Camminavo triste e solo in quella fresca notte di maggio. La sola cosa che attenuava la mia tristezza era il profumo dei fiori, nella strada di campagna che percorrevo per ritornare a casa. Qualche auto passava di tanto in tanto. Un gatto, nell'erba, fissava il vuoto. Ero uscito un po', recandomi in una piazza in cui avevo incontrato dei conoscenti, ma per lo più avevo preferito stare da solo. Guardavo le ragazze, e mi rendevo conto che non ce ne era nemmeno una per me. Le donne alle quali piaccio, non mi piacciono. Eppure io non sono affatto brutto, anzi. Del resto, non è solo questione di bellezza: alcune ragazze sono bellissime, ma talmente idiote da farmi ammosciare il cazzo, anche perciò non ci provo. Ero talmente triste e privo di speranza che non avevo nemmeno voglia di farmi una pugnetta o di guardare un porno, tanto meno di leggere un racconto erotico. Non parliamo poi di film o romanzi romantici: mi avrebbero distrutto. Così, tornato a casa, come al solito aprii Instagram, con la speranza di trovare lì una donna (i siti di incontro costano o sono imbarazzanti). D'un tratto vidi una foto e mi resi conto di una cosa: era una ragazza, di nome Irene, che mi aveva guardato di pomeriggio.  E non era la prima volta. È che tempo addietro avevo messo un like a una sua foto in cui era venuta bene. Ma non l'avevo nemmeno riconosciuta. Per qualche like si può creare un fraintendimento.


Irene è bassina, con capelli neri e lunghi, un neo sulla guancia sinistra. Non è bella, ma non me la sento nemmeno di dire che sia brutta. E poi, si era capito, era questo il massimo a cui potevo aspirare. Non sono un uomo realizzato né intraprendente perciò non potevo permettermi quelle bonazze fantastiche che tutti sognano di chiavare. E allora, provai ad accontentarmi.
Mentre pensavo di avvicinarmi a lei, mi passarono per la mente tutte le belle donne che mi sarei voluto scopare.
Mi addormentai, ancora triste, finché non mi svegliai, il giorno successivo, con il cazzo in tiro. Indossavo solo una maglietta intima e un paio di boxer. Mi toccai un po' il cazzo, pensando a Irene e cercando di vedere in lei qualcosa di sensuale. Provai a immaginarla mentre me lo succhiava e pensai che non sarebbe stato male. Mi ricordai che viveva nel mio stesso quartiere, così passeggiando, passai davanti casa sua. Il suo modo di vestire non era nemmeno provocante. Era sciatta. La salutai timidamente, lei ricambiò, guardandomi negli occhi con espressione quasi innamorata. Provai a sorriderle. Essendo molto timido, non sapevo cosa dirle e arrossii. 
Sarebbe stato bello dirle semplicemente "vuoi scopare?" e invece no.  Non è così che funziona.
Essere belli ma insicuri e solitari come me è davvero un tormento. I brutti se ne fregano e spesso hanno anche successo con le donne.
«Come va?», le dissi.
«Bene, te?»
«Bene. Io...volevo chiederti se...posso invitarti a prendere un caffè insieme». Mi sentii imbarazzatissimo.
«Certo» rispose sorridendo. Doveva proprio essere contenta.
«Va bene anche oggi pomeriggio?»
«Sì, verso le sedici».
Ci demmo l'appuntamento e ci incontrammo sotto casa sua. Si vestì in modo un po' più sexy: una canottiera bianca e scollata, che mostrava due belle tette sode, jeans stretti chiari e scarpe aperte col tacco grazie alle quali risaltava la forma del suo culo, che finalmente mi sembrava niente male. Anche i suoi piedi erano molto belli e curati.


Camminammo per la strada che vi avrebbe portati al bar, parlando poco e imbarazzati. Ora immaginavo le altre ragazze brutte che, vedendomi con lei, avrebbero pensato "e ci hai rifiutate per questa?", mentre avrei voluto una bella donna accanto a me.
Ma era da troppo tempo che non chiavavo. Parlammo del più e del meno, della situazione attuale in Italia, del bar più accogliente del paese, dei lavori e delle ristrutturazioni della nuova amministrazione.


