Quando Marco mi portò a conoscere i suoi genitori, non avevo il minimo sospetto di stare all’interno di una famiglia molto particolare. Avvenne a pranzo, nella casa dei genitori posta sulle colline al di sopra della città, dove si erano trasferiti una volta in pensione: la madre era stata un'insegnante, il padre un avvocato. Ambedue godevano di pensioni cospicue e si erano potuti ritirare in giovane età. Quando li conobbi, avevano cinquantacinque anni ciascuno e chi deteneva la guida della casa, contrariamente ad ogni stereotipo, era lei: una donnetta autoritaria, magra ed antipatica, con degli occhiali spessi che le davano l'aspetto di una caricatura. Era lei ad interessarsi di tutto e con tutti, chiamava il figlio più volte durante il giorno, decideva gli orari di casa, ne controllava ogni singolo istante della sua vita. Il pranzo era stato preparato da una gastronomia esclusiva, vicino casa. Almeno non era tirchia! Il padre, mio futuro suocero, se ne era stato tranquillo e silenzioso, per quasi tutto il tempo. Osservava e parlava poco, quasi soffocato dalla ingombrante presenza della moglie, che preferiva in nessun modo contraddire. Che pazienza, e quanta noia! Marco sembrava soggiogato dalla madre, mentre io mi sforzavo, con notevole fatica, di restare tranquilla e gentile. In fondo, sposarmi con Marco, avrebbe significato mettere mano alla cospicua eredità di quella famiglia e, a sentire Marco, i suoi genitori erano davvero ben messi a finanze. Fu dopo pranzo che i ruoli all'interno della casa cambiarono. La madre e Marco se ne salirono al piano di sopra, adducendo di doversi occupare di alcune questioni burocratiche. Non feci in tempo a sentirmi offesa, che il padre, Giulio, mi prese sottobraccio per condurmi in giardino. Non disse una parola, mi prese e basta. Il giardino era davvero grande e dotato di una vista superba sulla città. C'erano alberi da frutto, siepi ben curate e deliziosi angoli con panchine. Curiosa di sapere il motivo del suo comportamento, mi guardavo intorno, cercando di capire le sue intenzioni. Poi, di colpo, ruppe il silenzio:
«Che intenzioni hai con mio figlio?»
La domanda mi arrivò cogliendomi assolutamente di sorpresa.
«Beh, le migliori. Vorremmo sposarci».
«Lo so, lo so. Non sto parlando della facciata. Voglio sapere quello che hai nella mente, nel cuore e fra le cosce».
Lo guardai, rimanendo non poco sorpresa da questa domanda, così diretta ed intima.
«Rispondimi, Silvia».
Avevo ventitré anni e non mi ero mai sentita in imbarazzo come in quel momento.
«Giulio, le ho detto e sono seria a ripeterlo, che io e Marco siamo innamorati».
«Bene, bene».
Si voltò, guardandosi attorno, nel chiaro intento di controllare che non ci fosse qualcuno. Poi, di spalle rispetto a me, mi fece una domanda che non mi sarei mai aspettata dal mio futuro suocero.
«Ti scopa bene?»
Rimasi basita, incredula, per quello che aveva sentito.
«Cosa?»
«Hai capito benissimo: ti ho chiesto se ti scopa bene?! Le sue ultime due fidanzate lo tradivano ripetutamente e non ho avuto bisogno di indagare troppo a fondo per capire che mio figlio non è un vero stallone e voi donne siete tutte uguali: al cazzo ci tenete».
Era sintomatico il repentino cambiamento di comportamento del mio futuro suocero; completamente un'altra persona rispetto al personaggio silenzioso e tranquillo che avevo appena conosciuto. Inspiegabilmente ho avvertito, dentro di me, il desiderio di essere sincera con lui, anche se sono più che stupita, questa volta, dal mio comportamento.
«Non...non mi scopa bene».
