Alice ed Elisabetta, due cugine, stavano camminando per strada. Ignoravano dell’imminente pericolo che incombeva su di loro. Un auto, infatti, si stava avvicinando a gran velocità. A bordo, tre persone.


   La vettura si fermò a fianco a loro. I tizi scesero, le presero con la forza e, nonostante le grida, nessuno intervenne o si affacciò dalle finestre di quel quartiere di periferia, lasciando che le due venissero fatte salire a bordo contro il loro volere.


   “Ma cosa succede?! Chi siete voi? Cosa volete da me e mia cugina? Non vi abbiamo fatto nulla, lasciateci!”, implorava, Alice, mentre la sua quarta di seno ballava e quasi usciva dal top verde, squassata dai sussulti del veicolo in movimento. “Stai zitta, puttana di merda!”, gli rispose uno dei rapitori. “Appartenete a una famiglia di merda e per questo ne pagherete le conseguenze!”, concluse, lo stesso. “Ma noi non sappiano nemmeno chi siete. Cosa volete farci?!”, domandò, Elisabetta, con le lacrime agli occhi, mentre veniva trattenuta da uno dei bruti, che le teneva ferme le braccia dietro la schiena, ponendola così in una posizione innaturale: con il petto spinto in avanti, che faceva sembrare le sue tette più grosse di quello che erano in realtà. “Guarda questa troia che minne che si ritrova!”, fece sapere agli altri, colui che maltrattava proprio Elisabetta. “Mi ha fatto venire il cazzo duro. Perché non ci fermiamo da qualche parte? Ho voglia di ficcarle a dovere prima di portarle dal capo”


   “Non è una cattiva idea. Anche io ho voglia di sborrare su queste due puttane. Comunque non farti ingannare: quella è una terza scarsa e quest’altra con gli occhiali che ce le ha grosse e belle piene”


   Come annunciato, il mezzo sterzò verso un punto desolato e arrestò la sua corsa. “Fate scendere le troie, che le puniamo come meritano”, ordinò, l’uomo alla guida. “No! Per favore! Lasciateci andare! Non vi abbiamo fatto nulla, lasciateci andare!”, implorava, Alice, che già aveva la mano del suo carceriere dentro il top e le aveva tirato fuori una tetta. “Dai, puttana, stai zitta e scendi, altrimenti ti prendo a pugni!”, la minacciò, l’uomo.


   Una volta fuori, le cugine vennero buttate a terra. I balordi cacciarono fuori i cazzi in tiro. “Ho una voglia di ficcarle a sangue che non avete idea! Le sfondo queste puttane!”, ammise, uno di loro. “Vi prego, vi supplico: lasciateci in pace!”, ripeté, con le lacrime agli occhi, Elisabetta. “Io e mia cugina non sappiamo nemmeno chi siete e perché ci stiate facendo questo”, terminò. “Chiedetelo a quel bastardo di vostro zio! Ve l’ho detto che siete una famiglia di merda!”, le venne risposto. “Ci facciamo solo i loro culi? Così siamo sicuri che una prima punizione l’hanno subita”, propose, l’autista. “Sono d’accordo, basta che si scopi. Mi sta scoppiando il cazzo. Spogliamo le due puttane e lasciamo qui i vestiti, poi le portiamo dal capo, nude, sporche e già chiavate”, sentenziò, uno dei tre.


   Alice provò d’istinto ad alzarsi e scappare ma venne immediatamente fermata da un possente calcio nello stomaco, che la immobilizzò a terra. Mentre si contorceva per il dolore e la cugina Elisabetta gridava chiedendo aiuto, le giovani venivano private dei loro vestiti. Alice mostrò un seno bello sodo, per quanto grosso. “Guarda questa puttana che tette grosse e morbide che ha! Togliti, che ci devo ficcare il cazzo in mezzo. Me la devo godere questa spagnola”, disse, leccandosi le labbra, il conducente. Così fece: infilò la capocchia e tutto il cazzo turgido in quelle tettone che ballavano a ogni colpo che lui dava, mentre, più giù, un altro allargava le cosce della ragazza e principiava, con fatica e foga, senza usare alcun tipo di lubrificante, a incularla. Del sangue misto a merda fuoriuscì dal culo di Alice, mentre il suo ano si spaccava a ogni penetrazione. “Te lo spacco il culo, puttana di merda, te lo spacco! Questo culo stretto te lo spacco come meriti!”, le gridava il suo stupratore.


   Elisabetta era a terra a guardare, piangendo.                       