«Che bel profumo questi fiori, vero?», le dissi per dare un'aria più poetica alla conversazione e le le elencai i nomi dei fiori. Pensando che la mia intenzione era scoparla, mi eccitai dimenticandomi del suo aspetto insignificante. Mi fermai, la guardai negli occhi e le misi le mani nei capelli, accarezzandoglieli. Mi avvicinai al suo volto e la baciai sulla bocca, chiudendo gli occhi. Sentii il cazzo che mi si induriva, così la strinsi a me le toccai il culo, con la conferma che non era niente male.
La guardai: era felice. Così la baciai di nuovo, infilandole la lingua dentro. Le mie mani si intrufolarono nei suoi pantaloni e nelle sue mutande, toccandole il culo. Le strinsi le chiappe con la mano e automaticamente il dito medio le finì all'inizio dell'entrata dell'ano. La strinsi di più a me facendole sentire il mio cazzo duro sulla fica. Avrei voluto scoparla lì, in quell'istante, in mezzo alla natura, senza timore di nessun che ci vedesse. L'idea di andare al bar per il caffè era ormai completamente cancellata. La ragazza sospirò e le fremettero le labbra, sembrava piuttosto eccitata, e non solo sessualmente. Sembrava provare tutte le più belle sensazioni che potesse provare una donna. Mentre continuavamo a baciarci, sentivo delle auto che passavano alle mie spalle: sicuramente ci guardavano, ma non ce ne fregava niente. Mi staccai da lei e mi sedetti sul muretto, facendo sedere lei addosso a me e ripresi a baciarla. 


«Ti andrebbe di andare in un luogo meno vistoso?», le sussurrai delicatamente all'orecchio.


«Sì», mi rispose lei, con un filo di voce, e vogliosa, ritornò a baciarmi. A dire il vero non avevo grande idea di dove portarla. Tra i tanti problemi che ho è che purtroppo vivo ancora con mia madre e non ho modo di avere casa libera per invitare qualcuna. Tanto meno ho l'automobile.


Trovai una casa abbandonata, una di quelle costruzioni in sospeso. So che è squallido, ma era l'unica possibilità. Lessi la perplessità negli occhi di Irene, ma non disse nulla ed entrammo. La spinsi delicatamente contro il muro e ricominciai a baciarla. Non solo in bocca, ma ovunque: sulle guance, sul collo, sulle tette, scendendo sempre più giù. Le baciai il ventre e le sollevai la maglietta, che lei si sfilò da dosso e gettò a terra, mentre io le sbottonavo i jeans, aprendole la zip. Vidi che indossava delle mutandine bianche. Le abbassai un altro po'i pantaloni e con le dita le abbassai anche le mutande. Il cuore cominciò a battermi più forte, il respiro mi mancava, il cazzo mi si induriva ed io tremavo. La sua fica era pelosa e gliela baciai, poi cominciai a leccargliela. Tirai fuori il mio cazzo e, mentre gliela leccavo, mi masturbavo. La sua fica si bagnò tutta, io infilai la mia lingua dentro di lei. La sentii emettere un gemito di goduria. Nel frattempo, con la destra mi masturbavo, con la sinistra le paplavo il culo.


«Ti piace?»


«Sì, continua».


E ripresi a leccargliela. Mi alzai e la baciai di nuovo in bocca, poi le leccai il seno e le succhiai i capezzoli. Afferrai il mio cazzo in mano e lo puntai verso la sua fica.


«Aspetta» disse Irene, togliendosi i pantaloni per allargare meglio le gambe. Così potei infilarglielo dentro. Notai che aveva una fica molto stretta e feci un po' fatica. Forse le feci anche un po' male, ma emise solo un leggero lamento. Una volta entrato, cominciai a spingere prima lentamente e delicatamente, poi più forte.


«Ah! Ah!» erano gli unici versi che emetteva, misti tra sofferenza e goduria. Mentre ma chiavavo, le ficcavo di tanto in tanto la lingua in bocca. Mi fermai e la baciai nornalmente sulle labbra. Estrassi il cazzo dalla sua fica e dissi «Adesso prendilo in bocca». Mi guardò negli occhi e si inginocchiò davanti a me afferrandomi il cazzo e masturbandomi, poi lo prese in bocca e cominciò a leccarlo. Non era molto brava, ma le dissi il contrario per incoraggiarla. E infatti lo fece meglio. Poi lo succhiò, ma i suoi denti graffiavano il mio cazzo.


«Attenta! Così mi fai male!»


«Scusami» disse «ma come devo fare?»


A quell'età non sapeva ancora fare i bocchini?


Tentai di spiegarle come doveva mettere la bocca per non usare i denti sul mio povero cazzo. 


