Emma e Marta erano amiche da tempo. Si conoscono praticamente da bambine. Da piccole le chiamavano: le inseparabili. Stavano perennemente insieme e facevano tutto insieme. Poi con l’andare del tempo, gli anni passarono e le frequentazioni amicali, i percorsi di studio differenti, hanno fatto sì che le due, pian piano, abbiano intrapreso strade opposte, allontanandosi l’una dall’altra. La loro amicizia, però, rimase comunque intatta anche se i rapporti tra le amiche si erano un po’ raffreddati per via della lontananza e a causa del sentirsi sempre meno, nonostante le molteplici possibilità fornite dalla tecnologia.

Emma era più grande di Marta di sei mesi. Era la più ribelle, la più spigliata e sfrontata, al contrario dell’altra, più schiva, timida, riservata.

A indurre Marta a provare qualcosa era continuamente Emma, che la stuzzicava e invogliava. Fu lei, infatti, a cominciare a fumare per prima, bere per prima, dare il primo bacio per prima e fare sesso per prima. Marta arrivava sempre dopo, in tutto questo. Si affacciò a ognuna delle suddette esperienze perché era la compagna a spingercela e non per altro.

Emma aveva solo la madre, non aveva mai conosciuto il padre e per questo, forse, le veniva concessa maggiore libertà. La mamma considerava che era meglio non pressarla eccessivamente e imporle un’educazione troppo rigida.

Con l’arrivo dell’estate, le due amiche si trovarono nella cittadina in cui erano nate e avevano vissuto l’adolescenza prima di partire per l’università. Gli impegni di studio e di lavoro lasciarono una settimana, sette giorni, solo sette giorni, in cui Emma e Marta fecero coincidere il loro soggiorno nella città natale.

Seduta su una panchina, Emma stava fumando e con l’altra mano giochicchiava col cellulare, mente aspettava la compagna. Soffiava il fumo dal naso e si passava la punta della lingua sul labbro superiore, sfiorandolo appena. Era un vezzo che aveva sin da piccina, quando si concentrava.

Aspirò l’ultimo tiro quando si accorse con la coda dell’occhio che Marta stava raggiungendola. Soffiò la boccata di fumo e si alzò in piedi per raggiungerla. Si abbracciarono forte e a lungo. I piccoli seni delle amiche si schiacciarono l’uno contro l’altro. Marta, essendo più riservata, trovava esagerato l’atteggiamento di Emma, ma la lasciò stare, sapeva che era sincera e che quello, volente o nolente, era il suo modo di fare, che piacesse o meno.

Quando finalmente cominciarono a chiacchierare (ed erano tante le cose da confessarsi), Emma disse che avevano aperto un nuovo locale e che la sera stessa sarebbero potute andarci. Marta voleva starsene a casa con la famiglia, non la vedeva da un po’, ma l’insistenza dell’amica fece in modo (dato che lei conosceva il suo carattere), che Marta accettò, seppur non con convinzione.

Arrivarono sul luogo verso le 23:30. Il posto era pieno di gente. Tra diversi conoscenti, c’erano anche alcuni dei vecchi compagni di scuola delle ragazze. Marta, tutto sommato, a differenza di quello che pensava, non stava passando affatto una brutta serata, anzi, il contrario: molto piacevole. Rideva e si divertiva a ricordare con gli altri i fatti buffi del passato, raccontandosi aneddoti che erano andati perduti nella memoria di alcuni e rimembrando faccende a dir poco surreali, come sempre capita in questi casi. In tutto ciò, col trascorrere delle ore, Marta si accorse che Emma si era allontanata. L’aveva persa di vista. In un primo momento notò che se ne stava a parlare con dei tizi vicino al bancone ma, da qualche minuto, lei era sparita. Solo due dei ragazzi con cui l’amica stava chiacchierando, erano rimasti nel locale, l’altro, non sapeva che fine avesse fatto.

Era notte inoltrata, ormai e Marta cominciava a essere stanca e ad avere sonno. Era venuta con la macchina di Emma. Decise di andarla a cercare. Le dissero di averla vista uscire. Una volta fuori non tardò a trovarla. Si accorse di un gruppetto di persone poco distanti da lì. Alcune di queste tenevano in mano il cellulare, sia ragazzi che ragazze. Più Marta andava avvicinandosi, più si rendeva conto di ciò che stava succedendo. Emma era lì, divertita, irriconoscibile, che masturbava il ragazzo ubriaco (il quale non si rendeva conto di quello che succedeva) mentre gli ficcava un dito nel culo con la mano libera. Il giovane era disteso completamente a terra mentre il cazzo moscio veniva menato velocemente dall’amica che lo derideva e umiliava, dicendogliene di tutti i colori. Marta rimproverò l’amica ma questa, ridendo sguaiatamente, le disse di unirsi alla festa. Marta aveva capito che la compagna non solo era ubriaca ma anche drogata e pesantemente. Provò dapprima a dissuaderla con le parole a smettere di fare ciò che stava facendo. Quando si accorse che era inutile, tentò di sollevarla a forza. Emma non si lasciò strattonare e, dal canto suo, tirò giù l’amica, facendole prendere il cazzo moscio del tizio, in bocca, mentre tutti riprendevano. Le fece fare un paio di pompate, tenendole la testa sulla minchia. Marta si liberò dalla stretta e diede uno schiaffo all’amica che, non aspettandosi una reazione simile, rimase scioccata e tornò in sé. Marta, a quel punto, tornò ad afferrarla dal braccio, riuscendo, stavolta, a portarla via.

