Gabriele e Laura correvano a più non posso, in quella fredda, ventosa e nuvolosa notte di novembre. Correvano sempre più veloci. Fino farsi venire il fiatone. Lui si mise una mano sul petto: lo sforzo della corsa, insieme alla paura, aveva fatto accelerare il suo battito cardiaco.


«Di là!» disse Laura, indicando un vicolo quasi invisibile, nel quale nessun veicolo sarebbe potuto entrare. Vi si introdussero velocemente e andarono il più lontano possibile. Gabriele, affannato, quasi fino a svenire, sedette lentamente, appoggiandosi sul muro. Notò che Laura rideva, sembrava molto divertita. Per lei tutto era un gioco, la vita stessa lo era. Gabriele sputò a terra e continuava ad ansimare con la mano sul cuore. Si domandava se sua sorella fosse effettivamente sana di mente: che aveva da ridere?


L’espressione di Gabriele era seria e preoccupata.


«Li abbiamo seminati» disse Laura «è impossibile che ci trovino qui».


Gabriele la guardò con aria severa e irritata.


«Sei tutta scema!» esclamò sottovoce per non farsi sentire, mentre la sua fronte era imperlata di sudore.


«Che cazzo ti viene in mente? Insultare dei poliziotti e scappare».


«Sono degli stronzi di merda» replicò Laura «mi hanno puntato le luci della sirena in faccia».


«Ma che cosa avevi fatto?»


«Mah, solite puttanate: non avevo la mascherina e, a differenza degli altri, non volevo andare a casa. Per loro ero uscita senza “necessità”. E poi avevo fumato dell’erba. Non ho voluto fornire i documenti e ho cominciato a insultarli».


«Non puoi metterti a insultare dei poliziotti. Dopotutto loro stanno facendo soltanto il loro dovere!»


«Bel dovere di merda» esclamò Laura e cambiando ironicamente la voce, menzionò, gesticolando in maniera teatrale: «"non c'è niente che sia tutto cattivo. Tu dici che i poliziotti sono TUTTI cattivi, invece no. Ne ho conosciuti tanti, di buoni. Insomma c'è anche il poliziotto buono." Non hai modo di spiegargli che: quando un uomo indossa quella divisa diviene il tutore stipendiato dell'ordine vigente. È pagato per far sì che nulla cambi. Se a te va bene come stanno le cose, allora tutti i poliziotti sono buoni. Se invece non ti piace come stanno le cose, allora per te sono tutti cattivi».


«Non credo che Bukowski sia un buon esempio da seguire».


«Hai riconosciuto la citazione, complimenti» disse Laura, volutamente distratta, estraendo un pennarello rosso dalla tasca del giubbotto, uno di quelli indelebili, con il quale fece una grossa scritta sul muro:


 


DISTANZA SOCIALE


MA DAL PUBBLICO UFFICIALE


 


Gabriele cercò di riprendere fiato «potevi semplicemente indossare la mascherina e andartene, così non ti avrebbero nemmeno chiesto i documenti. Ribellarti in questo modo è pericoloso. Con i tempi che corrono avresti potuto rischiare un trattamento sanitario obbligatorio. O almeno potevi calmarti quando sono arrivato io. E invece, per seguirti mi sono ritrovato a fuggire anche io, come un idiota». Poi guardò la scritta sul muro «e ti metti pure a lasciare le tracce» aggiunse.


«Il mio bel fratellone che viene a salvarmi» disse Laura, appoggiandosi con la testolina sulla spalla di Gabriele, con gli occhi socchiusi a causa del fumo e, a giudicare dall’alito, anche dell’alcol. Poi alzò lentamente lo sguardo verso di lui e fece un mezzo sorriso, con il quale esprimeva la sua serenità. Sembrava si sentisse protetta quando era con lui.


«Dammi un bacio» disse lei.


«In questo momento è l’ultima cosa che vorrei fare». Gabriele pensava che lei lo stesse prendendo in giro, considerato il suo carattere scherzoso, e che il bacio che lei gli chiedeva fosse semplicemente di affetto fraterno. Ma Laura lo guardò in modo serio, con gli occhioni tristi. Cercò di essere più chiara e si sedette sulle gambe del fratello, appoggiandosi con la testa sul suo petto. Tuttavia, Gabriele si sentì ancora più confuso. Poi il giovane sorrise e, accarezzandola, pensò che quel bisogno d’affetto fosse dovuto allo stato di ebbrezza in cui Laura si trovava. Le accarezzò i capelli e lei si accoccolò ancora di più.


