E scelsero piuttosto
le tenebre che la luce
GV 3,19

1
Salve, mi chiamo Ivy, ho un figlio di quasi 16 anni, sono vedova da 3, ho da poco superato gli "anta", ma le persone che frequento mi reputano ancora una preda molto polposa! La mia storia è un po' raccapricciante, pertanto prego fin d'ora i pochi puritani tra voi di passare ad altro se la cosa può in qualche modo recar loro offesa.
Orbene, la storia che mi accingo a narrarvi, e di cui sono la diretta protagonista, risale a circa due anni fa, quando mio figlio frequentava l'ultimo anno delle medie e mio marito era morto da poco. Era una domenica mattina, ed io stavo come al solito rassettando la casa prima di recarmi, come ogni domenica, in chiesa, quando all'accingermi ad entrare in bagno per riordinare, trovo la porta stranamente chiusa, e dico stranamente dato che io e mio figlio, essendo soli in casa, non avevamo l'abitudine di chiuderci dentro, specialmente nella stanza da bagno.
Incuriosita, m’inginocchio al buco della serratura, ed infilando, mio malgrado, l'occhio alla fessura, vedo mio figlio, Bjarne, in piedi sull'orlo della tazza del water che se lo mena alla grande, col viso rivolto per aria, le gambe divaricate, e la mano sinistra che carezza furiosamente le due palle sode. La mia prima reazione è di sdegno; mio marito, poverino, quand'era ancora in vita mi aveva spiegato che questa è una tappa fondamentale un po' per tutti i maschietti, ma checché me ne avesse potuto dire, questa visione mi raccapriccia, e lì per lì non so che fare, rimanendo come stordita, osservando morbosamente la scena di mio figlio il quale intanto, poco più che quindicenne, con la mano sinistra si carezza i coglioni mentre con la destra se lo mena oscenamente, credendosi al sicuro da occhi indiscreti. Sarò rimasta così due o tre minuti buoni, periodo in cui lo spazio ed il tempo erano come annientati per me che osservavo quella scena a metà strada tra lo sdegno e la libidine, quando un flebile gemito fuoriuscito dalle labbra tumide di mio figlio mi risveglia dalla trance, facendomi accorgere dai sintomi evidenti che stava per venire. Il tutto non dura che pochi secondi: al sopravanzare della crisi la mano si fa più veloce sul cazzo, la presa per i coglioni si fa più stretta, ed il tutto si risolve in quattro o cinque fiotti si sborra cristallina che si vanno a posare qualcuno sull'orlo del water, qualche altro sulle piastrelle del muro, che mio figlio ripresosi, si appresta a pulire alla meno peggio. In fretta, dopo aver assistito a quello spettacolo raccapricciante, mi rialzo, con il viso congestionato, faccio per rimettermi in ordine, ed in silenzio mi allontano dalla porta del bagno, provando una sensazione di appiccicaticcio nel basso ventre, come quando in certi bar andavo in bagno a fare pipì e mi accorgevo che mancava la carta igienica, e non avendo fazzoletti di carta ero costretta, mio malgrado, a rimettermi le mutandine con le labbra ancora umettate di urina.
2
Dopo che Bjarne era uscito dal bagno, mimai indifferenza, fingendomi indaffarata in qualche faccenda fino a che, finitosi di vestire e fatto colazione, mi saluta col solito bacio sulla guancia ed esce di casa. Sentii un irrefrenabile impulso a recarmi in bagno, in quello stesso bagno, cioè, dove poco prima davanti ai miei occhi mio figlio "si era sparato una sega" (queste parole mi rimbombavano nel cervello ad ogni passo); dicendo a me stessa di voler solo rassettare, prendo l'occorrente ed entro. Mio figlio aveva pulito davvero bene, non c'era dubbio, ma ad un occhio attento le tracce del suo piacere non potevano certo sfuggire. Mentre facevo per pulire, mi accorsi che la fica, da umida e leggermente aperta che era mentre assistevo allo spettacolo raccapricciante, aveva iniziato letteralmente a grondare sempre più copiosi umori, tanto che mi sentivo le mutandine bagnate ed un che di bollente al collo dell'utero. Stizzita, e nonostante tutto lascivamente eccitata per quanto mi stava accadendo, dopo aver notata una goccia della candida rugiada deposta dal pene di mio figlio, sfuggita nella furia alla sua vista, con le dita della mano sinistra la prendo dalle piastrelle gelate e la porto alle narici, gustandone l'afrore. Inebriata e con la fica in fiamme, non più padrona di me stessa, mi seggo sulla tazza del cesso ancora unta di sperma ed inizio a sditalarmi furiosamente, infilandomi in bocca le dita imbrattate dello sperma acerbo di mio figlio fin quasi al palmo. Con l'eccitazione oramai al culmine, sentendomi sempre più depravata ed oscenamente troia, decisa nell'andare fino in fondo nella colpa, di scendere fino alla fine gli scalini della perversione, già pregustando il rimorso che ne seguirà, tolgo le quattro dita della mano sinistra dalla bocca e me le infilo in un sol colpo in fondo alla vagina, torturandomi intanto il clitoride impazzito, fino a raggiungere il culmine del piacere...