   L’ultimo rimasto la prese, cominciò a sferrarle calci nello stomaco per sfiancarla e tenerla buona, poi la denudò, facendola stare a pancia in giù, con la faccia nella terra, e ficcò il cazzo grosso nel culo della ragazza, che cominciò a gemere come se le piacesse. “Oh! Questa gode! La puttana gode a essere violentata in culo come una cagna!”, la prese in giro, lo stupratore. “Si vede che c’è abituata!”, rispose uno degli altri due, mentre continuavano a sfondare Alice che, come la cugina, sembrava trarre piacere da ciò che stava subendo. Infatti aprì la bocca per permettere al cazzo del tizio che si stava godendo la spagnola, di finirle in bocca e di leccargli la capocchia già umida di piacere. “Ti sborro sugli occhiali, puttana! Ci sonio quasi!”, le fece sapere. “No… no, non farlo!”, replicò, con poca convinzione e le pupille dilatate, Alice. “Piano, piano, inculami piano!”, chiedeva, con altrettanta poca convinzione, Elisabetta, montata con intensità. “Sborro! Sborrooooo!!!” E detto ciò, il chiavatore di Elisabetta le venne in culo. Subito dopo averlo fatto, le si accasciò sopra, leccandole la faccia mentre la ragazza guardava pacifica i due chi si stavano fottendo la cugina. Aveva il cazzo del tipo che le stava sopra le tette, tutto in bocca. “Suca! Suca, bastarda! Diteglielo a vostro zio cosa avete subito per colpa sua! Suca! Suca!” E pure lui svuotò i suoi coglioni sulla faccia e bocca dell’altra vittima. “Puliscimi il cazzo duro, puttana! Pulisci tutto e subito, che dobbiamo portarti dal nostro capo e non ti puoi presentare con la faccia piena di sborra!”, le ordinò. Alice non poté fare altro che eseguire.


   “Ti inculo, troia! Ti inculo!”, gridava, il terzo, per incitarsi. “Muoviti, vedi di sborrare che dobbiamo andare!”, gli fece sapere, l’autista. “Ti riempio il culo, tria bastarda!”, e la schizzata fu così potente che uscì dall’ano.


   “Dai, rivestiamole: se le portiamo nude in macchina diamo più nell’occhio!”, ordinò, l’autista.


   Durante il tragitto, Elisabetta era obbligata a spompinare il cazzo moscio di uno di quelli che si era fatto la cugina, mentre quest’ultima veniva baciata in bocca e palpata alle tette.


   Giunti nei pressi di un capannone, le ragazze vennero fatte scendere e condotte all’interno. Ad attenderle c’era un uomo di mezza età, grasso, seduto su una poltrona. Accanto a lui stava un uomo di colore. Questi indossava un cappuccio. Era fisicamente ben messo. “Sono loro le nipoti puttane di quel bastardo?”, volle sapere, il capo. Uno dei suoi gli fece di sì con la testa. “Bene, portatele qui, che mi ci voglio divertire pure io. Le avete già chiavate, vero?”, terminò. “Le abbiamo inculate, così che hanno capito subito chi era che comandava”, gli fece rima, l’autista. “Venite a inginocchiarvi tutte e due qui, così che mi potete leccare il cazzo” Le ragazze si avvicinarono. Non protestavano più, erano coscienti che sarebbe stato del tutto inutile. “Come vi chiamate, puttane?”, il capo non ricevette risposta alcuna. “HO CHIESTO COME VI CHIAMATE!?”, gridò.


   Il nero diede un calcio nelle costole ad Alice, perché non avevano ancora risposto. La ragazza si accasciò a terra senza fiato, mentre il vecchio se lo menava per tenerlo duro. Quando il nero fece per sferrare un altro colpo, Elisabetta lo fermò con la mano. “Io sono Elisabetta, lei è mia cugina Alice”, rispose, con la voce che le tremava.


   Il capo le fece cenno di avvicinarsi. Quando le fu danti e si inginocchiò, lui la prese per i capelli e glielo mise in bocca. “Sai perché vi stiamo facendo tutto questo?” Elisabetta scosse il capo dicendo di no, provando a parlare, senza riuscirci. “Perché quel bastardo di vostro zio ci deve un sacco di soldi da un bel po’ di tempo. I debiti di gioco si pagano. Non ha figlie, purtroppo, ma ha due nipoti. Ora noi vi chiaveremo a sangue finché ne avremo voglia, poi, il video che faremo lo manderemo a vostro zio e magari anche su internet, così, per sputtanarvi. Lui ci dovrà lo stesso i soldi, ma intanto ci saremo divertiti con le sue nipotine”


   L’uomo aveva gli occhi chiusi per il piacere, mentre il nero si stava segando. “Portatemi l’altra puttana… Alice, giusto? E attaccatemela al cazzo”


   La ragazza, ancora a terra e dolorante per il calcio ricevuto, venne trascinata per i capelli e poi spinta con la bocca contro la capocchia gonfia del tizio. “Brave, leccatemi la capocchia. Fate toccare anche le vostre lingue, puttane di merda! Intrecciatele da brave cuginette!”


   Alice ed Elisabetta erano costrette a succhiare il cazzo di un uomo viscido e in più a baciarsi tra loro. “Ora facciamo così: Elisabetta lo prende tutto in bocca mentre tu, puttana di merda, giri dietro e mi lecchi il buco del culo” Alice si mise dietro, scostò le chiappe del capo e diede dei rapidi colpi di lingua all’ano del vecchio. “Brava, Alice… leccami il culo, leccami il culo. Assaggia la mia merda!”, le intimava, il tizio. “Elisabetta, alzati!”, ordinò. “Avvinghiati con le cosce attorno a me mentre quella troia di tua cugina mi lecca il culo e fatti chiavare. Ti voglio sborrare in figa!” Elisabetta fece come le era stato detto.


