Le voglie perverse di Giovanna.


 


Giovanna e il marito si stavano preparando per la cena.


Lei disse: “Ma ci devo proprio venire? Lo sai che non mi piacciono queste cose Fantozziane! Potevi dire che non sto bene! E poi c’è quell’antipatico del tuo collega Giancarlo…. Lo sai che non lo sopporto!”


Il marito con calma rispose: “Ti prego Giovanna… Lo sai che alla direzione fa piacere che le mogli dei dipendenti partecipino a questi eventi… E poi non sei quasi mai venuta… E inoltre andiamo in un ristorante dove si mangia benissimo”.


A Giovanna del cibo non importava molto.


Tra lei e suo marito le cose non andavano bene. Ma non ne parlavano mai.


Tra loro ormai, il sesso era praticamente inesistente. Figli non ne avevano, e la vita coniugale scorreva piatta e monotona. Giovanna odiava la monotonia. Dentro di lei ardeva un fuoco mai sopìto. Non aveva mai tradito il marito, sperando che le cose, un giorno, sarebbero cambiate. Ma non era mai successo.


A 44 anni era ancora una splendida donna. Fisico asciutto, ma con belle gambe tornite e un culo così alto che (se ne accorgeva sempre) molti uomini guardavano con desiderio.


Il seno, una terza abbondante, era ancora alto e sodo. Più di un’amica le aveva chiesto se avesse fatto un intervento di chirurgia plastica.


Lui continuò: “E poi Giancarlo è simpatico dai! E comunque devo restare in buoni rapporti con lui. Tra non molto diventerà un mio superiore, lo sai… Mi fa sempre i complimenti! Mi dice che ho una bella moglie!”.


“E secondo te perché lo fa? Non per farti piacere!”


Il marito non raccolse. Nel frattempo, Giovanna aveva indossato le calze nere e le stava fissando al reggicalze.


Portava sotto un minuscolo perizoma. L’esile filo della mutandina le solleticava piacevolmente il buco del culo.


Era perfettamente truccata. Il tacco alto e l’abitino nero attillato esaltavano la sua bellezza. Giovanna era un gran pezzo di fica.


“Andiamo?” Disse lui. Come sempre, nessun complimento alla bella moglie. Erano come fratello e sorella.


Giovanna era stanca di questa situazione.


Il marito, grassoccio e pelato, incarnava le sembianze del ragioniere sottomesso e sfruttato.


“Andiamo…” Rispose una triste Giovanna.


Dopo mezz’ora di auto raggiunsero il ristorante. Una magnifica villa barocca del seicento, ospitava uno dei luoghi della migliore cucina siciliana. Laura disse al marito: “Ti prego… non bere tanto… L’ultima volta sei stato tanto male, ricordi?” In effetti lui, spesso esagerava con l’alcol. Da qualche anno non perdeva occasione di bere: aperitivi, amari, birra e vino. A 55 anni ne dimostrava almeno 15 in più.


Continuò: “E poi fa in modo che Giancarlo non si segga vicino a me! Capito?”


Egli non rispose. Si limitò a grugnire.


Parecchi ospiti erano già arrivati. Giovanna venne presentata dal marito al Direttore Generale che non si trattenne dal dire: “Hai capito il nostro ragioniere? Dove l’ha tenuta nascosta, finora, questa splendida creatura? Lui arrossì.


Giovanna notò che tutti gli uomini la guardavano ammirati. Poteva percepire il profumo degli ormoni dei maschi. E questo le faceva piacere.


Giancarlo arrivò di corsa passando davanti al ragioniere e si produsse in un cerimonioso baciamano alla bella moglie. “Giovanna! Quanto tempo! Sei più bella che mai! Se tu fossi mia moglie ti tratterei come una Regina!”


Era questo che non piaceva di Giancarlo a Giovanna. Quell’odioso modo di fare. Quella presunzione arrogante. Sicuramente, lui sapeva di essere un gran bell’uomo. E ne approfittava.


“Questa sera voglio cenare vicino a te!” disse.  “Ragioniere! Nulla in contrario, spero!”


Il marito, imbarazzato assentì. Assentì con un’espressione idiota sul viso.


Giovanna sarebbe sprofondata. Si vergognava di lui.


Al tavolo, la splendida siciliana, si trovò Giancarlo alla sua destra. “Proprio una gran bella serata…” Pensò.


Il cibo era ottimo, e i vini fantastici. Giovanna aveva voglia di bere. Voleva scacciare quel senso di impotenza che la attanagliava. Notò che il marito era già alticcio. Voleva attirare la sua attenzione per fermarlo, ma non ci riusciva. Parlava con altri di lavoro. La sua unica passione.


