L’avevamo già incontrato tante altre volte. Se ne stava nei dintorni del parcheggio del market, offriva aiuto ai clienti, sistemava i sacchetti nelle auto e riportava il carrello al suo posto tenendosi la moneta. Era gentile e non insisteva mai con nessuno. L’aiuto l’aveva offerto alcune volte anche a noi, ma, abitando proprio davanti al parcheggio, raramente ne avevamo avuto bisogno. Diceva di chiamarsi Bandele e di venire dalla Nigeria; un bell’uomo alto e ben fatto, sui 35 anni, era un immigrato ma aveva un modo di fare elegante e possedeva un senso di dignità che manca a molti italiani.
Quella sera Lisa era uscita da sola per fare la spesa; eravamo appena rientrati da un week-end al mare e in casa non c’era nulla. Dopo essere passata dalle casse, si scatenò un tremendo temporale, iniziò a grandinare così forte che in due minuti il parcheggio fu ricoperto da uno strato di ghiaccio bianchissimo. Lisa era rimasta al coperto proprio dietro alla porta scorrevole del market attendendo che smettesse di grandinare. Si guardò intorno e, tra gli altri clienti, vide Bandele che guardava fuori con la faccia quasi appoggiata al vetro; era assorto e con l’espressione malinconica, forse pensava alla sua terra povera ma calda, dove la grandine non s’era mai vista. Lisa aspettò ancora, la grandine s’era trasformata in pioggia ma lei indugiava sulla porta non sapendo se uscire o no; aveva un ombrellino ma sarebbe stato appena sufficiente per riparare lei, mentre tutti i sacchetti di carta presenti nel carrello si sarebbero inzuppati. Proprio in quel momento sentì una voce dietro di lei:
«Che dici, proviamo ad andare?»
Era Bandele, che, sorridendo, le propose il suo ombrello e il suo aiuto. Lisa ci pensò un attimo e, convinta dai mugugni degli altri clienti dietro di lei, disse «Ok... proviamoci».
Uscirono; Lisa si riparava sotto il suo ombrellino, Bandele cercava di fare altrettanto, mentre le copriva le spalle con la sua giacca impermeabile. Con l’altra mano teneva l’ombrello per proteggere i sacchi di carta dalla pioggia battente. Attraversarono velocemente tutto il parcheggio e la strada, arrivarono al vialetto che conduce all’ingresso del nostro condominio e, finalmente, giunsero al portone d’ingresso. Lisa suonò il campanello, io premetti il pulsante del citofono e le chiesi se avesse bisogno d’aiuto, lei rispose di no. Mi sembrò strano, perché doveva avere con sé molti sacchetti. L’ascensore partì e giunse a piano terra, mi parve di sentire alcune voci. Era Lisa che parlava con Bandele che si era offerto di aiutarla a portare su i sacchetti. Infatti quando la porta dell’ascensore si aprì, li vidi entrambi in piedi fra una dozzina di sacchetti posati sul piano della cabina. Lo salutai sorridendo dicendo «Ehilà… ciao Bandele, menomale che c’eri tu!»
Poi portammo tutta la spesa in casa. Una volta terminato, Lisa frugò nella borsa per dare qualche moneta al suo aiutante; si trovò in mano tre monete da un euro e gliele porse alzando finalmente lo sguardo. Fu solo allora che si rese conto che l’uomo era inzuppato come un pulcino: con il suo ombrello aveva coperto i sacchetti e con la sua giacca l’aveva tenuta all’asciutto, mentre lui era rimasto sotto la pioggia battente.
«Oh cielo… ma sei fradicio!» Disse Lisa.
Ci guardammo, e, senza pensarci un attimo, lo facemmo entrare in casa nostra per potersi asciugare. Lui sembrava un po’ intimidito, ma in quello stato non poteva certo tornare fuori: si sarebbe preso una polmonite. Si tolse la giacca, e sotto di essa la situazione era anche peggiore, sia la maglia che i pantaloni erano completamente zuppi. Nel frattempo Lisa era andata a prendere degli asciugamani, ma quando vide in che stato era disse:
«Uhmm… con gli asciugamani non risolviamo granché, i tuoi vestiti rimarranno bagnati.»
Poi guardò me come per prendere le misure e sentenziò che una delle mie tute sarebbe stata giusta anche per lui. Lo accompagnammo nel bagno e gli mostrammo come si regola la doccia; lui disse:
«Ma no grazie, avete fatto anche troppo… non voglio disturbare...»
