Lo scaltro notaio si accorse della mia arrendevolezza e la cosa lo rese più guardingo invece che più aggressivo: il paese era piccolo e lui temeva per la sua reputazione. Certo aveva molti segreti e uno sputtanamento poteva perderlo, rovinarlo. D’altro canto non gli pareva vero di avere, a portata di mano, tanto ben di dio. In genere, per avere rapporti con una donna più giovane si recava in case d’appuntamento a Napoli, a Roma, spendendo soldi e tempo, pur di appagare la sua eccitazione e, nei rarissimi casi in cui era stato possibile, anche le voglie più inconfessabili della sua anziana moglie. Queste cose le seppi in seguito… Senza spingersi oltre si sedette al mio fianco e in silenzio, mi cominciò a carezzare le gambe con grande delicatezza. - Vedi, qua passo le mie giornate, sono spesso solo... la signorina Giuditta, la segretaria, viene solo i giorni dispari, di mattina, per sistemare le carte e fare i servizi esterni... la Posta, la Pretura... capisci? – mi parlava come se fossimo al bar in piazza ma, intanto, spingendo con la mano aveva fatto in modo che io aprissi le cosce, tanto da potermi scostare la mutandina e toccarmi col dito nodoso, la vulva, umida. - Sai, noi non abbiamo figli – aggiunse – mi fa piacere se mi vieni a trovare, anzi se ci vieni a trovare, perchè anche mia moglie ha molta simpatia per te... lo sa quanto hai sofferto, figlia mia. Le dita del notaio si insinuavano intanto tra le grandi labbra e con l’altra mano si era infilato tra i seni, scivolando tra le due tette approfittando del sudore. Ingenuamente dissi: - Ma, notaio... e se entra vostra moglie? – Intanto non mi tiravo indietro, anzi mi aprivo meglio e diventavo discinta, disponibile. Lui ridacchiò nervosamente: - Eh... – esclamò – E che sarà mai? Non facciamo mica niente di male, no? – intanto mi era entrato in figa con tutto il dito. Dopo averlo ficcato e tirato fuori alcune volte, abbastanza per ritrovarselo tutto bagnato, divenne più diretto e si alzò in piedi, tirò giù i pantaloni, mettendomi il suo pene davanti agli occhi. Era lungo e sottile, lievemente inclinato verso il basso. - Guarda, figlia bella, ti apprezzo molto e... chiamami zio Peppino, notaio è “pesante”, come nome. Io ero accaldata, eccitata e impreparata: guardai ipnotizzata quel coso in primo piano. Appena lui se lo toccò dalla testa rubizza uscì una gocciolina trasparente, ne approfittai per odorare, ma non si sentiva nulla, tranne un leggero odore di orina secca, probabilmente il notaio aveva pisciato poco prima del mio arrivo.
VII - Puoi farmi compagnia un altro poco, Giovannella? – disse con voce melliflua, falsata dall’eccitazione. Con i pantaloni abbassati e il cazzo barzotto, si dedicò ai miei seni, era in estasi. Impreparata sul da farsi preferii fingermi distratta, come se tessi leggendo il giornale Grazia... guardavo altrove, nonostante mi sentissi accaldata e curiosa. Lui si fece più audace: - Ma tu ragazza mia, non hai mai fatto niente? - Io lo ignorai e lui si rispose da solo – Che bellezza, come sei dolce, vedrai che zio Peppino ti prende sotto la sua protezione – e squadrandomi i seni, aggiunse – e ti insegna tutte le cose che sa, con tutta la sua esperienza. Chiuse la porta a chiave. - Hai fatto benissimo, ragazza mia, a venire da me. - Mi prese per mano e mi portò allo scrittoio, facendomi segno di abbassarmi sul piano del tavolo. Il vecchio si pose dietro di me e con grande delicatezza, mi tolse la gonna, riponendola su una sedia, poi mi abbassò le mutande, facendo apprezzamenti delicati sul mio sedere. Si mise comodo su uno sgabello e cominciò a lavorarmi di brutto, con bramosia e agitazione, credo che non avesse accarezzato carni così virginali, nemmeno la prima notte di matrimonio. Mugolava languido, mentre teneva le mani inchiodate sui miei glutei chiari, come ventose e me li agitava, me li palpava... La faccia affondò dietro al mio sedere e sentivo la sua lingua, veloce e assetata, che mi leccava e mi penetrava, piccola e sfuggente ma rapidissima. Non avrei mai immaginato che un uomo poteva leccarmi il culetto, che la lingua mi solleticasse l’ano, come un ditino forsennato e irrequieto che slappava rumoroso, come fanno i cagnolini assetati. Poi il notaio si accanì sulla figa, palpando e leccandola tutta, esplorandola con le dita rugose, come volesse studiarsela attentamente. Non aveva fretta, si vedeva che era troppo entusiasta di quello spettacolo per desiderare di arrivare in fretta. Così, senza sapermi controllare ebbi un orgasmo, molto liquido e veemente, che lui succhiò e ingoiò, come suggesse un liquore. Poi si mise in piedi, ritto al