Capitolo nono
Margherita continuava a non parlare. Suo marito Armando era disperato, non capiva cosa stesse succedendo e non sapeva più che fare. E che fine aveva fatto suo figlio?
Per tutta la settimana era andato a fargli visita Vittorio, tutti i giorni, il quale aveva preso a cuore quella situazione e lo stesso signor Armando, stabilendo con lui un rapporto solidale. Lo aiutava in tutti i modi che poteva, gli portava qualunque cosa gli potesse servire, anche semplicemente un caffè o gli sbrigava faccende che lui non poteva o non sapeva sbrigare. Armando pensò che Vittorio sarebbe stato un buon figlio: meglio “frocio” che stupratore. E anche se Giacomo non fosse stato uno stupratore, era comunque un maleducato che non aveva rispetto né per i genitori né per nessun altro.
Vittorio continuava a chiedersi come avesse fatto quel mostro a plagiarli tutti, persino lui. Ma ciò che davvero non capiva era stata la reazione di Delia dopo quell’orgia: “ti amo, Giacomo, io voglio stare con te” aveva detto. Com’era possibile? Non si fidava più di lei, non si sentivano da quella sera. In più, era probabile che lo ritenessero una spia, un traditore.
“Vuoi dormire qui stasera?” domandò Armando, con un po’ di imbarazzo e aria supplichevole “la polizia non è stata in grado di trovare né Giacomo né qualunque altro presunto colpevole…fammi compagnia”. Vittorio aveva accettato. Entrambi si prendevano cura della signora Margherita come potevano. La donna, a volte gridava all’improvviso, anche nel cuore della notte. Suo marito aveva dovuto sedarla con le tipiche droghe prescritte dai medici. Spesso delirava, pronunciando frasi sconnesse, senza senso, ridendo e poi piangendo o addirittura contemporaneamente. Quella sera, Vittorio e il signor Armando erano stanchissimi. Si appisolarono davanti alla televisione, sul divano. Vittorio, tra veglia e sonno, si accorse di essersi addormentato sulla spalla di Armando. L’occhio gli cadde sui pantaloni dell’uomo e notò una bella protuberanza. Eppure tempo addietro un sessantenne gli aveva detto che a quell’età non ti si drizza più il cazzo. Deglutì al solo pensiero di prenderglielo in bocca, di fargli una pugnetta e farsi inculare. Arrossì, si vergognò perché probabilmente il signor Armando era bigotto ed eterosessuale e non se lo sarebbe mai fottuto. Questo, però, lo eccitò ancora di più. Si leccò le labbra guardando la forma del cazzo nei pantaloni di Armando e si accorse che gli tremavano. Il suo coso si era già indurito, se lo toccò con la mano. Vittorio alzò lo sguardo e vide che Armando aveva gli occhi semiaperti, sorrideva, sempre assonnato. Lo sguardo passò dal viso di Vittorio al proprio cazzo. Vittorio spalancò gli occhi: era mai possibile che fosse un invito? Armando prese la mano di Vittorio e lentamente se la poggiò sui pantaloni. Vittorio sentì la sua durezza e il suo calore. Glielo massaggiò. Un po’ alla volta gli aprì la zip, gli infilò le mani nelle mutande e gli tirò fuori il cazzo iniziando a masturbarlo: era bello, lungo e grosso, indurito. Vittorio pensò che assomigliava a quello del figlio, ma era più quello. Armando allargò le gambe e abbassò la testa all’indietro sul divano. Vittorio gli sbottonò anche i pantaloni e si chinò con la testa sulle sue gambe, prendendoglielo in bocca. “Bravo” sussurrò Armando.
