il centro del calcagno, dapprima massaggiandolo delicatamente, poi picchiettando con la punta dell’indice.
Quello era un lavoro di pazienza, perché bisognava andare a sciogliere, secondo questa scienza, i blocchi energetici che impedivano alla persona di funzionare correttamente.
E io, quindi, cominciai a ruotare con alluci sul tallone della donna, guardandola immobile, prona, col culo che mi guardava e la schiena leggermente inarcata, per non comprimere troppo il seno.
Pensavo che fosse meravigliosa, Sophie, con ancora i capelli tra le mani. Scioglievo la tensione nel suo corpo e intanto guardavo il suo corpo muoversi lentamente.
- Come va? - le domandai.
- Sento qualcosa.
- Rilassante?
- Sì. Ma è come se… non saprei spiegare.
E allora cambiai ritmo, accelerando e cominciando, con entrambi i pollici a scavallare il calcagno e distendere la tensione lungo il tendine d’Achille.
- Fa male?
Quella si voltò verso di me, e mi fissò.
- No. Non è dolore. Sento qualcosa nel corpo…
E continuai a premere, sentendola sospirare.
- Cosa?
- E non… non so…
Arrossì rapidamente, tornando a guardare dritto e suscitando in me il sorriso. Sì, perché sapevo cosa stavo facendo, e il vedere le sue anche dimenarsi in quel modo, dopo cinque minuti di stimolazione, stava solo a significare che Sophie non era frigida.
- Funziona? - chiesi, rapido.
Quella aveva puntellato i gomiti sul lettino e steso in avanti gli avambracci. Stava con la testa bassa, con la schiena inarcata, e mentre io passavo all’altro piede, continuavo a vedere i movimenti lenti del suo bacino.
- Sì… - aveva sussurrato poi.
- Ottimo.
Poggiai le caviglie della donna sul lettino e salii, con le mani e con lo sguardo, seguendo le pendici ripide delle lunghe gambe e soffermandomi di nuovo sulla coscia. La vidi inarcare ancor di più le spalle, alzando il sedere e stringendo le gambe.
- Non chiudere… - l’ammonii, con voce dura, mentre le mie mani si portavano in alto, stringendo i muscoli e scivolando sulla pelle setosa.
- Scusa… - sussurrò tra i denti quella.
- Non preoccuparti. Ma viviti queste sensazioni. Sto per avvicinarmi lentamente. Qualsiasi situazione ti infastidisca dimmelo e io mi fermerò…
Lei disse che andava bene e intanto raggiungevo coi polpastrelli le rotondità delle sue natiche, rispettando i limiti che i bordi di carta dello slip imponevano, nonostante fossero ristretti. E io stringevo il culo di Sophie tra le mani, accorgendomi di essere arrapato.
 
E beh, era un problema.
Che io potessi avere pensieri impuri su quella debole fanciulla era più che lecito, fin quando rimanevano nella mia testa, ma se il cazzo che ho tra le gambe diventava ambasciatore dei miei pensieri perversi, beh, allora lì c’era il rischio di sembrare poco professionale.
Ma me ne fottetti.
 
Perché quella donna mi stava mettendo il culo in faccia e ansimava sotto ogni mio tocco, in attesa trepidante che l’orgasmo le facesse esplodere le sinapsi, e io avrei voluto strapparle a morsi i copricapezzoli e regalarle tutti i ventuno centimetri di pisello che avevo in dotazione.
Le mani scesero ancora, verso il basso, dove le cosce incontravano le natiche, massaggiando le seconde con le ultime quattro dita ma delimitando con i pollici un percorso che andava dall’inguine alle grandi labbra della donna.
E la sentii ansimare ancora.
Continuai, premendo con sempre più vigore attorno alla fica di Sophie, percependo poi il suo caldo liquido colarmi sulle dita.
E allora la guardai.
 
Era arrapata.
 
