“Un funghetto, trallallà… Uh! Due funghetti, trallallà…”
Quella mattina me ne andavo tutta allegra nel bosco a cercare funghi, nonostante la mia amica Susanna, a causa di un fortissimo mal di schiena, non avesse potuto accompagnarmi.
Non ero pratica dei quella zona, ma mi ero fatta spiegare bene come arrivare al luogo dove era solita trovare una sacco di Porcini. Così, alla guida della mia Jeep, ho risalito una strada sterrata sul fianco della montagna. Dopo circa un’ora, ho parcheggiato in una piazzola e mi sono addentrata nel bosco.
“Susanna aveva ragione su questo posto!” esclamo nella mia mente, trovandone uno dopo l’altro.
“Dai che faccio un bel bottino, così domani, polenta e funghi per tutti e quattro, e ne avanzeranno un bel po’!” rifletto, mentre mi tornano alla mente le immagini delle ultime domeniche a pranzo con Manuel, a casa della mia amica e di suo marito Gianpiero.
Perché, ai nostri mariti, quando siamo in compagnia, piace abbuffarsi. Poi, ci mettiamo tutti e quattro sul divano a guardare un po’ di televisione, in attesa di digerire e fare una passeggiata nel tardo pomeriggio.
Susanna ed io, ognuna accanto al proprio uomo, chiacchieriamo o commentiamo quello che vediamo in TV, mentre loro due sonnecchiano o fanno battute su quello che diciamo.
Qualche mese fa, in uno di questi pomeriggi di ozio post-gastronomico, mentre guardavamo un film, notai che la mia amica, facendo finta di niente, aveva portato la mano in prossimità del pacco di suo marito, spaparanzato accanto a lei. Senza farmi accorgere, avevo tentato di richiamare l’attenzione di Manuel su quel particolare, ma lui era troppo appisolato per darmi ascolto.
Dopo una ventina di minuti, durante i quali i massaggi di Susanna al pisello del marito si erano fatti più audaci ed evidenti, mi annunciò che lei e Gianpiero si sarebbero coricati in camera loro per un pisolino, aggiungendo che Manuel ed io avremmo potuto rimanere sul divano a fare lo stesso.
Non è mia abitudine riposare dopo pranzo, pertanto rimasi a guardare la televisione con Manuel ormai sprofondato nella pennichella.
Mentre mi preparavo il caffè, udii dei rumori che capii subito provenire dalla camera da letto di Susanna. Sorseggiandolo, andai in corridoio, mi avvicinai alla porta e realizzai distintamente che i due stavano scopando, dandoci dentro di brutto.
Fui presa da un certo imbarazzo e tornai a sedermi sul divano, finii di bere il caffè e non mi mossi, fino a quando Manuel si svegliò e mi chiese: “Dove sono Susanna e Giampiero?”
“Sono in camera loro a scopare!” risposi sottovoce.
“A scopare?” mi incalzò Manuel, sorpreso dalla mia affermazione.
“Sì, sì, amore. A scopare. Gli ho sentiti chiaramente…” replicai, raccontandogli anche quanto avevo visto, mentre erano ancora seduti vicino a noi.
Dopo una quarantina di minuti, i nostri due amici tornarono in soggiorno tutti sorridenti e decidemmo di uscire a fare quattro passi, prima che facesse buio.
Un paio di settimane dopo, altro pranzo insieme e stesso copione, se non fosse che Manuel, memore di quanto gli avevo raccontato, si tenne sveglio e vigile, in attesa di vedere se Susanna avrebbe replicato in nostra presenza le avances al marito.
Infatti, dopo un quarto d’ora dall’inizio del film, la mano di Susanna, che non aveva mai lasciato la presa sulla gamba destra del marito, iniziò a spostarsi furtivamente verso il suo inguine. Per un po’ rimase li, con piccoli movimenti impercettibili che le permettevano, con il dito mignolo, di solleticargli le palle.
Diedi un colpo di gomito a mio marito e gli feci notare la cosa. Lui sorrise e rimase con la sua espressione sorniona senza dire nulla.
I leggeri pantaloni di Gianpiero non riuscirono più a nascondere la sua erezione che presto si fece molto evidente. Susanna, attratta da quel gonfiore invitante, sempre con molta discrezione nei nostri confronti, prese a solleticarlo con altre due dita, fino a quando, un istante prima di alzarsi di scatto, non impugnò velocemente tutto il pacco del marito e subito staccò la mano. Quindi disse: “Noi andremmo a farci un pisolino. Voi rimanete pure qui, se volete.”
