Vittorio De Rosa si infilò il casco in testa e salì sulla propria Vespa Special bianca. Indossava un maglione grigio chiaro tendente al bianco, con sopra un giubbotto di pelle, dei pantaloni di jeans neri e scarpe da ginnastica anch’esse nere. Era un mattino nuvoloso, ma con qualche timido raggio di sole. Vittorio si avviò per le strade, evitando le auto in mezzo al traffico del paese, finché non arrivò sotto un palazzo. Suonò due volte il clacson e dal terzo piano si affacciò un uomo di circa trentasei anni. Era bello, con una barba incolta, gli occhi azzurri e i capelli corti scuri. Gli sorrise dolcemente. Vittorio ricambiò con un sorriso ancora più dolce e più largo.


“Sali” urlò l’uomo. Vittorio spense il motorino e lo posizionò sotto il palazzo. Si avvicinò al portone e udì il rumore del citofono che lo apriva. Spinse con la mano, entrò e salì le scale.


Arrivato al terzo piano, l’uomo lo attendeva fuori con la porta aperta. Aveva addosso soltanto una maglietta intima, dalla quale si vedevano i peli leggermente ricci, dei calzoncini corti azzurro chiaro, che mostrava le sue bellissime gambe sode, i piedi senza calcini, nelle ciabatte aperte. Vittorio ebbe un sussulto al cuore, il sangue gli pulsò fino alle orecchie e nelle guance. Gli guardò nei pantaloni e vide il cazzo mezzo moscio e mezzo duro di una discreta lunghezza. Si morse le labbra inumidendosele. Gli sarebbe venuta voglia di prenderglielo subito in mano, fargli una pugnetta e succhiarglielo, lì all’istante. Ma si trattenne e provò ad avere un po’ di contegno.


“Entra, tesoro” lo invitò l’uomo. Vittorio entrò e l’uomo gli diede una pacca sul culo, stringendogli le chiappe. Vittorio si fermò e i due si baciarono sulle labbra. L’uomo gli infilò subito la lingua in bocca, che Vittorio gli succhiò. Aprendo gli occhi, il giovane notò che il cazzo dell’uomo era diventato più duro. L’uomo avvicinò il membro a quello di Vittorio, lo baciò sulla clavicola, mettendogli una mano sul culo, facendola poi entrare lentamente nelle mutande. Gli palò le natiche e simulavano un rapporto sessuale da vestiti. Vittorio non resistette più e infilò le mani nei pantaloni e nelle mutande dell’uomo, cominciando a masturbarlo. Prima lentamente. Poi più velocemente. Ora si inginocchiò davanti al bellissimo cazzo lungo e maestoso che gli si poneva davanti, avvicinò la testa su di esso, aprì la bocca e prese a succhiarlo.


“Sì, bravo, Vittorio, sì, amore mio”.


Vittorio faceva su e giù con la testa gustando il cazzo dell’uomo. Glielo leccava in tutti i modi: facendo giochini circolari con la lingua attorno alla cappella, poi lungo l’asta, il prepuzio e le palle.


“Adesso girati” ordinò l’uomo. Vittorio non se lo lasciò dire due volte. Si voltò di spalle e abbassandosi i pantaloni e le mutande puntò il culo verso il cazzo del suo amante. L’uomo allargò il buco del culo con due dita e ci sputò dentro, inserendo le dita per prepararsi un po’ di spazio. Poi leccò all’interno, infilando la lingua fino in fondo. Stette così per circa cinque minuti, finché, rialzandosi, avvicinò la cappella nell’ano di Vittorio. Spinse prima un po’ di cazzo, poi un po’ di più. Vittorio gemette di dolore. Ma quando l’uomo glielo ficcò tutto dentro e cominciò a spingere avanti e indietro, i suoi gemiti erano soltanto di piacere.


“Sì, dai, Giuseppe, inculami!” frignava il ragazzo, con voce smorfiosa e femminea.