Sobbalzò quando sentì la mano di Giancarlo sulla coscia.


Non voleva. Voleva scacciarla ma era come pietrificata. Giancarlo le sussurrò all’orecchio: “Non ti offendere, ma voglio essere sincero con te. Ti leccherei il buco del culo. Leccherei ogni centimetro quadrato della tua pelle. Ti prenderei come nessun uomo ha mai fatto con te, soprattutto quell’idiota di tuo marito. Tu meriti di meglio Giovanna! Da anni te lo volevo dire e l’ho fatto. Ora, se vuoi, mi puoi mandare a fanculo. Ma sappi che non mi pento di quello che ho detto. Sei un gran pezzo di fica e ti voglio fottere. Questa è l’unica verità”.


Giovanna rimase di sasso. Nessun uomo le aveva mai parlato così. Non si arrabbiò. Non le venne voglia di tornare a casa. E poi a casa a fare cosa? A dormire nello stesso letto con un codardo?


Non scacciò la mano che si fece più insistente. Giancarlo se ne accorse e insinuò le dita sotto la gonna. Caldi umori iniziarono a sgorgare dalla fica di Giovanna. Le gambe si divaricarono leggermente, e Giancarlo se ne accorse approfittandone. Si dipinse sul suo volto un’espressione maschia e cattiva. Disse: “Ragioniere! Si offende se le rubo la mogliettina per una passeggiata nel parco?”. Il marito di Giovanna, mezzo ubriaco, assentì con il solito sorrisino ebete.


Si alzò di scatto, prendendo la mano della femmina, e la trascinò fuori. “Ti prego” disse. “Non dire nulla!”. Giovanna non aveva la forza di parlare. Stava vivendo un sogno perverso. Quella persona, che aveva profondamente detestato, si rivelava essere, ora, un desiderabile toro da monta.


Non si diressero verso il parco. A trenta metri dalle sale da pranzo, scesero delle scale che portavano in un seminterrato. Giancarlo, probabilmente, conosceva bene quei luoghi. Aprì una porticina metallica e vi spinse la donna all’interno. Chiuse a chiave. Un grande divano troneggiava al centro della stanza. La avvicinò a se con le grandi mani aperte sulle natiche di lei. La lingua di lui cominciò a saettare nella bocca di Giovanna. Lei si abbandonò completamente al maschio. Lo voleva. Voleva essere presa con violenza! Ricevette una spinta in avanti e cascò, ginocchioni sul divano. Velocissimo, Giancarlo, le strappò di netto le mutandine. La lingua dello stallone percorreva velocissima la distanza tra fica e buco del culo. La femmina comincio a gemere. Sempre più forte. Urlò: “Prendimi Giancarlo! Prendimi bastardo!”. “Ora lo faccio troia!” urlò lui di rimando. E toltosi velocemente i calzoni, mise in mostra una nerchia perfettamente eretta e lucida. La cappella, enorme, sembrava stesse per scoppiare. L’enorme cazzo finì immediatamente nella bocca spalancata di Giovanna. Lei, vedendo il magnifico attrezzo, si era girata di scatto ingoiando e succhiando come in preda alla pazzia quell’enorme e dura verga.


Giovanna spompinava a due mani l’enorme cazzo. La sua lingua roteava golosa attorno alla grande cappella. E succhiava… a più non posso. Lui si tolse e le andò dietro. La spinse contro lo schienale del grande divano.


Lei allargò le cosce.


Giancarlo, con le grandi mani, divaricò al massimo le natiche della donna urlando: “Cazzo che culo che hai!”. Poi, infilò la punta della lingua nel suo buco del culo. Leccava e mordeva. Assatanato.


Lei urlava di piacere. Dalla sua fica, ora, sgorgavano dolci umori. Era completamente bagnata.


Giancarlo sputò abbondantemente sull’orifizio infilando poi due dita nel culo della puttanella.


Gli fu sopra. L’enorme glande poggiava ora all’entrata del buco.


Laura urlò: “Non l’ho mai preso in culo prima d’ora! Ho paura!”


Lo stallone, sogghignando rispose: “lo prendi ora troia!”


Il movimento fu uno solo. Violento e bastardo.


Il grosso siluro scivolò fino in fondo.


Giovanna lanciò un urlo agghiacciante.


