Il menage coniugale tra me e Franca, mia moglie, appariva ad un occhio esterno, del tutto normale, fino ad essere sereno; impossibile infatti, dall’esterno, sapere quello che avveniva nella stanza da letto, per una spiccata tendenza di lei ad essere ‘calda’ ed eccessivamente esigente nei rapporti sessuali.
Molto presto emersero i primi segnali del suo bisogno estremo di avere un nerbo tra le mani; di portarselo alla bocca ed esprimersi nella sua speciale fellazione che mandava letteralmente tra le nuvole; di prenderselo in vagina con somma goduria o di farsi violentare il canale rettale fino alla sofferenza; eravamo giovani, io ero particolarmente vivace e la tempesta ormonale mi consentiva di possederla fino a quattro volte al giorno, scatenandole un’infinità di orgasmi.
L’avanzare degli anni, l’impegno nel lavoro e le normali consuetudini di vita fecero diventare il tour de force sessuale un tormento quotidiano, fino a farmi rientrare dal lavoro col terrore di essere ‘aggredito’ da mia moglie con le sue pulsioni; decisi di mettere le carte in tavola e di parlarle apertamente; sapevo che la mia dotazione, se non era esattamene invidiabile, era comunque al di sopra della media e che le mie prestazioni erano meritevoli di elogi.
Glielo dissi con chiarezza e le spiegai che le sue esigenze travalicavano l’umana capacità di fare fronte alle richieste e le feci riflettere che sarebbe stato il caso di interpellare il suo ginecologo per verificare la presenza di eventuali disfunzioni; mi obiettò che non aveva avuto mai problemi; con tono lacrimoso e quasi fanciullesco, si scusò per le sue intemperanze; ma addusse la sua natura calda a motivo delle richieste troppo frequenti.
Quando le feci osservare che per i suoi bisogni sessuali era necessario un uomo meccanico che si ricaricasse a pile, si mise e ridere e scherzò che lei il ‘suo robot’ ce l’aveva e che solo la pigrizia mi frenava; quasi scherzando, le ribattei che forse era necessario un ‘aiutino’ al suo robot e che probabilmente lei inconsciamente desiderava la partecipazione di un altro maschio che facilitasse il mio lavoro; improvvisamente diventò seria e mi chiese se ritenevo praticabile quella ipotesi.
Per la lealtà e per il buonsenso che sono sempre stati il fondamento della mia vita, le spiegai garbatamente che, nella mia logica, se amore e sesso si distinguevano, niente impediva che lei avesse per me un amore indefettibile e che, al tempo stesso, si concedesse qualche ‘libertà di copula’ con sconosciuti che riempissero il suo bisogno di sesso; fu come se si aprisse per lei un mondo nuovo di prospettive in cui si incamminasse per ritrovare se stessa.
Doverosamente, le spiegai che per l’opinione comune sarei stato comunque un ‘cornuto’ per di più consenziente; osservò che, ad alcune condizioni, la cosa poteva rimanere un segreto solo nostro e cementare anche il nostro amore; in particolare, si trattava di cercare soggetti fuori dall’ambito delle nostre esistenze, di vivere le esperienze categoricamente insieme e di esserne partecipi e complici dalla prima ideazione fino alla realizzazione; insomma, applicare i principi del buonsenso e della lealtà.
La logica era stringente e si appellava ai principi che io sostenevo; lei desiderava fare sesso con sconosciuti, ma esigeva assolutamente che io concordasi con lei gli eventi, che li studiassimo insieme, che io fossi presente in ogni momento, solo come spettatore se volevo risparmiarmi o come coprotagonista se volevo partecipare; in ogni caso, sarebbero state cose che vanno via con la doccia e che lei avrebbe amato me anche in quei momenti; e l’avrebbe dimostrato concretamente.
Al culmine di un amore appassionato e fidandomi del suo buonsenso e della sua lealtà, decisi di sperimentare il nuovo percorso; fui anzi io ad assumere informazioni e ad accompagnarla la prima volta ad un incontro, in un parcheggio vuoto, di sera, ad incontrare il primo sconosciuto; capitò un giovane della nostra stessa età (tra i trenta e i trentacinque anni) assai ben piantato e dotato, al quale lei si limitò a praticare una fellatio.
