Racconto mio, per commenti, critiche o opinioni vi invito anche a scrivermi qui: 


agostinogiannelli199@virgilio.it


Buona lettura!


 


 


 


PROLOGO.


 


Claudia, pur sapendo fosse inutile e del tutto irrazionale, continuava a gettare occhiate verso lo specchietto retrovisore.


Sapeva che non sarebbe stata seguita.


Che non si sarebbero scomodati.


Quello che volevano da lei forse l’avevano gia’ ottenuto.


E a quel pensiero, la percezione della distanza che stava frapponendo fra loro non bastava piu’ a rassicurarla.


Cio’ non dimeno davanti all’ennesimo semaforo rosso, il suo cuore fece un tuffo.


Fisso’ di nuovo lo specchietto, ma stavolta per trovarsi.


Per controllarsi, per guardarsi negli occhi, per capire se era ancora lei quella che decideva quelle azioni e formulava quei pensieri.


Forse.


Forse era troppo tardi...


 


Avrebbe riso delle sue paure se non avesse avuto vividamente ancora impresse le parole della persona che l’aveva convinta a partecipare a quella cosa, i suoi occhi mentre parlava.


 


Per lei sicuramente non c’era piu’ nulla da fare.


 


Nell’oscurita’ della notte il fanale rosso del semaforo sembrava una ferita aperta, Claudia prego’ solo che non si mettesse a lampeggiare.


Invece divenne verde e lei riparti’ tirando un sospiro di sollievo.


Sospiro’.


Cerco di rilassarsi.


Quello a cui aveva assistito, non si poteva neanche considerare un crimine.


Era... particolare, certo, ma una volta a letto...


Sarebbe stata piu’ comprensiva, con lei e se stessa.


Avrebbe visto le cose con la luce del giorno e una mentalita’ piu’ aperta.


Il telefono vibro’.


Non poteva vedere il display.


Ma poteva immaginare chi era.


E pensare che mai avrebbe immaginato di associare a quel numero la minima emozione negativa!


Figurarsi la paura!


 


Cauta prese l’apparecchio con una mano mentre con l’altra teneva stretto il volante.


 


Era chi immaginava.


 


Se l’avesse lasciato vibrare, quel suono’ le avrebbe mangiato lo stomaco.


Penso’ a una scusa per troncare la conversazione il piu’ velocemente possibile.


-Pronto?-


Da lontano un altro semaforo rosso ammicco’ beffardo.


Impreco’ sottovoce fra i denti.


-Chi parla?-


-Claudia, sono io, stai guidando?-


-No...-


-Sappiamo che stai guidando lo sento dal rumore.-


Capi’ che era stata messa in vivavoce.


Quel “Sappiamo” la atterri’.


“No! Per lei non c’e’ piu’ nulla da fare...”


-Si... io... cioe’ volevo dire di si’...-


-Sei a un incrocio?-


-Come fai... a...-


-Ascolta.-


Prima che Claudia potesse capire e mettere giu’, comicio’ a sentire l’odioso sibilo, seguito da un suono ritmico e sordo.


-Lo senti? Non opporti.-


-Io...-


-Ti sta parlando Claudia e’ la sua volonta’. Obbedisci.-


-N-no...-


-Senti il battito? E’ quello del tuo cuore innamorato... Non puoi resistere!-


Claudia rimase in silenzio, rigida e incapace di muoversi.


Si sentiva una mosca invischiata nel fluido schifoso di una trappola adesiva, e al tempo stesso era come se un’astrazione della sua persona fluttuasse nell’etere, leggere e impotente, avvolta da un gradevolissimo senso di intontimento da cui non avrebbe mai voluto liberarsi.


-Claudia e’ rosso?-


Mai.


-Si devo fermarmi adesso...-


-No!-


-C-come?!-


-Accellera! ignora il colore! Vai verso le macchine!-


-Ma...-


-Fallo! Non pensare! Fallo non fermarti, avanti! TE LO COMANDA, FALLO!-


Mai, a qualsiasi costo...


Dall’altro capo del telefono un suono brusco segnalo’ al mittente della chiamata che la ragazza, aveva obbedito, andando incontro al suo destino.


 


 


 


 


Due mesi prima:


 


Aveva memoria dei tentativi fatti per comunicare con lei.


Ma era come se fra i due fosse stata eretta una barriera, invisibile ma percettibilissima.


 


Per questo si sentiva terribilmente inquieto.