Passarono un paio di giorni prima che le amiche si risentissero e riprendessero a parlarsi. Emma chiese scusa a Marta. Si rese conto che ebbe un atteggiamento fuori le righe ed esagerato. A tutto c’è un limite e questo, la ragazza, sembrava averlo capito.

Le domandò se fosse possibile vedersi la sera stessa, per andare un po’ in giro per locali. Marta, che non voleva sembrare quella che teneva il muso per questioni appartenenti al passato, per quanto fosse un passato recentissimo, accettò. La compagna le disse che sarebbe passata a prenderla attorno alle 22:00. L’avrebbe accompagnata in un locale alla moda, quindi si sarebbe dovuta vestire in maniera elegante, non casual, altrimenti non l’avrebbero fatte entrare.

Nell’armadio della giovane non c’erano tanti vestiti così come richiedeva l’amica. Marta era una ragazza semplice, dopo tutto, non prestava attenzione, o non quanto in genere ne presta una ragazza comune, a tali cose. Comunque riuscì a trovare quel che serviva alla serata: un vestito rosso, un tubino senza spalline e con la gonna corta fino a metà coscia, aderente al corpo, tanto da lasciare in evidenza le curve sinuose della giovane. Anche le scarpe erano rosse, col tacco alto e che avvolgevano a mala pena il piede, lasciandolo in bella mostra.

Emma passo da casa dell’amica puntualissima. Si era vestita di grigio scuro, abito attillato e scollatura vertiginosa. Le scarpe erano nere e a spezzare il tutto: un rossetto rosso acceso.

Marta salì in machina che era titubante. Erano davvero tanto in tiro per una semplice serata tra amiche e non conosceva nei paraggi un posto così alla moda dall’essersi dovute agghindare come delle puttane da alto bordo.

La passeggera non aveva rossetto e l’amica le passò il suo, dicendole col sorriso che era d’obbligo metterlo. L’altra eseguì, guardandosi nello specchietto. Era davvero bella! Non si era mai conciata a quel modo. Tutte e due avrebbero lasciato senza fiato chiunque avesse posato gli occhi su di loro.

Giunsero nei pressi di un fabbricato isolato apparentemente abbandonato, ma dal quale uscivano delle luci laser di diverso colore e da cui si poteva sentire una musica ovattata provenire dall’interno.

Un omaccione di colore, elegante, stava davanti l’ingresso. A Marta non piaceva tutto quello. Provò a dissuadere l’amica ad entrare ma questa, sorridendole e accarezzandole il viso mentre la guardava con degli occhi che non ridevano affatto ma che anzi erano taglienti come lame, le rispose di stare tranquilla e di fidarsi di lei, come l’ultima volta, aggiunse per concludere la frase. L’ultima volta non era andata affatto bene ma Marta non poteva tornarsene da sola a piedi e al buio. Fu costretta, perciò a seguire la compagna.

Una volta varcata quella pesante porta, la musica e l’odore di alcol le travolse. Marta riusciva a stento a vedere dove metteva i piedi tanto le luci erano basse. In quella grande stanza piena di gente, uomini e donne più o meno giovani, si ballava e si beveva. A tenere il tempo di tutto c’era la cubista, al centro della camera. Avvenente e prosperosa, coi capelli neri e lunghi raccolti in una fluente chioma. Gli stivali poco sopra il ginocchio, col jeans attillato che ne esaltava le carnose forme. Solo il reggiseno a evidenziare un seno procace e sodo.