L’esperienza risultò positiva, perché Franca mi tenne la mano tutto il tempo, anzi fui io a suggerirle di non accarezzare il mio sesso perché dopo, a casa, avremmo dato la stura al nostro amore vero; perfettamente padrona di sé e coerente con l’intesa che avevamo raggiunto, lo fece godere con molta sua soddisfazione e al tempo stesso dette a me la netta sensazione che, mentre praticava sesso con un fallo sconosciuto, il suo pensiero era a me con tutto l’amore del mondo.
Questo ci portò a decidere di ripetere l’esperienza; in altre occasioni, fece sesso con molto entusiasmo con sconosciuti che recuperavamo nelle zone frequentate e segnalateci; dopo le fellazioni iniziali, decise con me di lasciarsi andare a copule autentiche; in una occasione, presa ormai nel vortice della lussuria che avevamo concordato, si lanciò con libidine su un sesso non eccessivamente grosso e gli chiese di penetrarla analmente.
Eravamo nella mia macchina, perché lei aveva respinto l’ipotesi di andare in un motel o, peggio ancora, di usare il nostro talamo; mentre lui le violava l’ano, che io regolarmente frequentavo, era di spalle ai sedili posteriori, su cui era seduto l’altro, e protendeva il viso verso di me che la baciavo, la accarezzavo e, in definitiva, l’amavo con tutta la passione che in quel momento potevamo esprimere; ogni momento della violazione del retto mi fu comunicato con gemiti, gesti e parole; fu molto bello.
Per il giorno del suo compleanno, decisi addirittura di farle un regalo particolare, assoldai, da un’agenzia garantita e rispettabile, un bull particolarmente prestante per solo poche ore e assistetti ad una performance particolarmente vivace nel corso della quale Franca ‘lavorò’ con la bocca un notevole manganello e poi vi si impalò di vagina, facendolo stare sul sedile posteriore fin quando eiaculò con gusto, mentre io la coccolavo dal sedile di guida.
Credevo che fosse finalmente soddisfatto il suo bisogno di sesso trasgressivo; invece, la curiosità crebbe a dismisura; ascoltò per caso i dialoghi tra giovani colleghi in ufficio e colse il senso di un’espressione ‘scambio di coppia’ che stuzzicò la sua curiosità; andò a documentarsi in internet e me ne parlò; non potei fare a meno di spiegarle il costume di alcune coppie di incontrarsi per copulare con i partner dell’altra coppia, in luoghi deputati oppure in casa di una delle due coppie.
Quando mi parlò della cosa, mi meravigliai non poco e chiesi come lo avesse saputo; mi parlò dei giovani colleghi che parlano sottovoce di questi problemi in ufficio, talvolta visitando siti appositi e aggiunse che uno di questi, Rinaldo, che le faceva il filo da un po’ di tempo, aveva detto fuori dai denti che lui e sua moglie Elisa, una bella brunetta tutta pepe, avevano avuto qualche occasione per partecipare con gioia a serate di scambio.
Le chiesi se i rapporti si erano fermati a questo ‘origliare’ o se avevano assunto forme più avanzate; mi giurò ch non gli aveva mai dato spago e mi ricordò che l’intesa era che le cose si dicevano apertamente; lei aveva sempre tenuto fede all’impegno; le chiesi se pensava di intrecciare un rapporto con lui per arrivare allo scambio; mi rispose che ci avrebbe pensato.
Da quella volta, ogni giorno Franca mi chiedeva di connettermi ad una delle tante chat presenti in internet ed imparò anche a rapportarsi con i diversi soggetti che si proponevano,quasi sempre in termini quasi offensivi ma qualche volta con cortesia ed eleganza sicché invitavano a scambiarsi opinioni, desideri e qualche foto più o meno osè; nel corso di questa indagine, mi accorsi che mia moglie si soffermava volentieri sui neri e sulle loro dotazioni; in particolare sembrava affascinata da un giovane eritreo immigrato, elegante, educato e ben dotato.