Lisa rispose: «Figurati... visto come ti sei conciato per aiutarmi, è il minimo che possiamo fare!»
Lasciammo una delle mie tute nel bagno ed uscimmo. Mentre eravamo in cucina a sistemare le cose, mi ricordai che nel bagno non c’era un telo per la doccia, così ne presi uno nell’armadio e bussai alla porta del bagno:
«Bandele… posso entrare? Devo darti il telo per asciugarti»
Non ricevetti risposta, ma mi accorsi che lui, sentendo bussare alla porta, aveva chiuso il rubinetto, così entrai. Aveva già aperto lo scorrevole e stava per uscire dalla cabina. Ci fu qualche attimo d’imbarazzo perché io non potei fare a meno di rimanere colpito vedendo il suo corpo nudo, e lui se ne rese conto. Era scultoreo, proporzionato, muscoloso ma in modo naturale, non pompato in palestra. La pelle era nera, uniforme e liscia senza la minima imperfezione, tirata come quella di un tamburo. Non aveva peli in nessuna parte del corpo, nemmeno sul pube. Non potei evitare di posare lo sguardo sul suo sesso. Lo so: era una africano ed è banale aspettarsi la descrizione di un pene enorme, fuori misura. Sarà pure un luogo comune, ma era davvero così, un membro che pareva disegnato, diritto, tornito e regolare, con il glande scoperto e lucido raccordato dolcemente all’asta. Sporgeva dal suo ventre piatto come una piccola proboscide appoggiandosi ricurvo sopra i testicoli tondi e rigonfi. A me piacciono molto le donne, e anche un po’ gli uomini, ma lui mi pareva il paradigma della bellezza fisica maschile.
Mi avvicinai allargando il telo e glielo posi sulle spalle:
«Sei stato davvero gentile ad aiutare Lisa...»
«Era mio dovere» rispose lui mentre si asciugava.
Tornai in cucina da mia moglie, era ora di cena, fuori non pioveva più, ma era ormai notte. Lisa disse:
«Che ne dici se lo invitiamo a restare a mangiare da noi»
«Bah… non saprei, a me sembra una brava persona, non credo che rischiamo nulla, in fondo se lo merita» Dissi io.
Lui arrivò in quel momento, devo dire che la mia tuta stava molto meglio addosso a lui. Nella mano stringeva un sacchetto di plastica con i sui vestiti bagnati, probabilmente voleva andarsene, ma io gli dissi:
«Ascolta Bandele, che ne diresti di fermarti a cena da noi? Non abbiamo granché… ma se a te va bene a noi farebbe piacere»
Lui guardò Lisa che stava sbucciando le patate, e lei rincarò l’invito:
«Dai Ban… rimani: ti cucino una cosa che scommetto non hai mai sentito. Hai qualche problema con il cibo? Sei vegetariano… forse non mangi la carne di maiale?»
«No, no… nessun problema» rispose lui, «mangio di tutto… ma state facendo troppo per me...»
«Macché» dissi io, «Dove si mangia in due si può mangiare anche in tre... così ci racconti qualcosa di te...»
Bandele, parlava un italiano praticamente perfetto, senza alcuna inflessione particolare, forse con molta attenzione si poteva percepire una cadenza che faceva pensare al francese.
Ci aiutò ad apparecchiare la tavola, Lisa preparò la cena, ed io stappai una bottiglia di vino. Ci mettemmo a tavola e subito ebbi l’impressione che il suo comportamento non corrispondesse affatto a quello che ci si può aspettare da un immigrato povero e derelitto. Era contenuto nei movimenti, attento all’uso delle posate, insomma, sembrava più un gentleman inglese che un immigrato africano. Non pareva molto propenso a parlare di sé quando gli chiedemmo da dove venisse e che mestiere facesse nel suo paese:
«Vango da Abuja, la capitale della Nigeria, stavo per laurearmi in Medicina...»
Che fantasia, pensai fra me e me: tutti gli immigrati che arrivano qui da noi o sono medici, o ingegneri o scrittori. Mai uno che dica che al suo paese era solo un povero disgraziato ignorante e senza un futuro. Feci finta di prenderlo in parola. Anzi, con una punta di perfidia gli proposi di dare un’occhiata alle analisi del sangue che aveva fatto Lisa qualche giorno prima, per avere un suo parere su alcuni valori sballati. Lui capì che in realtà volevo solo metterlo alla prova, ma accettò la proposta. Esaminò attentamente tutti i parametri e concluse che i valori fuori norma non destavano preoccupazione, forse erano dovuti ad una leggera infiammazione transitoria. Suggerì di ripetere le analisi dopo qualche settimana, aggiungendo anche dei dosaggi ormonali di cui non ricordo il nome. Erano le stesse cose che ci aveva detto il nostro medico curante: mi sentii un cretino, lo ringraziai e gli chiesi il motivo per il quale non aveva potuto concludere gli studi.