 


E per qualcosa che avvertiva doveva ancora succedere;


In quel momento pur non avendo senso di come si era arrivati a quel punto, presagiva un avvenimento funesto pronto a compiersi nell’immediato futuro.


 


Allora apriva la bocca ed emetteva altri suoni.


Ma tutto cio’ che riusciva a fare era solo parlare:


Muovere le labbra, produrre suoni, senza pero’ riuscire a comunicare.


 


E cosi’ quella situazione di distanza esasperante e palpabile trovava sempre piu’ conferma.


C’erano universi spirituali, in quel momento, a separare i due, che fisicamente sedevano l’uno di fronte all’altro.


 


Lei, di tanto in tanto, rispondeva vagamente, con lievi dondolii del capo o più raramente con risposte neutre che non fornivano un indizio valido per continuare un discorso coerente, menchemeno ritrovare la complicità perduta.


 


Era nervosa, lo si capiva:


le sue risposte tradivano mancanza di attenzione e col passare del tempo, un fastidio sia pure educatamente celato.


Garbo dovuto probabilmente alla memoria del ruolo che aveva svolto nella vita di Matteo per tanto tempo, e che in quel momento si limitava solo a interpretare.


 


Un paio di volte era capitato che i suoi grandi occhi grigi si posassero sul ragazzo, ma solo per interromperlo e chiedergli, con imbarazzo, di ripetere ciò che aveva appena detto.


 


Allora Matteo farfugliava sempre più demoralizzato, finendo anche lui per seguire con lo sguardo ciò che catturava quello di lei per la maggior parte del tempo.


Ma lo sapeva:


Due punti si spartivano le attenzioni della ragazza che amava e che l’aveva amato:


 


Si intravedeva, dalla sala da pranzo, la porta dell’anticamera che comunicava con il pianerottolo e con esso, per quanto riguardava Matteo, il mondo.


Al loro tavolo, un posto era apparecchiato, proprio di fianco a lei e


Sentiva, anzi sapeva, che il responsabile per quel muro tanto odioso non si sarebbe fatto attendere troppo...


 


Lei sospiro’ in direzione del campanello, arrossendo con una delicatezza che contrastava con la brutalità con cui quel medesimo gesto colpiva il ragazzo, con la forza di un pugno nello stomaco, mentre i suoi occhi si perdevano nel mezzo di una fantasia che a Matteo era fortunatamente preclusa.


 


Il cuore di lui batteva sempre più forte.


 


Poi con arroganza il campanello suono’ e Matteo si sveglio’.


 


 


LA MIA RAGAZZA HA UN PADRONE!


Capitolo Primo:


CAPIRE SE SI TRATTASSE DI FANTASIA O INCUBO.


 


 


Matteo era un pensatore, la tendenza ad analizzare e a psicoanalizzarsi era una cosa che faceva parte della sua persona come il bisogno di mangiare e il dormire.


 


Su ciò che lo aveva scatenato, aveva pochi dubbi.


Le cause sia grandi che piccole, alcune sorte giorni prima altre facenti parte di lui da finche’ ne avesse memoria, gli erano piu’ o meno chiare.


Eppure il dubbio era di cosa si trattasse.


Un incubo?


La palpitazione che ancora perdurava, il bagno di sudore in cui si era risvegliato e il tema che piu’ lo spaventava, cioe’ perderla, sembravano spie ovvie per trarre una conclusione scontata.


Eppure si era svegliato con il pene eretto.


Un’erezione che mai aveva pensato possibile per le sue misure, se ne stava li, quasi con scherno, a provocarlo.


“E allora che fai?! Mi sprechi?”


 


“Si si... va bene, ora frigni eh, ma poi andrai in bagno e sappiamo entrambi cosa succederà! “


 


Dovevano essere le 3 di notte.


Anche da sveglio,  quell’oppressione allo stomaco continuava a farsi sentire, poi quando l’angoscia divenne insopportabile il buio dell’oblio lo ingoio’ di nuovo.


 


 


 


 


-Allora vado Amore!-


 


Il sole mattutino era splendido.


E anche Samanta lo era.


 


Tanto più vestita di tutto punto e pronta per andare a lavoro.