Prese per mano Gianpiero che si alzò dal divano e sparirono in camera loro.
Manuel ed io ci mettemmo a ridere, cercando di non farci sentire. Notai che anche lui era molto eccitato, così allungai una mano sul suo pisello e gli chiesi maliziosamente: “È venuta voglia anche a te?”
“Beh, un po’ sì. Devi ammettere che la situazione è piuttosto eccitante, con i nostri due amici che si toccano in nostra presenza, sebbene di nascosto, e poi vanno di là a sfogarsi.”
“Dai, vieni qui che ti do una bella pastrugnata.” gli dissi. Mentre si slacciava i pantaloni, andai a socchiudere la porta del soggiorno e recuperai dalla cucina qualche foglio di Scottex che sarebbe servito a raccogliere la sborrata che stavo per provocargli.
“Non avresti voglia di fare l’amore anche tu?” mi chiese.
“No, amore. Lo sai che, dopo aver mangiato così tanto, non è nelle mie corde fare sesso. Comunque, tranquillo: ci penso io a te.” conclusi con voce amorevole.
Volle che gli toccassi il pisello attraverso i boxer in cotone elasticizzato, così gli somministrai alcuni abili giochetti nei quali sono maestra, tipo fargli i grattini lungo tutta l’asta, alcuni più veloci e altri più lenti, e tastargli il glande con i polpastrelli di pollice e indice.
Il tessuto non tardò a bagnarsi completamente nella zona della sua cappella. Tutto quel liquido pre-eiaculatorio mi annunciava che non gli mancava molto a raggiungere l’orgasmo.
Così, gli abbassai i pantaloncini, gli impugnai il pisello, che aveva raggiunto durezza e dimensioni fuori dal comune, e iniziai a segarlo lentamente per una trentina di secondi, poi accelerai leggermente, continuando a guardarlo dritto negli occhi, facendo lo sguardo da vera porca che lo stimola tantissimo.
“Sei bello pieno, amore? Dai che ti svuoto per bene…”
“Ti prego, amore, fammi durare ancora un pochino…” mi implorò.
“Perché vorresti durare ancora un po’?” gli chiesi, come mio solito, con aria tra il beffardo, per la consapevolezza che sono sempre io a gestire il suo piacere, e il compiaciuto, felice di essere capace di dargli tanto godimento.
“Perché è troppo bello. Voglio godermelo ancora un po’…” rispose con voce supplichevole.
“E non sarebbe ancora più bello farti una bella sborrata?” Accelerai ancora la sega, sicura che ormai non sarebbe più stato in grado di trattenere la spruzzata.
Infatti, Manuel inarcò la schiena, serrò la mascella, quindi sentii il getto di sperma che percorreva l’asta e, un istante dopo, esplodeva in una schizzata maestosa che volò verso il soffitto, ad una altezza di almeno cinquanta o sessanta centimetri dalla sua cappella.
La carta assorbente, che gli avevo messo in grembo per raccogliere la crema, non servì a nulla. Ricadendo, i fiotti si sparsero disordinatamente, un po’ sulla sua camicia, gran parte sulla manica del mio golfino e anche sul copridivano.
“Cazzo, che casino!” esclamai, constatando l’abbondante spargimento di seme che avevo provocato. Quindi, mentre Manuel usava la carta, tornai in cucina dove mi pulii la manica del golf e recuperai una spugna per sistemare il divano.
Pochi minuti dopo esserci ricomposti, Susanna e Gianpiero uscirono dalla loro camera e vennero in soggiorno, si accomodarono sul divano e riprendemmo a chiacchierare come se niente fosse.
Quando Susanna ci invitò nuovamente a pranzo, Manuel ed io stabilimmo di non mangiare troppo, così che, se la mia amica ed il marito si fossero ritirati a fare sesso, come avevano fatto le volte precedenti, lo avremmo fatto anche noi.
Infatti, dopo i soliti quindici o venti minuti sul divano, la mia amica iniziò puntualmente a stuzzicare il marito.
Devo ammettere che la ricorsività di quella situazione stava proprio eccitandomi. Così, misi da parte ogni riserva e presi a fare lo stesso con Manuel.
