Ero convinto di aver ormai sepolto il mio passato di marito cuckold insieme a mia moglie, quando mi aveva lasciato vedovo.


Ero stato profondamente innamorato di Bona ed ha rappresentato per me un dolore rimasto a lungo insopportabile la sua perdita, quando il male me l’ha portata via.


Dopo sedici anni insieme e due figli eravamo una coppia perfetta, aperta e libera, ciascuno rispettoso delle esigenze e dei desideri dell’altro. 
La sua perdita mi ha tramortito. Ho trascorso gli anni successivi immerso nel lavoro, accompagnando alla maggiore età e alla indipendenza i ragazzi, in qualche modo aiutato dai parenti più prossimi.


Ormai in pensione e sostanzialmente libero ho conosciuto Sara, una signora divorziata e con una travagliata vita sentimentale alle spalle, più grande di me di alcuni anni. Abbiamo preso a frequentarci, in amicizia, prudenti. Poi l’amicizia si è trasformata in un sentimento più profondo e coinvolgente, fino a decidere, infine, di provare a vivere insieme. Così mi sono trasferito da lei.


Confesso che non mi è poi mai passato per la mente, fino ad ora, l’idea o la voglia di ricreare con Sara il tipo di rapporto di coppia avuto con mia moglie. 


Penso che l’ebbrezza che la pratica cuckold rilascia derivi, in parte almeno, dalla consapevolezza di infrangere il “sacro vincolo coniugale”,  ancor più se, come nel caso mio con Bona, “santificato” sull’altare.


Con Sara la situazione è diversa. Viviamo sotto lo stesso tetto, ma abbiamo conservato, a maggior ragione che ella è divorziata, una nostra autonomia, liberi da pastoie formali, burocratiche.


La cosa è nata, quindi, senza un disegno, per caso.


Viviamo a Roma, labirinto di rapporti umani, oltre che di strade, ed ella stessa mi ha confidato per tempo della presenza nel nostro rione di un suo ex, col quale ha avuto una storia più travagliata di altre proprio prima di conoscere me. Ha voluto mettermi sull’avviso nell’eventualità che lo incontrassimo e lei ci dovesse attaccare bottone per qualche motivo.


La cosa è immancabilmente accaduta, qualche tempo dopo, la scorsa estate.


L’avevo accompagnata al supermercato per aiutarla con le cose più pesanti ed è accaduto nella corsia dello scatolame quando io, intento alla disamina delle marche di tonno, l’ho sentita rispondere al saluto. 
“Ciao, come stai?”


“Io bene, e tu?”.


Ho sollevato il capo ed eccolo a me di fronte: greve, panciuto, con la pelata madida di sudore e la camicia zuppa sotto le ascelle malgrado l’aria condizionata al massimo, antipatico a pelle.


Sara non ha perso tempo e subito ha voluto chiarire, con le presentazioni, come stanno le cose.


“Così tu sei il fortunato di turno?” mi ha detto quello, esaminandomi meglio. “Te li prendi sempre più giovani, a quanto pare. Si vede che lui è più giovane di te” ha puntualizzato poi, rivolto a Sara.


Un vero signore, ho pensato fra me e me. Comunque ho dato atto a Sara di essere stata abile a liberarsene alla svelta.


Tuttavia il diavolo lavora in profondo e fa leva su minuzie. Già tornando verso casa ho cominciato a sentire un qualcosa, come il formicolio che una vecchia cicatrice talvolta produce al mutare del tempo.


“Così quello è il tipo con cui stavi prima di me?” le ho chiesto, distesi a letto per il pisolino, dopo pranzo.


“E già. Hai visto che personaggio? Per fortuna me ne sono liberata in tempo. Tra le sue mani avrei fatto una brutta fine. Per fortuna poi ho conosciuto te”.


“Tanto terribile è stato?”.


“Si. Non ne parliamo. Un violento. Un bruto. Mi picchiava per nulla. Mi ha tenuta incatenata alle sue depravazioni per quasi due anni”.


“Ma no! Mi sa che esageri per astio”.