Vittorio gli tolse anche le scarpe e i calzini, lasciandolo completamente nudo un po’ alla volta e spogliandosi anche lui completamente. Vittorio ricominciò a succhiarlo. Gli leccò la cappella, le palle e tutto il cazzo. Poi si girò, si sedette su di lui e si fece inculare così. Armando restava seduto e faceva su e giù insieme a Vittorio, inculandolo fino in fondo. Prima piano, poi più forte e sempre più forte. Ora cambiarono posizione. Vittorio stese le braccia verso il divano, inarcando la schiena e mettendo il culo in fuori. Armando era dietro di lui, si sputò sul cazzo e inculò il suo giovane amico. Diventava sempre più violento e più veloce. Vittorio godeva di quella brutalità. L’avrà ereditata da lui suo figlio, ipotizzò. E pensò che se Giacomo avesse avuto un po’ di dolcezza, sarebbe stato un gran chiavatore, nonostante fosse brutto. Mentre si faceva inculare, Vittorio gridava di piacere e si faceva una pugnetta. Poi, il giovane si fece toglie il cazzo dal culo e si girò, guardandolo negli occhi con un’espressione di una puttana assetata di sesso. Puntò il proprio cazzo verso quello di Armando. L’uomo indietreggiò: lui era pur sempre un uomo virile dai valori antichi, poteva inculare un “frocio”, ma non scopare come un frocio. Tuttavia, si rese conto che la sensazione che aveva provato non era stata sgradevole. Così, si avvicinò di nuovo al giovane e fece ciò che scherzosamente si definisce “lo spadaccino”. Vittorio si avvicinò al suo volto, ma lui si schivò. Questo proprio no. Vittorio allora gli baciò il collo. L’uomo sentì una strana sensazione di calore e così si arrese anche a questo, si lasciò andare e baciò in bocca intensamente il giovane. Ora si fecero una pugnetta a vicenda. Vittorio si abbassò, glielo prese di nuovo in bocca, facendoselo sbattere un po’ in faccia, poi sulla lingua, poi facendoselo ficcare fino in gola. Mentre glielo succhiava, lo spugnettava anche, finché l’uomo, dando un grido di piacere, gli sborrò in bocca. Vittorio si leccò le labbra e il viso per pulirsi dalla sborra e il resto se lo pulì con la mano.
In quel momento, udirono delle grida di terrore dalla stanza di Margherita: “tu sei il diavolo! Tu sei il diavolo! Tu non sei mio figlio, tu sei il demonio, tu sei il diavolo!”
Vittorio e Armando corsero nella stanza, rivestendosi in fretta. Trovarono Giacomo in piedi, col suo solito cappuccio in testa e il suo tipico sorriso cattivo.
“Da dove sei entrato?” domandò Armando spaventato. Giacomo non rispose, il sorriso gli si allargò e osservando i due, con abiti e capelli scompigliati, commentò “non ci posso credere…e poi e il pervertito sarei io” rise, ma sembrava che provasse piacere e soddisfazione, quasi orgoglio, nel vedere quella scena.
“Che fine hai fatto, Giacomo? Dove sei stato? Stai bene?” domandò il padre. La rabbia nei confronti del figlio possibile stupratore di sua moglie si mescolava alla preoccupazione e la premura verso il figlio possibile vittima, nonostante l’evidenza. Giacomo non rispose.
“È vero che sei stato tu?” domandò Armando con le lacrime agli occhi, mentre sua moglie era ancora lì ferma a tremare. Giacomo si avvicinò a sua madre, tirò fuori il cazzo e ci sputò sopra e afferrando Margherita, iniziò a chiavarla. Vittorio e Armando tentarono di fermarlo, ma ricevettero dei violenti pugni in faccia: nessuno doveva ostacolarlo. Suo padre batté con la testa con il muro, perdendo i sensi. Vittorio cercò di farlo rinvenire, l’uomo si svegliò, ma ancora confuso e senza forze. Vittorio, che anni prima aveva picchiato Giacomo per difendere sua sorella, si scaraventò contro il suo nemico di sempre. Margherita cadde e andò a ripararsi in un angolino della stanza. I due giovani si presero a pugni, finché Vittorio non tirò fuori un coltello e lo ficcò nel ventre di Giacomo, il quale iniziò a sanguinare. Guardò Vittorio negli occhi e impallidì. Vittorio stesso rabbrividì per ciò che aveva appena fatto e, spaventato, scappò uscendo dal portone e correndo sotto la pioggia. Dapprima pensò che sarebbe stato meglio andare alla polizia, spiegando tutto, ma il panico lo confuse e senza che se ne rendesse conto, era già sotto l’abitazione di Cosimo. Salì le scale e bussò.
“Chi è?”
“Sono Vittorio”.
Cosimo aprì la porta e lo vide affannato e spaventato.
“Che succede?”
“Dovete venire con me, subito!”
«Mmmm che voglia di prenderlo in culonchebmi e venuta chi mi incula»