Era alta, coi lunghi capelli scurissimi e un corpo eccezionale:


E oltre a quello ed essere slanciata, a differenza di tante ragazze con quelle caratteristiche, che Matteo tendeva a trovare troppo asciutte, con quelle giunture diafane e allungate e i tendini  in vista, Samanta vantava anche di quel filo di adipe che nei punti giusti fa di una donna, una donna:


Sul petto raccolto senza lode ne infamia, (i seni di lei erano semplicemente giusti, il bel visino, li avrebbe resi belli!)


Ma proprio intorno al sedere e ai fianchi esso sembrava essersi depositato secondo una volontà precisa.


 


C’era qualcosa di mozzafiato ed esotico nel modo in cui dalle cosce lunghe e snelle, improvvisamente eppure con naturalezza, tanta materia si raccoglieva... perfettamente.


Le conoscenti, finivano per chiederle sempre se facesse degli esercizi specifici, se nonostante l’incarnato delicato vantasse qualche tipo di discendenza da quelle parti del mondo esotiche, che rappresentano l’idea della prontezza sessuale e sensualita’ e che, nell’ immaginario collettivo, differiscono da persona a persona.


 


La risposta era sempre no, ma ovviamente suscitava nella ricevente di tali attenzioni un grande piacere.


 


Ma a Matteo ciò che più faceva impazzire erano i capelli di lei, scurissimi, serici e ben nutriti, dall’aspetto vigoroso e sano avevano qualcosa di meraviglioso che descrivere era difficile.


Quando c’era sole, come in quel momento, ogni ciocca sembrava riflettere l’illuminazione con grazia autonoma, assumendo una particolarissima sfumatura rossastra che non era mai uniforme, mai piatta o docile.


 


Capelli da personaggio dei “manga” piaceva dire al ragazzo che ne era un’appassionato.


E lei li teneva sciolti solo per lui.


Perche; lo amava.


 


-Allora vado Amore...-


 


-Mmmmm-


 


Biascico’ qualcosa con la bocca impastata  e Samanta sembro’ trovarlo ancora più carino.


 


Entrambi erano poco più che ventenni, e anche se lui poteva dirsi un bel ragazzo, con un fisico armonioso, perfettamente trapezioidale e un bel taglio del viso, si sentiva spesso inadeguato standole appresso, probabilmente anche per la differenza di altezza di una decina di centimetri fra i due.


 


Una vocina con cui bene o male tutte le persone insicure combattono per tutta la durata della loro esistenza, gli chiedeva sovente se davvero meritasse l’amore e la tenerezza di quella ragazza.


In quel momento, guardando negli occhioni adoranti di lei, penso’ che appena svegliato e con un rivolo di saliva a lato della bocca non doveva essere un bello spettacolo e provando vergogna cerco’ rifugio fra gli anfratti del cuscino.


 


Ultimamente gli capitava spesso.


La vergogna.


Con la quarantena, di colpo si era ritrovato senza lavoro,  impiegato precedentemente nel settore del retail, e adesso si limitava a tenere in ordine l’appartamento e fare le faccende di casa e quel fatto, nonostante si ripetesse più e più volte, che non dipendeva da lui, era per Matteo una situazione... castrante:


Il complemento spirituale a tutte quelle insicurezze fisiche ed estetiche che sentiva di avere quando era accanto a lei.


 


Samanta pero’ trovava la sua insicurezza adorabile e cerco’ le sue labbra con rinnovata insistenza, stampigliandogli parecchi baci prima di avviarsi verso l’ingresso.


 


Quando lei fu sulla soglia con le chiavi inserite nella toppa, lui cominciava ad alzarsi.


 


-Ti ho lasciato la fette biscottate sul tavolo, ricordati della spazzatura che oggi passano!-


 


-Le fette?! Ohhh ma lo sai che mi gonfiano!-


Piagnucolo’ un po’ per gioco.


 


-Fa nulla anzi meglio! Con un po’ di ciccetta saresti ancora più carino!-


Rimbecco’ lei.


 


Poi quando fu quasi uscita un pensiero la costrinse sui suoi passi.


 


-Ah... comunque, Omar passera’ oggi da noi, porterà il furgone e ci aiuterà a trasportare su le ultime cose...-


 


Omar, uno dei condomini relegati ai piani più bassi dello stabile era anche il proprietario di un locale rosticceria “kebap” proprio nell’isolato.


Un uomo glabro, grosso e grasso di mezza eta’, nero come la pece e pelato.


E aveva avuto per i due ragazzi fin dall’inizio, una sorta di interesse che non si era mai prodigato di nascondere.