Contemporaneamente, aveva avviato un dialogo con il collega Rinaldo che era risultato molto ben disposto nei suoi confronti; Franca spergiurava che si trattava di un rapporto di mera conoscenza, che poteva mirare ad uno scambio di coppia ma che si limitava a quello; non avevo assolutamente motivo per dubitare della sua buona fede e lasciai che conducesse la trattativa senza neanche dovermi mai interpellare sulle decisioni.
Mi comunicò quindi che per il primo sabato del mese seguente aveva concordato una cena a casa nostra che avrebbe potuto evolvere in una serata di sesso, se anche io ed Elisa, la moglie, avessimo trovato la ‘chimica’ necessaria per condurre oltre l’incontro; non avevo motivo per oppormi ad una decisione che nasceva da un dialogo tra noi due e le comunicai la massima disponibilità ad incontrare queste persone, meglio ancora se al più presto, per un caffè al bar, prima di incontrarci per cena.
Ci accordammo per una pausa pranzo, l’unico momento in cui le nostre disponibilità coincidevano; il bar era quello Centrale, nella piazza su cui affacciavano in pratica i posti di lavoro; nell’edificio adiacente al bar, al primo piano, c’erano gli uffici dove lavoravano Franca e Rinaldo; sul lato corto opposto c’era la banca dove lavorava Elisa e, sopra, il mio ufficio; avevo acquistato recentemente il piccolo appartamento adiacente, all’insaputa di mia moglie, a cui pensavo di fare una sorpresa.
Quando dalle mie finestre vidi mia moglie con un giovane collega, mi mossi per andare all’appuntamento; nell’uscire dal portone, quasi mi scontrai con un gruppo di impiegati della banca che sciamava verso il bar adiacente; solo una ragazza si diresse verso quello dal lato opposto; la salutarono e la chiamarono per nome; capii che si trattava della quarta invitata; non potei fare a meno di ammirarne la figura armoniosa.
Non era molto alta, soprattutto rispetto al mio metro e ottanta; e forse le sue misure erano la metà di quelle di Franca; seno piccolo e raccolto, quasi verginale; fianchi stretti disegnati a pennello; viso vivace con occhi profondi; un caschetto bruno che le conferiva un’aria da ragazza che desidera andare in vacanza; la agganciai.
“Scusa, sei Elisa?”
Mi guardò con sospetto.
“Perché?”
“Io sono Antonio, il marito di Franca, la collega di tuo marito che ci aspetta lì al bar.”
“Allora abbiamo un appuntamento!”
“Io ci sono già; tu anche; è giusto dire che avevamo un appuntamento … Posso dirti che sei bellissima?”
“Per certi incontri non è obbligatorio fare il lumacone.”
“Scusami; non volevo adularti; esprimevo un pensiero sincero e leale. Sono colpito dalla tua bellezza.”
“Scusami tu; sono tesa e ho risposto male; ma tu non sei l’imprenditore che ha gli uffici sulla banca?”
“Sì; e sono anche vostro cliente … “
“… ed anche uno di quelli importanti. Per questo ti ho riconosciuto. Hai solo l’ufficio o ci abiti?”
“L’appartamento in cu viviamo è da un’altra parte; qui ho acquistato il mini a fianco all’ufficio; ma lo sai solo tu.”
“Perché me lo dici?”
“Mi ispiri fiducia, dolcezza e, scusami, anche amore.”
“Perdonami, ma … tu lo sai che l’incontro serve a decidere di fare sesso in quattro?”
“Se ti rispondo che non so fare sesso bruto, ma solo l’amore, ti sconvolgo?”
“No; anche io alla brutalità che sceglie mio marito preferisco di gran lungo la dolcezza.”
“Mia moglie credo che sia ammalata di sesso duro; se non voglio distruggere il matrimonio, devo assecondarla.”
Avevamo raggiunto gli altri che fecero le presentazioni, del marito al collega e della moglie alla collega; Rinaldo fu lapidario.
“Beh, dovevamo incontrarci per verificare la compatibilità; mi pare che ci sia; noi abbiamo già preso il caffè e in ufficio ci aspetta un duro lavoro da sbrigare; voi avete tempo per pranzo e caffè; ci vediamo per la cena.”
