Dopo le prime fasi di ebrezza nel ritrovarsi single a 24 anni, dopo 4 anni di relazione con un ragazzo possessivo e poco divertente sotto le coperte, mi ero sentita travolta dalla tristezza del non poter dividere con qualcuno dei momenti canonici: San Valentino, Natale, un anniversario, una sana scopata. Con l’avvicinarsi del Capodanno, poi, ero il tormento delle mie amiche; era già una festa che non amavo particolarmente, passarla da sola o con i miei genitori mi faceva solo venire voglia di scappare. Proprio una mia amica, invece, adorava Capodanno, e ogni anno organizzava delle mega feste – e mi voleva a quella della notte di San Silvestro 20**, che quella volta si sarebbe svolta in una casa vacanze sul lago di Garda, che A. aveva affittato per i suoi amici e quelli del fidanzato, R.
R. era il motivo della mia riluttanza a partecipare: grandissimo amico del mio ex, bono da sfinimento, con quell’aria da chi sa il fatto suo nella vita e a letto, a quanto diceva A., era un gran maiale, che non faceva mai mancare qualche nuova idea per eccitare la compagna, ed era ben dotato: in poche parole, tutto ciò che sognavo in quel momento, dopo mesi di astinenza e dopo anni di sesso poco appagante. Ad ogni modo, avevo deciso di passare il Capodanno con loro, confidando nel fatto che tra le 40 persone che avrebbero partecipato alla festa avrei trovato qualcuno con cui trascorrere una bella serata – ma, per precauzione, mi ero messa in valigia il kit di sopravvivenza: il mio fidatissimo rabbit e i miei amati morsetti per capezzoli.
La sera del 31 dicembre, dopo essere arrivata alla location e aver salutato calorosamente A. e ancora più calorosamente R., mi stavo preparando per la cena, ma A. aveva altri piani. Si era presentata nella mia stanza per dirmi che F., un amico di R., aveva tutta l’intenzione di conquistarmi, e mi aveva anche aggiornata sulla propria situazione sentimentale – la sua relazione con R. era un po’ traballante, lei lo aveva tradito con un collega e lui, da quando lo aveva saputo, le negava il sesso, per puro principio, nonostante si trovasse con delle erezioni visibilissime anche nei momenti meno opportuni. Da quando A. mi aveva lasciata sola, non ero più riuscita a concentrarmi su null’altro che non fosse il fatto che R. fosse in astinenza volontaria e su quello che avrei dato pur di potergli alleviare quella sofferenza. Pur decidendo che R. fosse territorio off-limits, ovviamente, mi ero comunque eccitata abbastanza da pensare di dare una chance al suo amico F.: niente intimo, ché tanto l’unico rosso che porta bene è il vino, il seno nudo strizzato nel bustino rigido senza spalline del vestito, tacchi alti. Sulla porta, pronta per scendere a cena, mi ero fermata per mettere in carica il rabbit, perché la scaramanzia non è mai troppa, e, perché no?, mi ero messa i morsetti: avevo scoperto i miei grossi seni, mi ero tirata i capezzoli con le dita e li avevo avvolti nel cerchio del congegno, poi li avevo stretti con le viti. “Finalmente”, pensai, sentendo quel misto di dolore e piacere che mi eccita sempre da morire. Mi sentivo davvero confidente, oltre che bagnata.