Lui si girò di scatto; evidentemente era rimasto sorpreso dalla mia sincerità e prese a scrutarmi intensamente. Sentivo i suoi occhi penetrare nei miei ed arrivarmi in fondo all'anima. Rimanemmo in silenzio per un po', poi si avvicinò a me e, allargando le braccia, mi strinse forte a lui.
«Vieni qui, figlia mia, apprezzo la tua sincerità».
Mi sentivo strana; la mia mente era come spenta, quasi fossi drogata, incapace, di rinunciare al contatto con quell’uomo. Ma ero lucidissima: a pranzo non avevo bevuto nemmeno un bicchiere di vino. Poi riprese a parlare con voce calma, ma ferma.
«Hai fatto bene ad essere sincera con me. Lo apprezzo. È la maniera giusta per impostare un buon rapporto fra noi. D'altronde, se dobbiamo diventare una famiglia, è giusto che ci conosciamo bene e a fondo».
D'improvviso, la mano che mi stringeva alle spalle, scese giù e, insinuatasi sotto la gonna, mi palpò il culo. Ero impietrita: non riuscivo a reagire.
«Marco sarà anche un potenziale cornuto, con il cazzo piccolo che si ritrova, ma ha buon gusto in fatto di femmine; glielo devo riconoscere. Tu sei una bella femmina».
Le sue dita mi scostarono le mutandine e mi toccarono la figa. La trovarono umida, contro ogni supposizione. Mi stavo bagnando.
«Brava, Silvia. Brava, vedo che ti piace».
Cercai di dissuaderlo, adducendo a pretesto che avremmo potuto essere visti da qualcuno e questo non avrebbe deposto a favore di nessuno dei due.
«Ci possono vedere: potrebbe arrivare Marco improvvisamente».
«Non ti preoccupare; conosco mio figlio e conosco quella scassa cazzo di mia moglie. Ci metteranno un sacco di tempo, lassù. È una donna molto pignola, e ama avere tutto sotto controllo, soprattutto se la cosa riguarda suo figlio».
Le sue dita iniziarono un movimento circolare e sapiente, che mi sciolse tutta. Stavo godendo come una troia e soltanto con la mano di un uomo, che avrebbe potuto esser mio padre. Ormai preso di me, sollevò entrambe le mani e prese a palparmi le tette, prima da sopra la camicetta, poi le infilò prepotentemente dentro, tirandomi le mammelle fuori dal reggiseno e lasciandomi seminuda. Dopo averle massaggiate e strizzato i capezzoli, stringendoli fra indice e pollice, procurandomi un perverso piacere nel sentire quello strano dolore, si spostò davanti e si chinò a leccarmi un capezzolo, mentre io emettevo un gemito.
«Ti piace, piccola troietta, eh? Si sente. Bene, bene. Adesso ti faccio assaggiare anche il mio cazzo».
Armeggiando rapidamente con i pantaloni, liberò il suo cazzo. Grosso, di una notevole circonferenza, scuro, vigoroso, non molto lungo, già praticamente duro e ardito. Chissà perché Marco non aveva preso da lui?! L'espressione di piacere dipinta sul mio volto lo fece sorridere: aveva scoperto che godevo di quella visione, aveva scoperto la versione più intima e oscena di me, quella di puttana. Non era la prima volta che vedevo il cazzo di un uomo maturo. Ai tempi dell'università, feci un pompino, insieme ad una mia amica, al gestore di un locale, un tizio sulla cinquantina che, in cambio, ci offrì l’ingresso e consumazione gratuita per tutta la serata. Accettammo le sue condizioni, stando inginocchiate nel bagno del locale e leccandogli il cazzo, che, per fortuna, non durò molto a venire e me ne sentii sollevata. Ora dovevo misurarmi con il cazzo di mio suocero, completamente diverso da quello che avevo leccato e succhiato quella sera. Questo era un invito alla lussuria, ispirava il desiderio di godere. Mi stavo bagnando, ero fradicia, e mi assalì la voglia di quella mazza superba.
«Prendilo in mano, dai, muoviti».
Lo feci senza esitare. Era caldo, pulsava. Muovevo il polso e lo segavo. Data la rilevante circonferenza, le mie dita quasi non riuscivano a congiungersi.
