SESSO E BASTA
VOLUME 1
(ALESSANDRO BARDI)

[…]
Andai da mia suocera che stava uscendo dalla camera e la bloccai prima che arrivasse alla porta.
La feci voltare, la abbracciai e la baciai in bocca per qualche minuto senza dire nulla.
Poi la feci appoggiare dolcemente con le spalle al muro. Era completamente nuda, a parte i sandali, naturalmente.
“Dove vai?” le chiesi.
“In bagno a darmi una ripulita. Non posso mica andare in giro con un litro di sperma nel culo e la fica fradicia.”
“No, no, non hai capito. Certo che andrai in giro così. Anzi, nel culo e nella fica non avrai solo sperma e umori.”
“In che senso?”
“Nel senso che questa sera voglio giocare col tuo fantastico corpo e voglio farti godere come non hai goduto mai.”
“Non capisco…”
“Non devi capire. Devi lasciarmi fare e pensare solo a godere.”
Detto questo mi allontanai da lei lasciandola così, in piedi contro il muro.
Presi la borsa dei giochi e ne tirai fuori due morsetti per capezzoli. Erano due piccoli oggetti di metallo rettangolari, con una vite che, girandola, faceva avanzare da un lato verso l’altro una sottile striscia di metallo rigido. Avvitandola fino in fondo, quella piccola sbarretta arrivava a toccare l’estremo opposto del rettangolo, stringendo dentro tutto quello che vi si poteva infilare. Un capezzolo, per esempio.
Mi misi davanti a mia suocera e le feci vedere quei piccoli giocattoli di piacere.
“Ma che roba è?”
“Ora ti faccio vedere come funzionano.”
Gliene diedi uno da tenere in mano e le dissi di non farlo cadere.
“E perché lo dovrei far cadere?”
“Perché mentre ti metto l’altro potresti avere qualche piccolo mancamento.”
Rimase basita e in silenzio.
Presi la sua tetta sinistra in mano e le appoggiai sopra il morsetto quadrangolare mettendo il suo capezzolo proprio in mezzo. Presi a girare la vite e la piccola sbarretta di ferro iniziò a salire verso l’alto, andando man mano a stringerle il capezzolo tra la sbarretta stessa e il bordo alto del rettangolo di ferro.
Quando la sbarretta raggiunse un certo livello, e il capezzolo iniziò a rimaner schiacciato, mia suocera capì il gioco, capì come funzionavano quegli oggetti e a cosa servivano. Il suo primo “Aaahhh…” mi giunse piano, soffocato, ma quando strinsi ancora il tono cambiò di colpo.
“Aia Ale, mi fai male… fermati…”
Continuai.
“Aaaahhh…” questa volta il volume era più alto.
Urlò ma non si mosse. Rimase ferma immobile. Le accarezzai il capezzolo martoriato dal morsetto e glielo baciai.
“Ti piace?”
“Mi fa male.”
“L’avevi mai fatto?”
“No, mai.”
“Ora mettiti l’altro.”
Ubbidì senza fare resistenza. Le sollevai la tetta destra e l’aiutai a infilare il capezzolo nel mezzo del morsetto. Iniziò ad avvitarselo da sola. Mi eccitava tantissimo guardare le espressioni del suo viso che cambiavano man mano che il morsetto si chiudeva sul capezzolo. Ansimava ed emetteva dei leggerissimi mugolii, ma non si lamentava più.
“Più di così non riesco, mi fa male.”
Lo presi e gli diedi un ulteriore girata provando piacere nel sentire ancora il suo grido: “Aaaaahhh…”
Le lasciai andare le tette e le guardai cadere verso il basso, piegate dall’inesorabile forza di gravità.
Erano meravigliose: due tette enormi con i capezzoli strizzati dai morsetti di ferro. I capezzoli erano diventati durissimi e lunghi. La pelle del seno, in prossimità delle aureole, si era fatta di un colore un po’ più scuro. Guardavo mia suocera e godevo nel vederla così arrendevole. Una donna di cinquantanove anni, ancora attraente, con una carica di sensualità innata che si respirava a distanza, completamente nuda, in piedi davanti a me e con la schiena contro la parete. Le braccia lasciate cadere lungo i fianchi, le tette gigantesche lì così, a disposizione del primo venuto, e i capezzoli turgidi tirati, allungati e martoriati dai morsetti di metallo.