Lui ci raccontò che proveniva da una famiglia benestante, che aveva studiato all’università di Kampala in Uganda e conosceva 5 lingue. Tre anni prima era tornato a Lagos per sposarsi con Chiku, anche lei studente di medicina. Ci disse che, poco dopo il matrimonio, avevano aderito ad una spedizione medica per portare aiuto ad alcune popolazioni nel nord del paese. Nel sud della Nigeria ci sono gli Yoruba mentre al nord ci sono gruppi musulmani, gli Hausa. Proprio mentre si trovavano a lavorare in un ospedale da campo, ci fu un colpo di stato e il nuovo governo, di fede musulmana, introdusse la sharia. Quasi tutti i componenti della spedizione medica, essendo cristiani, vennero arrestati e costretti a sottostare alle prescrizioni dell’Islam più severe, alcuni vennero uccisi. Lui e Chiku vennero venduti ad un’organizzazione criminale che deportava i prigionieri e li conduceva nei campi in Libia dai quali si poteva uscire solo pagando, per poi farsi trasportare in Europa come immigrati clandestini.
Forse il vino gli aveva sciolto la lingua e adesso pareva quasi contento di raccontare la sua storia:
«Passammo quasi sei mesi in prigionia, senza possibilità di comunicare, senza cibo e senza poterci lavare, con una buca per i bisogni, ammassati con altre migliaia di disgraziati di ogni età provenienti da tutto il continente africano. L’organizzazione rintracciò i parenti di Chiku a Lagos e riuscì a farsi pagare il riscatto pari a circa 20.000€.»
«Quindi vi hanno lasciati liberi di tornare a casa?» Dissi io.
«Magari… non è così semplice in Libia. Una mattina ci fecero salire sopra un camion da bestiame insieme ad un altro centinaio di prigionieri. Giungemmo in un porticciolo dove ci costrinsero a forza di botte a salire sopra un gommone. Diedero istruzioni ad uno dei prigionieri su dove dirigersi e su come usare il telefono satellitare per chiedere aiuto. Ci dissero anche che se fossimo tornati indietro, ci avrebbero presi a fucilate. Il gommone avrebbe potuto accogliere una ventina di passeggeri, ma ce ne avevano ammassati cinque volte tanto. Lo scafista accese il piccolo motore fuoribordo e il gommone partì verso il largo ondeggiando come un serpente di mare.»
«Chiku era con te?» Chiese Lisa.
«No... avevo provato a rimanere vicino a lei, ma nella ressa eravamo stati costretti a separarci, io mi trovavo nella parte anteriore, lei era vicina allo scafista. Dopo qualche ora di navigazione il carburante finì: significava che eravamo ormai giunti nella posizione dalla quale chiedere aiuto. Lo scafista seguì le istruzioni ricevute e tentò di mettersi in contatto con una nave delle ONG. Rispose un’imbarcazione tedesca dicendo che ci avevano già individuati e che sarebbero giunti in meno di due ore. La nave arrivò prima del previsto, vedevamo le luci e sentivamo il rumore, e i prigionieri si sentivano rassicurati»
«Certo… presto vi avrebbero tratti in salvo!» Dissi io, Bandele continuò:
«Purtroppo era una notte senza luna e noi non avevamo nessuna luce di segnalazione, forse la nave non ci vide o si avvicinò troppo velocemente. L’onda provocata dal grosso scafo si propagò sotto il gommone sollevando i passeggeri come un ottovolante. Il gommone non resse alla forte sollecitazione e si aprì in due tronconi soffiando come un palloncino liberato in aria; in pochi secondi si afflosciò completamente. I passeggeri finirono in acqua tutti insieme, anche chi sapeva nuotare non avrebbe potuto farlo, era una tonnara umana che ribolliva di gambe e braccia. Tutti tentavano di tenere la testa fuori aggrappandosi ai corpi vicini. Si sentivano urla strazianti soffocate dall’acqua che entrava nei polmoni. Io ebbi la fortuna di trovarmi in una zona abbastanza libera e riuscì a tenermi a galla. Gridai forte il nome di mia moglie, ma non ottenni risposta. Con le forze rimaste nuotai finché potei intorno al relitto del gommone, ma non riuscì a trovarla. Quando ero sul punto di cedere, venni afferrato dai soccorritori e issato sulla nave di soccorso, poi non ricordo più nulla.»
