Un ragazzo che avrà più o meno venticinque anni, il suo carrello e i lunghi corridoi di un supermercato qualsiasi. Uno zainetto sulle spalle che contiene i libri dell’università.
Lui spinge il carrello e ripete mentalmente la lista della spesa, come un mantra. Un’anima grigia che scivola fra le vetrine dei surgelati insieme a tante altre anime, ognuna per i fatti suoi, ognuna come fosse ipnotizzata dalla preghiera silenziosa dei prodotti in offerta speciale, finché..
..finché qualcosa gli lampeggia davanti agli occhi come un’aura divina, lui si pianta proprio davanti al reparto dei sughi pronti e scosso da quella visione per un attimo sembra accendersi sfumando il grigio in un caravaggesco incarnato rosa latteo. Un’apparizione. Poi la luce si spegne.
Ma.. cosa diavolo..
Lui si ridesta con la faccia di uno che ha appena preso uno schiaffone, si guarda intorno e non lo vede più, uno zoccolo di legno dal tacco alto e massiccio con una fascia verde che accoglie
un piede abbronzato, levigato e affusolato, un alluce voluttuoso, parzialmente nascosto dalla fascia, fa da capofila alle piccole dita, delicate e regolari, laccate di un rosso acceso, il rosso giusto.
Un’istantanea zeppa di preziosi dettagli. Scattata e registrata in meno di un secondo.
Dimentica in un attimo la lista della spesa e si lancia alla ricerca di quella visione, con una frenesia cieca che gli rimbomba nel petto, poi la trova.
Di spalle, al banco dei salumi, i talloni forti, issati sui tacchi, curvano l’arcata plantare in un tuffo da montagne russe. Lo sguardo risale come la luce pulsante di uno scanner: la pelle si increspa appena all’altezza del tendine prima di risalire lungo la caviglia sottile, carezzare il polpaccio pieno e liscio che si restringe poi nell’incavo del ginocchio. Un deserto dorato da attraversare, grande appena pochi centimetri quadrati.
Almeno per lui, che di quel mondo è sempre stato un esploratore insaziabile. Quelle geometrie affascinanti che tracciano architetture golose nel pianeta dei piedi di donna. La ricerca continua di una sostanza stupefacente che si assume con gli occhi, spiare e scrutare le donne, solo dal ginocchio in giù. Un feticista? Che parola bizzarra è questa lui non l’ha mai trovata azzeccata, un cultore appassionato, un esteta, uno schiavo dell’anatomia meno blasonata, un povero disperato che a quella visione non sa mai dire no.
Se qualcuno gli chiedesse ora a chi appartengono quei piedi non saprebbe davvero rispondere, probabilmente non gli interessa, va detto però, per dovere di cronaca che quei piedi così sensuali sostengono una donna di mezza età, forse 50 anni, dal fisico tonico, appena un po’ abbondante, accaldata e distratta dalla spesa, i capelli biondi, sollevati da un mollettone che svela un bel collo lungo, la maglia estiva, leggera, che cade su una gonna svolazzante e quelle scarpe, il vezzo femminile di mettere in evidenza le armi che si hanno a disposizione, nel suo caso appunto, i suoi bellissimi piedi.
Lei ritira un involucro di carta dal salumiere e si incammina verso il banco del pesce, lui è ancora lì, obliquo e sbalordito, come avesse visto la madonna in un supermercato.
Quando riesce a riprendersi guarda il suo carrello mezzo vuoto e pensa che per oggi può bastare, si dirige verso l’uscita e sa che per qualche giorno non riuscirà a togliersi dalla testa quell’avvenimento, insignificante per molti, letale per uno schiavo come lui.
È dopo aver pagato la sua spesa che avviene il fattaccio, sta riempiendo il suo sacchetto quando la rivede, in fila alla cassa, gli sguardi che si incrociano e lui che si sente bruciare, abbassa gli occhi e quello che vede gli spappola il cuore, lei ha sfilato un piede dallo zoccolo di legno e lo tiene dritto in verticale, con la punta poggiata sulla suola dura, le dita leggermente contratte piegano la pelle e distendono la pianta arrossata, un’altra annunciazione celeste, con squillo di chiarire e coro di cherubini in festa: Dio c’è.
Lui si sforza di sollevare lo sguardo e resiste alla tentazione di inginocchiarsi con devozione, la trova sorridente e consapevole, nascosta dietro ai grandi occhiali scuri, l’espressione compiaciuta di chi sa bene di aver fatto colpo.

Ora quel ragazzo dalle fantasie un tantino esagerate è fuori dal supermercato, respira finalmente provando a riprendersi da tutte quelle incredibili emozioni. Raggiunge la sua auto e carica la spesa nel portabagagli. «Scusami, mi daresti una mano?»
Lui si volta e se la ritrova davanti, la voce leggermente roca, da donna matura, «Prego?» dice lui incredulo.
