Il Fatty Goose è un pub irlandese sito in un seminterrato nella Boston vecchia. Si trova in un vicoletto poco illuminato vicino a una strada molto trafficata. Anche se ci passa davanti, fai fatica a notare il pub. 
La sua entrata si trova in una scaletta che porta sottoterra e la sua insegna di legno è ormai sbiadita e l’immagine di un’anatra grassa e sorridente è ormai consunta dal tempo.


Questo pub storico, che ormai ha quasi cent’anni, è un luogo conosciuto solo da pochi e lo frequenti solo se un qualcuno che lo conosce già ti ci porta. Quando ci entri per la prima volta, noti subito il tipico arredamento in legno dei pub di una volta. Niente modernismi come insegne al neon, foto o cartelloni pubblicitari. 


Quello che colpisce lo sguardo è l’isola bancone che si trova al centro del locale, circondata da sgabelli imbottiti.  Il bancone, dove svettano spillatrici e botticelle di birra, è sovrastato da vecchi pannelli di legno dove ci sono ritratti antichi del porto di Boston. 


Il resto del locale è occupato da tavoli di legno ormai consunti dai segni di migliaia di consumazioni, un paio di biliardi. Lungo le pareti ci sono alcune alcove, dove sono stati ricavati dei mini ambienti per consumazioni appartate, per il resto ci sono appendiabiti, bersagli per freccette, altre vecchie foto della città di boston.


Tutto il posto è illuminato da deboli luci elettriche e dalla scarsa illuminazione che entra dai lucernari di vero colorato che non rischiarano molto il posto; ma per via dei colori, ogni tanto l’atmosfera del locale sembra surreale.


Il Fatty Goose è il locale vicino all’autofficina, dove sono stata appena assunta come apprendista contabile.
Io mi chiamo Riley O’Connor, sono appena uscita dalle High School e ho avuto la fortuna di trovare subito un posto ben pagato in questa grande Officina meccanica dove ogni giorno sono riparate quasi un centinaio di automobili.


Già il secondo giorno di lavoro, un sabato, i meccanici dell’officina mi hanno invitata a farmi una bevuta insieme a loro al termine del turno di lavoro. Essendo nuova ho deciso che valeva la pena di cogliere l’occasione per fare amicizia. In fondo dovrò aver a che fare con loro per i prossimi anni e visto la loro stazza (sono tutti dei palestrati tatuati) penso sia meglio farseli amici.


Quella sera, appena usciti dal lavoro, siamo andati tutti quanti al pub e i ragazzi mi hanno presentato al titolare che è venuto a prendere le nostre ordinazioni.
Patrick, un uomo barbuto alto due metri con braccia grandi come tonchi d’albero, si è subito incazzato con i miei colleghi.
- Mi portate delle bambine nel locale, mi volete far perdere la licenza? - Giù di risate da parte di tutti.


Io timidamente rispondo che sono maggiorenne. Il tipo mi guarda diffidente.
- Sembri più piccola che mia figlia; fammi vedere la patente. - Mi domanda sbrigativamente Patrick.
La solita storia. Sono talmente bassa e dai lineamenti minuti che tutti mi scambiano sempre per una bambina. 


Misuro un metro e sessanta. Ho capelli lunghi, ricci e rossi, pelle bianchissima, grandi occhi verdi, un viso macchiato da moltissime lentiggini e labbra rosee e sottili. Di reggiseno porto una coppa A che non aiuta a migliorare la mia autostima. 


Siccome non sono potuta tornare a casa a cambiarmi indosso ancora vestiti da lavoro; camicetta bianca, minigonna nera lunga fino al ginocchio con un piccolo spacco e calze scure abbastanza coprenti. Ai piedi porto un paio di scarpette nere con decolté con tacchi da cinque centimetri; mi piace apparire più alta e darmi un po’ di tono.


- Soddisfatto? - Gli domando passandogli la patente.
Il tipo scruta il documento strizzando gli occhi, come se non si fidasse; poi dopo un attenta analisi me lo restituisce. Probabilmente pensa che sia un falso.
- Altroché! Quale whiskey vuoi? - 
- Non c’è altro? -
- Non ti piace il whiskey? - Mi domanda arrabbiato.
- No, prendo una coca e patatine. -
- Coca? Io non servo veleno! - Il tipo sembra offeso.
- Allora una birra piccola. - Gli rispondo leggermente impaurita al suo tono.
- Sarà meglio. -
Certamente un tipo particolare, penso, dai modi burberi.


