Al diavolo Caterina e la sua laurea in Farmacia. Al diavolo i suoi paroloni e la sua insistenza. E al diavolo me, che da quel suo bel faccino da monaca mancata mi faccio sempre convincere.
“Devi assolutamente farti vedere, ti dico. Due settimane di dolori diffusi al retto non sono affatto da sottovalutare.”
Io, che con il mio retto ho sempre avuto un ottimo rapporto, e ci tengo, alla fine mi sono decisa a prenotare questa visita, pur consapevole che l’unica cura di cui avrebbe bisogno il mio sfintere dovrebbe essere un po’ di meritato riposo.
Sono qui seduta sul lettino con la pancia ancora provata dal clistere che mi hanno somministrato circa un’ora fa, in silenziosa attesa.
“Il dottore!” mi avverte allarmata l’infermiera.
Non capisco che reazione si aspetta da me. La sua deferente soggezione è inquietante. Ci manca poco che si prostri ai suoi piedi mentre uscendo lo incrocia fuori dalla porta. Io mi limito a scendere dal lettino mettendomi in piedi, come facevo da scolara all’arrivo del preside.
Entra. È un uomo austero ed evidentemente fin troppo sicuro di sé. Lo seguono una decina di studenti in camice, come anatroccoli altrimenti smarriti.
Afferra la mia cartella, la legge velocemente e decreta: “Dolore perianale e perineale senza sanguinamento defecazione regolare e non ha ancora seguito alcuna terapia.” Parla proprio così, senza virgole. “Prima cosa da fare?”
Una delle tre studentesse del gruppo – ricorda vagamente Winona Ryder, ma con ricci rossastri e una dozzina di centimetri d’altezza in più – risponde rapida: “Valutazione visiva esterna, per individuare l’eventuale presenza di…” La interrompe.
“Perfetto.” Poi si gira verso di me. “Si spogli prego.” Non posso fare a meno di notare qualche sghignazzo nelle retrovie.
Mi sfilo leggings e slip e rimango di fronte a loro, imbarazzata e con lo sguardo abbassato. Mi copro pudica il pube con le mani, poi realizzo che non ha senso e mi costringo a riportate le braccia lungo i fianchi.
“Si metta sul lettino grazie.” Mi ci siedo di nuovo e mi sdraio sulla schiena. “Si giri.” Eseguo. “Raccolga le ginocchia.” Mi metto carponi. “Spalle giù.” Mi appoggia una mano tra le scapole e accompagna il mio busto verso il basso, lasciando solo il sedere alzato e ben esposto. Come una gatta in calore, penso. E forse lo pensa anche qualcuno di questi giovanotti che se ne stanno lì dietro, tutti con lo sguardo, mi auguro professionale, puntato sulle mie intimità messe ben in mostra.
Il dottore estrae da una confezione un paio di guanti in lattice e li infila in silenzio. “La zona perianale non ha evidenti...” Mi tocca la zona in questione e istintivamente mi contraggo. “Per favore stia rilassata.” Il per favore è del tutto superfluo. Ubbidisco.
Mentre va avanti ad illustrare il normo-aspetto del mio ano ci gira intorno con il dito, passando il polpastrello tutt’intorno al mio orifizio.
Finita la spiegazione prende un tubetto di quella che immagino sia vasellina, se la spreme sull’indice come fosse dentifricio e me la spalma tra le natiche.
“Prima di utilizzare il divaricatore anale per osservare anche la zona transfinterica e la parete rettale effettuiamo una palpazione interna meno invasiva e quasi sempre più esaustiva.” Senza esitare mi infila il dito dentro. Stringo i denti e gli occhi.
Roteando il polso procede nell’ispezione digitale delle mie pareti interne, per tutta la circonferenza. Indugia su qualche punto, poi termina il giro perlustrativo e infine fuoriesce.
“Prego.” Allunga la confezione di guanti agli studenti. Io impreco sottovoce. Si sente un concerto di lattice che si stira su palmi e falangi.
Una ragazza con un piccolo piercing al naso e un’espressione molto dolce fa un passo avanti. Allunga la mano e mi ispeziona anche lei. Il suo dito è delicato e insicuro.
Poi tocca ad un ragazzone un po’ impacciato, ma decisamente energico. Sussulto; anche sforzandomi rimanere rilassata non è facile. Preme forte, sgraziato.
Il successivo è baldanzoso. Non tituba e sembra ci sappia fare. Nel roteare la mano mi sfiora ripetutamente le grandi labbra. Dovrebbe darmi fastidio, lo so, e invece, forse per la particolare sottomissione cui mi sento obbligata, forse perché comunque il tipo è belloccio, non succede.
Quando dopo pochi minuti si ritira sento che una parte di me se ne dispiace, e la cosa un po’ mi preoccupa.
Viene rimpiazzato da una compagna frettolosa che pare più a disagio di me, poi da un altro tipo barbuto che, prima di far scivolare l’ennesimo dito nel mio corpo, appoggia l’altra mano sui glutei e con pollice e indice mi divarica ancor più l’accesso. Un fremito tradisce le mie sensazioni. Lui compie la sua perlustrazione integerrimo, come se al mio organo riproduttivo lì sotto il suo naso non stesse accadendo niente.
Finisce ben presto anche lui, ma il mio povero ano non resta ignorato a lungo.
Si alternano nuovamente in me, uno dopo l’altro. Qualcuno fa domande, si sofferma, entra ed esce ripetutamente spiegando i suoi dubbi. Li guardo di sottecchi con la guancia appoggiata sul lenzuolo sterile. Il calore mi infiamma le guance.
E non solo.
Poche volte mi è capitato di vergognarmi tanto, ma la consapevolezza che alcuni avranno già notato la mia lubrificazione vaginale mi fa sentire ancora più lasciva.
Non mi meraviglierei se qualcuno da un momento all’altro bisbigliasse “Guarda che vacca, è tutta bagnata...”
Non vedo l’ora di essere fuori da questo ambulatorio, onorevolmente vestita, e allo stesso tempo l’impotenza che mi costringe qui è diventata, volente o nolente, un’intrigante perversione.
Quanti di questi ragazzi stasera si masturberanno ripensando al loro dito ficcato nel mio sedere?
“Ciao Mari.” Riconosco la voce leggermene esitante. Giro la testa e vedo dietro di me Fabio, uno degli amici del mio ragazzo. Vedo il suo braccio protratto verso il mio fondoschiena; il dito che adesso mi sta esplorando è il suo.
O Merda, penso mentre gli faccio un cenno di saluto.
Cosa cazzo si diranno stasera al bar?
“Sai, oggi ho infilato il medio nel culo della tua ragazza...”
“Non ti preoccupare,” mi dice sottovoce, “è tutto a posto, solo una piccola infiammazione.” Mi sorride. Sento ancora il suo dito profanatore accarezzarmi le viscere.
Almeno è l’ultimo.
Quando anche lui finalmente si ritrae tiro un profondo sospiro di sollievo.
Ma sto dimenticando qualcosa.
Ritorna l’infermiera con il divaricatore anale.


 


Xilia
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