febbraio 1999


Lei è Marta, mia moglie. È una ragazza, anzi una donna tranquilla , di ottima presenza e un po’ riservata: vestiti eleganti ma anche casual, capelli scuri e mossi che arrivano alle spalle, poco trucco. La sua vita è scandita dal suo lavoro di istruttrice sportiva, dal pattinaggio, da uscite con gli amici. Siamo sposati da qualche anno, ancora senza figli, e i nostri rapporti sono sempre stati tranquilli e del tutto soddisfacenti. Da qualche tempo si è fatta più audace. Insomma, non che si viva come su un set da film porno, le cose sono rimaste giocose ed entro certi limiti, però è cambiato il suo modo di muoversi, il tono della voce, la luce nei suoi occhi. Ma, per andare con ordine, dobbiamo risalire a un po' indietro nel tempo. Fin dall’adolescenza, ho avuto il vizio del gioco. Ho iniziato con qualche piccola scommessa ai cavalli, poi man mano che aumentavano le mie disponibilità economiche, sono passato ai casinò e a puntate sempre più alte. Alcune volte ho vinto, altre perso. Ma, con il passare del tempo, mi son reso conto conto che, ad attrarmi, non era tanto la speranza della vincita, quanto il rischio, la possibilità di perdere. Ho letto da qualche parte che le vertigini non sono terrore del vuoto, ma piuttosto desiderio di buttarsi. Ecco, io sono attratto dall’abisso, dalla posta che diventa sempre più alta. Un brivido mi è corso lungo la schiena quando ho rischiato di perdere il mio fuoristrada, durante una serata in una bisca clandestina. Anche l'ingegner Saccani ha il mio stesso vizio, ed è per questo che siamo diventati, se non amici, almeno assidui. Saccani è il responsabile di filiale di una multinazionale ma si occupa anche di sport attraverso sponsorizzazioni di squadre a livello nazionale. Un toscano che si è trasferito qui da noi ed abita, con la moglie e la sorella di lei, in un casale nella campagna circostante. È un uomo bizzarro, un esteta raffinato. Pochi hanno visto la sua casa. In paese si parla di feste particolari con sconosciuti, di un via vai di gente venuta da chissà dove. Ma soprattutto si vocifera della Stanza di Cuoio, che, a quanto ho capito, è una camera arredata per ogni tipo di gioco. Fu lui, dopo aver conosciuto Marta ad una cena della squadra di pattinaggio di cui io e lei siamo consiglieri, a farmi la proposta. E io confesso che, in un certo senso, prima o poi, da qualcuno me lo sarei aspettato. Mi propose una partita a poker e la posta in palio sarebbe stata una notte con Marta, nella Stanza di Cuoio. “E poi?”balbettai come un ragazzino sorpreso. “Una notte con lei, nel caso vincessi io. Starà a mia disposizione, secondo l’estro del momento”. “Se perderò avrà a disposizione il finanziamento per la squadra che ho già promesso più la stessa cifra che potrai spendere solo per tua moglie”. “L’estro del momento…”mi ha sempre fatto ridere questo Saccani che parla come un libro stampato. “E sarebbe?” Ma intanto sapevo che, qualunque cosa mi avesse risposto, avrei trovato il modo di convincere mia moglie. “Dipende, si vedrà, potrei anche non fare nulla, oppure…” “Oppure?” “Non preoccuparti, mi piace far star bene le donne!” Ha accettato. E mi sono stupito di non aver nemmeno faticato molto a convincerla. Forse il fatto che avesse molta fiducia nelle mie capacità di giocatore, ma era la sola motivazione che avrei voluto sentirle dire. Ha accettato dicendo: “avremo i soldi per la squadra e poi andremo in crociera”. Si è preparata come una giovane donna per il sabato sera da discoteca. Minigonna appena sopra il ginocchio, giacca nera e top bianco, un paio di stivali neri con una piccola cerniera. Li aveva comprati qualche mese prima, ma fino ad ora aveva osato indossarli solo con i jeans. Quando il cancello automatico si è chiuso dietro di noi senza fare rumore, siamo scesi dalla macchina. Con nostra sorpresa ci ha aperto una donna di mezza età in grembiule, piccoletta, i capelli raccolti a crocchia. “L'ingegnere vi aspetta in sala da pranzo” ha detto con accento toscano “date a me i cappotti”. Ricordo che sono rimasto stupito nel trovarmi in una normale casa di campagna, con soffitti alti, pareti in pietra viva e un armadio settecentesco alla parete. Saccani ci attendeva seduto su un divano a qualche metro dalla tavola. “Accomodatevi!, Sandra ci servirà la cena”. Fa sedere mia moglie a capo tavola. Lei tiene un comportamento educato, timido e rispettoso per tutto il tempo, mentre lui la fissa, a volte insistente, versandole l’acqua. Sinceramente non capisco tuttora cosa ci trovino le donne in quest’uomo non molto alto, biondiccio, con gli occhi slavati e la pelle chiara. Malgrado tutto, non rivolge mai la parola, a Marta, come fosse stata un oggetto. Cerco di capire se ci siano altre persone in casa, oltre alla domestica che entra a servire e riportare via i piatti. Non sento rumori, se non il tic tac ritmico della grande