Dopo qualche minuto che chiacchiero con i ragazzi dell’officina, Patrick è di ritorno con le ordinazioni.
- Ecco qua bimba. - Mi allunga le patatine e una grande brocca di birra da una pinta.
- Scusi, avevo chiesto una birra piccola. - Gli faccio notare.
- Quello è il “bicchiere” più piccolo che ho. - Mi risponde guardandomi in modo strano.


Decido che e meglio non ribattere e accontentarmi di quello che ho. Cavolo, una bottiglietta piccola mi manda su di giri, due mi fanno ubriacare e con tre parto via di testa. Questo boccale è grande quanto la mia testa. Speriamo bene.


Dopo un’oretta di baldoria con i meccanici, sono euforica. Pensavo peggio; ma in fondo sono bravi ragazzi. Certo, sono un concentrato di bestemmie, testosterone e maschilismo; ma sanno anche essere gentili quando si rivolgono con altri. Al lavoro con i clienti sono educatissimi; qui immagino si possano sfogare, questo locale mi sembra poi il posto adatto a loro. 


Comunque tra una chiacchiera e un'altra, una partita a freccette e qualche aneddoto del lavoro o della palestra, si tardi. Con mia sorpresa, ordino un'altra birra piccola. Forse sarò in grado di reggerla, in fondo ho già vinto cinque partite a freccette con i ragazzi. Se fossi sbronza, non sarei riuscita a fare tanti centri.


Inoltre con la seconda birra Patrick mi ha rivolto un sorriso.
- Forse, sei veramente di origine irlandese. - Mi ha detto con tono orgoglioso. Ormai sono del club, penso felice.


Passa altro tempo e vinco altre partite a freccette. Sicuramente il mio giorno fortunato; ma come dicono gli irlandesi:
“Meglio fortunati che bravi.”
Verso la fine, inizio a barcollare un po’ e per prendere la mira ci impiego più tempo del solito; ma continuo a non sbagliare un colpo. L’atmosfera è rilassata e gioviale; tant’è che mi sono sbottonata diversi bottoni della camicetta. I ragazzi, anche se parlano come scaricatori di porto, sono veramente divertenti e di compagnia.


Alla fine, stanca e brilla mi siedo sulle gambe di uno dei ragazzi e faccio un po’ di conversazione rilassata con loro. Ad un punto il meccanico seduto a fianco a me mi allunga il suo bicchiere di whiskey per festeggiare le mie vittorie di poco fa e senza rendermene conto lo bevo alla goccia.


Il mio gesto scatena una gara di applausi e grida d’incoraggiamento. Subito uno di loro ordina a Patrick un altro giro per tutti, anche per me. Quando Patrick è di ritorno con il vassoio pieno di bicchierini e prendo il mio, il ragazzo su cui sono seduta mi sussurra qualcosa di spiritoso all’orecchio che mi fa ridere a crepapelle e quello seduto al mio fianco m’incita a berlo anche quello alla goccia.


Senza rendermene conto, mentre mi scolo il secondo bicchiere, noto che probabilmente quando mi sono seduta sulle gambe del collega, mi è salita la gonna arrivando fino a meta coscia e lui mi cinge per i fianchi in modo piuttosto fermo. C’è l’altro ragazzo, quello che mi ha offerto da bere, che ha poggiato la sua mano sul mio ginocchio.


Non ci vedo nulla di troppo strano. In fondo mi sono voluta sedere io sulle sue gambe; ma in quel momento stavo barcollando e lui era la prima “sedia” disponibile. In ogni caso la cosa non mi dispiace e lascio correre anche perché quel secondo giro di whiskey, è stata una bella botta da mandar giù.


Le chiacchiere continuano e la discussione si alza di tono e di risate. Trovo da argomentare con diversi ragazzi. Non faccio altro in che alzarmi sulle gambe del tipo per appoggiarmi meglio sul tavolo per parlare con  il ragazzo di turno, poi torno di nuovo a sedermi sempre sulle sue gambe.


Arriva un altro giro di whiskey e i ragazzi in coro mi chiedono di partecipare anche questa volta. Io li accontento. Dopo l’ennesima bevuta mi sento un po’ accaldata. Noto che Sean, il ragazzo su cui sto seduta da un pezzo ha una mano poggiata sul mio interno coscia e sull’altra coscia c’è la mano di John. Entrambe si trovano più su di quanto sarebbe decorosamente consentito; anche se trovo la cosa piacevole.