In quel momento, però, la tensione salì di nuovo, poiché una luce blu si vedeva nell’aria, da lontano. Laura riaprì gli occhi, mentre il battito del cuore di Gabriele ricominciò a palpitare.


«Stai tranquillo, qui non possono trovarci» lo assicurò Laura.


«Che ne sai?» sussurrò Gabriele «dopotutto, possono pur sempre entrare a piedi, scendendo dall’auto».


Laura non rispose. Entrambi restarono appiccicati al muro, trattenendo il fiato, per non farsi scoprire.


Udirono il rumore dell’automobile che andava via. I due ripresero fiato e si sedettero a terra, tirando un sospiro di sollievo.


«Maledizione! Sono le dieci passate e non me ne ero accorto!» esclamò Gabriele impaurito. Il sollievo era durato solo un attimo.


«Rilassati» cercò di rassicurarlo Laura, guardandolo negli occhi. Soltanto in quel momento, Gabriele cominciò ad avvertire una strana sensazione: Laura non lo guardava esattamente nel modo in cui una sorella guarda un fratello. Era confuso e rimase immobile.


Le labbra di Laura tremavano, ma nonostante ciò, si avvicinò di più al volto dell’uomo. Lui si scostò, indietreggiando con la testa. Era sempre più confuso. Sua sorella voleva baciarlo? E lui doveva accettare? Doveva seguire i princìpi morali oppure trasgredire proprio perché gli si presentava un’occasione?


«Che stai facendo?» domandò lui, mentre anche le sue labbra cominciavano a fremere. Questa volta il respiro gli mancava per altri motivi, il cuore gli batteva per un’altra ragione.


Il volto di Laura si intristiva sempre di più: cosa insolita, per lei.


«Non ti piaccio nemmeno un po’?» domandò lei, sull’orlo del pianto.


«Sei mia sorella».


«Sorellastra» corresse lei, convinta che questo potesse fare qualche differenza per lui «non siamo neanche cresciuti insieme».


Erano fratelli soltanto da parte di padre, avevano madri diverse.


Gabriele aveva trentatré anni. Laura ne aveva ventisette. La madre di Gabriele aveva divorziato dal padre quando il loro unico figlio aveva circa dieci anni. Poi lei era morta circa otto anni prima, e adesso Gabriele viveva da solo. Laura era nata da una breve relazione del padre di Gabriele con un’altra donna, con la quale non si era mai sposato. Tuttavia, l’uomo l’aveva legittimata dandole il suo cognome.


Per molto tempo Laura e Gabriele erano stati dei perfetti estranei. Si erano conosciuti dopo tanto tempo, durante l’adolescenza, quando il padre li aveva invitati a una cena a casa sua.


Era stata una cena dall’aria piuttosto tesa. Laura lo guardava, a quei tempi, in modo timido, poiché le sembrava che questo suo fratello non volesse avere a che fare con lei, ma le sembrò di essersi già affezionata. Non essendo cresciuti insieme, le cose potevano confondersi molto più facilmente. Nei giorni successivi aveva cominciato a salutarlo, sempre in modo gentile e sorridente, finché, con il tempo non avevano stabilito un legame amichevole. Gabriele aveva scoperto che lei aveva un carattere molto ribelle e spesso lui cercava di trarla  fuori dai guai, ma ora rischiava di finirci lui.


«Io ti ho sempre amato, Gabriele» confessò la ragazza con gli occhi pieni di lacrime «dal primo momento che ti ho visto, da quando papà ci presentò. Ti prego, amore mio, non scacciarmi».


Gabriele non sapeva che dire, era frastornato, tremava. Si guardò intorno, senza sapere nemmeno lui cosa stesse cercando.


Laura appoggiò le mani sui pantaloni del fratello che, appoggiato al muro, non poteva più indietreggiare. Non oppose più resistenza, nemmeno quando lei riprovò a baciarlo.


Gabriele era alto quasi un metro e ottanta, con un fisico snello; i capelli biondo scuro rasati e la barba di un giorno; gli occhi castani. Indossava un giubbotto nero di finta pelle e dei jeans blu stretti, dai quali si vedeva la forma del suo bellissimo culo e anche del pene: quest’ultimo non molto grande, a giudicare dal volume che la protuberanza formava nei pantaloni.