- Comincerò la stimolazione del tuo clitoride… - le dissi, avvicinandomi al lato del lettino. - In qualsiasi momento mi avviserai e io mi fermerò.
- … Va bene… - sussurrò ancora quella, stesa sulla pancia, mentre spingeva con le mani sul lettino.
Quella donna aveva una carica erotica tremenda.
Tornai a massaggiare coi pollici l’inguine di Sophie, afferrandole con le altre dita le natiche e allargandole.
E fu lì che la sentii gemere.
- Se toccassi al centro sentirei…
- Il plug… - sussurrò, con un filo di voce.
- Lo hai messo?
- Sì…
- Mi avvicino al tuo centro. Sei d’accordo?
- Sì…
E così finii per stringere la distanza tra i miei pollici, sentendo il caldo umore di quella donna inondarmi le dita e inumidire la mutandina, rendendola, difatti, totalmente trasparente. E così continuai per una decina di secondi, sentendola respirare profondamente con la bocca. Il suo grilletto era a pochi centimetri dalle mie dita e il movimento circolare che gl'imponevo attorno lo stava stimolando.
Poggiai il polpastrello sinistro sul cappuccio e rallentai.
Lo feci delicatamente, sentendo il tremore della donna attraversarle tutto il corpo. Era umida e incandescente. La sentii gemere debolmente, mentre ricominciavo il mio massaggio.
- Rilassati… - le dissi. - Goditi queste sensazioni e viviti il momento. Io sono qui e ti seguirò durante tutto l’atto. Ora, con delicatezza, premerò sul tuo clitoride, sulla sommità.
- Va bene…
E quindi, pazientemente, con una cadenza fissa e regolare, cominciai a stimolare il grilletto, mentre nei miei boxer la carne diventava marmo.
- Sarò lento ma deciso…
- Vai… - sussurrò lei, mostrandomi il collo.
Procedetti e vidi il suo corpo seguire la delicatezza dei miei movimenti, sferzato dalle timide ondate di piacere che provava, mentre nella mia testa c’era soltanto un pensiero: stavo toccando la fica di Sophie Rose. E ogni suo gemito, ogni suo piccolo movimento, ogni secondo che passavo con le dita nelle sue dolci umidità, non faceva altro che alimentare in me quel desiderio, così sbagliato.
Sophie era una donna che soffriva.
Una donna che era stata violentata.
Potevano la sua bellezza, il mio desiderio, giustificare il fatto che io stessi agendo in quel modo per scoparla?
Avrei dovuto aiutarla, era tutto ciò che prevedevano le mie competenze.
 
Invece no.
 
Sophie godeva davanti a me, e pensare che fossi io a farla gemere alimentava il mio ego e mi arrapava.
Continuavo a massaggiarle il clitoride con il pollice sinistro, senza mai accelerare, perché riuscivo a percepire quanto fosse vicina all’orgasmo, e non volevo che tutto quello finisse così in fretta.
Volevo godermi Sophie e il suo corpo.
Volevo che chiedesse di scoparmela.
 
Lei non smetteva di gemere.
- Da… Dario… io ci sarei…
- Lo so… - sussurrai, mentre la mutandina di carta davanti a me mi divideva dalla sua fica.
- Più veloce…
- No.
Mi fermai.
 
Tutto si fermò.
 
Rimase solo lei, ansimante, praticamente inginocchiata davanti a me. La vidi abbassare lo sguardo, mentre il volto imbarazzato era paonazzo.
- Che… che succede?
- Sei vicina all’orgasmo? - domandai.
- Sì. Perché ti sei fermato?
Il cazzo mi pulsava nei pantaloni, mentre avevo ancora le natiche di Sophie tra le mani, a spalancarle il buco del culo. E allora, senza dirle nulla, abbassai lentamente il bordo delle mutande.
Lo feci lentamente, senza scoprirle la fica, ma facendo in modo di vedere la base del plug che le spuntava dall’ano. Lo picchiettai leggermente col dito, sentendola quasi subito gemere.
- Che fai? - chiese.
- Parliamo di questo… - sussurrai, mentre continuavo a picchiettarlo, con cadenza ritmica e lenta. La vedevo sussultare ogni volta che le mie mani toccavano l’oggetto. M’inginocchiai sul lettino accanto a lei e afferrai la base del plug tra il pollice e l’indice. Il mio cazzo le toccava il fianco, ma probabilmente non se ne accorgeva neppure, presa com’era dal richiamo del suo corpo.
Afferrai il plug, presi a ruotarlo e la vidi inarcare la schiena.
- Oh… - fece, gemendo in maniera tremendamente erotica. - Vai, Davide…
- Vado?
- Vai! - esclamò, cercando invano le mie mani ma non trovandole. - Cazzo!
E poi la vide fare qualcosa d’incredibile, spalancando le gambe e abbassandosi, fino a toccare col volto sul piano del lettino. I seni compressi erano enormi, strabordavano dalla sua esile figura così ricca di desiderio, mentre la mano destra si era fatta strada in basso, fino a entrare nelle mutande.
Sophie Rose si stava masturbando, mentre io ruotavo il plug nel buco del suo culo.
E la sentivo gemere, come una di quelle cinquantenni a digiuno di cazzo da mesi, facendomi rivalutare completamente il suo modo di pensare.
Da quanto tempo i suoi bisogni non venivano soddisfatti?
Com’era possibile che una donna così bella non riuscisse a lasciarsi andare, per un’ora di passione, e sfogare tutte le sue pulsioni?
 