Decido che è arrivato il momento di andare in bagno. Sia perché mi scappa, sia perché è forse meglio prendere un po’ le distanze. I ragazzi stanno prendendo troppa confidenza.


Barcollo per andare in bagno, è decisamente più difficile di quanto avrei immaginato; ma alla fine ce la faccio. Il bagno delle signore è bello, piastrellato di mattonelle verde chiaro e ci sono un paio di stalli in legno dove ci sono i cessi.


C’è anche un grande specchio su una delle pareti del bagno e mi osservo sbalordita. Gli orli della camicetta, che normalmente tengo sotto la gonna, sono di fuori. Solo un paio di bottoni tengono botta mentre tutti gli altri sono sbottonati e si vede bene il mio reggiseno. La gonna è tutta tirata su fin quasi dove sono le mutandine.


Ancora un po’ e sarei da censura. Non riesco a credere che i ragazzi mi abbiano visto il reggiseno per tutto il tempo. Nessuno, però, mi ha detto nulla. Gli deve essere piaciuta la cosa. Mi fa piacere che il mio piccolo seno abbia avuto i suoi ammiratori.


Questo mi dovrebbe far provare un po’ di vergogna; ma mi eccito un po’ al riguardo. Non so se è effetto dell’alcool o che mi scappa la pipi; ma mi sento euforica, accaldata e un certo prurito tra le gambe.
Lentamente mi sollevo la minigonna mostrando le mutandine. Mi eccita vedermi così allo specchio, mi passo anche le mani sopra i collant strofinando le mutandine. Mi scappa un piccolo gemito.


Il momento è piacevole; ma devo andare al bagno per fare pipi, ormai non la trattengo più. Una volta lì dentro mi lascio andare; anche quello è veramente piacevole.


Dietro le pareti del piccolo spazio del cesso mi asciugo con della carta igienica, poi per sbaglio mi tocco il clitoride e una piccola scarica mi percorre tutta quanta. Sono troppo eccitata penso tra me toccandomi un'altra volta. Senza accorgermene, inizio a masturbarmi. Mi solletico il clitoride e passo le dita lungo le labbra del mio sesso. In breve, anche se mi sono asciugata, mi bagno nuovamente tutta quanta e dopo qualche minuto vengo.


Che troietta che sono, penso tra me, masturbami in un cesso pubblico. Ormai mi sento tutta un fuoco e il mondo attorno a me prende a diventare sfocato. Quando esco dal cesso, torno a fissarmi di nuovo allo specchio. Cavolo, non mi sono data una sistemata per nulla. Sono tutta indecente come prima.


- Riley, tutto bene? -
La voce di Sean risuona dentro il bagno delle signore, mi volto di colpo e la sua faccia fa capolino dietro la porta. Il movimento è brusco e cado con il sedere per terra.
- Ahia. -


Sean entra e afferrandomi per i fianchi mi solleva come se nulla fosse e mi fa sedere sul mobile in ceramica dei lavabi. Sono stupita di quanto sia forte. Certo è una montagna di muscoli tatuata e un sorriso affasciante. Il tutto contornato da una folta capigliatura nera ribelle. Ah, quanto è bello penso mentre siamo a contatto così ravvicinato.


- Allora, tutto bene rossa? - Mi ridomanda di nuovo Sean.
- Sì, un po’ ubriaca forse. - Ammetto ridendo.
- Lo puoi dire; ma così sei ancor più bella. -
Oddio mio gli piaccio. Arrossisco in volto e non capendoci più niente. Sono ubriaca, eccitata, accaldata, imbarazzata ed ora pure in fregola. 


I nostri volti sono così vicini e lo bacio. Lui non sembra essere sorpreso e ricambia prendendomi la testa tra le mani forti. Trascorrono un paio di minuti in cui le nostre bocche si scambiano fluidi. Le mie mani si soffermano sul suo petto esplorandolo. Nonostante la maglietta, avverto il rilievo e il calore dei suoi muscoli d’acciaio, lui mi slaccia gli ultimi bottoni della camicetta.