Sopratutto per Samanta che sia da sola, che quando usciva con Matteo, egli riempiva di apprezzamenti.


 


Chiariamoci! Samanta era una bella ragazza infatti, quegli attributi “selvaggi” di cui si e’ parlato prima accendevano in lei e nel suo complesso di giovane “acqua e sapone” dallo sguardo da cerbiatta (che di per se riusciva a genio di molti!), una luce intrigante, e questo la portava a ricevere molte avance anche solo nel contesto lavorativo.


Faceva l’addetta alle risorse umane in un’azienda umanitaria profit, quindi era naturale che i piu’ approcciandosi a lei avesse a prescindere interesse a farlo nel migliore dei modi.


 


Eppure Mohamed non si risparmiava di fare apprezzamenti anche davanti a Matteo stesso.


E a differenza di altri, che sicuramente partivano socialmente e fisicamente più avvantaggiati, sapeva farlo con un misto di sfacciataggine e naturale spontaneità a cui era difficile opporsi.


 


Facendo ad esempio un certo tipo di complimenti, con un certo tono, che a prenderli di petto c’era da fare la figura inversa, di chi vede la malizia per proiezione.


 


Stringendo i denti Matteo si sarebbe potuto dire che “subiva” quella situazione.


Ma era anche vero, che la sua picca per un uomo che considerava sfatto fisicamente e di infimo estro sociale, verso cui Samanta non era mai stata attratta e anzi, di cui era a sua volta guardinga, era un problema suo e della sua insicurezza.


 


E poi essendosi trasferiti nel palazzo tre mesi fa, con alcune cose di Samanta che erano rimaste per ragioni logistiche e di comodità ancora imballate a casa dei suoi genitori, il rimandare continuo era diventato quasi imbarazzante.


 


Mugugno’ il suo consenso alla fidanzata, poi lui dalla sponda del letto e lei sulla porta si salutarono un’ultima volta fino al pomeriggio, quando con Mohamed avrebbero terminato l’ultimo spostamento.


Ancora una volta, la tendenza melodrammatica di Matteo vedeva nella mancata risoluzione di quella banale faccenda un’enorme mancanza propria!


Con rabbia si biasimo’ per non aver avuto un furgone e, pur capendone l’irrazionalità, per aver coinvolto quell’uomo odioso in qualcosa che riguardava loro due e nessun altro.


 


Il sogno o l’incubo che aveva fatto la notte prima era stato prontamente scordato.


 


 


 


 


 


 


 


Un po’ prima delle cinque Samanta torno’ a casa.


Giustamente non si sarebbe messa a smuovere scatoloni e ficcare le dita fra gli oggetti polverosi del solaio coi vestiti che aveva addosso, quindi lego’ i suoi bellissimi capelli in una lunga coda e tenne raccolta la frangia che le ricadeva su una parte della fronte con un fermaglio.


Indosso’ un maglioncino celeste a righe bianche e un paio di pantaloni di lino a vita alta che le scoprivano i polpacci.


Stava benissimo!


Come anche il maglioncino di viscosa, I pantaloni erano elasticizzati e per questo aderentissimi e sembravano raccoglierle le natiche quasi porgendole, (visto anche che per via del taglio portavano l’attenzione proprio li’), a chiunque fosse abbastanza fortunato da assistere.


 


Samanta era naturalmente bella, aveva indossato vestiti da poco con intenzioni pratiche oltre che per evitare di sprecare quelli buoni e riusciva comunque a sembrare una modella.


Matteo le si avvicino’ stringendola a se e lei chiuse gli occhi abbandonando il collo contro le sue labbra.


Il giovane riusciva ad avvertire la morbida consistenza delle sue natiche premute contro il proprio sesso anche se separati dai rispettivi tessuti.


 


Poi il citofono suono’.


Omar li aspettava di sotto, accanto ai box dello stabile.


 


-Ah Perla Bianca... Sempre bellissima!- le disse avvicinandosi per poi scambiarle il classico bacio affettato.


 


NB: non cercherò di mimare l’accento esotico di lui, visto che mi sarebbe impossibile e qualcuno potrebbe anche trovarlo offensivo.


 


Per fortuna di entrambi i ragazzi non ci furono contatti, visto che appunto si trattava di accostare i lati del viso senza mai davvero toccarsi.


Ma c’e’ da dire che l’odore inconfondibile dell’uomo, di spezie, che si portava sempre dietro, lasciava come un “marchio” su chiunque gli si avvicinasse.