Aveva gli occhi socchiusi e si stava lasciando andare a un piacere sottile che, forse, stava provando per la prima volta in vita sua. E rimanendo ferma così, si stava lasciando guardare da suo genero, offrendosi completamente a lui, senza opporre la minima resistenza.
Restai a guardarla estasiato per alcuni lunghi istanti.
Poi decisi di procedere con il secondo gioco. Le guardai la fica e mi accorsi di vederla veramente per la prima volta da quando eravamo partiti. Avevo dedicato molta attenzione al suo culo, ai suoi piedi, alla sua bocca e alle sue tette, ma alla fica avevo dedicato giusto una bella leccata piena di ardore ma di poca attenzione.
Gliela guardai. La ricordavo bene, dopo la nostra prima scopata nella casa in collina. Aveva i peli nerissimi ma curati. Se la radeva ai bordi e se la teneva curata. Era una fica a pelo corto. Mi piaceva molto, anche se mi venne voglia di vederla completamente depilata. Decisi che prima o poi gliel’avrei fatta rasare. Magari il giorno dopo. Non adesso. Ora avevo altri progetti.
Mi voltai verso il letto, sul quale avevo lasciato la borsa dei giochi e ne estrassi uno.
Tornai da lei.
“Guarda il prossimo gioco che ho preso per te.”
Aprì gli occhi e uscì da quello stato di semi incoscienza in cui sembrava essere piombata. Quello che si trovò davanti erano due palline di plastica bianca, del diametro di circa due o tre centimetri, legate tra loro da un laccetto bianco. Da una delle due palline usciva un cordino, anch’esso bianco, che terminava in un piccolo anello di plastica.
“Sai cosa è?”
“No” mi rispose con un leggero filo di voce.
La guardai negli occhi e vi lessi un po’ di paura.
“Sono palline cinesi. Si mettono nella fica e sono fatte in un modo particolare. Al loro interno ci sono delle piccole sfere che, quando la donna cammina, si muovono e provocano una vibrazione alla pallina esterna. Mi dicono che questa vibrazione sia molto piacevole. Possono portarti all’orgasmo così, mentre cammini.”
Rimase in silenzio.
“Leccale e lubrificale per bene.”
Ubbidì.
Vidi le sue labbra aprirsi lentamente e la lingua uscire piano da quella bellissima bocca. Le appoggiai la prima pallina sulla lingua, che lei teneva ferma mentre io lubrificavo quella sfera magica con la sua saliva. Poi le misi davanti la seconda pallina, che lei leccò senza neanche farselo dire. Gliela ficcai tutta in bocca e la guardai mentre stava lì, a lasciarsi fare tutto questo.
Tolsi la pallina dalla sua bocca, e mentre i nostri occhi si incrociarono, gliele infilai entrambe nella fica, una alla volta.
Spostai il mio sguardo dal suo e le osservai la fica, bellissima, dalla quale uscivano circa tre centimetri del cordino con l’anello bianco finale.
Non disse nulla ma socchiuse gli occhi, per assaporare appieno il momento.
“Ti piace?”
“Aspetta che te lo dico.”
Si staccò dal muro e si mise a camminare fino alla finestra, per poi tornare indietro. Era bellissima. Si muoveva come una gatta nuda su quei tacchi altissimi. Aveva un movimento così naturale che sembrava che sui tacchi ci fosse nata.
Tornò da me e si rimise spalle al muro, come prima.
Mi penetrò con lo sguardo.
“Sì, questo mi piace molto…”
Era una sentenza definitiva.
“Ora possiamo andare?”
“Oh, no, Laura… manca ancora un gioco.”
“Ancora???”
Non dissi nulla e tornai a cercare nella borsa dei giochi per prendere il terzo, che le misi davanti agli occhi.
“Scommetto che questo lo conosci…”
“Ma sei pazzo? E secondo te dovrei andare in giro tutta la sera con quel coso ficcato nel culo?”
