“In italiano si traduce ‘viso di rinoceronte’.”
Mi mostrò il suo ultimo acquisto in rete. Era formato da due protuberanze falliche, una di dimensioni medie e l’altra più piccola, “grande come il mio medio”, mi fece notare; entrambe, ricurve, formavano un corpo unico con una base sottile e lunga che mi ricordò un assorbente molto sottile. L’uso era evidente.
Alle due estremità della base partivano due laccetti dello stesso materiale plastico che si dividevano in modo da formare una sottile cintura, una sorta di micro-perizoma per evitare la fuoriuscita dell’oggetto dalla sua doppia sede, che presto, intuii, sarei stata io.
Si guardò intorno; sul marciapiede pochi passanti e per strada poco traffico. Se ci fosse stato qualcuno affacciato a una delle tante finestre delle case non ci badò. Mi sollevò dai fianchi la gonna corta e mi abbassò gli slip fino alle caviglie. Tirò fuori da una tasca un flaconcino di olio da massaggio, lo aprì e lubrificò il viso-di-rinoceronte. Poi mi sollevò nuovamente la gonna e facendomi divaricare leggermente le gambe spinse con delicatezza l’oggetto nel mio corpo, contemporaneamente davanti e dietro. Emisi un gemito. Sarebbe stato il primo di una lunga serie.
Mi allacciò in vita il cinturino, mentre un ragazzo ci osservava perplesso dal marciapiede opposto. Mi sfilò le mutandine e le appese ad un cancello. “Queste per oggi non ti serviranno”.
Tirò fuori dalla stessa tasca un piccolo telecomando con tre pulsanti colorati.
“Questo è il pulsante rosa.” Lo spinse ed il cilindro anteriore iniziò a contorcersi silenziosamente nel mio ventre. Sussultai. L’effetto era strano.
Era meglio di molti falli veri che avevo conosciuto.
“Questo è il pulsante rosso.” Anche il cilindro posteriore inizio a muoversi, ed io con lui. La mia mano si portò istintivamente all’inguine.
“E questo è quello viola.” Qualcosa cominciò a vibrare contro il clitoride, insistentemente. Mi scappò uno stupido urletto. Lui rise, aspettò qualche secondo divertito dai muscoli delle mie gambe che si contraevano senza che riuscissi a fermarle, poi spense tutto, mi prese la mano e ci incamminammo verso la fermata dell’autobus.
Prima dell’incrocio mi disse d’aspettare qualche secondo. Girò l’angolo e raggiunse le altre persone in attesa. Si appoggiò al muro con la mano – e il telecomando – in tasca. Li raggiunsi anch’io e, vedendo che fingeva di non conoscermi, mi misi accanto al cartello della fermata, dandogli le spalle.
Improvvisamente sentii dentro l’intestino ricominciare la danza. Cercai di mantenere la calma e il contegno.
Mentre una signora mi chiedeva come arrivare in piazza dell’Unità, accese anche la vibrazione.
“N-non lo... so. Mi... mi spiace...”
“Si sente male signorina? È diventata tutta rossa.”
“Non si preo... preoccup-i...” Fui salvata dall’arrivo dell’autobus. Mi concesse una tregua per salire. Lui si sistemò in uno dei sedili in fondo, io mi fermai in piedi rivolta verso un pensionato a cui già la vicinanza delle mie gambe scoperte creava un certo turbamento. E ricominciò.
Davanti e dietro. Masturbata in quel modo implacabile, lasciandomi andare ai movimenti del mio corpo sperando venissero celati dalle oscillazioni dell’affollato mezzo pubblico, raggiunsi il primo orgasmo.
Alla nostra fermata mi venne vicino e schioccandomi orgoglioso un bacio sulla guancia mi strinse una chiappa. Sentii chiaramente la sua erezione premermi contro.
Il secondo orgasmo lo raggiunsi al bar. Rovesciai parte del cappuccino sul bancone che con l’altra mano tenevo saldo per cercare di star ferma. Un gruppetto di uomini al tavolo da biliardo si fermò per godersi la scena delle mie ginocchia che si muovevano languide.
Prima del terzo orgasmo - raggiunto quasi due ore dopo sotto i portici mentre parlavo con un’ex-compagna d’università incontrata per caso e lui davanti a un negozio ci guardava riflesse nella vetrina e si divertiva a tener premuto tutti i tasti; le rispondevo con malcelato controllo che sì, stavo bene, molto bene e sentivo le guance in fiamme e qualcosa di caldo scendermi tra le cosce – mi spinse dentro ad un androne. Mi fece mettere le mani al muro. Mi sollevò la gonna, slacciò il cinturino ed estrasse il viso-di-rinoceronte. Pensai fosse finita e che mi avrebbe scopata lì, di schiena, invece ritirò fuori il flaconcino e versò altro olio sui corni. Li accese. Guardai con la coda dell’occhio il loro movimento osceno, finora lo avevo solo sentito dentro le mie intimità. Poi, mentre ancora si muovevano, me li infilò nuovamente. Questa volta il mio urlo fu più forte.
Ci cacciò una signora urlando appellativi poco eleganti, ma forse appropriati, e minacciando di chiamare i carabinieri.
Il quarto orgasmo arrivò inatteso quando ormai avevo deciso che il gioco era durato abbastanza. Ma per farlo finire occorreva far passare a lui la voglia. E, conoscendolo, c’era un unico modo.
Riuscii ad attirarlo verso una panchina di un qualcosa che definire parco, malgrado il nome, mi sembra davvero esagerato. Un grosso cespuglio ci nascondeva dal passaggio principale. Mi concesse di farlo sedere, mi inginocchiai davanti a lui, gli slacciai i pantaloni e glielo tirai fuori: non ci sarebbe voluto molto. Lo presi in bocca e iniziai a lavorarmelo. Su e giù, senza fermarmi, massaggiando energicamente dove sapevo che avrebbe voluto. Guardandolo negli occhi. Facendogli vedere che piaceva a me farlo come a lui riceverlo quel pompino.
Lui teneva nuovamente premuti insieme tutti i pulsanti. Si chinò su di me e mi sollevò la gonna sulla schiena, per vedere il suo oggetto piantato in me, vibrante. E io continuavo a succhiare, sempre più forte, lasciandomi finalmente andare a quella tripla penetrazione così tremendamente efficace.
Gemevo, mi contorcevo sempre più eccitata, dando e ricevendo piacere, senza più alcuna inibizione. Lui mi esplose in bocca - intanto il ragazzino più coraggioso di un branco di giovinastri che c’aveva notato mi urlò “Puttana!” e scappò ridendo - e mentre sentivo il sapore di quel liquido caldo così familiare che mi andava giù in gola e non mi volevo fermare cercando di tirargliene fuori fino all’ultima goccia, arrivò. Intenso e prolungato.
Abbandonai la testa sul suo sesso svuotato, esausta. Lui si allungò e mi slacciò il cinturino, lasciando che il viso-di-rinoceronte scivolasse a terra, ben più lubrificato di quand’era entrato.
Ci mise un po’ a riprendere fiato. “Lunedì abbiamo la cena con quelli del corso”, disse adocchiando il suo acquisto ormai collaudato che giaceva finalmente a terra inerte. “Ci sarà da divertirsi...”
Xilia
vivereperraccontare.wordpress.com
«Bello ben scritto. Brava»