Bandele concluse così il racconto senza aggiungere altro. Passò forse un minuto, poi mi uscì una frase stupidamente pietosa:
«Chissà… forse Chiku si è salvata; ha perso i sensi ed è stata soccorsa da un’altra nave...»
Bandele mi guardò con un’espressione che mi fece sentire un idiota, e ne aveva tutte le ragioni. Quella non era una fiction con il lieto fine: Chiku era finita in fondo al mare insieme a buona parte degli altri prigionieri.
Eravamo ammutoliti, non c’era davvero null’altro da chiedere, quello che ci aveva raccontato poteva bastare; come fosse poi arrivato a chiedere le monete dei carrelli nel parcheggio del market non aveva nessuna importanza.
Come per spezzare il silenzio, lui si alzò da tavola, apri il sacchetto delle sue povere cose e, rovistando all’interno della sua giacca, tirò fuori un fagotto di carte protetto da un sacchetto di plastica. Ne estrasse una foto e ce la mostrò:
«questa è Chiku, il giorno del nostro matrimonio, tre anni fa a Lagos.»
Il sangue si gelò nelle vene, Nella foto si vedeva lui insieme ad una donna con un vestito di raso giallo oro ricamato sulle maniche e in vita, i capelli raccolti in una crocchia intarsiata trattenuta da fermagli policromi con una sola lunga ciocca che le ricadeva sulla parte destra del viso. Al collo una grossa collana di anelli gialli e blu, due grossi pendenti d’oro a forma di goccia e un bracciale, anch’esso d’oro, a forma di serpente avvolto al polso. Era radiosa, bellissima, tanto quanto lo era lui. Bella e raggiante di felicità; faticavamo a trattenere le lacrime.
Le parole mancavano, che avremmo potuto dire? Ci uscì solo un:
«Accidenti… Chiku era davvero meravigliosa!»
Lui annuì e ripose con cura la foto della moglie. Poi ci disse che l’indomani sarebbe partito insieme ad altri Yoruba, cercando di raggiungere il Belgio dove si trovava un fratello di Chiku, medico presso un ospedale di Bruxelles. Forse con il suo aiuto sarebbe riuscito a riprendere gli studi.
Concludemmo la cena limitandoci ai commenti sul cibo. Lui si offrì di aiutare a sparecchiare la tavola, ma gli dicemmo che non era necessario, così si alzò, prese la sua roba e si diresse verso l’uscita. Eravamo sulla porta, Lisa disse:
«Beh… allora, se te ne vai… buona fortuna!»
Lo abbracciò e gli diede un bacetto sulla guancia. Lui ricambiò, ma indugiò qualche secondo tenendo stretta a se Lisa... forse pensava alla sua Chiku. Lei allora diede un secondo bacio ma rimase con le labbra appoggiate vicino alla sua bocca come a volerlo consolare, poi appoggiò il capo sul suo petto e lo strinse ancora più forte; dopotutto era un addio dato a una persona che partiva per un lungo e pericoloso viaggio e che non avremmo rivisto mai più. Si staccarono e si guardarono in faccia, si sorrisero teneramente. Come d’impulso partì un terzo bacio a stampo. Lisa mi guardò e sorrise pure a me, come per cercare un’approvazione. Ricambiai il sorriso e poggiai una mano amichevolmente sulla spalla di Bandele. Allora Lisa posò di nuovo le sue labbra su quelle di lui e rimase lì. Le labbra si schiusero e il bacio divenne prima tenero e dolce, poi si fece sempre più profondo e appassionato. Lui fece cadere il sacchetto con la sua roba sul pavimento e strinse fra le braccia mia moglie mentre continuava a baciarla. Passò qualche minuto, le mani dei due, e anche le mie, avevano preso a muoversi su tutto il corpo. Mi accorsi che i pantaloni della tuta di Bandele erano lievitati in corrispondenza del pube. Presi la mano di Lisa e la spostai sul rigonfio. Lei prese ad accarezzarlo dolcemente mentre continuava a sorridergli. Dopo