«Ho le buste troppo pesanti, mi dai una mano? Abito qui vicino non preoccuparti.»
C’è qualcuno che davvero ha il dubbio su cosa risponderà il nostro giovanotto?
Un attimo dopo sono già in marcia verso la casa di quella sconosciuta, lei cammina davanti, continuando per tutto il tragitto a digitare qualcosa sul suo cellulare, lui la segue senza riuscire ancora bene a capire il senso di quello strano fuori programma, adesso l’accompagno e me ne torno a casa mia, pensa. Neanche per un istante smette di guardarle i piedi da dietro, ovviamente.
Il passo svelto della donna inscena una danza ritmata e regolare il cui tempo è scandito dal battere del tacco di legno sull’asfalto. Ogni volta che un piede si lancia in avanti l’altro si contrae, si solleva leggermente dalla suola e una piccola fessura oscura si schiude come una bocca che sembra voler ingoiare quel povero ragazzo. Quando poi il piede torna a schiacciare la calzatura lui si sente calpestare il cervello.
Una tortura. Una deliziosa, tortura.
La porta di casa si apre e accoglie due personaggi che ancora non conoscono l’uno il nome dell’altra. Lui si guarda intorno e inizia a sentirsi terribilmente imbarazzato. La donna misteriosa si dirige in tutta fretta verso una porta, «Un attimo solo caro, arrivo subito», poi sparisce.
Il ragazzo rimane da solo con le buste ancora in mano e non sa cosa farne, le abbandona sul grande tavolo della cucina e rimane in attesa, cinque minuti almeno in cui sente qualche rumore incomprensibile arrivare dall’altra camera.
Finché lei riappare, ancora più raggiante, «Vieni caro, bevi qualcosa, sei stato davvero gentile ad aiutarmi». La nuova stanza è un salotto avvolto dalla penombra delle persiane accostate, «Accomodati pure sul divano, ti verso subito da bere».
Lui si lascia inghiottire dal divano e inizia a provare qualcosa, un fastidio, come una leggera nausea, cos’è che vuole questa signora da me? Lei armeggia con le bottiglie e il rumore degli zoccoli sulle piastrelle riaccende l’attenzione del suo ospite che suda e prova a schiarirsi la voce con un colpo di tosse di circostanza.
«Prego tesoro, è vodka, spero sia di tuo gradimento». Grazie, vorrebbe rispondere lui ma non ha più voce, spenta dalle fiamme del suo imbarazzo.
Vodka alle undici di mattina, ne beve appena un sorso, ed è pure calda!
È una situazione così assurda che si fa pure fatica a descriverla, ogni angolo di quella casa claustrofobica lo invita a fuggire al più presto da lì se non fosse che..
..se non fosse che la signora ora si siede accanto a lui accavallando le gambe e lasciando sospeso un piede proprio davanti agli occhi del suo ospite col bicchiere fra le mani, lo zoccolo, per via della forza di gravità si distacca dalla pianta e piega verso il basso, lui guarda tutto e scorge sulla suola della calzatura una griffe brillante che registra con la solita dovizia: “Kiara”, poi ingolla un altro sorso di quella bevanda insopportabile. «Come stai caro? Ti senti bene?» Lei gli parla senza guardarlo in faccia, continua a fissare la libreria di fronte al divano come se fosse distratta da qualcos’altro. È in quel momento che la scarpa di legno precipita sul pavimento lasciando quel magnifico piede nudo e splendidamente esibito. «Queste scarpe sono belle ma mi fanno sempre molto male. A te piacciono?».
Ma che succede in quella casa? E che razza di domanda è mai quella? Lui scola tutta la vodka mentre lei continua a fissare la libreria, «Te lo posso chiedere un ultimo favore tesoro? Poi ti lascio in pace promesso». Che ci crediate o no da quando ha messo piede lì dentro lui non ha pronunciato una parola, ha gli occhi spalancati mentre vede lei muovere le gambe, sfilare l’altra scarpa e poggiare delicatamente i piedi sulle gambe del suo ospite silenzioso.
«Un massaggio, ne avrei proprio bisogno..»
Calma. Aspetta. Ragiona.
Un.. massaggio ai.. ai.. piedi?
La signora lo guarda con due occhi felini e sospira di nuovo la sua richiesta d’aiuto: «Ne ho davvero tanto bisogno..»
Le mani del ragazzo si muovono al rallentatore e quasi tremando afferrano gli oggetti di tutti i suoi desideri. Si potrebbe morire per una cosa del genere.
Caldi, tesi e affusolati, leggermente sudati e lucidi. Un sogno.
Lei sembra davvero divertita, «Ti piacciono?». Lui annuisce con la faccia da ebete e non riesce a staccare lo sguardo da quelle dita che si muovono davanti ai suoi occhi.