Nonostante la sua educazione, e suscitando una risatina discreta in Matteo la giovane arriccio’ impercettibilmente il naso.


Poi Mohamed come se vedesse Matteo per la prima volta lo indico’ sempre rivolgendosi a lei pero’:


-Lui viene vestito cosi’? Ma sa che cosa andiamo a fare?-


 


Matteo comincio’ già a fremere fin da quel momento:


 


Primo perché sentiva di non essere vestito ne eccessivamente casual ne tantomeno formale, l’unica concessione era la zampa di elefante del jeans che ricadeva sulla scarpa tozza da skate.


Quel commento forzato era semplicemente da prendere cosi’ com’era, un piccolo atto di ostilità fine a se stesso.


 


Secondo perché Omar in primavera come in inverno vestiva sempre nello stesso modo atroce e inadatto.


Infagottato in un piumino da poco che perdeva la spugna dell’imbottitura di tutte cuciture, portava sfatti pantaloni della tuta sudici (o di una tunica color urina nelle occasioni speciali!), e ciabatte da cui si spuntavano spiedi sporchi e tozzi.


Sarebbe stato quello il modo giusto di vestirsi?!


 


Terzo e forse il peggiore era il fatto che l’arabo non avesse la minima idea della mole e dell’entità di cosa fosse rimasto da spostare.


Si per comodità a loro faceva comodo la macchina... ma fossero state 4 scatole, voluminose  e neanche pesanti, lui cosa ne sapeva?


Gli pareva che quell’uomo cercasse di creare fin da subito un affare privato con fra se stesso e la sua compagna per cui a quanto pare lui non era adeguato.


 


Samanta glielo fece notare:


-Non ti preoccupare, sono solo poche scatole, più che altro ci serve uno spazio che non abbiamo con la macchina di Matteo.-


 


-Allora, se Dio vuole, saro’ felice di risolvere io questo problema di dimensioni, Perla Bianca!-


Fece ghignando in direzione del ragazzo.


 


Quando salirono in macchina, l’uomo comando’ al ragazzo di andare a mettersi propri li!-


Matteo non riuscì a replicare nonostante il modo burbero con cui tale ordine gli venne impartito visto che una ragione valida da opporre non c’era.


I posti davanti erano solo due, e per di piu’ a Samanta che soffriva il mal d’auto non si sarebbe potuto chiedere altrimenti.


 


Per il breve tragitto, il fastidio di osservare a distanza, nella cabina davanti tramite uno spioncino, mentre veniva sballotato, la coda della sua ragazza accanto a quella coccia pelata, lucida e strafottente fu quasi tangibile.


 


Sentiva la bile salirgli dallo stomaco e doveva essere sbiancato perche’ Samanta si volto’ indietro per chiedergli se si sentisse bene.


Omar si intromise scherzando.


-Probabilmente non gli piace l’idea di dover affaticarsi sollevando roba!-


Fu chiaro che Samanta valuto’ se intromettersi o meno, per rimettere l’uomo al suo posto, ma con comprensione attese che fosse Matteo a fare prima o poi quella mossa.


Spettava a lui.


 


Quando arrivarono alla casa dei genitori di lei il giovane fu inizialmente rincuorato dall’atteggiamento dei due coniugi, che stravedevano per quel ragazzo beneducato e carino, e trattarono quell’intruso corpulento e maleodorante, che non conoscevano con il gelo più totale.


Pero’ le scatole erano più di quelle che si era aspettato e più pesanti.


Samanta con intelligenza scelse le piu’ leggere, portandole su per le scale fino a furgone con grazia, mentre Omar invece non sembrava fare la minima fatica!


A quel volumiso ventre corrispondevano in paio di forti braccia!


Matteo rimase indietro, dovendo appoggiare le sue scatole per terra a più riprese finche’ non aveva abbastanza fiato per portarle al furgone.


Samanta fini’ in fretta e lo aiuto’ mentre il Omar gli passava accanto sorridendo viscido.


Poi sul percorso di ritorno il giovane si dovette incastrare fra le scatole, sbattendo spesso contro il cartone.


Ritornati allo stabile scesero e a quel punto divenne necessario che i cartoni venissero portati su in due, visto che c’erano da fare le scale in salita e la cabina dell’ascensore era minuscola.