Si allontanarono insieme e non sembravano solo colleghi.
“Hai capito dove vanno?”
“In ufficio … “
“Nei bagni dell’ufficio, dove da due mesi copulano come mandrilli; tua moglie pare che sia insaziabile e mio marito so che è praticamente instancabile … Che ti succede? oh, dio, tu non sapevi? Scusami; non pensavo di farti soffrire … “
“No, Elisa, non sei tu che mi fai soffrire; e neppure le copule di due bestie; mi fa soffrire il pensiero di avere dato fiducia a una persona che si era impegnata alla lealtà, al buonsenso e all’equilibrio; mi fa star male vedere la mia fede buttata in una pattumiera, il mio amore calpestato come escrementi di vacca sulla strada.”
“Allora è proprio vero che sei un ‘cornuto tardormantico’, come ti etichetta mio marito. Parlavi sul serio quando dicevi che non vuoi fare sesso ma solo amore?”
“Elisa, non so se saremo amici o per quanto lo saremo; sappi che non dico mai niente di diverso da quello che penso, da quello che provo; l’inganno mi dà l’orticaria, sia se lo subisco sia se lo metto in pratica; qualunque cosa ti dica, è la mia verità.”
“Andiamo a mangiare qualcosa?”
“Lì c’è una tavola calda; i gestori sono amici miei; ci vado ormai tutti i giorni … “
“Ci vai anche per cena?”
“No, per cena ho un’alternativa tra pizzeria e trattoria, sempre di amici; però, se telefono alla tavola calda, mi portano la cena fino in ufficio; succede, quando ho molto lavoro.”
“Preparano solo cose essenziali e semplici?”
“No, hanno uno chef buono; volendo si può ordinare come per un catering … Perché me lo chiedi?”
“Antonio, non fraintendere; non voglio vendette; non voglio rendere pan per focaccia; visto che quei due ci hanno incastrati e se ne vanno a copulare, ti ispiro abbastanza amore da darmene stasera?”
“Non ironizzavo quando ti ho detto che sono ammirato di te, non solo per la bellezza fisica, ma per quel senso di candore (che non è candore, non devi dirmelo tu; ho detto ‘senso’ di candore), per quell’aura giovanile e fresca; te l’ho già detto che mi ispiri amore, se dici che vuoi provare a fare l’amore, noi due, si sta poco a farci portare una cena da innamorati non in studio ma nell’appartamentino; lì verifichiamo se ci sono le condizioni e, nel caso, ci amiamo.”
“Alla chiusura della banca, salgo da te; ceniamo e ci guardiamo negli occhi; se qualcosa scatta, io non mi fermo … credi ai colpi di fulmine? Sei superstizioso?”
“Hai sentito dall’inflessione che vengo dal profondo sud? Mi porto dietro tutta la mitologia che abbiamo radicato nei secoli; credo al destino e sono certo che lui ci ha messo su questa strada, prima che incontrassimo gli altri; è la sorte che ci ha fatto dire le frasi giuste. E’ un colpo di fulmine? Non lo so; però so che, da quando ti ho incrociato, ho sentito un trasporto vero. Ci sto!”
Pranzammo velocemente, chiesi a Salvo di mandarmi alle otto la cena per due - ‘da innamorati’ sottolineai - e tornammo, lei in banca ed io al mio ufficio; alle sei e mezzo, puntualmente, Elisa bussò allo studio; la feci entrare e provai ad indicarle una poltroncina; mi strinse nella vita e appoggiò la testa sul petto.
“E’ da mezzogiorno che voglio farlo! Sapessi quanto bisogno ho di starmene così, protetta, coccolata, amata … ”
“Che fai? Piangi?!?! Ma così ci roviniamo la nostra prima cena da innamorati!”
“Antonio, posso dirti un cosa? … “
“A patto che mi chiami Totò o al massimo Toto, secondo come ti viene; mia madre mi chiama così e dice che è la formula più bella per dare affetto … “
“Allora tu mi chiami Eli, come mia madre; così siamo pari, amore mio; questo volevo dirti che sto scoprendo che ti amo, non basta l’affetto e neppure gli affettati; è amore, quello che voglio da te e che voglio darti. Ti sta bene?”