Anche Laura aveva i capelli biondo scuro, lisci e lunghi fino alla metà della schiena, tendenti al castano, così come il colore degli occhi. Benché il viso fosse leggermente scarno, i lineamenti erano molto delicati, di carnagione chiara, la pelle liscia. Lungo entrambe le orecchie, dei begli orecchini di vario tipo. Un anello nel naso e una collana con una pietra nera di forma ottagonale.


Laura era alta circa un metro e settanta, magrolina, ma con tette abbastanza prosperose e un bel culetto a mandolino, intrappolato nei jeans, anch’essi blu, ma più chiari rispetto a quelli del fratello, attorno ai quali c’era una cintura a borchie. Indossava un giubbotto verde pisello di velluto di cotone.


I due si stavano ormai baciando da alcuni minuti, con gli occhi chiusi e il cuore che palpitava. Lei continuava a mantenergli il cazzo che, sotto i pantaloni, continuava a gonfiarsi. Finalmente, la ragazza si decise ad abbassare la zip del fratello. Si inginocchiò e allargando l’apertura, vide che il fratello indossava degli slip bianchi, che lei cominciò a leccare, bagnandoli. Con le sue piccole dita, abbassò anche le mutande del fratello, tirandogli fuori il cazzo. Appena lo vide, le venne l’acquolina in bocca, tirò fuori la lingua leccandosi le labbra e guardò il fratello negli occhi: le donne sanno che gli uomini amano essere guardati negli occhi quando fanno le troie con loro.


Il cazzo era bello dritto, sottile e non molto lungo, contornato da rossicci peli pubici abbastanza folti, ma non eccessivi.


Laura lo scoprì e vide la sua cappella rossa. Cominciò a masturbarlo delicatamente, coprendo e scoprendo la cappella con la mano. Poi lo prese in bocca, succhiandolo e facendo con la testa su e giù. Gabriele si rese conto che gli piaceva molto vedere sua sorella in quella posizione e comportarsi in quel modo.


La ragazza si mise a fare dei giochini con la lingua, leccando la cappella in vari modi, in senso orario e antiorario, velocemente e lentamente, passando a leccare l’asta fino ad arrivare alle palle, che erano belle gonfie. Laura trattenne i coglioni in bocca per un bel po’ e si sentì il suono del risucchio. Risalì con la bocca sulla punta del cazzo e ricominciò a succhiare.


L’uomo le afferrò la testa e la spinse con più forza verso di sé, quasi come se volesse farle ingoiare il cazzo. La ragazza emise un gemito per il riflesso del vomito. L’uomo perse il controllo e sborrò nella bocca della sorella.


«Ah sì, che bello» disse lui.  Lei, un po’ delusa, arretrò con la testa, poi però si rese conto che non poteva sprecare il prezioso liquido del suo amato fratello. Così gli ripulì il cazzo con la lingua e ingoiò tutta la sborra, guardandolo ancora negli occhi. Con quello sguardo sembrava dirgli “vedi? Ingoio la tua sborra perché ti amo, lo capisci che ti amo?”


Ma Gabriele, dopo aver sborrato, si sentì come se avesse appena riacquisito la lucidità: fu avvolto da un senso di colpa e di vergogna.


«Che cosa abbiamo fatto?» disse con gli occhi sgranati.


«Niente, tesoro. Ti ho fatto solo un pompino, tutto qui, non è nulla di male, dai».


Gabriele si sentì ancora più confuso e sebbene restassero quelle brutte sensazioni, si sentì leggermente più tranquillo grazie alle parole rassicuranti della sorella.


«Hai sborrato presto perché sono stata brava, vero?»


Dopo quella domanda, Gabriele decise di liberarsi di ogni tabù: mentre il cazzo diventava di nuovo duro, la guardò negli occhi e, cambiando completamente atteggiamento ed espressione, disse «sei stata fantastica».


Lei sorrise, sollevata e fiera «Sì, però, a me non basta. Io ho proprio voglia di chiavare con te».


«Andiamo a casa mia» propose Gabriele «se ti chiama tua madre, le dici che sei da me. Sono tuo fratello e non può proibirti di dormire da me».


«No, a lei fa piacere».


«Bene».


S’incamminarono per le strade deserte e desolate, con il cuore in gola ogni volta che udivano il rumore di un’auto, con il timore che potessero essere gli sbirri. Per fortuna erano solo automobili di civili. Si chiedevano che cosa dovessero fare di così importante per violare il coprifuoco, o se fossero soltanto persone che avevano bisogno di un giro in automobile. Nei momenti più tranquilli, la dolce sorellina si voltava a sorridere al suo amato fratello. Egli era imbambolato e al contempo arrapato. Non vedeva l’ora di fotterla davvero.