Evidentemente lo conosceva. Stavamo entrambi guardando un dildo anale di gomma dura e nera. Lungo circa una decina di centimetri, non troppo largo, pensato apposta per una penetrazione anale prolungata.
Terminava in una base rettangolare che consentiva di estrarre il dildo facilmente, anche quanto era entrato completamente in profondità.
“Voglio passare la serata a guardarti mentre godi.”
“Sei pazzo!”
Non risposi ma presi la vasellina. Feci tutto davanti a lei, che restava ferma e immobile a guardarmi.
Spalmai il dildo con la vasellina.
“Voltati!”
Ancora una volta non si oppose ed eseguì quello che le veniva ordinato. Sarò stato pazzo a pensare certe cose, ma lei se le lasciava fare senza tanti problemi.
Le feci mettere le mani contro il muro e attirai a me i suoi fianchi, in modo tale che mi mostrasse il culo in fuori. Le feci aprire le gambe e da dietro le vidi il buchino ancora bagnato di sperma, dietro il quale si intravvedeva l’anello delle palline cinesi che le penzolava fuori dalla fica.
Presi ancora la vasellina e gliela misi nel buco del culo. Non che ce ne fosse un gran bisogno, bagnata com’era. Sentivo ancora il mio sperma sulle pareti interne del suo ano.
La lubrificai per bene. Poi, tenendole l’ano aperto con la mano sinistra, infilai piano piano, lentissimamente, il dildo dentro il culo di mia suocera.
Ansimò, accelerò il respiro, contrasse i muscoli delle braccia contro il muro, ma si lasciò fare.
Quando il dildo fu tutto dentro, e fuori rimase solo la base rettangolare, dissi a Laura di voltarsi.
“Ecco, ora sei quasi pronta.”
“Mi fai impazzire. Cazzo, sto già godendo…”
Era incredibile l’effetto che la penetrazione anale faceva su mia suocera. L’avevo notato fin dalla prima volta. Esaltava completamente il suo piacere e moltiplicava il suo godimento.
Presi la macchina fotografica.
“Che fai?”
“Immortalo questo momento fantastico” e così dicendo iniziai a scattarle un po’ di foto.
“Va bene, fai tutte le foto che vuoi, ma promettimi che rimarranno tra di noi. Niente internet, niente WhatsApp, niente di niente.”
“Prometto” ma nemmeno mi accorsi di averlo detto.
Le feci almeno un centinaio di foto. Nuda contro il muro, con i morsetti sui capezzoli in bella evidenza e l’anello bianco delle palline cinesi che le penzolava in mezzo alle cosce.
Scattai tutta una serie di primi piani, alla bocca, al seno, ai morsetti, alla fica, alle gambe, ai piedi.
La feci girare e piegare in avanti e le fotografai il culo, con quel rettangolo di gomma nera in primo piano.
Quando fui soddisfatto, la feci girare di nuovo.
“Ora ti vesto.” Andai al suo armadio e scelsi un paio di mutandine di pizzo bianche.
“Mettiti queste.”
Lo fece.
“In realtà” le dissi “vorrei portarti in giro e farti camminare in mezzo alla gente senza mutande, ma con tutti quegli arnesi nella fica e nel culo rischieri di vederteli cadere per terra mentre cammini.”
Sorrise.
“Come mi vesti?”
“Ora vedrai. Ti voglio porca. Voglio vedere gli sguardi degli uomini su di te, e magari anche quelli delle donne. Voglio vedere soprattutto gli uomini, ragazzini e anziani, che ti guardano e sognano di sborrarti in faccia.”
“Mmmmhhhh… amore, mi sto già bagnando tutta…”
Sempre dal suo armadio presi una camicetta di lino bianco e gliela feci indossare senza reggiseno. Era abbastanza aderente e, chiudendo i bottoni fino alla base delle tette, la camicetta gliele tirava su, lasciando vedere quel solco in mezzo che tanto mi faceva impazzire.
Ma la cosa più eccitante era guardare in trasparenza i morsetti sui capezzoli. Si vedevano distintamente.
“Ale, così tutti mi vedono i morsetti.”