un po’ infilò la mano nei pantaloni per stringere quel membro ormai al massimo del suo volume. Si staccò da Bandele e diede un bacio anche a me, quindi si accovacciò davanti a lui e gli abbassò i pantaloni della tuta fino alle ginocchia. Fui io stesso a metterle una mano sulla nuca e ad avvicinarla a quella specie di trofeo di carne nera. Svettava fiero con la punta in alto, sembrava quasi finto tanto era perfetto, ma era assolutamente vivo: l’eccitazione aveva inturgidito le vene che lo percorrevano e lo facevano pulsare di desiderio. Lisa poggiò una mano sul fianco di Bandele e con l’altra afferrò il suo membro per dirigerlo verso la bocca, io le tenevo i capelli lunghi dietro al collo per osservarla meglio. Schiuse le labbra per accogliere la cappella, e prese a suggerla quasi con devozione. Bandele, che fino a quel momento era rimasto abbastanza passivo, le pose le mani sul capo e lo spinse a sé entrando fino a metà della lunghezza. Lei emise una specie di rantolo come chi ha difficoltà a respirare, poi entrambi presero le misure e iniziarono a muoversi in sintonia. Lui, lentamente, la scopava in bocca, lei ogni tanto si staccava e lo guardava sorridendo come per rassicurarlo. Tanto valeva proseguire in una situazione più comoda; Lisa si alzò, e senza dire niente, tirò su i pantaloni di Bandele perché potesse camminare, gli prese la mano e tutti e tre ci spostammo in camera da letto. Poi si sfilò la felpa e la maglietta che indossava. Lisa non porta mai nulla sotto, lei ha un seno superbo nonostante non abbia più vent’anni. Si mise seduta sul letto e riprese con dedizione la sua opera. Adesso stringeva l’asta di Bandele tra le sue tette, la parte eccedente era di lunghezza più che sufficiente per riempire comunque la sua bocca. Passò qualche minuto, poi Lisa si lasciò andare all’indietro sul letto, si trascinò ancora più su fino a poggiare la testa sul cuscino. Sfilò le scarpe, i pantaloni e lasciò solo le mutandine. Rimase in attesa. Bandele mi guardò come per chiedere cosa dovesse fare, io gli dissi: «Dai… toglile tu!»
Sfilare le mutandine alla tua donna è il momento più bello, è come scartare un regalo, eliminare l’ultima barriera che ti separa dall’estasi. Era un rito che concedevo volentieri a quell’uomo che aveva visto le cose peggiori del mondo. Lui si sfilò la tuta e si inginocchiò fra le gambe di Lisa, pose le mani sui bordi delle mutandine per sfilarle. Lei sollevò il bacino poggiandosi sui piedi per favorire l’operazione e rimase completamente nuda davanti a noi. Le sue cosce erano oscenamente aperte, in mezzo ci stava lui che guardava rapito. Lisa non si depila, a me piace così; mi avvicinai e spostai accuratamente la sua peluria ai lati scoprendo la sua carne umida e rosata. Poi misi una mano sulla nuca di Bandele, invitandolo al dolce banchetto.
Lui si inchinò tra le sue cosce quasi con devozione e prese a leccarla dolcemente. Allungò le sue braccia ai lati del corpo di mia moglie cercando le sue mani e le strinse cercando di percepirne le sensazioni. Lei avvolse le gambe intorno alle spalle di lui. Dopo qualche minuto, i movimenti sinuosi e sempre più impazienti del corpo di Lisa, facevano intendere che i baci di Bandele avevano appiccato un incendio non più domabile. Lei posò le mani sulla sua testa premendola sulla vulva e posizionandola nei punti più sensibili. Poi la sollevò definitivamente dal suo ventre, e si spostò di lato sospirando.
Io intanto già da un po’ mi ero tolto i vestiti e osservavo la scena da distanza. Mia moglie mi guardò negli occhi con una domanda stampata sul volto… mi avvicinai.