mio fianco, e mi fece capire di fare altrettanto. Me lo ritrovai sulla destra, con i pantaloni alle ginocchia; sotto la pancetta svettava il suo pisello, ora sembrava un poco più duro e più eretto di prima. Mi prese delicatamente la mano e me la pose sul cazzo, imponendomi un movimento sussultorio che gli liberava la testa dal prepuzio ad ogni languida spinta. Io provai grande piacere a prenderlo in mano, stringevo e allargavo la mano, ed era una bella sensazione... mi sembrava di toccare un serpentello, caldo e setoso. Lo masturbai, fingendo di non “partecipare” emotivamente. Allora, con espressione beata mi disse: - Ora, ragazza cara, te la senti di sederti davanti a me? Non afferrai subito l’ eufemismo e dissi di sì. Toccò a me pormi sullo sgabello, mentre il notaio, si appoggiò col sedere al bordo della scrivania. Si prese con la destra l’uccello e lo carezzò mentre mi guardava. - Bella, bella, bella! – esclamò – se sarai affettuosa con me, ti insegnerò un sacco di cose ... sarai la mia studentessa. Eh? Che dici? Ero imbarazzata non volevo prendere impegni, però mi sarebbe piaciuto imparare su una cavia, almeno le cose essenziali. Dallo sguardo arrapato del vecchio, dalla sua disponibilità, capii che l’ uomo quando è bramoso di fare il sesso sarebbe capace di dare tutto ciò che ha. Quel vecchio, infatti, si comportava come se il desiderio potesse dominarlo completamente. “Quindi, pensai, se io imparo bene l’arte di dare piacere, potrei anche ottenere di più, molto di più!” Successivamente, avrei capito che i vecchi sono molto più sordidi e attaccati al sesso dei ragazzi. Però sono anche furbi e falsi... Insomma capii che avere la figa e le tette aiutava, ma alla fine era sempre l’intelligenza l’arma vincente. Ora però un po’ di pratica non guastava e per farla, andava bene anche il cazzo “debole” di “zio Peppino”, con la sua pelle grinzosa lievemente violacea, le venette sottili ed evidenti, lo scroto pieno di rughe; là due palline insignificanti vagavano in una enorme sacca, acquosa al tatto. - Per prima cosa – disse il vecchi notaio – bacialo con le labbra asciutte, gli dai mille bacetti, dappertutto ... – e così dicendo, mi tirò delicatamente verso l’arnese, mentre con la mano lo sosteneva per porgermelo. Così cominciai il mio corso. Dopo la sega, iniziai la lezione di bocchino! La prima cosa che baciai fu la pelle del prepuzio. Era raccolta come uno spesso petalo rosa, schiuso leggermente sulla punta. Indagai, mentre baciavo e suggevo lievemente ad ogni contatto: dietro la pelle flaccida e rugosa, si nascondeva il glande, teso e lucido, con quella sua pelle liscia e appetitosa. Per curiosità mi avventurai con la lingua in quell’orifizio e scoprii che, sotto la pelle esterna, secca, la semisfera tesa era bagnata, ancora da quel liquido, una lacrima trasparente, insapore. Il notaio sussultava ai miei colpi di lingua: - Brava, ragazza mia, brava! – mi disse carezzandomi i capelli – Ora baciamelo anche di sotto... si, ecco. – e così dicendo si sollevò il cazzo verso l’ombelico, e mi fece leccare sotto l’asta, su e giù. Spingendomi in basso la testa, mi costrinse a baciare e leccare la sacca delle palle, dopo, i lati dell’ inguine tra le cosce grassocce... era sudato e non aveva un odore piacevole ... ma ormai c’ero e baciai e leccai pure lì, succhiando tra i peli del pube, grigi per l’età. - Ah si, si ... Giovannella, che mi fai? – ansimava con gli occhi socchiusi – Continua, tesoro mio. – Si contorceva mentre mi parlava con voce rotta dall’eccitazione. – Adesso prendimi le palline in bocca e succhia piano piano ... raccogli le palle con la mano, dai! Eseguii facilmente, sollevando ora una e ora l’altra pallina, circondandola con le labbra per ingurgitarla. Con un piccolo sforzo le presi tutt’e due, massaggiandole con la lingua. - Uhm! – mugolava il vecchio sognante, intanto con le mani mi strizzava i due seni, ormai di fuori e mi mungeva i capezzoli inturgiditi. - Adesso in bocca, vieni... prendilo in bocca, bambina mia. Mentre riprendevo fiato e col dorso della mano mi asciugavo le labbra, vidi che il notaio si scapocchiava con la mano, tirando fuori il glande, ora rubizzo e gonfio... sembrava la punta dei vecchi cerini, ma grosso, molto più grosso. Era duro, ormai, il cazzo del vecchio e quando me lo mise in bocca lo sentii. Scivolava dentro lentamente, come un treno in una galleria, ma la sensazione che mi sorprese fu quella di sentire il glande alla gola, il notaio non si fermò, come credevo, ma spinse ancora, bloccandomi la nuca con la mano affinché non potessi sfuggire. Spinse ancora, e la capocchia mi allargò