«Ora succhialo».
Alzai gli occhi e lo guardai, trasferendogli il mio sentimento di paura misto a desiderio. Lui mi premette sulla nuca ed io inghiottii quel magnifico fallo.
«Su, da brava, leccalo e succhialo».
Lo lavorai per qualche minuto, cercando in tutti modi di farne entrare il più possibile nella mia bocca. Lui si appoggiò ad un muretto ed io mi ritrovai con le tette di fuori e la figa gocciolante, mentre succhiavo il cazzo al mio futuro suocero. Sollevai il volto per scrutare sul suo quali emozioni gli davo e cercando la sua approvazione che, puntuale, giunse insieme ad un ennesimo ordine.
«Sei brava, un’ottima bocchinara. Toccati la figa».
Lo feci e venni quasi subito: ne avevo proprio bisogno. La sera prima, con Marco, avevamo giocato un po' e mi aveva fatto venire leccandomela, mentre io gli avevo regalato una sega veloce. Ovviamente non era niente in confronto a quello che stavo facendo adesso. Poi, mentre mi riprendevo dall'orgasmo sempre con il cazzo di Giulio in bocca, lui si filò e si rese visibile un filo di saliva che univa le mie labbra alla sua cappella gonfia. Mi fece alzare e, dopo avermi impastato ancora un po' le tette, mi spinse ad appoggiarmi al muretto che c’era dietro di lui. Ero sconvolta, eccitata ed incapace di negare a quell’uomo qualsiasi cosa.
«Mettiti qua, appoggiati al muro».
Mi fece chinare sul muretto e mi alzò la gonna da dietro. Abbassò in un istante le mutandine e prese a baciarmi il culo. Dilatava i glutei e vi insinuava la lingua in profondità, scorrendo fra il buco del culo e lo spacco della fica.
«Come sei bella e quanto sei puttana!»
Diede una leccata alla mia figa umida, facendomi gemere ancora, poi riservò la sua completa attenzione al buco del culo, che cominciò a lavorare con dovizia e bravura. Mi faceva impazzire, dovevo serrare forte le labbra per non urlare per il piacere che stavo provando. Mi leccava il buco del culo e mi stuzzicava la figa. Venni ancora, senza freni e, mentre stavo per riprendermi da quel secondo orgasmo, lui, dopo aver fatto colare della saliva lungo il solco dei glutei e averne spalmato un po' sul buco, mi infilò il cazzo nel culo. Lo fece con un gesto naturale, quanto deciso, spingendo il suo grosso cazzo fino in fondo. Rimasi senza fiato. Mi rompeva, mi slargava il culo, facendomi sentire tutta la sua potente virilità fino in fondo ed io non mi ribellavo. Mi voltai a fissarlo negli occhi.
«Fai piano, per favore! Mi stai spaccando il culo!»
«Zitta, troia! Da quello che sento, il tuo culo è già allenato ad accogliere cazzi».
Lo spinse tutto dentro, fino alle palle, e rimase lì, immobile, per alcuni secondi. Il suo cazzo pulsava ed anche il mio sfintere. Effettivamente non ero vergine di culo, già da quando mi ero messa con Marco; due o tre volte, lo avevo concesso al mio ex per non rischiare d'esser ingravidata e da lui mi ero fatta inculare godendo tantissimo. Dopo un lungo istante di completa immobilità, iniziò a muoversi piano. Sapeva quel che faceva. Mi prese per i capelli, prima e poi, per le tette. Mi trattava come una vacca che veniva montata; gli piaceva farmi capire che lui era il mio toro e mi stava montando in maniera stupenda: era proprio così. Io, inutilmente e, quasi per mettere a tacere la mia coscienza, lo pregavo di smettere, anche se, dentro di me, volevo che mi sbattesse, se possibile, ancora più forte. Lui sempre più eccitato, mi inculava e mi apostrofava con i peggiori epiteti possibili:
«Ti sfondo il culo! Te lo spacco tutto, vacca! Te lo voglio rendere così largo, che lo dovrai sentire aperto per molto tempo! Sei una gran puttana! E da oggi sarai la MIA puttana!»