Seguono istanti di intontimento totale, la realtà mi sfugge ed i sensi offuscati ci mettono un bel po' per ritornare a funzionare, mentre intanto tutta la mia vita mi passa davanti, con mio marito prima e con mio figlio poi: il mio comportamento deplorevole merita una punizione più che adeguata, ed io, lentamente ritornando padrona di me, sempre più mortificata per quello che ho fatto, dopo più di un anno dalla morte del mio caro marito in cui credevo di aver cancellato completamente il sesso dalla mia vita, scoppio a piangere.
Per fortuna mio figlio era già uscito, non avrei davvero potuto né saputo trovare una scusa credibile per quel mio pianto isterico. Ripresami leggermente, ma sempre prostrata nel fisico e nello spirito, rassetto il bagno alla buona, e dopo aver fatto altrettanto presto con le rimanenti faccende di casa, più per distrarmi che per altro, faccio per scendere ed andare a messa. Lungo il cammino che porta in chiesa, la mia mente è un turbinio di pensieri: ho peccato; due volte peccato un quanto non solo mi sono oscenamente masturbata in bagno, rompendo così nel più turpe dei modi il voto di castità fatto alla morte del mio povero marito, ma più perché, lo riconosco, ho osato masturbarmi come la più consumata delle puttane quando quello che avrei dovuto fare, dovere mio di donna e di madre, sarebbe stato quello di aiutare in qualche modo il mio bambino.

3
Risoluta, conscia della mia colpa, entro in chiesa e dopo una breve genuflessione verso l'altare, mi reco di filato verso un confessionale libero, decisa a confessare il mio peccato a Dio ed agli uomini, chiedendo al primo il perdono, ed ai secondi, se possibile, un consiglio. Piangendo sussurro più che recitare le usuali preghiere, ed il buon padre, che riconosco dalla voce dolce e rassicurante essere il curato del mio paese, che mi conosce da quando, alta un soldo di cacio, andavo a confessargli le mie marachelle di bambina, pazientemente mi ascolta, mentre con voce rotta racconto con morbosi dettagli la casuale scoperta, il turbamento che ne è seguito, infine l'infame mio comportamento ed il mancato soccorso morale al mio bambino.
-Padre, la prego, mi perdoni, perché ho peccato, di un peccato tanto grande che ancora io mi stupisco di esserne stata l'artefice.-
-Mia cara piccola- mi dice il vegliardo, per il quale evidentemente sono ancora una bambina, -vedi, noi uomini siamo non siamo fatti per peccare, e Dio lo sa: per questo, piccola mia, ci ha dato il sacramento della confessione, affinché confessando le nostre colpe possiamo richiedere il suo perdono e quindi di nuovo accostarci a Lui.-
-E' vero, padre, ma io mi sento tanto in colpa, perché col mio comportamento lascivo non ho assolto ai miei doveri di madre, oltre che di buona cristiana…-
-E' vero, piccolina, tuttavia il pentimento è il primo passo nella strada che porta al Signore, e tu stessa, riconoscendo le tue colpe, ti rendi degna del suo perdono.-
-Oh, caro padre, come avevo bisogno delle vostre parole rassicuranti. Ditemi, come devo fare per riacquistare la fiducia del Signore, ma soprattutto, da uomo di mondo quale siete, che tanta vita si è lasciato alle spalle, ditemi, come fare per rimediare al mio peccato più grande, ossia quello di non aver prestato soccorso al mio povero bambino proprio quando aveva bisogno di me, pensando piuttosto a soddisfare le mie turpi voglie?-.