Dato che non gradisco le situazioni ambigue e mi piace fare tutto alla luce del sole, non usai troppa discrezione nel toccare il pisello a mio marito: molto tranquillamente, gli appoggiai la mano sul pacco e, continuando a guardare la televisione come se niente fosse, glielo strinsi nella mano e glielo massaggiai spudoratamente.
Dopo qualche minuto, evidentemente Susanna lo notò e anche lei accantonò la sua riservatezza, manipolando il cazzo di Gianpiero senza ritegno, attraverso i pantaloni.
Il marito le disse qualcosa, quindi si alzarono dicendo: “Noi andiamo di là. Fate con comodo e divertitevi.”
Susanna mi mandò un bacio, mi sorrise maliziosamente e, per mano al marito, sparì nel corridoio, dopo aver chiuso la porta del soggiorno.
Non dicendoci nulla, presi dall’eccitazione, Manuel ed io ci spogliammo velocemente e, senza troppi preliminari, iniziammo a scopare molto appassionatamente.
Quella situazione fuori dal consueto e l’immaginazione che i nostri amici avrebbero potuto sentirci o, addirittura, entrare in soggiorno da un momento all’altro, mi aveva instillato un’incredibile eccitazione, tanto che, dopo pochi minuti che Manuel mi stava martellando la passera senza tregua, dovetti confidargli che ero già pronta a venire.
“Veniamo insieme, amore.” mi sussurrò con le parole inframezzate dai sospiri di piacere.
Al che, lasciai che l’orgasmo si sfogasse e venni in maniera devastante, mentre sentivo il getto di sperma di Manuel che mi schizzava contro l’utero.
Continuammo a baciarci per un po’, poi ci guardammo negli occhi con aria complice.
“Cazzo, che scopata!” esclamai a bassa voce, mentre Manuel aveva ancora il cazzo duro piantato fino in fondo dentro di me.
“Me ne fai fare un’altra?” mi chiese.
“Io sono a posto, non aspettarmi.” gli risposi, muovendo il bacino, dimostrandogli la mia disponibilità a soddisfarlo nuovamente.
Prese a scoparmi con estrema potenza, mentre la mia fica lo assecondava in ogni modo.
“Spero solo che loro non abbiano ancora finito e non entrino adesso.” sussurrai.
Evidentemente, l’idea di essere colti sul fatto stimolò molto Manuel che, dopo qualche istante, mi sparò dentro un’altra abbondante sborrata.
Completamente svuotato e soddisfatto, si staccò da me. Appena tolse il cazzo, fu inevitabile che l’enorme colata di liquido che uscì dalla mia vagina andasse ad imbrattare il copridivano.
Invitai Manuel ad andare a recuperare la carta assorbente.
“Devo assolutamente andare in bagno.” gli dissi. Così, senza rivestirmi, mi affacciai dal soggiorno per assicurarmi che non ci fossero in giro i nostri amici, percorsi velocemente il corridoio, tenendomi una mano sulla patatina per tamponare la fuoriuscita e infilai la porta del bagno.
Appena entrai, trovai Susanna, anch’ella senza vestiti, seduta sul water, che stava facendo pipì.
“Ciao!” disse sorridendomi, mentre io, completamente nuda e con la mano inequivocabilmente in mezzo alle gambe, arrossivo imbarazzatissima.
“Tranquilla, cara. Non preoccuparti, siamo amiche, no? Di cosa ci dovremmo vergognare? Che scopiamo con i nostri amati mariti? Pensa a tutte quelle che non lo fanno…” osservò, cercando di togliermi dall’evidente imbarazzo.
“Certo, cara. Hai ragione. Non c’è niente di cui vergognarsi.” replicai convinta, mentre mi accovacciavo sul bidè, aprivo l’acqua e lei mi passava una salvietta pulita.
“Fai con comodo. Vado a preparare il caffè.” concluse, dandomi una carezza sulla testa e uscendo dal bagno.
Appena terminai di asciugarmi, Susanna tornò da me portandomi i vestiti.
Arrivata in soggiorno, trovai Manuel e Gianpiero che stavano chiacchierando di automobili, così raggiunsi Susanna in cucina. Stava versando il caffè nelle tazzine. Le diedi un bacio sulla guancia e mi fregai istintivamente le mani, piena di gioia per quel nuovo livello di complicità che la mia amica ed io avevamo raggiunto.