Stavo tradendo Marco e, assurdo, lo stavo facendo con suo padre. Questo mi faceva sentire immensamente troia, una vera puttana e, dentro di me, sentivo proprio di voler appartenere a questo maschio, che mi stava dominando, sfondandomi il culo con il suo cazzo stupendo. D'improvviso aumentò il ritmo e subito mi resi conto che mi avrebbe inondato il culo.
«Ora sborro, mi svuoto nel tuo culo di troia».
Lo fece con forza ed impeto, finché emise un grugnito da vero maiale. Ci eravamo accoppiati, mi aveva fatta sua. Non pensavo a cosa sarebbe successo in futuro, non volevo pensarci. L’unica cosa che, in quel momento, per me aveva valore, era il fatto che questo maschio mi aveva fatto godere come una vacca, anzi la sua vacca. Avevo tradito Marco ed era vero: lo avevo già fatto all'inizio del nostro fidanzamento, con un mio ex. Ma avevo poi deciso di non farlo più, mentre ora mi sentivo pronta a soddisfare ogni desiderio di quest’uomo, che mi aveva inondato il culo con il suo seme bollente, quasi a sottolineare il fatto che lui era il mio toro da monta. Per un lungo istante, rimase piantato dentro di me, poi quando si è sfilato, ha appoggiato una mano sulla mia testa e mi ha fatto inginocchiare davanti a lui: in buona sostanza ha preteso che io, con la bocca, gli cancellassi ogni traccia del piacere che c’era ancora sul suo cazzo. Me l’ha infilato subito in gola ed ho assaporato i miei e i suoi umori, leccando e succhiandolo con estremo piacere. Poi ci siamo ricomposti e, prima di tornare dentro casa, lui mi ha guardato dritto negli occhi, mentre teneva entrambe le mani appoggiate alle mie spalle. La sua voce calma e ferma, mi ha impartito un ordine cui io stessa ho subito sentito il desiderio di obbedire.
«Quando avrai voglia di scopare alla grande e, sono sicuro che ti capiterà, ora sai chi devi cercare, perché, ho deciso che tu sarai la moglie di quel cornuto di mio figlio, cui daremo anche un erede. Se scopro che vai a scopare in giro con altri, te ne farò pentire amaramente. È chiaro quello che ti ha chiesto?»
Abbassai lo sguardo. Sentivo, dentro di me, che ero entrata in un meccanismo incredibilmente erotico, tremendamente peccaminoso ed infinitamente lussurioso, che, di sicuro, mi avrebbe portato a godere con quel maschio in maniera completa e totale. Lo guardai dritto negli occhi e gli giurai la mia completa disponibilità ad essere sua, solo sua. Dopo quella volta, scopammo altre volte in posti e luoghi diversi. Nella nostra futura casa, in un parcheggio, in auto, mentre aspettavo Marco che era andato a fare delle commissioni e, persino, in casa sua, con sua moglie chiusa in bagno a fare la doccia. Fui sua anche la prima notte di nozze, dopo che gli avevo anticipato un pompino nel bagno del ristorante.
Lo sarò ancora tra poco, mentre ripenso a tutta questa storia, e lui, adesso, sta arrivando a casa mia, perché mio marito sarà fuori per lavoro per due giorni, e lui passerà la notte, qui con me. Ha espresso il desiderio di volermi ingravidare ed io non vedo l’ora di accontentarlo. Forse sono una puttana, una donna disonesta, ma non me ne importa nulla; lui mi fa godere, mi fa sentire femmina, troia, puttana fra le sue braccia e questo è ciò che voglio.
«è un racconto copiato»
«Grandissimo Pennabianca»
«scritto bene, credibile e preciso in alcuni particolari. Pur evidente sia scritto da un maschio,riesce a descrivere la visuale e il ruolo di femmina imputtanita. Bel racconto»