«Sei più brava a leccare che a succhiare» le dissi «adesso leccamelo, poi migliorerai con i bocchini».


Riprese a leccarmelo ruotando con la lingua attorno alla cappella, poi leccando lungo l'asta fino alle palle. 


«Alzati leggermente» le dissi «voglio infilartelo tra le tette».


Irene eseguì, abbassandosi il reggiseno, senza toglierselo. Strusciai il cazzo sul suo seno e poi lo infilai in mezzo alle sue tette, che lei strinse facendo assumere ad esse quasi la forma di un culo. Io fece avanti e indietro con il cazzo, mentre il mio corpo si accalorava sempre di più, anche considerando che qualcuno avrebbe potuto scoprirci.


«Sei bona» le dissi e mi fermai «adesso girati».


La ragazza obbedì. La feci appoggiare con le mani contro il muro e inarcare la schiena con il culo rivolto verso di me. Io mi abbassai e le aprì le chiappe leccandole l'ano, che in seguito stimolai e dilatai con le mie dita. Così mi alzai, con il cazzo dritto e duro, leggermente bagnato della sua saliva e del mio liquido pre-eiaculatorio e tenendole il culo aperto, le ficcai delicatamente e lentamente il cazzo dentro. La prima botta fu lieve, la seconda più forte.


«Ah! Ah!» esclamava Irene.


Dalla terza botta in poi fui più brutale e più veloce.


«Ah!Ah! Ah!Ah!» ripeteva Irene allo stesso ritmo delle mie inculate.


«Ti piace?»


«Sì, sì!» esclamava lei. 


Mi piegai un attimo per baciarle la schiena nuda, ma immediamente ripresi a incularla. Andando col cazzo sempre più a fondo, cominciai a sentire la merda sul cazzo, ma me ne fregai e anzi la inculai più forte, finché dal suo culo non uscirono delle gocce di sangue. Nemmeno allora riuscii a fermarmi e siccome lei non diceva nulla, continuai, finché non sentii che stavo per sborrare. 


Mi fermai ancora «riprendilo in bocca» dissi. Lei si giró, si inginocchio e leccò il mio cazzo, ricominciando a succhiare, stando attenta a non usare i denti.


Vide le gocce di sangue a terra, ma non se ne preoccupò.


«Ferma!» le dissi togliendole il cazzo dalla bocca «resta così, con la boca aperta e la lingua di fuori».


Irene obbedì, io mi masturbai puntando il cazzo verso di lei, di tanto in tanto sbattendoglielo in faccia e strusciandoglielo sulla lingua.


« È meglio se chiudi gli occhi, non si sa mai dove posso schizzare».


Irene chiuse gli occhi e io mi masturbai più velocemente, guardando quella lingua che mi faceva arrapare di più.


«Ah sì! Sborro!» annunciai e vidi che aprì la bocca ancora di più.


«Sì, dai, sborrami in bocca» supplicò.


Sentii lo sperma pulsare nel mio cazzo e uscire dalla mia capocchia, che schizzava ovunque addosso alla ragazza. Le finì tra i capelli, in faccia e sulle tette. Puntai meglio il cazzo e le feci cadere molte gocce sulla lingua.


«Puliscilo» le dissi. Irene leccò la mia sborra con la lingua e certe gocce le rimasero attaccate alla bocca, colando fino al mento. Si pulì con la mano e con le dita, mentre con l'altra mano pulì il mio cazzo, gettando la sborra a terra. Si leccò la sborra che aveva sulle labbra e in faccia e lo sputò. La cosa mi offese, avrei preferito che ingoiasse, ma non si può prerendere da tutte.


«Sei stata bravissima» le dissi.


«Anche tu».


Entrambi parlammo con un tono freddo, poco entusiasti. Lei cercò di ripulirsi col fazzoletto, sia la sborra che il sangue. Ci rivestimmo e, senza parlare, ritornammo ognuno a casa propria.


«Ci vediamo» le dissi davanti casa sua.


«Ciao» rispose lei.


Avevamo scopato ed era stato bello, ma in seguito avvertimmo nuovamente un vuoto e una malinconia, che soltanto una persona che ci piaceva davvero sarebbe stata in grado di colmare.


Non eravamo noi. Ora ci salutiamo di nuovo come due estranei. Non so, nè mi interessa, della sua vita sentimentale, ma io mi sento di nuovo triste e solo, ancora alla ricerca della mia anima gemella.


 


 
 

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Categorie: Etero Sentimentali