(continuazione) I mesi che seguirono furono segnati da diversi viaggi di lavoro.
Non sempre Francesca mi accompagnava, ma quando lo faceva era scontato che finissimo a letto insieme. Piano piano si era lasciata andare e adesso stava iniziando a perdere quella timidezza ed insicurezza che aveva all’inizio.
Una sera d’estate ci trovavamo in un buon ristorante di Parigi, un posto tranquillo e ben frequentato.
Ci eravamo accomodati in un tavolo d’angolo, con un bel divanetto e due sedie. Luci soffuse, un’area della sala un po’ appartata anche per il fatto che non c’erano molti clienti. La posizione non era comunque nascosta. Avevamo quasi finito di cenare quando lei attaccò con un discorso dove cercava di fare un po’ la maliziosa.
- Sono diventata una cattiva ragazza, allora?
- No, ne sei ben lontana. Non ci sei portata.
mi guardò stranita, e forse un po’ delusa
- Mi avevi promesso che sarei diventata una cattiva ragazza… Non lo vuoi più?
- Sicura di volerlo tu?
Aveva perso un po’ di quella finta sicurezza con cui aveva aperto la discussione. Mi piaceva spingerla verso questi suoi angoli oscuri e deboli.
- Finora mi è piaciuto…
- Vai in bagno e togliti il reggiseno.
Si bloccò. Ci ero orami abituato.
-Dai muoviti.
- Ma… la camicia…
- La camicia va benissimo. E le cattive ragazze tengono almeno un bottone in più aperto.
Con il suo tipico modo di fare, abbassò gli occhi e fece per alzarsi.
La presi pe una mano e la avvicinai a me. La baciai e poi le sussurrai all’orecchio
- e togliti anche le mutandine. Poi controllerò se sei stata brava.
Si irrigidì per un attimo, poi prese la borsetta e si diresse verso la toilette.
Quando tornò non mi guardò in faccia. La camicia bianca lasciava ora vedere bene la profonda scollatura e le trasparenze facevano capire che era senza intimo. Quando scostò la sedia la fermai e le dissi di sedersi di fianco a me, sul divanetto di velluto rosso.
Non appena lo fece, la mia mano si posò sulla sua gamba, iniziando a salire verso la gonna. Portava sempre le autoreggenti, quindi avanzavo lentamente verso l’interno coscia aspettando di sentire la pelle nuda sotto le mie dita.
Lei era rossa in viso, mentre i suoi occhi saltavano da un tavolo all’altro per vedere se qualcuno si stava accorgendo di quello che stavamo facendo.
Mi piaceva molto farla sentire così, tesa ed imbarazzata.
- fermati… ti prego… io….
- No ragazzina. Non volevi fare la cattiva?
Raggiunsi il suo sesso.
Fece un piccolo sobbalzo.
La scena era coperta dalla tovaglia, ma credo si potesse immaginare bene cosa stava succedendo dalla posizione innaturale del mio braccio. Entrai dentro di lei. Era bagnata.
- Vedi che ti piace?
Rimaneva immobile, come una statua, tranne che per delle contrazioni ritmiche del bacino. Il volto cercava di nascondere il piacere che provava, misto ad una forte tensione.
- Fermati…. Ci vedono… il cameriere…
Il ragazzo venne verso di noi per chiederci se volevamo ancora un dolce o un caffè. Io avevo aumentato la velocità con cui le dita le torturavano il clitoride e la penetravano. La sua mano sinistra stringeva forte il mio avambraccio destro, quello che le stava dando piacere, cercando di limitarne il movimento.
La testa bassa.
Riuscì a dire un no strozzato. Gli occhi del ragazzo mi dicevano che aveva capito la situazione. Infatti poco dopo lo vidi dall’altra parte della sala con un collega che parlottavano e ci fissavano.
Baciai Francesca sul collo e le dissi che il suo amico cameriere voleva vederla godere.
- Alza la testa e guardalo negli occhi. Muoviti.
Lo fece, tremando come non l’avevo mai vista fare.
Guardò i due per un po’ mentre la masturbavo vistosamente.
Credo che questo la eccitò e la fece venire. Afferrò il tavolo con entrambe le mani, piegandosi in avanti e spalancando la bocca. Le scappò un sospiro soffocato che fece però girare altri due ospiti non molto lontani.
Girò la testa verso di me, ma senza riuscire davvero a guardarmi.
- Sei contento adesso?
- Abbastanza. Andiamo.
Si alzò sistemandosi la gonna tra gli sguardi delle poche persone che avevano capito l’accaduto.
Gli occhi dei due camerieri non la lasciarono finchè non uscimmo dal locale.
Le passai un braccio dietro la schiena, e camminammo per qualche centinaio di metri. L’aria era tiepida, le stradine che stavamo percorrendo quasi deserte nonostante fosse ancora piuttosto presto.
La trascinai dentro una zona più buia e la misi con le spalle al muro. Iniziai a baciarla, mentre con la mano le afferravo un seno e con l’altra portavo la sua sulla mia erezione.
Era di nuovo tutta concentrata a guardare se arrivava qualcuno.
Mi aprii da solo i pantaloni, tirai fuori l’uccello e la spinsi ad accovacciarsi
- cosa fai… qui ci vedono…
- Zitta. Fammi vedere quanto sei cattiva. Succhiamelo per bene
Si accovacciò e lo prese in bocca.
Le tenevo ferma la testa mentre mi muovevo dentro di lei.
Un paio di persone passarono, ma non credo si accorsero di noi, o non lo diedero a vedere.
Quando venni ingoiò tutto senza fermarsi. Ormai in quello ci sapeva fare.
Si rialzò e si sistemò un po’ la gonna e la camicia, poi ci incamminammo verso l’hotel.

Rimase in silenzio. In camera mi guardò dritto negli occhi
- Mi hai fatto fare la figura della puttana al ristorante
La tirai con forza verso di me
- Tu sei la mia puttana, lo sai vero?
Non rispose.
Mi baciò.
La sua lingua nella mia bocca, la sua mano a cercare il mio sesso
- Dai… scopami…
Mi stupì
Le sollevai la gonna e in pochi istanti le fui dentro.
(continua)
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