Mi facevo questa e mille altre domande, ma ciò che più mi premeva sapere era: perché con me sì?

Sophie si stava letteralmente masturbando davanti ai miei occhi, mentre le ruotavo un plug nel culo.
E quell’impazienza, quella fame, non l’avevo mai vista in una donna così giovane.
Continuava a gemere, a prendere dal suo corpo a mani aperte, torturandosi e aumentando ancora di più l’intensità. Io mi limitavo a giocare col suo ano, tirando il piccolo plug e affondandolo di nuovo nel suo ano scuro.
Ci vollero poco meno di trenta secondi.
- Oh, cazzo! - aveva urlato lei, prima che facessi un passo indietro, lasciandole il plug nel culo e vedendo come, le contrazioni dovute all’orgasmo, lo spingessero in alto, due volte, fino a espellerlo totalmente.
Sophie stava venendo davanti a me, in preda all'estasi, con gli occhi svuotati da ogni luce, ogni pensiero, la fronte imperlata di sudore e la bocca spalancata. Ansimava, con ancora le mani tra le gambe, che tremavano vistosamente.
Si lasciò andare su se stessa, con gli occhi chiusi e la guancia sul lettino, immobile e bellissima, e io rimasi in silenzio, rispettoso di quel momento così importante per una donna che lo bramava da mesi senza riuscire a raggiungerlo. Ero in disparte, ma scattavo instantanee del momento, archiviandole nei reparti proibiti della mia memoria, dove c'erano tutte le cose che salivano a galla quando mi ritrovavo solo con me stesso.


Tuttavia, all'improvviso qualcosa si ruppe.



E nulla mi aveva preparato a ciò che stava per accadere, perché Sophie, in un secondo, spalancò gli occhi terrorizzata e mi fissò. Ecco, in quel momento non sapevo se fosse per via della mia erezione, la cui sagoma non riuscivo in nessun modo a nascondere nel profilo dei miei pantaloni scuri Armani, ma dovette succederle qualcosa.
Sì. Dovette spaventarsi, perché si alzò rapidamente dal lettino, con gli occhi sbarrati e il terrore sul viso.
- Ma che sto facendo? - sussurrò. Mi guardò, senz'alterare l'espressione che aveva sul viso.
- In che senso?
- Sono impazzita! Ma che diamine mi sta succedendo?! - esplose poi, nascondendosi nuovamente il seno e sollevandosi. - Devo andare. - chiuse sibillina.
- Sophie... - la chiamai, ma la vidi scappare verso i vestiti, con ancora la mutandina abbassata oltre le natiche.
- Ho sbagliato a venire qui.
Inarcai le sopracciglia. Non capivo
- Ho forse fatto qualcosa che…
- No, non ha fatto nulla, Dottor Scotto. - ribatté, alzandosi lo slip e infilando frettolosamente il top. - Ma non mi cerchi mai più. Mi lasci stare e tenga i soldi dell'anticipo.
- Mi dai del tu, adesso?
- È stato tutto un errore.
Saltò nei fuson e scappò via, sbattendo la porta e lasciandomi lì, solo, col cazzo duro e una busta piena di domande, poggiate su quel lettino ancora bollente, accanto al plug che aveva avuto addosso per tutto il tempo.

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