Eccomi di nuovo in questo cazzo di bar a litigare per telefono con l’ennesima cretina di cui mi sono fidata. Sono almeno 40 minuti che stiamo a rimbalzarci messaggi Whatsapp al veleno, con l’unico effetto di inasprire il vaffanculo reciproco che concluderà la nostra conversazione. Certo un po’ me la sono voluta: l’avevo capito fin dall’inizio che Luisa non era la persona giusta per me, ma era maledettamente bella e mi sono lasciata andare. Non riesco neppure a rispondere a tono, c’è troppa gente qui dentro, troppa confusione, e non posso concentrarmi per chiudere il discorso. 


La ragazza che serve ai tavoli corre come una trottola tra i corridoi del locale. Un uomo, in piedi vicino al banco, fa un movimento brusco e lei, per schivarlo, mi urta il braccio facendo cadere il cellulare sul tavolo.


«E che cazzo! Stai un po’ attenta, no?» le grido inviperita.


«Mi scusi signora… ho perso l’equilibrio, mi scusi!»


Poi faccio un gesto come per mandarla al diavolo. Lei riparte con i suoi percorsi tra i tavoli come la pallina di un flipper.


Basta: forse ci voleva proprio qualcuno che mi togliesse di mano il telefono. In fondo mi pare di non avere null’altro da dire a quella stronza di Luisa. Il vaffanculo ce lo siamo cantato in tutte le declinazioni possibili. Chiusa qui: nei prossimi giorni farò in modo che possa andare a prendersi le cianfrusaglie che ha accumulato a casa mia. Non voglio nemmeno vederla da lontano. Penso che a volte le donne si comportino peggio degli uomini. Proprio mentre concludo questa frase nella mia testa, alzo lo sguardo e vedo la pallina del flipper che rimbalza in tutti gli angoli del bar, con le comande, i vassoi e gli scontrini dei conti. Non arriva a 30 anni, ha i capelli castani raccolti in una coda, la casacca rossa del bar sopra una camicetta bianca, gonna appena sopra il ginocchio e scarpe basse. Per forza: se le avesse con il tacco alto come le mie, non potrebbe certo viaggiare in quel modo!


La osservo meglio, ha il viso da bambina ma con nessuna allegria. Se sorride a qualcuno lo fa solo con la bocca, i suoi occhi non ridono. A suo modo è bella, anche se non ha un fisico da modella, ma che palle i fisici da modella!


Ha il seno rotondo, le gambe non lunghissime ma dritte e armoniose, con due cosce piene ma sode e scattanti ben raccordate ai fianchi pronunciati che si richiudono sulla vita stretta.


È tardi e il bar sta per chiudere, abbasso gli occhi e osservo il fondo della mia tazza di tè; ci penso un po’ e poi decido di fare quello che è giusto che io faccia.


La ragazza sta passando accanto al mio tavolo, faccio un cenno per attirare la sua attenzione.


«Sì, mi dica signora, cosa desidera?»


«Beh, nulla… volevo solo chiederti scusa per prima, mi sono comportata da villana…»


«Ma non importa, lasci stare, è stato un incidente… il suo telefono è a posto?»


«No, dico sul serio, sono stata maleducata, ti chiedo scusa!»


«Va bene, non stia a preoccuparsi… cosa le porto?»


«Nient’altro grazie, quando puoi portami il conto.»


Lei decolla di nuovo, spicca un ultimo volo sopra il locale e poi atterra sul mio tavolo con lo scontrino del conto.


La ringrazio, pago alla cassa, esco e mi avvio lentamente verso l’auto. Mi sono tolta un piccolo peso. Sarà anche vero che le donne a volte si comportano come certi uomini, ma io non desidero dare il mio contributo per sostenere questa tesi.


Salgo in auto, metto in moto e parto. Fatti 200 metri, vedo una figura che cammina sul lato sinistro della strada. Osservo meglio; è lei, la ragazza del bar. Guardo nello specchietto, non c’è nessuno dietro, la strada è a senso unico, posso fermarmi. Accosto vicino a lei e abbasso il finestrino.


«Ehi… ciao!» lei si volta.


«Ah… è lei, buonasera signora!»


«E piantala con ‘sta signora, mica sono la Regina Elisabetta! Stai andando a casa?»


«Sì, c’è la fermata del bus più avanti.»


«Dove abiti?» lei ci pensa un po’ come se valutasse l’opportunità di condividere con me i suoi dati personali.


«Sto nella zona di Gratosoglio.»