“Io voglio che ce lo diamo anche fisicamente, l’amore. Vuoi che passiamo nella ‘nostra’ casetta o aspettiamo che ci portino la cena?”
“Hai chiesto per le otto e non verranno prima; fino ad allora ce ne stiamo nella nostra casetta e tu mi coccoli come una bambina; dopo cena, si salvi chi può … “
“Adesso posso dirti anch’io che ti amo!”
Nell’ora e mezza scarsa che aspettammo la cena, riuscimmo finalmente a baciarci e ad assaporare lo strano batticuore che ci prendeva, anche se eravamo assuefatti a copule e comportamenti sessuali sopra le righe; ci scambiammo le affettuosità più dolci e stupide del mondo, come ragazzini in piena tempesta ormonale, sulle spiagge d’estate; ci dicemmo, in quei pochi minuti di tempo, più cose di quante ce ne eravamo dette coi coniugi in anni di convivenza.
Mi trovai seduto a cena con Eli, non più Elisa, la ragazza di cui mi ero innamorato e alla quale dovevo chiedere di fare l’amore, perché il sesso mi bolliva nel boxer; avevo bisogno di sentire la tenerezza della sua vagina accarezzarmelo; ed ero incerto se azzardare così tanto con una ‘sprovveduta’ come me che desideravo con tutte le mie forze; continuavo a comunicarlo accarezzandole le mani, le braccia quasi a sfiorare il seno dolcissimo che non osavo afferrare per non spezzare l’incanto.
Poi decisi; andai dietro di lei, le sbottonai la camicetta e gliela sfilai, le slacciai il reggiseno e feci venire alla luce due globi perfetti, che non stavano in una coppa da champagne ma perfettamente nella mia mano; prelevai dal dolce un poco di crema e la spalmai su un capezzolo già gonfio; mi abbassai sulle ginocchia e lo presi in bocca, succhiando insieme crema e seno; la sentii vibrare e tremare tutta mentre quasi mi urlava.
“Si, si, amore … mi fai godere … oh dio … mi bagno tutta … godo,. Amore, godo; non ti fermare … ti amo davvero … tanto!”
Mi spostai sull’altro seno e ripetei l’operazione; esplose ancora in piccoli orgasmi dolcissimi; mi obbligò ad alzarmi in piedi, mi aprì la cerniera dei pantaloni, tirò fuori il sesso duro come l’acciaio, lo spalmò di crema dal bignè e prese a leccarlo, dalla punta alla radice, divorò la crema e lo inondò di saliva che lo rendeva più scivoloso; se lo spinse sull’ugola, fino a soffocarsi.
Contrassi tutti i muscoli del corpo nella tensione della libidine e mi imposi mentalmente di non eiaculare; le sfilai con delicatezza e decisione l’asta dalla bocca, la costrinsi in piedi e la baciai ingaggiando con la sua lingua un duello senza vinti; intanto, le sganciavo la gonna e la facevo cadere a terra; abbassai il perizoma ormai da buttare e diressi il sesso tra le cosce, rasente le grandi labbra che ne erano sollecitate; afferrai tra le mani i glutei che cedettero volentieri.
“Toto, ti voglio dentro; ti prego, fammi sentire il tuo sesso nel corpo, fatti imprigionare nel mio amore!”
Mi sfilai i pantaloni insieme al boxer e ai calzini; mi tolsi la camicia e fui nudo davanti a lei; la sollevai in braccio delicatamente, quasi senza sforzo, e la trasportai sul letto; la depositai al centro, supina, indifesa; divaricai i piedi per avere sotto gli occhi la più bella vulva che potessi desiderare; mi piegai a lambirla con la lingua e diedi il via al più intenso cunnilinguo mai visto; riprese a gemere e ad urlare senza sosta e mi implorava di penetrarla.
Mi spostai e mi misi in ginocchio tra le sue cosce; mi abbassai lentamente e la mazza si accostò al suo ventre; allungò una mano, lo prese alla radice e lo guidò all’imbocco della vagina; entrai con dolcezza e determinazione; anche se era adusa a contatti carnali anche con falli di buona stazza, riuscivo a sentire le pareti della vagina che si lasciavano penetrare con partecipazione alla copula; sentivo che godeva ad ogni millimetro di fallo che entrava e, quando la cappella urtò la cervice, mi intrecciò le gambe sulla schiena.