“Non esagero. Devo ringraziare il covid se mi sono liberata. All’inizio del lockdown lui si trovava a Caserta. Ci andava spesso per certi suoi affari, diceva. In realtà ho poi scoperto che là ci sta pure un’altra puttana con la quale già se la faceva. Rimasto bloccato da lei, ha fatto la sua scelta e alla fine mi ha dato il benservito su whatsapp. Quella è assai più giovane di me. Me l’ha fatta vedere in fotografia. Si chiama Carmela” ha concluso ridendo.


Il suo racconto mi ha fatto passare il sonno. Mi sono girato sul fianco e ho cominciato a carezzarle le tettone, poi a cercare il  clitoride tra i peli e la passera. Ho cominciato a stuzzicarlo, delicatamente.


“Ma, adesso è tornato a Roma?”.


“Che io so sta sempre con quella di Caserta, ma a Roma ha ancora casa e comunque i suoi affari da curare”.


“Che fa?”


“Lo immagini? Fa il mercante d’arte. Da non credere! Su un canale privato di Napoli tiene pure una trasmissione di televendita”.


A questo punto mi sono sentito decisamente eccitato e, col cazzo già in sesto, sono salito sopra di lei, strappandole una esclamazione tra la meraviglia e il compiacimento.


Abbiamo fatto l’amore con foga, come non ci capitava da un po’.


Dopo il quarto d’ora di torpore che è seguito, ho sentito di voler tornare sull’argomento.


“Hai accennato a certe depravazioni. Che ti faceva fare?”


Ha taciuto per un certo intervallo. Io ho pensato che proprio non ce la facesse a parlarne e già avevo deciso di non insistere quando, supina e con gli occhi spalancati a guardare il soffitto come in cerca di una crepa o di una nuova disconnessione nei pannelli che lo coprivano, ha accennato a riprendere. Aveva di nuovo i capezzoli ritti, come prima mentre la scopavo e smaniava per il piacere.


“Mi ha passato ad altri. Gentaglia. Diceva che doveva chiudere certi affari e che gli sarebbe stato più facile se andavo a letto col tale, col talaltro”.


“E tu acconsentivi?”.


“Dovevo. Mi teneva soggiogata. Ero la sua schiava. Tu non hai idea che tipo è”.


A questo punto si è di nuovo zittita.


“Cerchiamo di dormire un po’, adesso” ha detto, infine, e si è rigirata su un fianco, dandomi le spalle. Effettivamente mi è parsa poi appisolarsi.


Io non sono riuscito ad addormentarmi. Sentivo come se riassommassero dentro di me vecchie propensioni e i desideri di una volta.


Sono trascorsi giorni, anche settimane. Nel frattempo ho programmato di allontanarmi , come saltuariamente sono solito fare, per andare a trovare i figli che, ormai adulti, da tempo lavorano e vivono con le loro rispettive famiglie in altre città.


Mi trovavo in macchina già quasi in tangenziale che improvvisamente ho rammentato d’aver dimenticato a casa un bustone ikea pieno di varie cose che avrei dovuto portare con me. Mi sono rigirato e sono tornato verso casa di Sara, per buona sorte trovando parcheggio senza troppo penare e non troppo distante. Non ho creduto di avvertirla perché era un martedì pomeriggio e sapevo che aveva, come al solito, le prove a teatro. Fa parte di una compagnia filodrammatica e recentemente hanno ripreso a vedersi due volte la settimana in vista dello spettacolo di inizio stagione nella loro piccola sala, una specie di scantinato all’Aventino.
Infatti, ho trovata casa deserta. Mi sono affrettato in fondo, verso quella che lei chiama “la stanza degli orrori”, una camera che utilizza come guardaroba, stireria, rimessaggio per cianfrusaglia di vario genere. Stavo già con le mani sollevando il bustone ficcato in un angolo, quando ho sentito aprirsi la porta blindata. Perplesso e sorpreso non ho subito reagito dandole voce, anche perché ho immediatamente capito che non era sola. L’ho sentita interloquire con un uomo che, non mi ci è voluto molto, ho riconosciuto come il suo ex. Ho sentito che lei era rimasta dubbiosa e incerta per il fatto di aver trovato la porta d’ingresso soltanto sul primo scatto, mentre come da sua abitudine doveva averla chiusa con tutte le girate.


“Sarà stato per la fretta. Ma è strano”.


“Franco, ma sei a casa?” ha detto in tono più alto, ancora incerta, a sincerarsi per scrupolo. Ma io ho taciuto. Il tarlo, il demonio stavano lavorando con buona lena.