«Ah, bene, se vuoi ti do un passaggio, tanto per me è di strada…»


Non è vero, quella zona per me non è affatto di strada, ma faccio volentieri qualche chilometro in più per stare in compagnia, tanto non avrei altro da fare.


«Ma no… la ringrazio, non stia a disturbarsi.»


«E dai! Lo faccio volentieri, è anche un modo per scusarmi di nuovo con te!»


«E va bene… grazie!»


Passa davanti l’auto, apre la portiera e si siede, o meglio, si lascia cadere sul sedile come un corpo morto.


«Devi essere distrutta!»


«Infatti, mi sento a pezzi…»


«Quante ore hai lavorato?»


«12 ore, e me ne pagano 8.»


«I soliti stronzi…»


«Il problema è che se me ne vado io, c’è la fila fuori per sostituirmi.»


«Certo, immagino. Da quanto tempo lavori lì?»


«Da sei mesi, non riesco a trovare niente di meglio.»


«Hai perso il lavoro precedente?»


Passa qualche secondo, forse non ha voglia di parlarne.


«Beh, è una storia complicata…»


«Come tutte le storie… ma forse sono troppo curiosa?»


«Macché… è una storia complicata ma abbastanza comune: sono stata sposata fino ad un anno fa, poi lui se n’è andato con una più giovane di me.»


«Ah… un classico!»


«Sì, un classico della drammaturgia moderna.»


«Beh, almeno ti passerà un po’ di alimenti…»


Lei sorride sarcastica.


«Alimenti? Ma se non ha un soldo! È un mezzo alcolizzato che non ha mai combinato nulla, poveretta quella che se l’è preso. Meno male che non abbiamo figli. Avevamo una piccola attività nella ristorazione. È andato tutto a puttane, e adesso sono nella merda. Meno male che mi è rimasto questo appartamentino che mi hanno lasciato i miei.»


«Accidenti! Te l’eri scelto proprio bene il marito!»


«Lascia perdere… cazzate che si fanno a 20 anni.»


«Come ti capisco… li conosco gli uomini! Sono stata sposata anch’io. Gli ho procurato un ottimo lavoro, gli ho fatto fare carriera. L’ho introdotto nei migliori ambienti per favorirlo… e sai cosa ho avuto in cambio? Tante corna amica mia, ecco che cosa ci ho guadagnato! Alla fine non ho retto più e l’ho mandato a quel…»


Ho parlato per non più di un minuto, mi volto e vedo che lei s’è addormentata con la testa appoggiata alla portiera, rallento per non svegliarla. I lampioni gialli del viale accarezzano le sue gambe scoperte come flash di una girandola impazzita.


Come guidata da quei riflessi, sposto la mia mano dalla leva del cambio e l’appoggio delicatamente sulla sua coscia. Non so cosa abbia mosso la mano, di sicuro non la voglia di sesso; forse la tenerezza e il desiderio di donarle un po’ di calore. Lei non fa nemmeno un movimento, ma reagisce stizzita:


«Che cazzo stai facendo signora? Ma tu guarda! Oltre che dai cretini del bar, ora mi devo difendere pure dalle lesbiche!?»


Tolgo la mano e la rimetto sul cambio… proseguiamo la corsa. Passano 2 minuti in silenzio, penso che sono stata una sciocca, non avrei dovuto… poi lei apre gli occhi e riprende a parlarmi.


«Ok, adesso sta a me: scusami, ho esagerato: non avrei dovuto reagire in quel modo!»


«Beh, se continuiamo così passeremo tutta la sera a farci le scuse vicendevolmente!» replico io.


Finalmente un sorriso che le attraversa anche gli occhi! Passa qualche secondo e prende la mia mano, la sposta dalla leva del cambio e l’appoggia sulla sua coscia.


«No dai… lascia stare, se ti infastidisce…» le dico.


«Mi infastidisce? Ma tu hai idea da quanto tempo nessuno mi fa una carezza? Le uniche mani che mi ritrovo addosso sono quelle dei clienti del bar che mi toccano il culo “per sbaglio”…»


«Immagino…»


Così proseguiamo il viaggio, e fra un cambio di marcia e l’altro, la mia mano resta lì, scorre avanti e indietro sul tessuto dei suoi collant, con una carezza lenta e costante per non rischiare di infastidirla di nuovo.


Poi la voce metallica del navigatore dice:


«PROSSIMA SVOLTA A DESTRA… 80 METRI!»


«Ok, siamo arrivate credo…» le dico.


«Sì, io abito lì.» E indica un palazzone.