la gola, facendomi mancare il fiato e sussultare... Scartai di lato, non ero preparata e mi venne lo stimolo di vomitare, tossi forte. Una saliva densa e trasparente mi scorreva dalla bocca, colando per terra. - Piano, piano ... calma. Non è niente. – disse il vecchio e mi attirò nuovamente verso il membro, rimettendolo in bocca e spingendo, come si pompa per gonfiare le ruote della bici. Su e giù. Intanto, confusa e maltrattata, io ero arrapata e mentre lui mi imboccava, spalancai le gambe sul sedile e mi infilai due dita nella micia bagnata. Mentre gli facevo il pompino, mi chiese se ero ancora vergine e io annuii mugolando un sì. Il cazzo viaggiò ancora più duro ed eccitato. Forse quell’agitazione aveva attirato la vecchia moglie preoccupata, che bussò alla porta di mezzo: - Peppì! – tuonò la notaia – Peppino. Che succede? Perché hai chiuso la porta? Lui sbiancò maledicendola tra i denti, poi concitato disse: - Niente, niente... un atto riservato, vai, vai che subito vengo! La vecchia poco convinta, non insistette... di certo sarebbe tornata presto alla carica. Mi alzai di scatto, arretrando impaurita. Il notaio si era rabbuiato, ma non volle rinunciare, con meno gentilezza intimò: - Aspetta ancora un minuto – mi ordinò – stai buona solo un attimo, cara, altrimenti mi fai sentire male... Mi spinse per le spalle facendomi sedere di nuovo. Il suo pene era molto meno duro e lui non era più giocondo come prima, sempre restandomi davanti si prese il cazzo quasi moscio tra le dita e con movimenti rapidi e inconsulti, si fece la sega. Io ero a pochi centimetri e non sapevo bene cosa fare. Lui con la mano mi cercava, mi palpava le tette, un paio di volte mi disse: - Ferma ... ferma, così! Mentre si masturbava la testa del pene mi sbatteva sulle labbra, era una bella sensazione, ma nulla di più. All’improvviso il notaio si irrigidì, socchiuse gli occhi e si sollevò sulle punte dei piedi, tenendosi più forte alle mie zinne. Il cazzo nella mano si riprese un pochino, mentre lui lo sbatteva avanti e dietro, come un forsennato. Esclamò quasi gridando: - Ora, ora ... vieni amooore, prendi la sborra... bevila, bevi ... – e senza preavviso mi spinse la capocchia in bocca, come si fa con la canna per innaffiare il giardino. Rimasi bloccata dallo stupore… Per qualche istante non successe niente, poi pian piano, mi accorsi che stava sborrando perché mi sentii la bocca piena di liquido salino, dalla consistenza nuova, che non somigliava a nessun altra cosa avessi mai assaggiato. Ne inghiotti una parte, non era granché però era eccitante, non so perché. Così la succhiai tutta. Più succhiavo e più sentivo che ancora qualche goccia fuoriusciva dal glande... mi masturbai senza freni, mentre dalla gola un odore speciale mi risaliva nelle narici. Il notaio tornò ad essere il vecchio odioso che era. Si alzò in fretta i pantaloni e mi costrinse a vestirmi subito. Poi con maggior dolcezza mi sussurrò: - Scusa, tesoro mio, ma quella stronza è tremenda e sarebbe capace di fare una chiassata. – Mi guardò come se volesse chiedere perdono – Ma non mi abbandonare adesso, vieni a trovarmi ancora... – così dicendo, mi mise in mano una banconota da duecento euro - Tieni, comprati una borsa, qualcosa... fai tu. Io mi ritrassi, sapevo che si pagavano le puttane, per il sesso. Il vecchio capì: - No, - disse – no piccina, non pensare a male... è un pensiero mio, un regalo. Mi ci vedi a me comprare una borsa o un vestito per te? Un regalo ecco tutto. Un regalo alla nuova nipotina bella. Mi carezzò la guancia mentre negli occhi, gli passò uno strano guizzo, un bagliore da faina, che non seppi a cosa attribuire... ma che non mi sfuggì. Chiuse la porta pesante alle mie spalle con un tonfo. Tornai verso casa insoddisfatta, ma non troppo. Non avevo scoperto granché, però avevo imparato a fare il pompino e guadagnato duecento euro in un ora. Non male. “Devo perfezionarmi.” pensai tra me e me, ma capii di dover sfuggire al fascino di fare la puttana. Prendere soldi per farsi fottere era un’arma a doppio taglio. Gli uomini non chiedono di meglio per scaricarsi la coscienza che trattare da puttana una che ti regala un’ora di piacere, per poi infangarla subito dopo. Mentre subiscono con rassegnazione e servilismo le angherie di una moglie, che nemmeno gliela da più. L’ufficialità, i ruoli definiti, gli atti notarili... sono certezze, sono fari a cui appigliarsi. Sono la tradizione e la gente, si sa, ama essere conformista per pigrizia e per paura. NOTA: SE VUOI RICEVERE NOTIZIE SULLE ALTRE PUNTATE DEL LIBRO, SCRIVIMI.
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