-Benedetta bambina, quello che devi fare è solo parlare al tuo ragazzo, senza turbarlo eccessivamente, in quanto ciò potrebbe portare all'effetto contrario, quanto piuttosto andando per gradi, facendogli capire pian piano, inculcandogli con quell'amore e con quelle parole che solo una mamma può avere, che esistono tanti svaghi, tanti modi in cui può utilizzare il suo tempo libero, che non in questo modo lascivo, offendendo prima di tutto se stesso, e poi il Signore...-.
Mentre il prete parlava, io ormai già mi sentivo libera dal mio peccato, e pensavo al da farsi per ricongiungermi al Signore, riparando, per quel che potevo, ai miei errori.
Ricevuta l'assoluzione e recitati i rituali Gloria, Ave, Pater, mi accostai al sacramento dell'Eucarestia risollevata, e tornai a casa carica di buoni propositi, con l'animo leggero ma deciso a distogliere l'animo di mio figlio dal suo cammino verso quella perversione.

4
Giunta a casa, come ogni Domenica, preparai il pranzo ed attesi che mio figlio rincasasse, per mangiare insieme. A tavola, iniziammo, come eravamo soliti fare, a parlare del più e del meno, e il discorso, non so quanto involontariamente da parte mia, cadde sull'argomento masturbazione. Io dal canto mio, animata dai più buoni propositi, snocciolavo a Bjarne tutto il panegirico che avevo sorbito dal buon padre, con un tale trasporto che mio figlio ne dovette rimanere molto impressionato, se è vero che solo una timida obiezione mosse, riguardo al punto che, sebbene non fosse il suo caso, un maschio normale si sarebbe riempito le palle fino a scoppiare senza una donna, se non avesse avuto la libertà di masturbarsi, che non era come per le ragazze, che ogni mese (ogni ventotto giorni, gli faccio io di rimando...) hanno le mestruazioni.
Tutti argomenti deboli, comunque, che comunque il Signore mi diede la forza di ribattere subito, fino al punto di dire al piccolo che, sebbene non fosse il suo caso, se avesse avuto bisogno di aiuto, avrebbe potuto rivolgersi tranquillamente e con fiducia alla sua mammina.
-Non preoccuparti, mamma, io certe cose non le faccio-, rispose imbarazzato il briccone di cui avevo ancora impressa nella mente l'immagine del glande violaceo che eruttava sperma.
-Non si sa mai. Ed ora va', non voglio trattenerti oltre; spero che tu abbia capito che io oltre che tua madre sono anche tua amica...-. Mentre si allontanava, con la coda dell'occhio ebbi l'impressione di scorgere un rigonfiamento tra le gambe di mio figlio. Rimossi all’istante quella sensazione e continuai titubante a sbucciare la mela che avevo nel piatto.
Intanto il tempo passava; un giorno, poi due, tre, poi una settimana, quindi due settimane, mentre la nostra vita sembrava essere tornata alla normalità: dopo quel discorso, nulla più fu detto tra noi riguardo all’argomento sesso. Io dal canto mio, presi la risoluzione di astenermi dallo spiare mio figlio, a maggior ragione quando si recava al bagno, decisa a concedergli la massima fiducia, più per paura delle mie reazioni che per il fatto che forse il mio ometto se la meritasse davvero.

5
Una domenica mattina, tuttavia, non resistei: il mio istinto materno mi obbligò a verificare. Appena scorsi che mio figlio faceva per recarsi al bagno, di soppiatto gli andai dietro, inginocchiandomi ancora una volta dietro la porta del bagno, che mi accorsi di nuovo essere chiusa a chiave. Non immaginereste mai la mia sorpresa nel vedere mio figlio che si avvicinava al cesso, slacciava la cintura, apriva il pantalone e se lo lasciava cadere alle caviglie, quindi abbassati gli slip fino alle ginocchia, rivelava un cazzetto semiduro che quasi istantaneamente, al primo tocco, riprese vita. Tentando di controllarmi, pensando che comunque la predica non era servita a nulla, osservai il ragazzo che con una dimestichezza ormai a me nota iniziava a menarselo: "La predica non è servita a nulla, o forse ha sortito solo un effetto temporaneo", mi ripetevo, osservando ancora una volta il cazzo tumescente pronto ad esplodere, "Dovrò prendere seri provvedimenti; sorprenderlo sul fatto, magari, e se è il caso punirlo, anche severamente se necessario: la deve smettere." Mentre confusamente risoluzioni contrastanti si accavallano nella mia mente, con l'occhio ancora incollato al buco della serratura osservavo mio figlio che d'un colpo lasciava il cazzo, che per effetto della potente erezione rimaneva turgido, a mezz'aria, dondolante come la prua di una nave in balia delle onde. Quindi si rimise gli slip, che a stento riuscivano a contenerne il pacco gonfio, si riallacciò i pantaloni ed aprendo la porta quasi non mi sorprese a spiare, stupita quale ero del fatto che stranamente non aveva portato a termine la sua opera.