Assorta da tutti questi piacevoli ricordi, non mi ero resa conto di quanta strada avessi percorso nel bosco. Guardai dentro al cestino e lo trovai pieno di splendidi funghi, però il tempo era cambiato: si era fatto umido e si stava alzando la nebbia.
L’orologio segnava le quindici e dieci: erano trascorse cinque ore da quando avevo iniziato la mia ricerca. Mi guardai intorno e non riconobbi i posti.
“Dove sono finita? E adesso? Da che parte sarà la mia auto?”
Iniziò a prendermi un po’ di panico. “Cazzo, mi sono persa!” pensai, mentre tentavo di orizzontarmi, ripassando nella mente il percorso fatto, zizzagando tra gli alberi.
Presi il cellulare ma non c’era campo, quindi niente mappe. La localizzazione satellitare mi mostrava come un puntino in mezzo ad una vastissima area verde, senza riferimenti a strade, sentieri o altro.
“Porca puttana!”
Ad un tratto, fermandomi per guardarmi intorno per l’ennesima volta, udii in lontananza il flebile rumore di una motosega. Non riuscii subito a distinguere da quale direzione provenisse, così decisi che avrei provato a camminare in linea retta, per qualche minuto, verso sinistra. Man mano procedevo, il rumore mi sembrò affievolirsi, così cambiai direzione ed ebbi ragione.
Sebbene la nebbia si fosse infittita, il ronzio incessante si era fatto più distinto, quindi proseguii sui miei passi.
Dopo circa un quarto d’ora, il rumore dell’attrezzo a motore era molto vicino, tanto che riuscii anche a distinguere i tonfi dei rami che cadevano sulle foglie di cui era coperto il sottobosco.
Con mia grande gioia, raggiunsi uno spiazzo dove trovai due boscaioli al lavoro, intenti a sezionare il tronco di un grosso albero che avevano abbattuto.
Mi davano le spalle e indossavano delle cuffie per proteggersi dal rumore, per cui non si accorsero di me.
Presi a urlare: “Ehi! Buongiorno!” ma non mi sentirono subito. Dovetti insistere parecchio e avvicinarmi il più possibile a loro.
Finalmente, grazie ad una pausa del frastuono, uno di loro sentì la mia voce e si voltò nella mia direzione.
Appena mi vide, strabuzzò gli occhi e fece un balzo all’indietro, tanto che inciampò in un ramo e rischiò di cadere.
“Orco boia!” esclamò con il suo vocione rude e profondo, rimanendo a fissarmi.
Il collega lo vide, si girò anche lui per capire cosa aveva tanto spaventato il suo compagno e rimase anch’esso impietrito dalla sorpresa, con la motosega serrata nelle mani.
“Buongiorno!” ripetei il saluto con voce squillante, sorridendo.
“Casso, ma chi l’è ‘sta qua?” chiese all’altro con la faccia più incredula che io avessi mai visto.
Mi avvicinai lentamente e loro rimasero ancora immobili e guardinghi.
Uno dei due, con la cadenza dialettale tipica della zona, abbozzò un saluto balbettando: “Bòn giorno, siòra.”
“Buongiorno a voi,” ripetei, aggiungendo, molto sorpresa dello spavento che avevo provocato in loro, “scusate se ho interrotto il vostro lavoro, ma credo di essermi perduta. Mi sono inoltrata nel bosco alla ricerca di funghi e ho perso l’orientamento.” conclusi, porgendo loro il cestino che tenevo in mano, per avvallare le mie affermazioni e tranquillizzarli.
Alle mie parole, i due si rilassarono, posarono i loro attrezzi e si tolsero le cuffie.
Mi vennero incontro e uno dei due disse: “Ci scusi, sa, ma ci ha spaventato. Con le dicerie e le leggende che parlano di strane creature che popolano i boschi, vedere lei, con tutti quei capelli biondi e quegli occhi che, se non fossero così belli, sembrerebbero quelli di un demonio…”
Non potei fare a meno di scoppiare in una risata, talmente fui divertita dall’essere apparsa loro come una ninfa dei boschi.
“Tranquilli, ragazzi. Sono completamente umana.” replicai e anche loro risero.
Mi strinsero la mano e si presentarono: “Mi son il Bepi e lù l’è il Toni, el me amis.”
“Molto piacere, sono Monica.”