Lui aspettò: il dolore, ora, per la femmina si stava leggermente attenuando. Poi, poggiato saldamente sui piedi e prendendola per i capelli, iniziò l’inculata. La donna, schiena inarcata e culo in aria, ebbe paura di svenire. Sentiva distintamente il grande cazzo pompare dentro di lei. Usciva e rientrava, entrava e usciva per tutta la sua lunghezza. Giancarlo urlava: “Ti sto inculando troia!”, e tenendole i capelli con due mani, le piegava la testa all’indietro. Ora Giovanna era pentita di una sola cosa: di non averlo fatto prima. Di non aver mai tradito (fino a quel momento) quel coglione del marito. Il rodeo continuava. Ora Giancarlo dava grandi manate sulle natiche di lei. Il dolore era forte, ma lei godeva da impazzire. Improvvisamente, la donna venne. Un orgasmo lungo e una spruzzata di umori vaginali la fecero sentire in paradiso (o all’inferno). Giancarlo ancor più eccitato dalla gran sborrata di Giovanna, aumentò il ritmo dell’inculata. I suoi grossi coglioni sbattevano con violenza sulla fica di lei. Gli ultimi colpi furono terribili: l’uccellone stava per esplodere. Infatti, urlando come un ossesso, Giancarlo riempì di sborra il buco del culo di Laura. La donna sentì l’abbondante e caldo getto di sperma schizzarle in culo e venne nuovamente. I due amanti erano una cosa sola ora: Giancarlo uscì e Giovanna si affrettò a riprendere in bocca la grande nerchia che si produsse in un’altra abbondante eruzione di sborra densa e calda. Laura leccava e ingoiava. Mai sazia. Non tralasciò una sola goccia della fantastica bianca sostanza.


Troppo tempo era passato. Meglio tornare.


“Cazzo! Mi hai strappato le calze tesoro!” disse allarmata Giovanna.


Giancarlo ridacchiò: “Non ti preoccupare; tanto tutti in sala immaginano quello che è successo tra te e me…”


“La prossima volta lo voglio fare meglio tesoro…” aggiunse.


Voglio farmi una scorpacciata di te. Per ore.


Giovanna si eccitò ancora di più. Si limitò a rispondere: “Quando vuoi porco!”.


 


Quando tornarono in sala da pranzo, c’era un po’ di trambusto. La moglie di un dipendente si avvicinò a Giovanna dicendo: “Suo marito si è sentito male! Ma dov’era lei?” Il marito era stato fatto accomodare su un divanetto. Bianco come un cencio, aveva vomitato. E si era pure pisciato addosso.


“Ha solo bevuto troppo” disse il Direttore Generale.


Le persone presenti, notando le calze strappate di Giovanna, si scambiavano occhiate complici e risatine.


Anche il Direttore si complimentò apertamente con Giancarlo, dandogli una gran manata sulla spalla.


Ma a Giovanna questo non importava. Si sentiva improvvisamente una femmina vogliosa di cazzi. Odiava ancora di più il marito. Lo considerava un essere debole e malato.


“Beva qualcosa signora!” esclamò il Direttore Generale, e preso un grande bicchiere, le versò un doppio whisky.


“Suo marito non è in grado di guidare, Giovanna!” disse Giancarlo. “E io non ho la patente” aggiunse la donna. Il Direttore intervenne: “Facciamo così: l’auto di suo marito la guida Giancarlo. Io vi seguo e poi lo riporto qui. Va bene?”.


Non c’erano molte alternative. Partirono. Il marito, completamente ubriaco, fu portato di peso e fatto sdraiare sul sedile posteriore dell’auto. Giancarlo si mise al volante con a fianco la femmina.


“Ma come cazzo fai a vivere con un individuo del genere, tesoro?”. Giovanna se ne rendeva conto: ma ormai era finita con il marito. Voleva chiedere il divorzio.


Mentre guidava, Giancarlo si sbottonò la patta liberando il possente cazzone. Giovanna lo agguantò subito, in preda ad un parossismo violento. Amava quel cazzo; cominciò a segarlo. Era duro come l’onice. Sembrava sul punto di esplodere. Era ancora eccitata dalla splendida montata del maschione. Non ci pensò due volte: abbassò la testa facendosi scivolare in bocca la verga. Era ancora affamata. Desiderava essere inculata nuovamente. Giancarlo fermò l’auto su uno slargo adiacente un boschetto. Pure il Direttore Generale si fermò. Scesero. “C’è un cambio di programma Direttore! La signora ha nuovamente bisogno di uccello!” disse Giancarlo. Il Direttore scoppiò in una fragorosa risata dicendo: “E va bene! Però mi piacerebbe guardare!”. Giancarlo, rivoltosi a Giovanna domandò: “Sei d’accordo tesoro? Ma anche se non sei d’accordo abbiamo già deciso!”.


La femmina venne fatta uscire dall’auto mentre il marito era in completo stato di incoscienza.


Si incamminarono verso il vicino gruppo di alberi. Giancarlo portava con sé una grande coperta.