Me ne stavo immobile dentro di lei; cercai il viso, lo accarezzai con passione e asciugai le lacrime che sgorgavano spontanee.
“Eli, perché piangi?”
“Di gioia, amore mio, solo di gioia; ti ho dentro di me, ti imprigiono e non vorrei farti uscire più; è vero, Toto; tu non copuli, tu accarezzi col tuo amore il mio e mi fai sciogliere in orgasmi; non so quanti ne ho avuti; so che mi sto sciogliendo dal languore con te; tu non ti muovi e io godo, tu non copuli ed io ho continuamente orgasmi. Com’è questa cosa?”
“E’ il cuore che pompa sangue ai corpi cavernosi e ingrossa il sesso; i muscoli vaginali lo carezzano e ti danno piacere; sei tu, amore, che mi stai possedendo. Io sono alla fine ormai, devo godere o mi piglio un infarto; posso godere liberamente in te?”
“Si, Toto, vieni pure; mi farai urlare di piacere; soffoca gli urli coi baci!”
Davvero lancia urla che poco hanno di umano, Elisa, quando il mio sesso spara dentro il suo utero spruzzi di sperma; per fortuna mi ha chiesto di tapparle la bocca coi baci; ma anche io soffoco nella sua bocca urla di un piacere mai provato prima; quando mi fermo e comincio a rilassarmi, sento tutta la tenerezza del suo corpo fragile e delicato che sembra accoccolarsi sotto di me in posizione fetale; non accenna a spingere fuori l’asta dalla vagina; mi accarezza il viso e mi bacia a lungo.
“Toto, sai che veramente ho creduto di vedere gli angeli; mi hai portato in paradiso; ora so che ti amo tanto, davvero.”
“Se vuoi, provo a portarti ancora sopra le nuvole, anche tutta la notte … “
“Non dire stupidaggini; io tra poco torno a casa; e sarà bene che tu faccia altrettanto. Adesso, l’ultima cosa da fare è portarci al loro livello. Noi ci siamo amati … e ci ameremo; ma non possiamo farci accusare di adulterio da due adulteri; anche Rinaldo è venuto meno al patto di lealtà.”
Inesorabilmente, col cuore in gola, dopo poco fummo costretti a salutarci; ma da quel momento, ogni volta che lo ritenevamo opportuno, con una semplice telefonata fissavamo di vederci e quel mini appartamento diventò l’alcova di un amore meraviglioso.
Proprio in quei giorni, per una coincidenza voluta forse dal destino, capitava il decimo anniversario del matrimonio con Franca; sull’entusiasmo dell’intesa che sembrava essere creata tra noi due, da molto tempo avevo preparato la sorpresa da presentarle il giorno della ricorrenza; ricordando con quanto entusiasmo mia moglie aveva ammirato il giovane eritreo visto nella chat di quel sito, senza farle sapere niente mi misi in contatto e venni a capo di molte cose,
Seppi che era disponibile e non mercenario; che era interessato ad incontrare mia moglie, anche in mia presenza, o con la mia compartecipazione; che volentieri avrebbe contribuito a celebrare degnamente la nostra festa ed esserne anzi protagonista; gli fornii numerose indicazioni per muoversi agevolmente con lei e insieme stabilimmo il motel dove io avrei condotto lei e dove insieme avremmo trascorso la notte più bella e più memorabile per noi.
Naturalmente, l’evolversi recente degli eventi mi aveva molto maldisposto nei suoi confronti; i fatti davano per indiscutibile la malafede di mia moglie; la sua tendenza a tradire l’intesa che avevamo raggiunto; pura ipocrisia le sue proclamazione di assoluta fedeltà e di desiderio irrinunciabile che fossi presente alle sue avventure; per oltre due settimane non avemmo che sporadici e inevitabili contatti, al punto che non la toccai minimamente e passai molte notti fuori casa.