Un piede si solleva piano e si distende, roteando, in tutta la sua elastica flessuosità. Poi sale ancora più su, proprio a pochi centimetri dal suo naso. L’odore forte e pungente della pelle accaldata lo avvolge e lo sconvolge, la bocca si apre come per respirarne il più possibile. I centimetri diventano millimetri, il piede sinuoso si avvicina ancora, sembra diventare sempre più grande, «Me lo dai un bacino?».
Lui trema, piega appena il collo e unendo le labbra sfiora la pelle tesa del piede di quella sconosciuta.
Un bacio, poi un altro e un altro ancora, «Assaggia dai, con la lingua». Lui obbedisce senza esitazione ormai ipnotizzato da quella voce sibillina. Lecca il collo di quel piede che si muove davanti al suo viso offrendogli ogni volta una nuova porzione di pelle salata da assaporare. La pianta, il tallone, le dita che si allargano lasciandogli la possibilità di infilarci la lingua proprio in mezzo.
Ma non è tutto.
Perché adesso la signora si muove, impercettibilmente, strofina il tallone dell’altro piede sui pantaloni del ragazzo, un movimento che si fa sempre più intenso e che si concentra, senza troppa sorpresa, proprio sulla patta rigida dei suoi jeans.
Lui la lascia fare e si sente sciogliere dentro, l’eccitazione che monta fra le sue gambe è così intensa che tutto il corpo si irrigidisce, pronto ad esplodere.
«Sbottonati dai», dice lei lanciandogli un’occhiata allegra e sorridente. Il tono di voce è spensierato, lui è convinto di aver capito male. «Apriti i pantaloni, forza».
Il ragazzo ormai perde ogni freno ed esegue. Si slaccia i jeans con foga e lascia sgusciare fuori il pisello duro. Lei lo guarda appena, sorride e torna a volgere lo sguardo altrove. I suoi piedi però, quei bellissimi piedi si posano sapientemente ai lati di quel giovane cazzo e iniziano ad accarezzarlo dolcemente. Il suo ospite è in estasi, guarda la scena e inizia ad ansimare, non capisce se lo eccita di più la sensazione o la situazione. Neanche la migliore delle sue fantasie somiglia a tutto questo, chiude gli occhi e piega la testa all’indietro sospirando un “oddio” pieno di emozione. Lei muove i piedi come non avesse fatto altro nella sua vita, «Bravo.. così.. sei un bravo ragazzo, rilassati», gli masturba il cazzo con le piante dei piedi e accelera sempre di più.
Lui torna a guardarsi fra le gambe e vede quelle dita dipinte di rosso che adesso gli accarezzano l’asta, non sa che fare e non c’è bisogno che faccia niente, l’unghia lo graffia leggermente e gli strappa degli ululati da ragazzino, lei si mette a ridere poi alza i piedi e gli mette i talloni proprio sulla cappella gonfia, inizia un movimento rotatorio che lo manda in fiamme definitivamente.
Di nuovo giù ad avvolgerlo fra le piante roventi, ora il movimento si fa più deciso, lui è allo stremo, guarda gli occhi della donna, poi di nuovo i suoi piedi che si muovono, poi di nuovo lei che sorride mentre si morde le labbra, poi chiude gli occhi.
Ed esplode.
L’orgasmo potente è accompagnato da una sorta di ruggito. Zampilla sperma che sporca ogni cosa, la maglia, i pantaloni e soprattutto quei piedi incredibili, su cui cola la sborra calda di quello sconosciuto.
«Bravo. - gli dice lei, poi ritira i piedi, si alza e va ad accendersi una sigaretta - ora se non ti dispiace avrei da fare».
Il giovane ospite risorge col respiro ancora corto, inizia a chiudersi i pantaloni pronunciando le sue prime parole «Sì, mi scusi, ora vado».
Un attimo dopo è sulla soglia di casa senza saper bene cosa dire, si volta a guardare quella donna, la scruta dall’alto al basso e l’ultima cosa che vede prima di uscire sono i suoi piedi scalzi ancora luridi del suo piacere.
«Arrivederci».
«Ciao caro».
Lei adesso è sola, le spalle poggiate alla porta e un sospiro che incrina per un istante tutta la sua spavalderia. Spegne la sigaretta sotto l’acqua del lavandino e torna in salotto. Raggiunge la libreria, sposta appena un grosso volume di cucina orientale e rivolgendosi a una piccola scatolina nera dice piano: «Ti sei divertito?».

A centinaia di chilometri da quella casa un uomo corpulento di circa quarant’anni con dei grossi occhiali da vista è seduto davanti al suo computer coi pantaloni calati e le mani ancora unte di sperma. Una stanza disordinata, piena di scartoffie. Un giradischi polveroso gracchia la colonna sonora di un vecchio film. Sullo schermo del suo pc c’è il viso di quella donna che lo guarda, senza vederlo, con aria interrogativa e vagamente sommessa. Lui riprende fiato e inizia a digitare.
“sei stata bravissima, anche stavolta, come ogni volta.”
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