 


Come un cagnolino a Matteo tocco’ attendere di fianco al furgone e facendo la “guardia” mentre Samanta e Omar in squadra sollevavano gli scatoli da portare in salita.


Vederli andare su e giu’, sudati, ansimanti e in perfetta coordinazione era una visione incredibilmente dolorosa per il ragazzo.


 


Ma fu quando mancava solo una scatola a trattenere il ragazzo in strada, che qualcosa si blocco’.


Era da troppo tempo che i due non scendevano e Matteo attese con crescente preoccupazione.


 


Niente.


 


Finalmente si decise a salire e arrivando fino al loro appartamento vide l’omone scuro chino per terra, Samanta sotto di lui era riversa contro lo stipite della porta, Il suo viso affaticato e sofferente era languido e bellissimo.


 


-Ma che...-


 


-E inciampata e ha preso una storta!-


Disse Mohamed continuando a dargli le spalle.


-Hai sbattuto contro i cartoni, deformandoli, tenerli e’ stata un’impresa...-


 


-Ma...-


 


-Non stare qui che non servi, vai a prendere del ghiaccio... su svelto!-


 


Matteo obbedi’ senza esitazione e si diresse in cucina.


Aprii il frizzar e per un tempo che sembro infinito’ cerco’ di scastrare il comparto del ghiaccio che si era bloccato, riuscendoci maldestramente.


Quando ebbe finito spacco il ghiaccio e lo avvolse in un rotolo di scotex perdendo troppo tempo anche in quella operazione.


Poi torno’ all’ingresso dell’appartamento e si blocco’.


 


Mohamed aveva sfilato la ballerina di Samanta e reggeva con maniera esperta il suo piede, tenendo la pianta rivolta verso di se (e quindi anche verso il ragazzo che gli stava dietro) con una sola mano, mentre con il pollice dell’altra cominciava a darle un vigoroso massaggio.


 


Per Matteo e Samanta, il massaggio ai piedi di lei era quasi un rituale, avendo la ragazza delle estremità bellissime che riflettevano i suoi splendidi attributi fisici:


L’avampiede grazioso e allungato, candido per diventare vicino al tallone, piu’ tondo e carnoso.


Il massaggio faceva parte, a tutti gli effetti, delle interazioni piu’ intime che si scambiava la coppia:


Queel’estremita’ bianche e esili, una volta manipolate e scaldate si rivelavano ricche di parti soffici e languide, che sembravano fatte apposta per essere esplorate da dita e labbra e, a loro volta esplorare.


Anche in Matteo che non era ne un feticista ne un amante dei piedi nell’eccezione piu generica, quella parte di lei, con le sue linee intriganti e voluttuose causava un’incredibile eccitazione sessuale.


 


Samanta rivolse a Matteo uno sguardo calmo, cercando di non tradire il proprio imbarazzo.


Come per chiedergli con contegno se nonostante la situazione priva di perse’ di alcuna malizia e eccezionale, fosse appropriato che lei lasciasse quell’estraneo continuare.


 


Ma Matteo non riusciva a reagire.


Vedere i tanto amati piedi di lei, soffici e d’avorio alla merce’ di quei palmi ruvidi e scuri, gli toglieva il fiato.


Il cuore pompava nel suo petto con una forza preoccupante e il sangue gli era salito al cervello fin troppo velocemente.


Il ghiaccio che stringeva nella mano destra lo stava per ustionare ma lui, in quel momento, sentiva solo il battito sordo che gli martellava nel petto troppo concentrato sulle dita di Omar, che esperte, manipolavano con forza la carne dall’arco plantare di Samanta sollevando piccole onde di pelle e piacere e lasciando verso l’esterno stress e forse consapevolezza.


 


Samanta pur scossa da piccoli brividi, continuava a lottare, porgendogli gli occhi.


Implorandogli silenziosamente di fare o dire qualcosa per porre fine all’ambiguità di quella situazione, ma lui rimase semplicemente cosi’, ipnotizzato e tremante, proprio come il pezzo di ghiaccio che teneva in mano.


 


Poi dalle piante della ragazza il piacere irradiato doveva esser  tale, che anche lei si arrese e buttando la testa in dietro, abbandono’ la nuca insieme alla schiena contro lo stipite della porta.


Sicuramente, nella mente di Matteo, il piacere riflesso fu abbastanza da creare un cortocircuito.


E dopo il ragazzo non capii piu’ nulla.


 


 


 


 


 CONTINUA!


 

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