Lentamente ho serrato la porta della stanza e sono rimasto acquattato in un angolo, quello più in penombra e nascosto, ma per fortuna lei si è guardata dal venire a controllare, credo per tenere celato al tipo tutto il disordine che vi si trova, anche se quello, allo stato delle cose, non credo manchi da tanto da casa sua. 


Hanno cominciato a celiare. Prima nell’ingresso, poi tra il bagno e la camera. Ho sentito lei rimproverargli che per colpa sua oggi avrebbe perso le prove. Lui ha cominciato a sfotterla, a prenderla in giro. Poi, finalmente, ho capito che erano finiti a letto.


Ho dischiuso la porta. Per mia fortuna, in casa di Sara un grande specchio si trova proprio accanto all’appendiabiti nel corridoio, casualmente con giusta angolazione rispetto all’alcova. Così, dal mio punto di vista, ho potuto bearmi spiandoli abbracciati nudi tra le lenzuola scompaginate. Ho visto le loro bocche fameliche cercarsi a lungo. Ho visto lei serrargli il cazzo duro sotto il ventre prominente da crapulone. 


“Fammelo baciare...” ha mormorato.


“Si, bocchinara, si”.


Lei si è messa prona di traverso su di lui e ha cominciato a lavorarglielo con le labbra e la lingua, lentamente, e gli leccava le palle, avida.


“Toccami... Si...” gli ha detto, e lui già manovrava con una mano tra le sue chiappe, mentre con l’altra accompagnava il moto della testa.


"Ah! Il tuo bel trippone, quanto mi piace”.


“Che buco di culo che hai, Sa'...”


“Si... È tuo... Lo so che ti piace infilarmelo lì... Animale...”


Poi lui ha avuto uno scarto e ha fatto per sollevarsi.
“Mettiti a pecora, che ti scopo, troia”.


“Si, Si, fallo”.


Si sono posizionati, lei prona ginocchioni con la testa giù e il sedere ben esposto, lui tra i polpacci di lei con le mani a serrarle il culo da vacca. L’ha presa di mira e ha affondato il colpo.


“Ah! Amore! Si! Ah! Mi sei mancato... M'è mancato tanto il tuo cazzo... Ah! Spingi, si!”.


“Si, troia! Lurida! Vacca!”.


“Si, sono la tua puttana. Agù mio, si, sono la tua troia”.


Intanto che le stantuffava nella figa, ho notato che con il pollice di una mano aveva cominciato a forzarle il buco del culo.


“Dai, Sa', dai, che ti voglio sborrà in culo”.


“Si! Si! Animale, si. Ah! Ah! AHHHHHH! Amore, si!”.


Quando l’ha sentita chetarsi, lui si è tratto fuori e subito ha cominciato a spingere nel buco del culo il glande congestionato, violaceo.


“No! Aspetta. La vasellina”.


L’ho vista allungare la mano fino al cassetto del suo comodino e recuperare con gesto sicuro il gel. Glielo ha passato. Lui le ha lubrificato l’ano e poi il proprio cazzo, che infine le ha spinto nelle viscere, risolutamente, ignorando ogni “piano” e “stai attento”.


È venuto poi in fretta. Sono crollati entrambi esausti.


Adesso il mio timore era di dover rimanere bloccato, con loro di là. Che spiegazioni darle quando lui se ne fosse andato e lei avesse preso a circolare per casa. Ho pensato che avrei potuto fare buon viso a cattivo gioco. Rinfacciarle la scoperta e umiliarla a dovere. Volgere a mio vantaggio la cosa. Ma dopo un po’ ho sentito lei sollecitarlo. Ha detto che voleva provare a correre in teatro. Magari faceva in tempo per uno scampolo di prove. Così nel giro di dieci minuti, o un quarto d’ora, mi sono ritrovato solo in casa. Ho potuto riguadagnare la macchina, per fortuna parcheggiata in una via laterale. Sara, quindi, non l’aveva notata.


Ormai alla guida, di nuovo per via, considerando l’eccitazione che avevo provato alla vista di Sara che puttaneggiava con il suo ex, ho cominciato a pensare che al mio ritorno avrei potuto magari studiare il modo per ripristinare con lei le mie antiche abitudini cuckold.


 

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