“È proprio quello che voglio. Però sopra la camicia ti puoi mettere questa.” E così dicendo le passai una giacca di pelle, bianca e leggera.
“Ecco, se chiudi la giacca i morsetti non si vedono. Se la apri, sì. Voglio lasciarti la possibilità di giocare a tuo piacimento. Quando vedrai qualcuno che ti stuzzica, e vorrai farlo eccitare, potrai aprire la giacca e fargli capire quanto sei porca. Sarà completamente a tua discrezione.”
“Questo mi piace molto.”
Non le lasciai dire altro e le feci indossare una gonnellina molto corta e svolazzante, tutta a fiori chiari, estiva, luminosa e allegra.
“Questa gonnellina da ragazzetta porcellina non te l’ho mai vista addosso.”
“Infatti l’ho comprata per te, per questa vacanza.”
“Ottima scelta. Ti sta benissimo.”
Niente calze, e per i sandali decisi che andavano benissimo quelli che aveva.
“Guardati allo specchio e dimmi cosa vedi.”
Si spostò davanti al grande specchio a muro che avevo in camera, sull’altro lato del letto.
“Vedo una vera troia…” mi disse mentre giocava ad aprirsi e chiudersi la giacca.
Andai dietro di lei, le cinsi la vita e la baciai sul collo.
“È così che ti voglio.”
Dicendo questo, da dietro le allacciai al collo un altro oggetto che avevo comprato apposta per lei: un laccio di pelle nera, che la rendeva ancora più sexy.
Stando sempre dietro di lei, mentre si ammirava allo specchio, le sussurrai all’orecchio: “Cara la mia suocera troia, questo laccio al collo rimarrà tale se questa sera farai la brava e ubbidirai a tutto quello che ti ordinerò. Se, invece, non ubbidirai, questo laccio si trasformerà in un collare, ci attaccherò un guinzaglio, e ti farò camminare a quattro zampe in mezzo a tutti come la cagna che sei.”
La feci voltare e le diedi in mano il guinzaglio che avevo comprato davvero.
“E ora” continuai “mettitelo in borsa, che per il momento rimane lì, ma che se non fai la brava, userò come ti ho detto.”
Ubbidì senza dire nulla. Andò a prendere la borsa, ci mise dentro il guinzaglio e la richiuse.
Stavo impazzendo. Mi faceva morire vedere mia suocera vestita così, mentre si muoveva per casa come se nulla fosse, tenendosi un dildo di dieci centimetri nel culo, le palline cinesi nella fica, e i morsetti che le stringevano i capezzoli.
Era incredibilmente a suo agio, come se non avesse mai fatto nulla di diverso in vita sua.
“Vado a truccarmi” mi disse, e uscì dalla camera.
Mi vestii anch’io. Pantaloni di pelle neri, camicia bianca, ed ero pronto. Non avevo bisogno di grandi cose.
Andai in bagno, dove Laura stava finendo di sistemarsi.
Si era pettinata. Ce n’era bisogno, visto che i suoi capelli erano usciti abbastanza arruffati dall’inculata che le avevo dato. Il rossetto rosso scuro si abbinava al colore delle unghie delle mani e dei piedi e la rendeva ancora più porca. Non aveva fatto molto altro; un po’ di fondotinta ed era pronta.
“Andiamo?” mi chiese.
La guardai.
“Ancora no. Manca una cosa.”
“Cosa?”
“Sei troppo asciutta.”
“Come asciutta? Ma se ho il culo e la fica fradici?”
“Sì, ma i piedi sono asciutti. Te li devo bagnare.”
Detto questo la spinsi dentro la doccia e la feci appoggiare spalle al muro, una posizione che iniziava a diventarle naturale.
Aprii la cerniera dei pantaloni e tirai fuori il cazzo.
Avevo deciso che le volevo pisciare sui piedi. La volevo veder camminare in mezzo alla gente con i piedi fradici della mia piscia, sapendo che nessuno se ne sarebbe accorto.