Arrivati finalmente nell’appartamento di Gabriele, egli aprì la porta e, da galantuomo, fece entrare prima lei. Chiuse la porta dietro di sé e abbracciò la sorella, baciando le sue dolci labbra. La strinse a sé, cingendola alla vita e facendo combaciare il cazzo sulla fica. Poi spostò le sue mani sul culo della sorella, stringendo le sue belle chiappe.


«Ti amo» disse lei, a un tratto. Lui non rispose, ma ricominciò a baciarla, questa volta per tutto il corpo. Ora la spogliò, abbassandole i pantaloni e privandola del suo perizoma nero. La fica era ricoperta di un bel cespuglietto nero. Gabriele gliela baciò in modo compulsivo, finché non cominciò a leccargliela. Questa volta fu lui a guardarla negli occhi da quella posizione: per vedere quanto stava godendo. Ed effettivamente, la ragazza aveva assunto un’espressione estasiata: con la bocca aperta e gli occhi chiusi, la testa all’indietro.


«Ah sì, amore mio» ansimò lei «oh sì, fratello mio, ti amo. Quanto è bona la tua sorellina? Quanto è zoccola? Dillo!».


«Tanto» rispose Gabriele, ricominciando immediatamente a leccare, fino a infilare la lingua nella fica della sorella.


«Quanto mi ami?» domandò ancora Laura.


«Tantissimo» rispose lui, che si stava gustando quel delizioso frutto proibito. Gabriele si alzò, con il cazzo duro e dritto. A Laura sembrava addirittura più grande di come era prima, quando gli aveva fatto il pompino.


«Andiamo nella mia stanza» ordinò Gabriele. Laura seguì il fratello, togliendosi completamente i pantaloni, che finora erano soltanto abbassati, insieme alle scarpe e le calze.


Gabriele si spogliò, togliendosi tutti i vestiti, compresi gli indumenti intimi, buttandoli a terra, freneticamente e scoprendo le lenzuola del letto. Laura fece lo stesso.


«Vieni qui» la invitò Gabriele, infilandosi nel letto e masturbandosi. La ragazza gli si buttò addosso abbracciandolo e baciandolo. Gabriele lasciò il cazzo e Laura si mise su di lui, invitandolo ad entrare nella sua fica. Gabriele ricominciò a sudare per l’eccitazione appena il cazzo entrò in quella bella fichetta apparentemente stretta. Mentre la chiavava, le leccava le tette succhiando i suoi turgidi capezzoli, e con le mani, le stringeva il suo bel culo. Lasciò perdere le tette e ricominciò a baciarla in bocca, con la lingua. A volte la chiavava più forte, a volte più piano, chiedendole come le piacesse di più.


«Sì, dai, tutto dentro, amore!» supplicava Laura.


“Sto chiavando mia sorella” pensava Gabriele, eccitato. E a quel pensiero le diede una botta più forte, quasi come per punirla, o forse proprio per premiarla, della sua troiaggine.


«Ti amo, Gabriele, fratellone mio. Avrei voluto farmi sverginare da te, se solo ci fossimo conosciuti prima».


«Ah sì, che troia!» esclamò Gabriele, seguitando a chiavarla più forte «ti amo anch’io!»


«Ah sì, ah» ripetevano entrambi, emettendo tutti i vari gemiti di goduria.


«Che puttana che sei, ti adoro, sorellina mia!»


«Oh sì, fottimi la fica, amore mio! Fottimi tutta!»


«Stai godendo, troietta? Ti piace?»


«Sì, sto venendo!» disse Laura. Lui, questa volta riuscì a durare di più, avendo già sborrato prima. La chiavò talmente che lei venne sul cazzo di lui.


«Ah sì, che bello!» esclamò la ragazza soddisfatta, baciando di nuovo il fratellastro sulla bocca.


«Vorrei mettertelo anche nel culo» ammise Gabriele «scommetto che non sei vergine neanche lì».


«Verifica tu stesso» disse Laura voltandosi e puntando il culo in faccia al fratello. Gabriele aveva notato che, nel dirlo, la ragazza aveva sul volto avvampato un’espressione tesa ed eccitata.


«Che bel culo che hai» le disse accarezzandoglielo e, successivamente, baciandoglielo. Continuò a baciarle ogni parte del culo, poi le sputò nell’ano, che sembrava piuttosto stretto, e si inumidì il cazzo. Glielo puntò nel buco e cercò, un po’ alla volta, di farlo entrare, ma il pene si induriva sempre di più e diventava sempre più difficile incularla. Lo tirò fuori, si masturbò un attimo e se lo inumidì di nuovo per provare a lubrificarlo meglio. Leccò il buco del culo della sorella e ritentò a chiavarle il tanto ambito e delizioso ano.