Trascorsi alcuni minuti, ancora incredula di quanto avevo osservato, mi recai in bagno, alla ricerca di qualche traccia che provasse che mi ero sbagliata, che il ragazzo avesse cioè sborrato da qualche parte senza che io me ne accorgessi, per quanto strano potesse essere. Ebbene, nulla. Il bagno era limpido così come io l'avevo lasciato poco prima che lui entrasse. Dopo quell’esperienza, che per la verità mi lasciò alquanto incuriosita, iniziai a spiare mio figlio non solo tutte le volte che si recava al bagno, ma anche nei suoi più piccoli movimenti, alla ricerca di una traccia, di un indizio che mi inducesse anche solo ad illudermi che il mio bambino avesse perduto dello sperma, che avesse portato a termine il suo atto il quale, per quanto osceno, preludeva comunque ad una sua naturale risoluzione.
Perché si lisciava il cazzo senza venire? Più e più volte al giorno lo osservavo recarsi al cesso, cacciare fuori il cazzo semiturgido ed ormai sempre sensibilissimo, rimenarselo per quattro o cinque volte, tante cioè quante bastavano in quel suo stato a condurlo ad un piccolo passo dal piacere, per poi lasciare l'asta penzolare a mezz'aria per ricacciarsela tra i pantaloni. Questa morbosità aveva iniziato a prendere il sopravvento nella mia vita; non c'era attimo in cui non mi domandassi a che scopo si ostinava ad abbandonarsi in una pratica tanto assurda la quale, mentre non gli procurava piacere per il semplice fatto che non la portava mai a termine, doveva anche procurargli non pochi problemi, per quello stato di semierezione che doveva continuare a portarsi dietro. Un giorno, per esempio, feci apposta in modo di sfiorargli delicatamente ed apparentemente senza rendermene conto, il pacco che aveva tra le gambe: mai immaginereste lo sgomento che provai, mentre sforzandomi di fingere noncuranza assistetti alla violenta erezione che gli avevo provocato.

6
Quel giorno stetti male: io avevo deliberatamente e di nascosto provocato un'erezione a mio figlio. Piansi, e mi decisi a spiarlo con ancora maggior zelo, per vedere fin dove arrivava in quella che aveva tutta l'aria di essere il principio di una perversione. Iniziai a spiarlo ogni volta che si recava al bagno per i suoi bisogni fisiologici. Lo vedevo calarsi le brache, pisciare riuscendo a stento a dirigere il getto prodotto dal suo pene svettante verso il water, quindi riallacciarsi i vestiti non prima di aver dato qualche botta al suo randello, giusto per farlo rizzare ancora di più, se possibile; lo vedevo sedersi sulla tazza del cesso e stare così a volte anche per più di un'ora, dopo aver espletato i suoi bisogni fisiologici, continuando a rimenarsi il pisello, tassativamente senza venire mai, con in mano magari uno di quei giornaletti con le donnine nude di cui abbondano le edicole, o più raramente con qualche foto manifestamente pornografica, che evitavo di sequestrargli per non farlo insospettire.