Ma Franca non si era neppure avveduta della distanza che ci stava separando, presa dal fascino del suo nuovo ruolo e dai suoi bisogni di sesso che evidentemente scaricava dappertutto senza neanche parlarmene né prima né dopo; dopo avere aspettato inutilmente che mi chiedesse almeno conto del perché dormissi nella stanza degli ospiti, incurante assolutamente dei suoi andirivieni e degli orari folli con cui si muoveva, presi coscienza che l’amore era morto e il matrimonio anche.
A tenermi bloccato in casa era la coscienza che una domanda di divorzio sarebbe stata letale per mia madre, cattolica fervente e praticante che considerava il matrimonio un sacramento, quindi indiscutibile; recentemente aveva avuto un brutto infarto e questa notizia l’avrebbe uccisa; poiché era la persona che più contava nella mia vita, assai più del mio stesso orgoglio o della dignità ferita dalle ‘corna’ che mi faceva Franca, tacevo e lasciavo correre; per altro verso, l’amore di Elisa mi bastava.
Decisi quindi, per evitare le polemiche, di continuare nella finzione di celebrare l’anniversario; mi limitai scherzosamente a rimproverare mia moglie che neppure si era ricordata della ricorrenza che in altri momenti aveva indicato come la data da scolpire nella pietra; si attaccò a non so quali impegni pressanti e non prese neppure in considerazione il rimprovero esplicito che le feci di non avermi concesso amore per tanto tempo; promise di rimediare ‘presto’.
L’anniversario cadeva di sabato e le imposi categoricamente di non assumere impegni; benché perplessa, rinunciò per una volta alle sue scorribande e potei sin dal mattino dedicarmi alla preparazione della ‘sorpresa’; naturalmente, si svegliò che neppure sapeva dove fosse e meno che mai ricordava che era l’anniversario atteso; tacqui fino all’ora di pranzo e le ricordai la ricorrenza solo quando la invitai a pranzo; si sciolse in scuse leziose e fintamente lusinghiere.
Le parlai della sorpresa e cadde ancora dalle nuvole; pazientai fino alla cena che consumammo in un’atmosfera di ipocrita amorevolezza; subito dopo la invitai ad uscire con me per ricevere il regalo di cui avevo parlato; non era entusiasta, perché sperava di passare una notte folle da qualche parte, con i suoi ormai numerosi amanti; le osservai che ormai le nostre intese non esistevano più e si limitò ad osservare che ‘si cresce e le cose cambiano’.
Quando mi diressi al motel fuori città, la vidi sempre più preoccupata; addirittura, espose il dubbio che la stessi portando da qualche parte per farle pagare gli eccessi di libertà che si era consentita; la mandai al diavolo esplicitamente dicendole che non aveva mai capito niente di noi due; mise il broncio e non mi rivolse la parola; la ignorai con altrettanta freddezza fino alla meta, distante solo pochi chilometri da casa nostra.
Quando la condussi alla reception, notò immediatamente, su una poltrona, il giovane eritreo che aveva tanto ammirato in chat; cambiando improvvisa,mente atteggiamento, mi diede di gomito e mi chiese sottovoce se lo avessi visto; le dissi che era il regalo di anniversario; con u alto di atteggiamento da vera acrobata, mi balzò al collo come una bambina e mi fece mille moine; mi limitai a fare cenno al ragazzo, che si avvicinò; gli diedi la chiave della camera prenotata.
“Non avere problemi; è una grandissima troia, che non merita rispetto. Fate quel diavolo che volete; io vicino a questa fogna non voglio starci; passo domani mattina alle nove a recuperare la signora che da questo momento è nella tua totale disponibilità; sappi che questo è l’inizio della fine; non ci sono prospettive per noi.”
Non sapevo se fosse totalmente istupidita o se era troppo entusiasta per ascoltarmi; si limitò ad abbracciare il giovane, avviandosi al primo piano; appena in macchina, telefonai ed Elisa; mi disse che era sola in casa perché Rinaldo era andato ad un privè ed aveva avvertito che non sarebbe tornato prima del mattino seguente; le chiesi se le andava di stare con me quella notte; mi rispose che era in cammino per la nostra casetta.
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