La cena era stata davvero magnifica, con tanto cibo e tanto alcool, tanto che A., triste com’era della sua situazione sentimentale, poco dopo mezzanotte e i brindisi di rito alla luce dei fuochi d’artificio, era quasi crollata per colpa del vino bevuto, e stava seduta sulle gambe di R. mentre gli altri ballavano e festeggiavano. Mi ero avvicinata per accertarmi delle sue condizioni quando R, mi aveva fatto cenno di abbassarmi per parlare. “Come sta andando con F.?”, mi aveva chiesto; “male, è ubriaco fradicio, sta di là con gli altri amici”, gli avevo risposto cercando di sovrastare la musica. “Allora posso dirlo”, ghignava R., “sto apprezzando da morire i tuoi morsetti per capezzoli. Li vedo sotto al vestito… li trovo molto eccitanti”, e aveva spostato leggermente A., mostrandomi il rigonfiamento dei suoi pantaloni. Ero avvampata, ma non riuscivo a distogliere lo sguardo, finché R. non aveva rimesso A. a coprirgli l’erezione, perché un’altra amica, L., si era avvicinata per chiacchierare – frangente in cui io mi ero messa a destra della coppia, per permettere alla ragazza di parlare con R., il quale, seduto con le spalle al muro, aveva pensato che fosse una buona idea, mentre parlava con L., di risalire l’interno della mia gamba con la mano fino ad accarezzarmi la figa, nuda – la sentivo pulsare di desiderio, umida, desiderosa, volevo quelle dita dentro di me da morire. Infatti, involontariamente, avevo spinto indietro il culo e allargato leggermente le gambe, talmente tanto desideravo essere penetrata. R. non era uno che si faceva attendere, e in pochi secondi mi aveva infilato un dito, poi due, nella figa, facendomi bagnare definitivamente, oltre che sospirare. Appena L. si era allontanata, R. aveva sfilato la mano da sotto al mio vestito, si era leccato le dita e, mentre stava per dirmi qualcosa, aveva guardato A. risvegliarsi sorridente. In un secondo, mi ero già allontanata, rassegnata al mio rabbit.
Dopo essere rientrata in camera, mentre mi stavo spogliando, mi era arrivato un messaggio da A.:
“Tutto bene? Non ti ho più vista”.
“Sì, sono in camera, ero stanca”.
“Sei stanca anche per vederti con me? Vorrei terminare il discorso di prima”.
“No, certo! Vieni pure, la camera è sempre la 201”.
Pochi minuti dopo, avevo sentito bussare alla porta. Aprendo, mi ero trovata davanti chi mai più avevo sperato – R e il suo cazzo gonfio dentro ai pantaloni. “Oh, mi stai anche rendendo il lavoro facile”, aveva sogghignato chiudendosi la porta alle spalle, guardando il mio seno quasi nudo del tutto per via del vestito mezzo slacciato. “Sai, pensavo fosse la mia amica, mi ha vista in ogni situazione”, avevo risposto mettendogli una mano sul pacco a tastare l’erezione. “Sì, la stessa amica che ti invidia quelle tette da una vita e che mi ha detto bene quanto ti piaccia il sesso spinto”, aveva ringhiato, eccitato, R., tirandomi i capelli indietro per farmi scoprire il collo e baciandomelo – per poi spingermi in ginocchio sul pavimento e slacciarsi i pantaloni. Finalmente aveva liberato quel grosso cazzo, venoso e con la punta leggermente arcuata verso la pancia di R., duro come il marmo, che mi ero appena scoperta desiderosa di assaggiare in ogni modo. Mi era appena aumentata la salivazione, ero in estasi, quando R. mi aveva preso la testa e mi aveva accompagnato la bocca alla punta – la bagnavo copiosamente mentre godevo del sapore, mentre con una mano lo segavo, poi lasciavo la punta con la bocca e proseguivo sull’asta, mentre la mano andava ad accarezzare la cappella, e mentre mi spostavo a succhiare anche i coglioni le mani segavano quel cazzo magnifico e R. ansimava di piacere e si muoveva dando dei piccoli colpi di reni – oh, se desideravo che mi scopasse la bocca, e glielo avevo appena fatto capire, prendendo in bocca tutto quel che potevo di quel membro che mi pareva entrasse solo per poco. R. era intuitivo, e mi aveva messo una mano sulla testa e una sotto il mento, “vediamo se ci entra tutto”, aveva detto, iniziando a scoparmi la bocca al ritmo di quello che speravo facesse poi nella mia figa, ansimando e grugnendo si piacere, mentre io reprimevo il riflesso del vomito, godevo ed ero sempre più bagnata, e mi portavo la mano alla figa per toccarmi. Mi ero appena infilata due dita dentro quando R. aveva deciso di sfilarsi dalla mia bocca, e, segandosi quel cazzo fradicio e sempre più gonfio, mi aveva chiesto