“Molto piacere, Monica. Ci scusi ancora, ma noi semo persone semplici.” aggiunse, facendomi molta tenerezza.
Il Toni disse: “Osti, ha fatto buona caccia!” riferendosi al contenuto del mio cestino.
“Eh, sì, ma adesso il problema è tornare alla mia auto.”
“Da dove l’è vegnuta su?” mi chiese il Bepi.
“Dal paese, ho imboccato la sterrata che passa accanto ad una chiesetta, ho passato il ponte sul torrente, poi ho preso a destra. Ho percorso una decina di chilometri, poi ho parcheggiato in uno spiazzo dove c’è una fontanella. Infine, girovagando, sono arrivata fin qui.”
“Urca! Ma sono quasi venti chilometri se non si taglia nel bosco. Ne ha fatta di strada a piedi!”
“Eh, sì. Forse sono di più.” aggiunse il Toni.
“Cavolo!” dissi sconsolata, sospirando al pensiero che, di buon passo, mi ci sarebbero volute almeno quattro ore per tornare a valle.
“Uè, siòra, no la si preoccupi, sa. Ce lo diamo noi un passaggio. Vero Bepi?”
“Ma certo! Mi, de laurà, ne ho abbastanza par incoj. Mola qui tucc e andemm.”
Al che, si tolsero i guanti e i caschi, recuperarono altre loro cose e si avviarono verso il loro camioncino, parcheggiato poco distante.
Li seguii. Riposero tutto nel cassone e mi invitarono a salire nella cabina.
Il Toni si mise alla guida, mi fecero accomodare sul seggiolino centrale e il Bepi si sedette nel posto di destra. Mi prese dalle mani il cestino dei funghi e me lo fece mettere tra i piedi.
“Lo tenga fermo bene e si tenga bene anche lei. La strada è un disastro e si salta in continuazione.” mi ammonì.
Guardai davanti e accanto a me, ma non trovai maniglie o altro a cui aggrapparmi.
Partimmo e mi resi subito conto di quanto fosse vero ciò che mi era appena stato detto.
Gli sballottamenti provocati dalla strada dissestata erano continui e talvolta violenti.
Sul sedile saltavo come una molla e, diverse volte, finii addosso all’uno e all’altro.
Non sapendo dove tenermi, istintivamente mi aggrappai alle loro gambe, massicce e muscolose.
Il camioncino, vecchio e scassato, ad ogni sobbalzo emetteva rumori di ferraglia contorta e cigolii di ogni tipo, tanto che sembrava doversi disfare in mille pezzi da un momento all’altro.
Più o meno a metà strada, mi stava venendo da vomitare e avevo l’impellente necessità di fare pipì, così chiesi loro se potevamo fare una sosta.
Ci fermammo in uno slargo e mi fecero scendere. Corsi dietro al primo cespuglio che trovai e, senza preoccuparmi di nulla, mi abbassai leggings e mutandine e lasciai andare uno scroscio incredibile di pipì.
Quando mi rialzai e mi sistemai, i due erano scesi dal camion, mi avevano lanciato qualche occhiata furtiva e stavamo fumando una sigaretta.
“Ho bisogno di fare una piccola pausa, ragazzi. Altrimenti rischio di stare male ancora.” dissi tornando da loro.
“Ha mangiato, siòra?”
“Purtroppo no. Forse è per questo che non mi sono sentita bene.”
Uno dei due recuperò dal cassone un contenitore, lo aprì e me lo porse. C’erano dei biscotti: “Questi li gà fati la mia mama. Ne prenda qualcuno.” disse il Toni.
“Mmm, ottimi!” replicai, addentandone uno.
“Eh, sì. Ogni tanto, ci vuole qualche conforto. Facciamo una vita dura, noi, quassù.”
“Siete sposati?” chiesi, curiosa di sapere qualcosa in più su di loro, mentre addentavo il secondo biscotto.
“No, non ancora. C’abbiamo le fidanzate, ma le vediamo solo la domenica. Per il resto, sempre qua a lavorare.” mi spiegò l’altro.
“Certo che è un bel sacrificio stare così tanto tempo lontani dalle vostre donne.” osservai con voce rammaricata.
“Eh sì,” continuò il Bepi, “le uniche soddisfazioni che c’abbiamo, durante la settimana, sono il pranzo e qualche smanettata…”
“Smanettata?” chiesi, non sicura di aver capito bene.