Rimasi così un attimo, fino a quando la sentii arrivare. Stando davanti a lei, puntai il mio cazzo dritto verso i suoi piedi e iniziai a bagnarglieli. Vidi il primo getto di piscia gialla e calda uscire dal mio cazzo e caderle sul piede destro. Lei non si mosse. Al primo schizzo seguì una lunga cascata di piscia che le feci cadere alternativamente sui due piedi, fino a bagnarli completamente. Fu un piacere assoluto. Ricordai quando nella casa in collina le avevo pisciato in faccia e in bocca, e non avrei saputo dire quale delle due esperienze fosse più intrigante. Lei rimase immobile tutto il tempo e si lasciò fare.
Quando finii, sentii le sue mani sui miei fianchi e la sua bocca sulla mia.
“Lo sai che mi piace sentire la tua piscia calda sul mio corpo?”
Non risposi ma affondai la mia lingua nella sua bocca per un lungo, lento bacio.
Poi le dissi: “Ora puliscimi.”
Non se lo fece ripetere due volte. Si inginocchiò davanti a me, appoggiando le sue ginocchia nella pozza di piscia che si era formata sul pavimento della doccia.
“Bello” pensai “così si bagna anche le gambe fino alle ginocchia.”
Sentii le sue mani sui miei fianchi e vidi la sua bocca aprirsi leggermente. Le sue labbra arrivarono lentamente sulla mia cappella. Iniziò a baciarla e a leccarla dolcemente. Stava praticamente limonando con la mia cappella e la sentii succhiare per bere le ultime gocce di piscia che il mio cazzo poteva darle.
Le accarezzai i capelli e iniziai a spingerle il cazzo in gola. Lei aprì completamente le labbra e rimase ferma con la testa. Iniziai a scoparla in bocca muovendomi avanti e indietro, come se la stessi penetrando nella fica. Teneva la bocca completamente spalancata per favorire la penetrazione. Andai avanti così per un po’ e quando fui a un attimo dall’orgasmo sentii le sue labbra chiudersi sul mio cazzo. Le venni in gola e la riempii completamente. Mi faceva impazzire sentirla deglutire il mio sperma ogni volta che la sua bocca era troppo piena.
Rimasi un attimo a riprendere fiato e sentii la sua lingua leccarmi il cazzo dappertutto. Poi la vidi staccarsi lentamente e toglierselo dalla bocca.
Si alzò, sorrideva. Mi guardò dritto negli occhi e il suo sguardo era una domanda che già mi aveva fatto.
Le risposi: “Adesso siamo pronti. Possiamo andare.”
Due minuti più tardi eravamo in strada. Casa mia era proprio nella zona vecchia di Nizza. Nonostante agosto fosse già finito, c’era ancora tantissima gente in giro. Ci ritrovammo improvvisamente in mezzo a un mare di colori, odori e a un vociare continuo e allegro. Presi mia suocera per mano e ci incamminammo. Con la coda dell’occhio la osservavo camminare così, in mezzo a tutti, come se fossimo stati una coppia qualsiasi, come se lei non avesse passato le ultime due ore a farsi aprire e riempire ovunque, come se non avesse appena ricevuto un litro di piscia sui piedi e di sperma in bocca. Come se, soprattutto, non avesse due palline nella fica, un dildo nel culo e due morsetti di ferro che le stringevano i capezzoli.
Si muoveva serena e sinuosa in mezzo a tutta quella gente. Non parlava ma camminava normalmente. Nessuno intorno a noi poteva immaginare lo stato in cui si trovava. Vedevo gli sguardi di alcuni uomini su di lei. Nonostante l’età era veramente arrapante, con quella gonna corta e sbarazzina, le gambe splendide e sinuose che terminavano su quei tacchi altissimi che ne esaltavano ulteriormente la linea.
Ci incamminammo verso una zona particolarmente densa di ristoranti e di locali notturni. La vedevo pensierosa. Stava sicuramente elaborando le sue sensazioni fisiche per capire se provava più dolore o più piacere.
Ebbi la risposta dopo una decina di minuti. Eravamo quasi arrivati in place Rossetti, e la sentii rallentare fino a fermarsi. Mi attirò a sé e mi mise le mani sulle spalle. Le appoggiai dolcemente le mie sui fianchi, poi l’abbracciai e sentii il suo sussurro nel mio orecchio destro: “Amore fermati, ti prego.”
