“Dai, sborra, porca troia!” ripeto nella mia mente almeno ogni trenta secondi. Ho il polso quasi slogato e mi dolgono i muscoli di tutto il braccio.
Macché! Il suo cazzo non dà segno di essere nemmeno nell’imminenza dell’orgasmo. Mi sembra di smanettare un pezzo di legno inanimato.
Ogni tanto, guardo il tizio con occhi dolci e gli faccio un mezzo sorriso per incoraggiarlo, ma non serve a nulla. Così, torno a tutt’altri miei pensieri e alla noia che ha già preso il sopravvento, ripetendo ancora nella mia mente: “E dai, vieni, cazzo!”
E sì che, quando mi ha agganciata al banco del bar, c’erano ottime premesse. È stato molto cortese e brillante, dandomi l’impressione di essere anche un tipo molto focoso. In alcuni momenti, ho pensato che volesse farmi proprio lì, davanti a tutti.
Ha impiegato un attimo a piacermi, tanto che, a mio marito, ho subito fatto il segnale convenzionale con il quale gli comunicavo di aver trovato chi avrebbe soddisfatto la nostra voglia di trasgressione di quella sera.
Dopo aver terminato i nostri drink e qualche minuto di amabile e allusiva conversazione, mi ha invitata a trasferirci sulla terrazza del locale. Qui, si è fatto subito molto intraprendente, abbracciandomi e dandomi appassionati baci sul collo e dietro le orecchie.
Facendo questo, mi ha stretta forte a sé, tanto che ho percepito subito la sua esuberante erezione premere contro il mio ventre. Ogni tanto, volgevo il mio sguardo complice all’interno del locale e guardavo mio marito che ci osservava molto compiaciuto al di là della vetrata.
La situazione mi stava eccitando parecchio, perciò non ho fatto obbiezioni tutte le volte che le sue carezze percorrevano velocemente il mio culo o le mie tette, sebbene ci fossero altre persone nelle vicinanze.
Ho guardato ancora una volta Manuel e lui mi ha detto di uscire, facendomi un cenno con la testa. Cosicché, ho sussurrato al tizio che avremmo potuto “approfondire” la nostra conoscenza fuori dal locale, magari in macchina.
Lui si è dimostrato molto entusiasta della proposta. Mi ha presa per mano e siamo usciti, dirigendoci velocemente al parcheggio. Sorvolo su tutte le porcate che mi ha detto nel tragitto per raggiungere la sua auto, parcheggiata in un angolo un po’ defilato.
Galantemente, mi ha aperto lo sportello e ha atteso che salissi prima di richiuderlo. Appena entrato anche lui nell’abitacolo, mi ha subito abbracciata e ha preso a toccarmi ovunque. Avevo l’eccitazione a mille, sia per le sue oscene toccate, sia perché sapevo che mio marito stava godendosi tutta la scena a pochi metri di distanza.
Davanti a tanta libidinosa intraprendenza, non ho voluto essere da meno, così, dopo aver somministrato al suo cazzo parecchie strizzate attraverso i pantaloni, gliel’ho tirato fuori e ho iniziato a spompinarlo usando tutte le mie abilità fellatorie.
Ero molto compiaciuta che dimostrasse tanta resistenza e che non mi avesse già riempito la bocca di crema, data la potenza delle pompate e le frullate di lingua con le quali stavo deliziando il suo pistolone.
La voglia di scoparmelo mi è arrivata a livelli tali che, in un attimo, ho sollevato il vestito, scostato il micro perizoma e gli sono salita a cavalcioni.
Il suo pisello ha trovato subito via libera nella mia vulva ma, dopo cinque o sei magnifiche pompate, durante le quali mi ero sentita veramente appagata e piena di cazzo, l’ho sentito ammosciarsi di colpo.
Ho pensato che fosse già venuto, ma non avevo sentito il calore del suo sperma. L’ho guardato e gli ho visto una smorfia sul viso. Quindi, senza osare ricambiare il mio sguardo, mi ha chiesto scusa.
Ovviamente molto sorpresa, mi sono preoccupata di chiedergli se andava tutto bene. Mi ha risposto di sì, ma che non capiva cosa gli stava succedendo. Così, sono tornata sul mio sedile, gliel’ho preso ancora in mano e ho tentato di fargli tornare l’erezione con segate e pompini.
Gli è tornato duro abbastanza velocemente, però, adesso, sono almeno venti minuti che faccio di tutto per farlo sborrare ma non c’è verso. Quest’imbranato narcisista è forse il primo uomo che è riuscito a farmi sentire sessualmente inadeguata e sono veramente scazzata.
Prendo tutto il coraggio di cui dispongo e gli dico: “Forse è meglio che lasciamo stare. Sono stanca e non ce la faccio più.”
“No, dai. Prova ancora che forse ci sono quasi.”
Armata di santa pazienza, riprendo a segarlo. Non può certo pretendere che ci metta tutto l’entusiasmo che avevo prima: mi ha completamente smontata, anche nel desiderio.
Guardo fuori dal finestrino e vedo Manuel appoggiato ad un albero che mi fa segno di “tagliare”. Anche lui ha perfettamente compreso la situazione.
Per non lasciare nulla di intentato, proseguo ancora per qualche minuto, ma senza successo. Stacco la mano dal suo membro, mi sistemo le mutandine e il vestito, recupero la borsetta e scendo infuriata dall’auto.
Le giro intorno e il tizio mi osserva ammutolito. Il suo volto assume un’espressione esterrefatta quando vede che raggiungo mio marito, lo spingo contro l’albero, gli tiro fuori il cazzo, alzo la mia gamba sinistra e gliela avvolgo intorno alla vita.
Mi impalo fino alle palle, incollo la mia bocca alla sua e iniziamo a scopare come forsennati, senza nemmeno preoccuparci che qualcuno potrebbe arrivare per recuperare la propria vettura.
Sono sufficienti pochi minuti per portarci entrambi vicinissimi all’orgasmo. Senza dirci nulla, entrambi ci voltiamo in direzione del tizio che è ancora con la faccia incollata al vetro del finestrino e ci guarda sbavando.
Gli assesto un paio di colpi micidiali, poi veniamo contemporaneamente. L’orgasmo è così intenso che perdo persino la forza nelle gambe e Manuel è costretto a sorreggermi di peso, mentre termina di scaricare il suo quantitativo di crema dentro di me.
Continuo a baciare mio marito appassionatamente, ma la rabbia per quell’idiota non mi è ancora passata. Così, istintivamente, stacco la mano destra dalla presa e la protendo verso il tipo che, sicuramente, ha visto il mio dito medio svettare, teso sopra di essa.
Quando ci stacchiamo dal nostro abbraccio, sento lo sperma di Manuel che mi cola lungo le cosce, ma non me ne preoccupo. Mi giro a guardare dov’era prima il tizio, ma non lo vedo più.
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