Bandele si alzò in piedi pensando che il suo coinvolgimento fosse finito lì, e che a quel punto io mi sarei piazzato tra le gambe di Lisa concludendo l’amplesso; ma non era così, io avevo capito lo sguardo di Lisa: i suoi occhi dicevano:
«è arrivato il momento: è questa la situazione che doveva presentarsi»
Non ne avevamo mai parlato in modo preciso; certo le esperienze non ci mancavano, avevamo giocato molte altre volte, lei con le donne e io con gli uomini o anche tutti insieme, ma non avevamo mai scopato con nessun altro; il cosiddetto “scambio” non ci era mai interessato. Non era nemmeno uno dei nostri sogni proibiti, ma sapevamo, anche senza essercelo mai detto, che se fosse capitata la situazione giusta, sarebbe potuto accadere. Poteva succedere anche il contrario, cioè che io facessi l’amore con un’altra donna davanti a mia moglie, ma il caso volle che in quell’occasione fosse presente Bandele; Lisa si sentiva pronta a donarsi a lui, ed io ero assolutamente d’accordo. Così tolsi il cuscino che stava sotto la testa di Lisa e glielo sistemai sotto il sedere per tenerle sollevato il bacino. Poi le divaricai le gambe e spostai i suoi piedi nella posizione che mi sembrava più corretta, come per apparecchiare al meglio la scena. Quindi porsi la mano a Bandele per farlo avvicinare. Lo feci inginocchiare tra le gambe di mia moglie, gli afferrai il cazzo e lo appoggiai sul pelo di Lisa. Lei allungò il braccio verso il comodino e aprì il cassetto. Capii che cercava i preservativi, ma non li trovò. Era da diverso tempo che non li usavamo più. Ci guardammo e probabilmente pensammo la stessa cosa: come poteva un fisico così vigoroso nascondere qualche malattia? E non ci preoccupammo più. Bandele stava sollevato con le mani poggiate ai lati dei fianchi di Lisa; io tenevo le grandi labbra di mia moglie scostate per favorire la sua penetrazione, lei afferrò il membro e cercò l’ingresso della sua vagina. Ci fece girare un po’ intorno la cappella turgida per dipingere l’ingresso con i fluidi che già abbondavano, poi finalmente trovò l’angolo giusto e sollevò leggermente il bacino per dare il là all’uomo che ancora attendeva sospeso sopra di lei. Lisa non era abituata a certe dimensioni, Bandele si fece strada con molta prudenza, centimetro per centimetro, aspettando che i tessuti si distendessero e si rilassassero. Entrava per un po’, poi retrocedeva quel tanto che basta a permettere la dilatazione delle pareti, poi avanzava di nuovo conquistando ancora un po’ di spazio. Quando fu dentro per oltre la metà della lunghezza, Lisa ebbe un sussulto: evidentemente il cazzo era giunto fino al punto oltre il quale lei non poteva accoglierlo. Bandele le prese le mani e gliele immobilizzò sul letto all’altezza delle spalle come per tenerla crocifissa, poi si distese sul suo corpo e la baciò sulla bocca, quindi prese a muoversi dentro di lei lentamente, ma con intensità crescente.
Era una scena paradisiaca, girai intorno al letto per osservarla da tutte le angolazioni. Quel corpo perfetto di uomo coperto di pelle nera e lucida, giaceva tra le cosce bianche e rotonde di mia moglie in un contrasto di carnagioni che emanava una sensualità indescrivibile. La pelle del sesso di mia moglie aderiva alla circonferenza di quel cazzo d’ebano e non avrebbe potuto tendersi di più. La porzione dell’asta che usciva dal corpo, trascinava con sé gli umori prodotti da mia moglie e rendevano la pelle del nostro amico ancora più lucida. Con il procedere dell’amplesso, lei si era rilassata del tutto e adesso potevo osservare che il cazzo la penetrava completamente, fino alla base, mentre i testicoli andavano a sbattere contro il buchino di mia moglie, e sapevo quanto le piaceva questa cosa. Mi misi dietro la sua testa, la accarezzavo e mi alternavo a Bandele per baciarla. Talvolta lui si sollevava e io potevo osservare il suo pene uscire ed entrare in quell’apertura che conoscevo benissimo. Quando era tutto dentro, mi pareva quasi di vedere il pancino di Lisa gonfiarsi in corrispondenza del pene.
Invidiavo Lisa e al tempo stesso ero felice per lei e per noi. Le avevo confessato tante volte che mi sarebbe piaciuto provare le sensazioni che prova una donna quando un uomo si fa strada nel suo corpo, quando si sente costretta a tenere le cosce larghe, immobilizzata dal peso di lui, quando si trova a combattere le spinte che riceve sull’inguine. E poi l’apoteosi finale: avvertire gli spasmi dell’orgasmo e i fiotti di sperma caldo che riempie la sua intimità.
Lei stava godendosi quei momenti con gli occhi chiusi; io le dissi piano all’orecchio
«amore… come lo senti?»