di spogliarmi. Slacciato del tutto il vestito, avevo liberato i seni, duri di eccitazione, con i capezzoli ipersensibili per colpa dei morsetti che li stringevano e del loro peso. “Oh, A. non esagerava, capisco perché te le invidia”, rideva R. mentre mi tirava i morsetti strappandomi un gemito di eccitazione. “Ti prego, scopami”, mugolavo mentre gli segavo il cazzo e lui giocava con i miei capezzoli – R. non voleva farselo ripetere e mi aveva buttata sul letto e, mentre riprendevo il fiato, mi stava già aprendo in due con quel cazzo che mi sentivo battere dietro l’ombelico. “Cazzo, sei fradicia”. Usciva e rientrava lentamente, per farmi assaporare ogni centimetro che mi infilava nella figa, facendomi mugolare a ogni spinta. Poi cambiava ritmo, più veloce, fino a farmi urlare dal piacere, per poi zittirmi con le dita di una mano bagnate nella mia figa prima – mi sentivo solo di volerne ancora, e ancora, e ancora di più – fino a quando lui si era fermato per stringere di più i morsetti attorno ai miei capezzoli, lì avevo perso la testa. “Ma puoi bagnarti anche di più?”, mi aveva chiesto impalandomi nuovamente, lento ed inesorabile, “Sì, se ti cavalco sì”, avevo ansimato sotto i colpi del suo cazzo. “Oh, sì, mettiti sopra tu. A. non si bagna così… Mi eccita da morire”, mi aveva detto sfilandosi da me e sdraiandosi sul pavimento, mentre si segava. Mentre lo ammiravo dal letto, avevo deciso di rendere la faccenda ancora più bagnata, se possibile. Prima di sedermi a cavalcioni su R., infatti, mi ero allungata a prendere il rabbit, con sua somma sorpresa – lo avevo già acceso prima che potesse dire qualsiasi cosa, e me lo stavo già passando sul clitoride mentre mi infilavo il suo grosso cazzo nella figa. Mi sentivo così piena, con la cappella che mi sembrava toccasse la bocca dell’utero, le sue palle che mi sbattevano sul culo mentre R. spingeva per aiutarmi nel movimento e io facevo su e giù sul suo cazzo, il rabbit che vibrava massaggiandomi il clitoride – ansimavo e urlavo di piacere mentre R. era concentrato a non venire e mi aveva tolto i morsetti per potermi succhiare e mordere i capezzoli per poi stringerli tra le dita e torcerli. “Mi stai bagnando fin sotto le palle”, ringhiava – convincendomi ad andare ancora più veloce per godere di quel cazzo ancora di più. “Oddio vengo”, ansimavo mentre continuavo a cavalcarlo sudata e finalmente con un cazzo nella figa. Sentendomi dire così, R. aumentava il ritmo delle sue spinte e la stretta delle dita sui capezzoli, mentre io aumentavo la velocità del rabbit sul mio clitoride – fino a venire in un orgasmo urlato e fradicio, con le pareti della figa che si chiudevano sul cazzo di R. al ritmo del mio piacere, lasciandomi sfinita e indolenzita. Non avevo neanche avuto il tempo di riprendere il fiato che R. si era sfilato e mi aveva detto, mentre si segava, “devo venire anche io… dove preferisci?”. Aveva appena finito la frase che, nel dire così, mi aveva fatto venire voglia di bere da quel cazzo fonte di tanta gioia – e glielo avevo già preso in bocca rimettendomi in ginocchio sul pavimento. R. aveva ripreso a scoparmi la bocca, senza risparmiarsi le spinte mentre mi teneva la testa, sempre più veloce nel ritmo, mentre mugolava sempre più forte, fino a che non avevo sentito il cazzo gonfiarsi ulteriormente e spingere contro le pareti della mia bocca e lui grugnire mentre la sua calda e dolce sborra mi inondava la gola e la bocca, dissetandomi finalmente.
Mentre gli stavo pulendo il cazzo con la lingua, il mio smartwatch mi avvisava di una notifica – un messaggio di A., che mi chiedeva se avessi visto R., perché era quasi mattina e lei si era svegliata e non lo aveva trovato nel letto, e se davvero lei fosse venuta a parlarmi come dai messaggi che mi aveva inviato prima. Con l’ultima goccia di sborra del suo uomo sulla punta della lingua, le avevo risposto che certo che lei era venuta da me, e che però non sapevo dove fosse R. – poi lo avevo salutato accendendo il rabbit e infilandomelo prima in bocca e poi nella figa, mentre lui mi guardava chiudendo la porta della mia stanza.
Quella è stata la prima delle mie scopate da single – ne sono seguite molte altre. Prosegue…


*il racconto è basato su una storia vera, ma sono stati modificati i luoghi e i nomi per tutelare la privacy di chi ha preso parte agli eventi.
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