Questa volta ci riuscì. Lei gemeva prendendolo in culo. Gabriele dimenticò del tutto la domanda di prima sul fatto se fosse vergine  dietro oppure no. E non gliene fregava più niente: lui adesso glielo stava fottendo, quel bel culo, e questo era l’importante. La chiavò per un bel po’ di tempo e sentì a un certo punto, che stava per sborrare di nuovo.


«Ah sì, adesso sborro! Dove vuoi farti sborrare? In bocca o in culo?» le domandò, affannato e sudato, estraendole il cazzo dal culo e masturbandosi, mentre attendeva la risposta.


«In culo» rispose la sorella «in bocca mi hai sborrato già prima».


Allora Gabriele aprì il culetto della sorella e infilò nuovamente il cazzo dentro, chiavandola più forte, ma senza farle troppo male, finché non uscì il liquido biancastro e appiccicoso che le riempì il buco. «Ah sì» fece Gabriele liberandosi per la seconda volta dalla sborra. Quando fu certo che glielo aveva dato tutto, tirò di nuovo il cazzo fuori dall’ano e si pulì la cappella sul suo bel culo, cospargendo la sborra dappertutto.


«Sei soddisfatta?» le domandò.


«Sì, tantissimo» rispose la ragazza «e tu?».


«Sì, è stato bellissimo» e si baciarono sulla bocca. Poi si infilarono sotto le coperte, ancora nudi e si addormentarono abbracciati.  Durante la notte, la ragazza avvertì una strana sensazione nelle budella. Si alzò, lentamente, per non far svegliare il fratello e andò in bagno a cacare. Si fece il bidè e ritornò a dormire, abbracciata al suo adorato amante e fratello.


Il giorno dopo, uscirono articoli su tutti i giornali, i quali annunciavano:


«Giovani violano la zona rossa, insultano la polizia e si danno alla fuga».


I cittadini chiedevano più controlli, più restrizioni e misure ancora più ferree e draconiane.


«Stai tranquillo» le disse Laura, vedendo Gabriele preoccupato mentre leggevano la notizia su internet «non ci troveranno».


Gabriele si rese conto soltanto allora che il suo letto era pieno di sborra e che avrebbe dovuto lavarlo.


In quello stesso momento, Laura ricevette una telefonata.


«Mamma? Sono da Gabriele, tranquilla. Abbiamo fatto tardi e per non violare il coprifuoco, ho preferito addormentarmi qui. Scusami se non ho avvisato. No, mamma, non mi sono ubriacata…»


La ragazza si tolse un attimo il telefono dall’orecchio e sussurrò a Gabriele «Ti dispiace se rimango anche a pranzo? Questa è incazzata e non ho voglia di ascoltarla».


«Volentieri» rispose Gabriele. Laura sorrise.


«Io resto a pranzo da Gabriele, ciao» e riagganciò, baciando di nuovo il fratellastro sulla bocca.


«Lo faremo altre volte, vero?» domandò Laura.


«Ci puoi giurare, piccola» e ritornò a baciarla in bocca, con la lingua, mentre stava nuovamente per eccitarsi.


«Ti sei liberato da quegli stupidi sensi di colpa?» domandò la donna.


«Ma sì, amore mio. Che facciamo di male? Noi ci amiamo».


«Promettimi che mi chiaverai anche se ti fidanzerai o ti sposerai».


«Te lo prometto» rispose Gabriele «E tu? Ti farai chiavare anche se ti fidanzerai o ti sposerai?»


«Da te mi farò chiavare per sempre, amore mio». Gabriele la baciò di nuovo. Ormai si era capito che avrebbero fottuto anche quel giorno.


Per mesi e mesi, fino alla primavera, non ebbero alcuna notizia dagli sbirri. Forse avevano lasciato correre, o forse i due amanti, con il passare del tempo, avrebbero ricevuto all’improvviso qualche brutta sorpresa, ma nel frattempo il loro amore proibito e clandestino, proseguì. I fiumi di sborra continuavano a scorrere, quando i due si vedevano, anche adesso che entrambi avevano intrapreso delle relazioni con altre persone: sapevano che quelle sarebbero potute finire. La loro invece no, non sarebbe finita mai più.


  
 



 
 
 
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