“Ma sì, smanettata al pistolino.” rispose, mimando il gesto.
Sorrisi e, involontariamente, lasciai andare uno sguardo malizioso.
“E lei? Lei è sposata?” mi chiese l’altro.
“Sì, sono sposata da quasi vent’anni.”
“Beato il suo marito, con una donna bella come lei…”
Compiaciuta per il complimento, recuperai dalla cabina il mio zainetto da cui presi la bottiglietta d’acqua. Nel frattempo, sentii che uno dei due diceva, a bassa voce: “Oltre che bella, deve essere anche molto brava con i pistolini. Hai visto che mani e che dita lunghe che c’ha?”
“Orco boia. Non mi ci far pensare. Con la voglia che c’ho adesso, le darei anche una settimana di stipendio per una bella smanettata.”
Udendo queste parole, il mio istinto di crocerossina emerse prepotente e mi sentii in dovere di ricompensare la loro gentilezza per avermi tolta da una brutta situazione. In fondo, non mi sarebbe costato nulla e gli avrei resi felici.
Così, tornata da loro, dissi: “Ragazzi, sono molto lusingata dal complimento che mi avete fatto…”
“Spero che non si sia offesa…” si affrettò a dire il Toni, arrossendo.
“Assolutamente no, ragazzi. Mio marito ripete sempre che sono un’abilissima smanettatrice, così, se volete, per ringraziarvi, posso farvi provare quanto sono brava.”
I due si guardarono, increduli di aver udito la mia proposta spudorata.
“Beh, se per lei non è un problema, a noi ci farebbe piacere, vé!” esclamò il Bepi, guardando il compagno.
“Ok, ragazzi. Chi vuole essere il primo?”
I due si guardarono ancora e sorrisero candidamente. Poi, il Toni disse: “Dai, prima il Bepi che l’è il più anziano.”
“Grassie, Toni. Sei un amico!” replicò, battendogli una mano sulla spalla.
Gli presi una mano e lo portai contro il lato della cabina del camion. Gli stampai un bacio sulle labbra e gli abbassai la cerniera della tuta da lavoro.
Infilai la mano e raggiunsi il suo pistolone che trovai già durissimo. Glielo manipolai un po’, facendolo girare nel palmo della mano e dandogli qualche leggera segata. Quindi, lo invitai ad abbassarsi la tuta.
Liberatolo completamente, mi si presentò in tutta la sua fierezza. Era proprio un bell’arnese e mi piacque molto trattarlo degnamente.
Il Bepi non proferiva parola e non distoglieva lo sguardo dal lavoro che gli stava facendo la mia mano. Il Toni, tutto sorridente, si gustava la scena e immagino non stesse più nella pelle, attendendo quanto sarebbe spettato a lui.
Aumentai la velocità delle segate e, nel frattempo, strinsi maggiormente le dita attorno al randello. Ad un tratto, il Bepi mi chiese: “Le dispiace se la tocco un pochino? Con gentilezza, nè.”
Gli sorrisi: “Certo, caro. Sennò, che sega sarebbe?”
Al che, allungò timidamente la mano e me la posò su una tetta, la tenne ferma una decina di secondi, poi prese a massaggiarmela delicatamente.
Per un momento, staccai la mano da lui, le sputai nel palmo e glielo riagguantai. Mi accorsi dell’ulteriore irrigidimento del suo cazzo e gli chiesi: “Devi venire?”
“Oh, sì. Sto per venire.” rispose ansimando.
“Bravo, caro. Fai vedere alla tua Monica quanta crema sai spruzzare.”
Portai al massimo la profondità e la velocità delle segate. Mi tolse la mano dal seno, si aggrappò alla mia spalla ed emise un profondo rantolo che cercò di soffocare.
“Urla! Urla tutto il tuo godimento che non ci sente nessuno.” lo incitai.
Lui inarcò la schiena più che poté ed emise un urlo sovrumano, a cui seguì immediatamente il potente getto di sperma che volò ad un metro di distanza.
Continuai imperterrita a segarlo, spremendolo fino all’ultima goccia. Chiuse gli occhi e si accasciò contro il camion, non notando lo sguardo di fierezza che avevo in viso.
Mi voltai verso il suo amico, così fu lui a vederlo. Gli feci notare anche la mia mano tutta impiastrata, così andò a recuperare uno straccio che mi passò.