Accosto e mi fermo, spengo il motore. Lei è ancora con la testa appoggiata alla portiera e non si muove, poi dice:


«Immagino che adesso dovrei scendere… giusto?»


«Come preferisci, io non ho fretta…»


«Sto bene qui, la tua mano mi tranquillizza…»


«Mi fa piacere, era lì per quello…»


«Ma adesso è tardi, devo proprio andare! Grazie! Sei stata gentilissima!» e mi porge la mano per salutare.


«Ma che saluto formale…» dico io, «diamoci almeno un bacetto da buone amiche!» e mi avvicino alla sua guancia.


Un bacetto a destra, un’esitazione… un altro bacetto a sinistra, un’altra esitazione… poi appoggio le mie labbra sulle sue e rimango ferma lì. Solo un secondo e le sento dischiudersi e accogliermi. La sua bocca è calda e dolcissima… le nostre lingue si salutano con timidezza, poi il bacio si fa più convinto e profondo. Fa per alzarsi, penso che stia per andarsene, ma no: si gira sul sedile e si sistema tra me ed il volante. Mi mette le braccia al collo e riprende a baciarmi. Le sue gambe sono rimaste distese sul sedile di destra. Non si stacca dalla mia bocca, mi sembra di avvertire la sua fame di tenerezza e l’assecondo con piacere. La mia mano sta ancora sulle sue cosce; ora sta risalendo verso il suo ventre, ma lentamente: non voglio contrariarla di nuovo. 


Finalmente trovo il bordo dei collant, mi infilo sotto e scendo verso le mutandine. Lei si stacca dalla mia bocca e dice:


«Non so se ti conviene, è da stamani che sono fuori e non ho avuto tempo nemmeno per lavarmi.»


«Non ti preoccupare tesoro… sei bellissima così!»


Scendo ancora, raggiungo il suo pube e passo sui suoi peletti soffici. Esploro più in basso, e lei discosta un po’ le cosce. Le sue labbra sono ancora accostate, forzo dolcemente le dita tra di esse ed è come rompere la membrana di un diòspero maturo, affondo in un pozzetto caldo e accogliente e avverto un piccolo sussulto: c’è vita su questo pianeta!


Raccolgo un po’ del suo succo e lo trasporto più in alto, dove risiede il centro del piacere. Eccolo il suo dolce bottoncino, lo sento crescere sotto le mie dita. Modulo la pressione per capire, osservando le sue reazioni, qual è il movimento che la fa stare meglio. Ci sto girando intorno con movimenti circolari, muovo indietro la pelle per farlo estendere come un piccolo pene. Sto aumentando l’intensità, e comincio a sentirla tremare. Non si è staccata un momento dalla mia bocca, mi sta quasi soffocando, ma sopporto volentieri. I suoi tremiti stanno diventando sussulti, sento la sua clitoride che è diventata solida e non gradisce più il contatto diretto, le mie dita stanno vibrando intorno ad essa. Ci siamo: inarca la schiena, tende le gambe, preme le scarpe sulla portiera. Ma non smette di baciarmi, solo aggiunge un mugolio sempre più intenso. Poi il mugolio diventa un “Aahhhh” quando lascia la mia bocca per sostenere il respiro che è diventato ansimante. Eccola finalmente: il bacino sussulta e la mia mano fatica a seguire i suoi movimenti. 


Adesso regna la pace, l’esplosione è terminata. Le mie dita dentro di lei avvertono gli spasmi postumi. Non è stato solo un orgasmo, è stata anche una liberazione, un risveglio, un grido di felicità, una primavera intera. 


Che bella che è adesso! Finalmente il suo viso è disteso; sorreggo la sua testa reclinata all’indietro mentre la mia mano indugia ancora fra le sue gambe. Se potessero ritrarci in questo momento sembreremmo una versione saffica della Pietà di Michelangelo. Non oso chiamarla, voglio rimanere a guardare quello che ho creato con le mie dita: un capolavoro! 


Passano 3 minuti di oblio, quindi torna al tuo posto e si ricompone.


«Devo andare adesso… grazie del passaggio!»


Non mi dà nemmeno il tempo di replicare, apre la portiera, scende e si dirige con decisione verso il palazzone. Giunta più in là si volta per salutarmi con la mano, come un cenno di pace.


Ho la pancia in subbuglio, forse ho bagnato anche il sedile dell’auto, penso che se una farfalla si posasse sul mio ventre verrei solo per quello. Ma non mi importa, va bene così. 


Riparto, mi rendo conto solo adesso che non ci siamo nemmeno presentate. Chissà se la rivedrò. Cribbio… certo che ti rivedrò!


 

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