pendola appoggiata alla parete . La casa sembra disabitata. Ma ho la netta sensazione che non sia così. Dalle finestre non riesco a scorgere l’esterno tanto è buio e coi vetri appannati. La pendola segna le ventidue e trenta quando passiamo nella stanza a fianco, per sederci al tavolo da gioco, coperto da un panno verde. Marta cerca una sedia per accomodarsi accanto a noi, ma Saccani, fa segno di no, rimanga in piedi vicino al tavolo durante la partita. Ribadisce le regole: cinque mani cinque indumenti a scelta, più una finale, la decisiva che sarebbe toccato a me scegliere se disputare o no. Vince la prima, Marta si toglie la giacca. Vinco io la seconda mano. Marta sembra piuttosto rilassata, cerca di non apparire cupa e preoccupata, ma non alza mai lo sguardo. Tocca a me, ora, ho buone carte. Gioco il top. L’ingegnere rilancia: top e gonna. Vince lui. Mia moglie si lascia sfilare il top. Lui si alza e le gira intorno, da dietro è alto quasi come lei. Le sfila la gonna. Scopro solo ora che ha scelto l’intimo chiaro coi collant. Saccani ha un sorriso a mezza bocca. Si accende un sigaro, mi offre da bere. Marta in evidente imbarazzo, con addosso gli occhiali, non sa dove mettere le mani. Si strofina le cosce nervosamente. Non riesce a stare ferma. Si appoggia prima su un piede, poi su un altro. Il mio avversario non la degna di uno sguardo, come se non ci fosse, inizia a parlarmi dell'acquisto recente di un cognac. Riprendiamo. Vinco io, può tenere il reggiseno. La quarta mano è pesante. Perdo. Saccani fissa Marta che non sa cosa fare. Lui fa un cenno con la testa. Mia moglie armeggia con la chiusura del reggiseno, evidentemente le tremano un po’ le mani, perché fatica a slacciarlo. Lui continua a sorridere, con le labbra sottili chiuse, quasi uno sfrego sul suo viso, ma non abbassa lo sguardo. Finalmente riesce a levarsi il reggiseno, lei che nemmeno in spiaggia ha mai osato un topless. Si limita a slacciarlo ma solo quando è stesa sulla sabbia sulla pancia, scoprendo un po' di natiche dal tessuto del costume da bagno. Continua a tenere l’indumento in mano, quasi non sappia dove appoggiarlo. Saccani schiocca la lingua, osservando il suo seno che sboccia, con il capezzolo roseo eretto, poi versa a me e a lui del vino. Marta ha freddo, noto la pelle d’oca su tutte e due le braccia, che adesso si strofina. Continuo a domandarmi se siamo soli in casa. Oltre la porta a vetri in fondo al corridoio, dietro la quale filtra una luce rosata, mi è parso di scorgere delle ombre. C’è silenzio assoluto. Ho carte discrete, provo a cambiarne due. Lei sembra di nuovo un po’ più rilassata. Saccani mi guarda con i suoi occhi slavati. Ha le dita lunghe, bianche e sottili. È imperturbabile, io rischio un rilancio, oltre i collant anche gli slip. Lui tace, poi chiede di vedere le carte. E vince. Apre il sorriso quando vede mia moglie armeggiare con la lampo degli stivali. Le fa cenno che si può sedere per sfilare i collant. Lei, le guance sudate, li toglie ma non è impacciata. E resta nuda. Lui non parla. Le indica gli stivali e le dice di infilarseli, poi con l’indice le fa cenno di alzarsi in piedi. Obbedisce. Sempre con la mano le ordina di girare su se stessa; lei fa un po’ fatica a reggersi in equilibrio, ma ha acquistato sicurezza: ci volta la schiena, vuole apparire decisa. Sculetta. Ora è la volta della mano decisiva. Il caso mi regala, due dieci, un re, un asso e un cinque. Mia moglie sta lì, nuda in piedi davanti a noi. Potrei, lasciare, farla rivestire e riportarla a casa. Mi affaccio sull’abisso. La vertigine? È il desiderio di cadere. Gioco la mano e vince lui. Ricordo gli occhi di mia moglie quando si è voltata, mentre, per mano, veniva condotta verso la Stanza di Cuoio. Ho dato l'ultimo sguardo che era girata, camminava nuda, le dita intrecciate alle sue. Sono rimasto solo nella saletta da gioco, c’era ancora l’odore del sigaro di Saccani. Sandra, la domestica, mi ha accompagnato attraverso il corridoio fino all’armadio con gli stucchi dorati per prendere il cappotto. Ho visto quello di Marta appeso a fianco al mio. Sono uscito da quella casa, senza un saluto, l'avrebbe fatta riportare il mattino dopo. Esco dal cancello automatico e i miei fanali finiscono su una paio di altre auto, parcheggiate dietro la siepe alta del retro. La mia sensazione che altre persone si trovassero nella villa si era rivelata esatta. Sono passati alcune settimane, ora è aprile e le giornate sono più lunghe. Non ho mai fatto parola a Marta della serata, un patto tacito fra noi. Lei sembra aver passato bene la vicenda, la sua vita ha ripreso i normali ritmi di sempre. Sono io che, non mi do' pace. Indago in fondo ai suoi occhi, per capire da dove venga quella strana luce. Come se ci fosse un ricordo di qualcosa che abbia saziato una voragine.

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