Lisa socchiuse gli occhi e sussurrò rapita, «è bellissimo… mi sento la pancia piena di lui… quando lo tengo dentro mi riempie talmente tanto che sento quasi la necessità di espellerlo, ma appena è fuori non vedo l’ora di accoglierlo dentro di me...»
Certo, lei si ingegnava a descrivermi quello che provava, e più di tanto non poteva fare, ma mi sembrò di capire abbastanza bene le sue sensazioni.
Nel frattempo l’eccitazione era cresciuta e mi parve di capire che Bandele stesse per giungere all’orgasmo. I suoi movimenti ora erano impetuosi e quasi violenti. Lisa cercò di limitarli aggrappandosi con le gambe ai suoi fianchi, ma servì a poco: l’impeto di quel corpo sussultante la trascinava con sé senza nessuno sforzo. Così lei mollò la presa delle gambe e si lasciò cadere di nuovo sul letto. Bandele mugolava, guardò lei e anche me; ormai ci capivamo al volo. Voleva dire «ragazzi, non ce la faccio più… posso venirle dentro?», gli sorrisi e gli mostrai il pollice alzato. Speravo che anche Lisa venisse insieme a lui. Io non sono per le posizioni strane, gli orgasmi multipli o le scopate che durano ore. Mi piace quando l’uomo e la donna arrivano insieme, mentre si baciano, nella posizione canonica del missionario. Lisa prende la pillola e quindi non rischia nulla, mi avvicinai di nuovo al suo orecchio e le chiesi: «ci sei tesoro? Credo che Bandele sia pronto...» Lei rispose «Credo di sì...»
Guardai Bandele e gli mostrai di nuovo il pollice alzato. Lui allargò ancora un po’ le cosce di Lisa come per guadagnare ancora spazio dentro di lei, poi le afferrò di nuovo le mani per crocifiggerla sul letto. Applicò la sua bocca sulle labbra di lei baciandola avidamente, quindi fece come per prendere la rincorsa e dare le ultime spinte poderose. Ora i due corpi sussultavano assieme ed era difficile per entrambi mantenere un certo sincronismo. Muovendosi senza quasi più controllo, lui estraeva quasi completamente il cazzo; se solo fosse stato un po’ meno lungo, avrebbe rischiato di uscire proprio sul più bello.
L’esplosione arrivò contemporanea, le bocche erano unite e potevano solo emettere un mugolio che diventò un «aahhh!» solo verso la fine dell’orgasmo, quando dovettero staccarsi per poter respirare. Io mi ero spostato dietro di lui per osservare meglio le ultime spinte che comprimevano il corpo di Lisa fra il bacino dell’uomo e il materasso. Anche la rete del letto pareva non essere in grado di contenere quell’impeto e faceva degli scricchiolii mai sentiti prima. Quando Bandele arrivò, non resistei alla tentazione di mettere due dita sotto al suo cazzo, proprio sull’uretra. Potei contare uno per uno i suoi spasmi; ognuno di essi produceva una pulsazione del canale che palpavo, ogni pulsazione era un fiotto che allagava il corpo di mia moglie. Contai una dozzina di contrazioni, come a me non succedeva dall’età della pubertà. Avevo potuto sentire anche quelle di Lisa, appoggiando appena un dito all’ingresso del suo buchino, e, a giudicare dall’intensità, anche lei doveva aver goduto parecchio. Poi le contrazioni si fecero sempre più rare, Bandele giaceva esausto sulla spalla di Lisa che le accarezzava il collo. Mi alzai e diedi una pacca sulla spalla all’uomo come per complimentarmi, poi baciai Lisa che mi disse «ti amo». Quindi presi un po’ di fogli di Scottex; Bandele allungò la mano, ma io gli dissi «tranquillo, ci penso io», lui sfilò il cazzo ancora turgido e io feci appena in tempo a contenere la colata bianca che stava per cadere sul cuscino sotto il sedere di Lisa. Ci vollero quattro o cinque fogli per ripulirla decentemente. Bandele intanto si stava rilassando coprendosi gli occhi con l’avambraccio. Quando ebbi finito con mia moglie, usai un altro paio di fogli per pulire anche lui: scostò il braccio e alzò il capo sorpreso, disse «grazie» e ributtò giù la testa.
Io mi distesi accanto a Lisa e presi a coccolarla. Lei sapeva che l’odore dello sperma mi eccita terribilmente, specialmente quando non è il mio. Affondò due dita dentro la vagina che uscirono bagnate e odorose, le avvicinò al suo naso e poi al mio dicendo: «che te ne pare?»