La donna tremava, in preda ad una sempre più crescente eccitazione. La coperta venne stesa. Le torce dei cellulari dei due maschi illuminavano la scena. Il Direttore scivolando dietro la donna, le sollevò la corta gonna esclamando: “Cazzo! La signora è senza mutandine!”. Gliele ho strappate poco fa io!” rispose Giancarlo di rimando.


Il maschione si tolse i pantaloni. La sua verga era possente. Rivolta all’insù, sormontata da una cappella gigantesca. Si sdraiò di schiena. Il Direttore si era accomodato su un masso nelle vicinanze e fumava un Avana. “Aspettate!” disse. “Beviamo prima qualcosina”. E stappata una grossa bottiglia di costoso brandy francese, porse degli enormi bicchieri colmi ai due amanti.


Giovanna bevve tutto d’un fiato. Avidamente. Era troppo eccitata. Il fatto che una terza persona assistesse all’amplesso, la faceva quasi svenire. Si sollevò la gonna. Le calze erano ancora fissate al reggicalze. Tenne pure le scarpe con l’alto tacco. Giancarlo era pronto. Cazzo sempre in tiro. Quando si sedette sulla superba nerchia, era già una fontana. La sua fica accolse l’uccello senza difficoltà. Fino in fondo. Poi, cominciò a cavalcarlo. Prima al passo, poi al trotto, e infine in un galoppo sfrenato. Urlava come un’ossessa, sentendo l’uccello riempirle il ventre. Gridava: “Fottimi porco! Fottimi!”.


Presa com’era dalla scopata, non si accorse di avere alle spalle il Direttore Generale. Sigaro in bocca e completamente nudo, fece scivolare un largo cazzone nel buco del culo di Giovanna.


Il piacere era assoluto. Sarebbe andata avanti per ore. Venne ripetutamente con urla che disturbarono gli animali del bosco.


Il Direttore, sulla sessantina e con un’enorme ventre, ci sapeva fare. Spingeva il cazzone fino in fondo, bestemmiando e fumando. Teneva la troia per i capelli a mò di redini. Colpiva le natiche di Giovanna con fortissime manate che riecheggiavano nel bosco. I movimenti dei tre lussuriosi erano perfettamente sincronizzati. I due uomini uscirono nello stesso istante. Il Direttore sollevò di peso la giovane donna mettendola in posizione 69 con Giancarlo. Giancarlo iniziò vorace a mangiarle la fica. Lei, senza usare le mani, faceva scivolare in bocca la turgida asta. Il grasso Direttore le era nuovamente alle spalle. La sua lingua di cuoio leccava ora il buco del culo di Giovanna. Lei non smetteva di urlare dicendo: “Ancora! Ancora! Di più maledetti bastardi! Fatemi sborrare ancora!" Cambio: Il Direttore sdraiato di schiena con il grosso cazzo duro che a malapena entrava nella bocca della donna, e Giancarlo che, dopo aver sputato sull’orifizio, intraprese la via di una magistrale inculata.


Era passata ormai un’ora. I due montatori davano cenni di cedimento. Giovanna lo capì e si posizionò sulle ginocchia. Cominciò a succhiare i due cazzoni. Prima uno dopo l’altro. I maschi si segavano le nerchie.


Improvvisamente e simultaneamente sborrarono: violenti fiotti caldi e cremosi inondarono il bel faccino della femmina. Giovanna la voleva: finalmente sborra calda e densa. Un paio di copiose schizzate finirono in gola alla donna. Lei, sostenendo i cazzi con la manina sotto gli enormi coglioni, ingoiò vorace.


Poi, spentesi le ultime urla dei due maiali, lei, si premurò di raccogliere la densa sborra appiccicata al viso e di leccarla, golosa, dalle dita. Crollarono tutti e tre sfiniti.


Il Direttore esclamò: “Congratulazioni Giancarlo! Il posto di Responsabile di Sezione è suo!”.


Tornati alle auto, si accorsero che il marito, ancora sdraiato sul sedile posteriore, non respirava più.


Al pronto soccorso dell’Ospedale Civico di Palermo, fu constatato il decesso. Una gran quantità di alcol, mista a grandi dosi di benzodiazepine, ne aveva causato la morte.


Giovanna era sicura che il marito non aveva mai assunto quel tipo di farmaci. Nella sua mente si fece strada l’idea che tutto era stato premeditato dai due porci.


Però, cinicamente, si sentiva finalmente libera.


Libera di iniziare una nuova vita. Sarebbe stata un’esistenza basata sul sesso, sulle orge e sulla dominazione.


Come una torta millefoglie ricoperta di uno spesso strato di sborra: calda, densa e profumata.


 


giancanal2462@virgilio.it

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Categorie: Trio Sesso di gruppo