Ho voglia che mi prenda in qual bagno; desidero prendergli l’uccello e sentirne la virilità che cresce nelle mie mani. Ci scambiano sconcezze nelle orecchie e ormai sono fradicia nelle mutandine; ma con la coda dell’occhio vedo la sua erezione sotto i jeans.



- Dai facciamolo. - Gli dico.
Sean, non risponde nemmeno, mi solleva di nuovo tutta quante e aprendo una parta dei gabinetti, mi sbatte dentro facendomi voltare e divaricare le gambe.
Sento le sue mani che sollevano tutta la mia gonna e che con un secco strattone mi spacca i collant da dietro.
Spero che mi spacchi a me nello steso modo e nell’istante successivo sono accontentata. Con un unico movimento, una volta scostate le mie mutandine, mi penetra e inizia scoparmi con foga e ardore.


Gemo di piacere mentre il suo membro mi sfonda la figa e lui mi toglie con forza la camicetta e poi tasta come più gli piace il mio corpo.
- Più forte! - Grido.
Sean mi afferra per i fianchi e inizia darci con ancor più lena.
- Ahh. - Gemo più e più volte.
- Ti prego non ti fermare. - Lo scongiuro
- Zitta e godi Riley. - Mi scuote quasi facendomi male, ma io godo come mi ha ordinato.


Dopo qualche minuto di pura lussuria mi viene dentro, io mi sento tremare le gambe e vengo anche io.
Quando mi toglie il cazzo da dentro ricado sul cesso che crogiolo nel io piacere.
Lo vedo che esce dal cesso e dietro di lui spunta un altro dei ragazzi dell’officina con l’uccello in tiro che gli esce dai pantaloni. I due si danno il cinque.


- Cos… - Faccio per domandare cosa sta succedendo; ma quest’ultimo mi prende la testa tra le mani e premendo il suo pene sulle labbra mi costringe ad aprire la bocca. Dopo di che mi scopa la faccia.


E’ un susseguirsi di tutti i ragazzi dell’officina. Appena uno finisce esce ed entra l’altro nel piccolo stallo del cesso e mi scopa nel modo che preferisce. Sono penetrata più e più volte nella figa, nel culo ed in bocca.


Mai un attimo di pausa o di respiro. L’aria dentro quel minuscolo cubicolo diventa viziata dell’odore dei nostri corpi sudati e dello sperma di una dozzina di diversi ragazzi. Quest’ultimo mi cola lungo le gambe e sulla faccia.


M sento così appagata che non faccio altro che godere senza ritegno, gemendo senza alcun freno e chiedendone sempre di più. 
- Più forte, più forte. -


I ragazzi non si fanno pregare e ogni volta che mi scopano, è sempre più intensamente. Qualcuno mi stringe la gola facendomi soffocare mentre mi scopa i buchi inferiori. Un altro mi pizzica i capezzoli. C’è chi mi tira i capelli. Sono sculacciata da braccia muscolose così forte che mi rimangono i segni.


Alla fine dopo che tutti quanti si sono serviti più e più volte, mi trascinano seminuda sul pavimento del bagno. Mi sono rimaste solo le mutandine, che qualcuno ha rotto nel cavallo e i brandelli dei collant.


Quando sono tutti attorno a me, iniziano a segarsi venendo sul mio corpo e marchiandolo con il loro seme.
Le battute si sprecano e quando faccio per raccogliere un po’ di sperma per assaggiarlo si levano gli incoraggiamenti.


Vengo persino io, mentre sono circondata da quel muro di muscoli e cazzi non faccio altro che masturbarmi senza tregua.


Quella “doccia” dura un’eternità e quando i ragazzi si sono svuotati le palle, abbandonano il bagno un po’ alla volta. Io sono in estasi sul pavimento che continuo a toccarmi tra le gambe mentre mi guardo nello specchio e godo all’idea di vedermi mentre continuo a darmi piacere.


Dopo un po’ che se ne sono andati tutti, entra il padrone del bar mentre mi dimeno sul pavimento.
Patrick resta sorpreso alla vista di me che mi crogiolo nuda in un laghetto di sperma; ma poi si gode la vista.
- Dunque; la birra la bevi senza problemi, con il whiskey te la cavi e dopo un’orgia hai ancora energie residue. Ottimo. - Il padrone si complimenta con me.


- Ora, se passi anche il mio test … - Patrick si sbottona i pantaloni tirandosi fuori l’uccello.
- … ti promuovo a pieni voti. -


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