Mi chiamo Fabio, ho quasi 50 anni e mi sbatto il figlio diciannovenne del mio migliore amico e socio in affari. Roberto, questo il nome del giovane, è un ragazzo molto effeminato, frivolo, sciocco, interessato solo al fitness e alle feste. Ha una pelle nivea, dei capelli ricci e biondi, un culo sodo per via dei numerosi «squat» e due gambe molto lunghe e ben tornite. Non ha mai fatto nulla per nascondere la sua omosessualità, accettata fin da subito dalla sua famiglia.
Roberto, nell'ultimo anno, ha iniziato a manifestare un notevole interesse per il sottoscritto: mi chiede insistentemente come mai un «bell'uomo» come me sia ancora scapolo, cerca il contatto fisico, mi chiede di accompagnarlo a fare «shopping» e si piazza sempre davanti al mio villino a fare esercizi di stretching con i suoi fuseaux.
La cosa, all'inizio, mi metteva in imbarazzo, non tanto perché fosse il figlio del mio migliore amico, ma per il modo di fare di Roberto: vanesio, languido, insistente, malizioso; mi irritava anche la sua femminilità ostentata e la risata stupida e fastidiosa con cui accompagnava le sue frasi. Però, siccome non sono insensibile al fascino di quelli che i napoletani chiamano, gioiosamente, «femminélli», l'idea di cedere al suo corteggiamento faceva, sempre più sovente, capolino nella mia testa. Idea che, con crescente fatica, cacciavo via dalla mia testa chiamando in causa la lunga amicizia che mi legava al padre.
Un giorno, a causa di un problema di lavoro, decisi di recarmi a casa di Michele – così si chiama il mio amico. Mi aprì la porta Roberto. Aveva i capelli arruffati, indossava dei leggings neri e teneva in mano una rivista femminile:
«ma che sorpresaaaa» – disse con un tono svenevole – «purtroppo papà non c'è, è uscito con mamma, ma perché non entri a bere qualcosa?»
Accettai, lo confesso, solo per godermi la vista del suo culo compatto. Roberto iniziò a parlare del più e del meno, ancheggiando come una squillo a caccia di clienti. Dopo avermi offerto un espresso, mi si sedette in braccio e continuò a chiacchierare con la sua voce acuta e leziosa. Il cazzo mi divenne duro come il marmo. La troietta se ne accorse e cominciò a muoversi sopra di esso; poi chiuse gli occhi e si lasciò sfuggire un «oooohh». A quel punto, turbato, lo spinsi via e, in stato confusionale, tornai rapidamente a casa.
Chiusa la porta alle mie spalle e mi stappai una birra per tranquillizzarmi. Ero andato oltre. I sensi avevano prevalso sul buon senso. Decisi che, in futuro, sarei stato più attento. Roberto, però, mi aveva lasciato addosso una eccitazione che dovevo assolutamente scaricare. Decisi allora che, quella sera, sarei andato in un locale di mia conoscenza, un disco club dove è facile procacciarsi una buona scopata, soprattutto con travestiti e transessuali.
La serata si rivelò un disastro. Sebbene molto frequentato, non riuscii a rimorchiare nessuna, inoltre bevvi troppi cocktail scadenti. Decisi allora di andare a pisciare e andarmene. Mentre urinavo in un cesso a muro, dal vicino WC chiuso, sentii un gorgogliare intenso e una voce maschile ripetere «succhia puttana succhia». Qualcuno si stava divertendo. Decisi di non andarmene e vedere chi fosse la spompinatrice. Udii un gemito e poi l'uomo uscire del bagno. Subito, entrai nel bagno chiuso e seduto sul gabinetto ci trovai Roberto!
Era vestito da donna anzi, da troia, tacchi, autoreggenti, gonna... aveva il viso ricoperto di trucco; una vera e propria maschera. Da lontano non lo avrebbe riconosciuto nemmeno suo padre. Per un attimo mi fissò con uno sguardo ebete, la bocca aperta e un filo di bava ai lati della bocca, poi lanciò un urletto e disse «tu!».
Roberto era scosso. Quasi spaventato. Agitava le mani davanti alla bocca nel tentativo di coprire i rivoli di saliva. Tentò di alzarsi in piedi ma, mettendogli una mano sulla testa, lo rimisi a sedere sulla tavoletta del cesso. A quel punto appoggiò le sue dita, impreziosite da lunghe unghie finte rosa, sul mio pacco e, con tono supplichevole, disse: «non dirlo a papà».
«Il mio silenzio ha un prezzo», dissi con voce autoritaria, mentre mi mangiavo con gli occhi la sgualdrina. Roberto rispose subito: «speravo lo dicessi», poi mi slacciò i pantaloni e cominciò a succhiarmi il cazzo. Tentava di metterlo tutto in bocca, mentre con una mano mi accarezzava le palle. Poi, si mise a farmi una sega tenendolo in bocca, ora lentamente e ora veloce. Mi guardava sempre negli occhi, soprattutto quando andava più a fondo. Qualcuno entrò nel bagno, tentò anche di entrare nel «nostro» bagno, ma Roberto non si fece distrarre e continuò a ciucciare fissandomi come in adorazione. I pompini dei travestiti e dei transessuali sono eccezionali. «È davvero brava», pensai, rendendomi conto di aver usato il femminile.
Al culmine del piacere, quando stavo per venire, con un immenso sforzo di volontà, estrassi il cazzo dalla bocca di Roberto e lo impugnai con la mani destra, mentre con la sinistra lo afferai forte per il collo e gli schizzai la faccia e i capelli di sperma. Perché lo feci? Volevo umiliarlo, trattarlo come una puttana. Lui ne fu molto soddisfatto. Mi pulì il cazzo con la mano.
«Come ti fai chiamare quando vai in giro così?»
«Tatiana», rispose lui ridacchiando
«Come sei venuta fin qua?»
«Con delle amiche, mi sono cambiato da una di loro», rispose.
«Ci sentiamo prossimamente», le dissi e poi me ne andai.
Appena salito in macchina mi arrivò un messaggio da Roberto, diceva «Grazie» con alcune emoticon a forma di cuore.
«eccitante»
«si di sicuro me lo sarei inculato»