   La ragazza ci dava dentro di brutto e guardava dritto negli occhi il suo stupratore, come a volerlo sfidare. Lui se ne accorse e la cosa non gli piacque. Con un cenno del capo fece avvicinare il nero, che le ficcò in culo il suo cazzone. Elisabetta gridò per il dolore. Il mandingo la stava sfondando. Dava dei colpi ben assestati e gocce di merda cadevano a ognuno di questi. “Continua a leccare, tu… puttana!”, ordinò ad Alice. “Piano, piano nel culo! Me lo stai spanando! Così mi apri in due… fermati ahhhhh!!! Cazzo, che male!”, si lamentò, Elisabetta, senza, però, trovare ascolto alle sue suppliche. “Inculate lei, sfondate il culo di Alice ma lasciatemi stare. Non ce la faccio più! È davvero troppo grosso, il più grosso che abbia mai preso! Tiralo fuori, ti prego, me lo stai aprendo!” Ma il nero non prendeva ordini da lei e continuava incessante a ficcare duro. “Spogliatele e facciamo il video!” Gli altri eseguirono la richiesta del capo.


   Presero un cavalletto sul quale poggiarono una videocamera e premettero play. Strapparono alle cugine i vestiti da dosso, tirarono fuori i loro cazzi mosci per la precedente sborrata e li misero in mano ad Alice che, mentre leccava, segava altri due violentatori. “Lo vedi, pezzo di merda bastardo! Lo vedi cosa succede a chi non paga?”, gridò, il boss, alla videocamera. “Di’ a tuo zio che stai godendo... dillo, puttana!”, sussurrò a Elisabetta. “Zio… ahhhhhhh!!! Zio, sto godendo, sto godendo!”, ma la smorfia di dolore tranciò la sua voce. “Guarda quest’altra puttana che mi pulisce il buco del culo dalla merda e sega altri due. Brava, Alice, continua… fai sentire a tuo zio che ti piace”


   “Sì, zio… mi piace leccargli il buco del culo, mi piace il sapore della sua merda!”, disse, Alice.


   Stanchi di quel trattamento, stesero Alice a terra, ficcandola in entrambi i buchi, mentre un terzo uomo andò a infilare il cazzo nel culo di Elisabetta, che, a questo punto, ne aveva due in culo, mentre se ne restava avvinghiata al capo, che la chiavava davanti, facendole sbrodolare la figa. “Ahhhhhh!!! No, due cazzi in culo sono troppi. Così mi aprite davvero! Fermi, basta, fa troppo male, basta, chiavatevi lei, chiavatevi Alice!”


   “C’è la stiamo già chiavando tua cugina, vero, Alice?”


   “Non mi sborrate dentro, vi supplico. Non m sborrate dentro. Sborratemi dove volete ma non dentro!”, chiedeva, Alice.


   Quello che le era nella figa arrivò subito e l’accontentò, schizzandole in mezzo alle tettone che ballavano per la scopata in culo che stava ricevendo.


   Elisabetta scorreggiava per l’aria che entrava e usciva dal culo a ogni pompata. Il Boss si svuotò dentro di lei. “Magari ti metto pure incinta, puttana!”, le bisbigliò nell’orecchio.


  Alice era alle prese col tizio che le stava ficcando duramente il culo, mentre le stringeva le tettone, per tenergliele ferme e non farle ballare. “Mi sono sempre piaciute le puttane con gli occhiali. Mi hanno fatto sempre tanto sangue mi hanno...”, la frase venne interrotta dall’orgasmo.


   Il nero continuava a darci dentro di brutto ed Elisabetta era un’espressione di dolore. I due non volevano saperne di finire di allargarle l’ano. “Vi prego, sono sfinita, sono sfinita. Scopatemi, ma fatelo nella figa. Due cazzi nella figa, vi prego, non in culo, mi fa troppo male!”


   “Resisti che ci sono quasi, resisti che ho quasi fatto, puttana, resisti!”, le fece sapere quello col cazzetto, qualche secondo prima di prosciugare i coglioni dentro al culo di Elisabetta. Restava solo il nero, che inculava sempre più forte. Il sangue e la merda fuoriuscivano a fiotti dal culo della ragazza che aveva le lacrime agli occhi per il dolore. Uno dei violentatori si pulì il cazzo sporco di cacca sulla faccia di Elisabetta.


   L’uomo di colore, quando stava per sborrare, estrasse la sua minchia dura e la passò dentro la figa della ragazza, sborrandole dentro.


   Finalmente il supplizio era finito! Le cugine erano stanchissime.


   Il boss prese la videocamera, le immortalò entrambe, nude e sporche e poi diede l’ordine che la giovani venissero prese a calci.


   Vennero buttate fuori dalla macchina nei pressi di un parchetto dove abitualmente stavano dei tossici e spacciatori. Magari, per loro, quell’incubo nona ancora finito, ma questa è un’altra storia.

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