Le due amiche si separarono quasi subito nella folla. Emma si perse, come trascinata da qualcuno, verso un ingresso alla fine di un corridoio dove delle coppie guardavano i presenti con occhi affamati. Mentre Marta la cercava con lo sguardo, una mano le si posò sulla spalla: era la cubista, Eva, dal tatuaggio che le si poteva leggere sotto al collo. La giovane era imbarazzata. Le dita della donna erano scivolate sui fianchi, fino poi ad arrivare a prenderle la mano. La studentessa pensò che la tizia volesse accompagnarla dall’amica, avendola vista in difficoltà, e non obiettò quando la sconosciuta la tirò con sé verso l’androne stretto da cui era passata poco prima, Emma. Oltre l’uscio la musica era meno stordente. Qua e la coppie che si baciavano o che facevano sesso. Marta non sapeva cosa fare e ché pensare. Era come impietrita. Eva l’attaccò al muro e le bloccò il passaggio col corpo, che gli si schiacciò contro. Marta Incominciava a essere eccitata e l’atteggiamento dominante della tipa non le permetteva di ribellarsi. Considerando il suo carattere mite, la lasciò fare. Eva, senza tanti indugi, arrivò a ficcarle due dita in figa e a fare su e giù con la mano, facendo squirtare quella che era divenuta la sua schiava. Dopo di ciò, quelle stesse dita, adesso umide e bagnate fino a colare, gliele mise in bocca. Lasciò che la ragazza assaporasse il suo stesso sapore. A Marta tremavano le gambe per l’orgasmo che aveva subito. La cubista la baciò intensamente in bocca, succhiandole con le labbra carnose, la lingua. La studentessa strizzò gli occhi e istintivamente tentò di tirare indietro il capo poiché l’alito di Eva sapeva di alcol e fumo. All’accenno di rifiuto, la donna strinse le braccia di Marta e, senza chiudere gli occhi, tornò a baciarla. Se la slinguazzò un bel po’. Dopo che fu stanca di lei, tornò a prenderla per mano e l’accompagnò davanti una porta rossa, lasciandocela di fronte. La giovane aveva il rossetto sbavato e il vestito non era a posto, dato che le erano state messe le mani da per tutto. Eva rimase a guardarla facendole solo un cenno col capo, come a dirle che doveva entrare, che la sua amica, Emma, era oltre quell’entrata.

Aprì lentamente. Oltre, una tenda di velluto nero. La musica non si udiva più. Al suo posto dei gemiti e dei colpi, come qualcuno che stava sbattendo le mani su una superfice piatta. Scostata la tenda vide dodici uomini alle prese col ficcare duro Emma. Una bella gang bang! Nessuno di quelli aveva il preservativo ma i loro cazzi, tutti i loro cazzi, erano in tiro, turgidi fino allo spasimo. Marta si morse il labbro inferiore e le pupille si dilatarono. Per terra era visibile quella che all’apparenza era acqua ma che in realtà era sudore e liquido che colava abbondante dalle cosce di Emma.

In quel momento, Emma, aveva due cazzi dentro, uno in figa e l’altro in culo, uno per mano e due in bocca. Quelle capocchie erano gonfie, pronte a esplodere, ma altri uomini stavano lì a menarselo, in attesa del loro turno. Si accorsero della nuova arrivata e andarono a prenderla senza che lei facesse la minima opposizione.

Marta venne messa a pecora e senza che le venisse lubrificato l’ano, questo le venne allargato a forza da due cazzi, uno dopo l’altro. La smorfia di dolore sulla faccia della studentessa fu palese. Ficcavano a crudo come se non ci fosse un domani. A turno le cacciavano i cazzoni in gola, senza tregua, facendola vomitare tanto arrivavano in fondo e con foga. Le lacrime le scesero sulle guance e il truccò andò via del tutto, rendendola simile alla maschera di una puttana ubriaca da strada. La sua amica non aveva accettato il comportamento di Marta qualche sera prima e quello era il suo modo di vendicarsi.

Quegli sconosciuti erano eccitatissimi e ognuno voleva mettere la minchia in qualche buco, uno qualsiasi delle ragazze. Fu così che cominciarono a ficcarlo anche sotto le ascelle delle giovani. Gli schizzi di sborra arrivarono fino in faccia mentre dal culo di Marta lo sperma era color rosa, in quanto il seme si mischiava col sangue. Aveva il culo rotto, spaccato. Senza decenza, anche quelli che stavano fottendosi Emma, transitarono dall’altra per penetrarla a fondo in culo, solo in culo, fino a sfiancarla e lasciarla là a terra, senza forze. Le pisciarono addosso, per completare l’umiliazione. Per finire, la stessa cosa fece l’amica, che le si mise sopra la faccia e, poggiandole la figa sporca sulla bocca, la costrinse a bere, bere tutto, ogni goccia di pisciazza che le uscì dal ciunno.

Lasciarono Marta lì, priva di forze. Non era stata violentata, non le era dispiaciuto affatto quanto le fosse capitato, ma da allora, il rapporto con Emma cessò definitivamente e i fatti di quella sera misero definitivamente un pietra su quella che fu la loro amicizia.
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