Una volta addirittura si chiuse in bagno, e dopo aver tolto pantaloni e slip, tirò fuori un preservativo e se lo infilò. Incuriosita, mi accostai più che potevo al buco della serratura, speranzosa che il piccolo si fosse finalmente deciso a "concludere", e che la trovata del preservativo (dove lo avrà trovato? Noi non ne avevamo in casa) servisse solo per dare più solennità alla cosa, magari per misurare quanto sperma avesse prodotto nel periodo di castità. Ebbene, niente di più sbagliato, anzi: il piccolo si esibì in un piccolo numero acrobatico che mi fece rabbrividire; dopo essersi infilato il goldone, che gli calzava a pennello il cazzo duro, si poggiò con i piedi sulla tazza del cesso, col buco del culo diretto verso lo scolo ed iniziò a spingere, mentre con aria visibilmente soddisfatta e tocchi sapienti, titillava il cazzo fino all'eccesso.
Mi sentivo svenire; le gambe improvvisamente mi vennero a mancare e feci appello a tutta la forza residua per sostenermi, costringendomi a guardare, mio malgrado, lo stronzo scuro che mano a mano si faceva largo tra le chiappe del ragazzo, il quale sembrava dosare magistralmente i colpi al cazzo, quasi a voler evitare che un’improvvisa contrazione dello sfintere anale potesse prematuramente tranciare a metà il capolavoro che andava partorendo. Tutta l'operazione non durò che una manciata di secondi, compreso il flop dello stronzo nella tazza del cesso, ma a me sembrò un'eternità, in cui dovetti furiosamente lottare contro me stessa ed in special modo contro la mia vagina che aveva iniziato a produrre copiosi umori. Sentivo la troia in me che riaffiorava, prepotentemente decisa a prendere di nuovo il sopravvento, mentre intanto il piccolo, esausto per la posizione innaturale in cui si era costretto lungamente, rimise i piedi a terra e si sfilò il goldone, col cazzo ancora in erezione. Mi accorsi allora che ancora una volta non aveva sborrato, mentre un fiotto di sborra uterina mi fuoriusciva dalla vagina, allagando le grandi labbra. Sì, era la troia che voleva prendere il sopravvento, ma io non ci stavo: dovevo avere i sensi lucidi, capire, vagliare ogni soluzione e capire cosa stesse succedendo a mio figlio. Non ci stavo a lasciarmi trasportare dalla perversione.
Risoluta, intenta a mortificare il mio corpo lascivamente proiettato verso il piacere, mentre il ragazzo dirigeva il getto della doccia sul glande tumido, quindi alle palle e poi al culo, per un’accurata pulizia (almeno questo.), io introdussi una mano tra le cosce, percependo distintamente la sensibilità del clitoride con le dita; raccolsi quindi con la mano a coppa quanto più succo vaginale possibile e quella stessa mano, imbevuta di quel succo di cui s’era inzuppata, me la passai per dietro portandola al culo per la meritata penitenza. Un colpo secco, un dolore lancinante, che durò pochi istanti, ma che sembrò spaccarmi in due il cervello, annebbiandomi la vista. Non avevo urlato per contrizione, quando ormai tre dita di quella stessa mano che poco prima avevo strusciato sulla fica infuocata mi penetravano nel retto, dall'indice all'anulare. Il mio ragazzo intanto si stava asciugando, il cazzo rivolto verso la porta, ignaro della sua mammina a pochi passi da lui, in ginocchio, con tre dita infilate nel culo, cosparse di quegli stessi umori che lui involontariamente aveva provocato. Osservavo estasiata l'indugiare dell’asciugamano lungo le pieghe del cazzo, delle palle, mentre quello che prima era un dolore lancinante, pian piano assumeva connotati ben più tenui, fino ad affievolirsi tramutandosi in una soffice nuvoletta di piacere. Le gambe iniziarono a tremare, non riuscivo a tenere il corpo fermo. Dio, no, fa che non sia… no, noooo. Gooodoo…
Sono venuta. Il capo reclinato all'indietro, lascivamente distesa su di un fianco con ancora le dita piantate nel culo, sono venuta. Non so fino a che punto involontariamente, né quando esattamente la mia volontà ha ceduto, ma so che sono venuta, e per giunta sono venuta di culo.
Ma non c'era tempo per i rimorsi, almeno non per il momento: il ragazzo nel frattempo aveva finito e si stava rivestendo. Tra poco sarebbe uscito e non avrebbe dovuto vedermi in quello stato. Spinsi forte e lentamente feci uscire le mie dita dall’ano; mi rimisi in ordine e mi allontanai, proprio un attimo prima che Bjarne aprisse la porta.
Sia lodato Iddio: non si era accorto di nulla!
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