“Sì, puttanella mia!” esclamava Giuseppe arrapato, guardando il bel corpo del giovane “quanto sei bono, Vittorio. Quanto mi piace incularti”.


“Tu sei bono, Giuseppe, non io. Fottimi dai, sono la tua troia”.


Giuseppe lo inculò più forte e, da dietro, avvicinò il suo volto a quello di Vittorio e tirò fuori la lingua, baciando il giovane. Si morsero le labbra e se le succhiarono. Mentre continuava a penetrarlo, Giuseppe afferrò il cazzo di Vittorio e lo masturbò. Gli tolse il cazzo dal culo e si inginocchiò, voltandosi e mettendosi davanti a lui. “Adesso te lo succhio io” disse Giuseppe.


Glielo prese in bocca e infilò la lingua nella pelle della cappella chiudendola dentro per un attimo e fece un bel risucchio. Senza nemmeno rendersene conto, erano entrambi completamente nudi e i vestiti sparsi a terra sul pavimento. Giuseppe si alzò, prese il ragazzo per la mano e si fece seguire fin dentro la sua stanza. I due si infilarono, ridendo, nel letto ancora disfatto, abbracciandosi e baciandosi. Giuseppe toccò il cazzo del giovane con il proprio cazzo, simulando una sorta di penetrazione, facendo avanti e indietro col bacino.


“Sì, dai, Peppe, dai, amore mio, fottimi”.


Giuseppe gli leccò il volto, il collo, il petto, facendo scivolare la propria lingua sul cazzo di Vittorio e riprendendolo in bocca succhiandolo fino alle palle. Glielo afferrò in mano e gli fece una pugnetta veloce continuando ancora a succhiarlo e leccarlo.


“Ah sì!”


Il ragazzo era eccitatissimo. Non resistette e sborrò. Giuseppe gli leccò la sborra dal cazzo e dalle proprie dita, ingoiandola tutta. Con le labbra impiastricciate, baciò Vittorio.


“Adesso devi sborrare tu” lo supplicò Vittorio “devi sborrarmi in bocca”.


L’uomo non se lo lasciò dire due volte “mettiti in ginocchio” ordinò al ragazzo, che subito obbedì, aprendo la bocca con la lingua di fuori come un cane assetato.


Giuseppe gli strusciò il cazzo sulla lingua mentre si masturbava. Poi gli penetrò la bocca come fosse una figa o un culo facendo avanti e indietro.


“Sì, puttana, dai, prendilo in bocca, troia, ingoialo tutto”.


Vittorio agitava la lingua in tutti modi per far godere il suo uomo. Gli afferrò il cazzo in mano masturbandolo sempre più veloce.


“Ah, sì, ah, sì!” gemeva Giuseppe “ancora dai, dai, che vengo!”


Vittorio accelerò un altro po’, finché il liquido biancastro, denso, appiccicoso e caldo gli schizzò sulle mani, sulla fronte e sul corpo. Temendo, che sprecasse quella delizia, si affrettò a prenderglielo in bocca raccogliendo la sua crema squisita.


“Ti amo, Giuseppe”.


Giuseppe lo baciò sulla bocca sporca di sperma “anche io ti amo”. E insieme andarono a fare una doccia, lavandosi a vicenda. Uscirono dal bagno insieme, baciandosi.


“Adesso devi andartene” disse l’uomo “prima che ritorni mia moglie”.


“Credevo lo sapesse” rispose Vittorio mentre si rivestiva.


“Lo sa, ma non condivide e preferisce non vedere”.


“Ho capito” fece Vittorio triste “dammi un bacio, Peppe”.


Giuseppe lo baciò subito, ma superficialmente, come se adesso la sua mente fosse altrove.


“Allora io vado” disse Vittorio.


“Stammi bene, tesoro”.


Vittorio scese le scale e uscì dal portone. Si mise a cavallo della Vespa, ma prima di rimettersi il casco, prese lo smartphone e lesse i messaggi di WhatsApp. C’era un messaggio sorella Delia, “Dove sei? Ho bisogno parlarti”.