«Mmhh… mi pare ottimo» Dissi io.
Allora lei mi passò le dita bagnate sulle labbra dicendo «sei un porco!»
Poi intinse di nuovo le dita nella passera e me le infilò in bocca. Io le prosciugai, poi ci scambiammo un bacio con quel sapore.
Fino a quel momento avevo partecipato solo emotivamente, ed era stato comunque bellissimo. Ma adesso anche il mio cazzo cominciava ad urlare e reclamare una qualche conclusione. Lisa se ne accorse e volle che le salissi sopra. Entrai dentro di lei senza alcuno sforzo, era ancora bagnata di sperma e la sua vagina non si era ancora contratta. Fu un amplesso dolcissimo e pieno di condivisione. Lisa ogni tanto metteva la mano anche sull’altro cazzo che non ci mise molto a tornare duro. Lui si mise in ginocchio vicino al capo di lei che lo accolse di nuovo nella sua bocca. Io potevo vedere la sua guancia gonfiarsi quando lui le spingeva il membro dentro. Le mi guardò e mi disse «lo so che ti piace» e mi porse il cazzo. Certo che mi piaceva: ce lo passavamo tra noi quasi contendendocelo, oppure lo tenevamo a metà tra le nostre bocche mentre ci baciavamo. A me non mancava molto, e anche Bandele era di nuovo quasi al termine, stava un po’ nella mia bocca e un po’ in quella di Lisa. A chi sarebbe toccato accogliere il suo orgasmo? Io non l’avevo mai fatto, e, con un altro uomo, nemmeno Lisa. Pensai di improvvisare. Era il mio turno, sentì il cazzo diventare ancora più duro e avvertii le natiche di Bandele stringersi, capii che era il momento. Decisi allora di barare: misi una mano sul sedere dell’uomo impedendogli di uscire, lui, non avendo altra scelta, dovette esplodere nella mia bocca. Inarcai la lingua sul palato per impedire allo sperma di scendere in gola e mi preparai. Bandele mi mise le mani sul capo imponendomi il suo ritmo; quando arrivò, potei sentire di nuovo le pulsazioni del canale che trasportava il liquido, e, finalmente, la mia bocca venne irrorata copiosamente. Era appena salato, senza un sapore particolare, l’odore invece era inebriante. Facevo fatica a trattenerlo tutto dentro. Bandele uscì e io andai subito in cerca della bocca di Lisa. Lei mi guardò un po’ incerta, poi mi prese il viso tra le mani e aprì le sue labbra. Ci scambiammo un bacio lungo e profondo, pieno di lussuria. Fu allora che venni anche io, e Lisa insieme a me. Non eravamo mai stati così uniti, così complici e cosi porci.
Passarono tre quarti d’ora buoni di relax con Lisa che giaceva beata fra noi due, poi ci rivestimmo e accompagnammo alla porta Bandele. Lo salutammo, questa volta definitivamente, e lui se ne andò ringraziandoci.
Io lo so che lui aveva capito che non era stato «usato» e che Lisa ed io non siamo dei pervertiti, che non lo avremmo fatto con chiunque, che era evidente che ci amavamo alla follia. Sono sicuro che aveva capito che era stato come un saluto, un omaggio sincero, la restituzione di una piccola parte della fortuna che gli era stata portata via dalla cattiva sorte. E noi eravamo contenti di questo; in qualsiasi parte del mondo egli fosse arrivato, avrebbe portato con sé questo dolce ricordo e, forse, la convinzione che gli esseri umani non sono tutti malvagi.
Ora, si potrebbe definire questo episodio in tanti modi: lussuria, tradimento, perversione. Forse è così, ma io e mia moglie non riusciamo a vederci nient’altro che amore.
«Siete stati meravigliosi, Bandele meritava voi e voi lo avete meritato alla grande.
Bravi bravi bravi »
«Complimenti! Veramente molto bello da leggere, una delle poche storie profonde che fanno piacere rivivere con la mente quegli attimi intensi dei protagonisti. Potrebbe essere la trama di un libro!»
«Bellissimo.....il mio sogno....»
«Bel racconto, un piacere leggere qualcosa che sembrava un vera esperienza, da provare. Complimenti. ciao»
«sarebbe stato bello prenderlo un po nel culo»
« bellissimo e complimenti !!»