L’amico riuscì a riprendersi fisicamente, ma non fu ancora in grado di proferire parola. Si fece da parte, si mise sotto un pino e lasciò il suo posto al Toni.
“Pronto, caro?” gli chiesi con la porcellaggine stampata in volto.
“Sono pronto, mia siòra!” rispose, mentre si abbassava pantaloni e slip.
Cosparsi ancora la mano di saliva, glielo impugnai delicatamente e presi a lavorarlo lentamente ma in profondità.
Il ragazzo era abbastanza carino e aveva uno sguardo intrigante, così riuscii a giocare con lui con maggiore naturalezza.
Portai il mio viso vicino al suo, tanto che riuscisse a sentire il profumo della mia bocca e iniziai a stuzzicare anche la sua mente: “Dimmi, caro. La tua fidanzata ti fa questi lavoretti?”
“Oh, sì. Ogni tanto… Ma non è così brava come te…”
“Ah, sì? Secondo te, sono brava?”
“Oh, sì, siòra. Molto brava.” rispose, anche lui non distogliendo lo sguardo della mia mano che, mentre lo segavo, ruotavo in ogni direzione, facendogli passare il cazzo anche tra le dita.
“Do tante smanettate anche a mio marito, sai?”
“Eh, lo immagino. Fortunato lui!”
“Adesso sei tu ad essere fortunato. Senti com’è abile la mia mano a lavorare il tuo bellissimo cazzone?”
“Le piace il mio pistolino?”
“Oh, sì che mi piace. Se non fossi sposata, me lo prenderei da tutte le parti…”
“Peccato che è sposata. Dico per me, intendiamoci…”
“Ma certo caro. Però, penso che al mio maritino non dispiacerebbe se tu mi toccassi un po’…”
Al che, visto che lui non osava farlo di sua iniziativa, gli presi la mano e gliela misi sulla mia passera, ben disegnata dai leggings aderenti.
“Accidenti com’è…, Com’è…”
“Morbida? Carnosa? Patatosa?” lo aiutai a pronunciarsi.
“Sì, ecco, patatosa…”
“Mmm, e ti piace la passera patatosa?”
Accelerai la velocità degli affondi. Sentivo che non avrebbe resistito più di altri dieci secondi.
“Stringila forte! Senti come ti vorrebbe…” dissi, fissandolo negli occhi, trasportata dalla lussuria.
La strinse e venne all’istante. Emise un profondo “Ahhh” e tre o quattro spruzzate di crema, densissima e giallognola, che mi rimasero quasi tutte nella mano. A dire il vero, se avesse resistito ancora un po’, sarei venuta anch’io, tanto mi era piaciuto il modo come mi aveva toccata.
Gli diedi un bacio, poi mi staccai da lui e recuperai lo straccio. Si ricompose e fummo raggiunti dal Bepi che si era gustato tutta la scena.
“Ok, ragazzi. Contenti? Adesso sono pronta a farmi questi altri dieci chilometri di scuotimenti.” dissi ridendo.
“Grassie, Monica. Sei stata veramente un angelo. Vero Bepi?”
“Certo, Toni, ma adesso vai piano e fai in modo che la siòra arrivi alla sua macchina sana e salva.”
Salimmo sul camioncino e ripartimmo. Mi chiesero alcune cose su di me e su mio marito, e io fui fiera di raccontare loro del nostro amore e della nostra complicità.
Finalmente, la strada si fece meno dissestata e, poco dopo, arrivammo alla mia Jeep.
“Eccoci arrivati!” esclamai felice, indicando il mio mezzo.
“Ah, la Jeep. Bella macchina!” disse il Toni.
“Orco dighel! Proprio bella!” rincalzò il Bepi.
“Grazie ragazzi. Sono stata molto felice di avervi incontrati e molto grata che mi abbiate tolto da un impiccio.” dissi, mentre davo un bacio sulla guancia a ciascuno e recuperavo il mio cestino di funghi.
“Grassie a lei, bellissima siòra. Per noi, lei è veramente la fata dei boschi, giuro!”
Risi, salii sulla mia auto e misi in moto. Il Toni, prima di partire, mi spiegò che, qualche decina di metri più avanti, avrei trovato uno slargo dove avrei potuto fare inversione.
Mi salutarono ancora allegramente, quindi proseguii fin dove mi avevano spiegato.
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