“Che c’è?”
“Cazzo… le palline… sto per godere…”
Ci stringemmo in un abbraccio intenso. Sentii il fremito che le partiva dalla fica e le scuoteva tutto il corpo. Mi artigliò le spalle e mi strinse fortissimo. Il suo respiro si era fatto affannoso e frenetico. Mi chiesi se qualcuno si fosse accorto di quello che stava succedendo ma non ebbi il tempo di darmi una risposta. Venne, abbracciata a me, in mezzo a decine di persone che ci camminavano intorno a pochi centimetri di distanza. Sentii il suo orgasmo dentro di me.
“Oddio… oddio, Ale… vengo… vengo… aaaaahhhh… aaaahhhh…”
Fu un urlo strozzato, un soffio di piacere, un grido silenzioso riservato solo a me.
Venne così, in piedi, in mezzo a tutti.
Sentii il suo respiro che, dopo l’apice dell’orgasmo, stava tornando lentamente a un ritmo quasi normale, e la sua voce sussurrata entrò di nuovo nel mio corpo.
“Cazzo, mi sa che ho squirtato sull’asfalto…”
Mi chinai facendo finta di niente.
In effetti per terra, in mezzo ai piedi di mia suocera, c’era una pozza che toccai con un dito. Era un liquido caldo e vischioso che conoscevo bene. Feci finta di allacciarmi le scarpe, come già avevo fatto in occasione della serata con i fuochi d’artificio, e spalmai per bene gli umori di Laura sui suoi piedi, già coperti di piscia.
Mi rialzai come se nulla fosse, la abbracciai e la bacia in bocca.
“Sei una donna meravigliosa… ma adesso andiamo.”
“Non ce la faccio, Ale. Non ce la faccio a camminare con tutta questa roba dentro.”
“Dai che siamo quasi arrivati.”
La presi sotto braccio e ricominciammo a camminare.
Procedemmo lentamente perché non volevo portarla a un altro orgasmo; volevo che se la godesse lentamente.
Pochi minuti dopo, il nostro arrivo al ristorante in Rue de la Loge, fu salutato da un sospiro di sollievo di mia suocera, alla quale non sembrava vero di potersi finalmente fermare e mettersi comoda su una sedia.
Era un ristorante storico di Nizza, specializzato in pesce. L’insegna sulla strada era modesta, ma sapevo che nascondeva un’ottima cucina e un ambiente raffinato, caldo e accogliente.
Entrammo e il maître ci accompagnò a un tavolo contro una parete, vicino all’angolo in fondo alla sala. Feci accomodare mia suocera aiutandola a sedersi, e andai a mettermi di fronte a lei.
Il nostro era forse l’ultimo tavolo rimasto libero. C’era parecchia gente, quella sera.
Le voci si sovrapponevano in un chiacchiericcio allegro e non troppo fastidioso. Le pareti erano decorate con oggetti di mare: reti da pescatori, remi, timoni e altri cose di questo tipo. La luce era abbastanza alta e mi permetteva di ammirare ogni singola espressione che si disegnava sul volto di Laura. Ora che stava seduta immaginai che il dildo nel culo doveva esserle entrato veramente fino in fondo, rimanendo schiacciato contro la seduta della sedia.
Era meraviglioso osservarla in quel momento. Se mentre camminavamo l’oggetto che più le aveva dato piacere erano state le palline cinesi, ora il dildo anale si stava sicuramente prendendo la scena. Per quanto riguarda i morsetti ai capezzoli mi sembrava che si fosse abituata piuttosto velocemente. Pensai che la prossima volta glieli avrei stretti molto di più.
“Per fortuna siamo arrivati” mi disse “non avrei retto altri due minuti.”
“Ok, sei stata bravissima, fino a ora. Per il momento il guinzaglio lo lascio in borsa.”
Mi guardò con uno sguardo come a dire: “Non vorrai mica scherzare? Smettila con questa storia.”
Andai avanti come se nulla fosse e le dissi, modulando il tono della voce per farmi sentire da lei ma da nessun altro: “Ora, se vuoi sei libera di toglierti la giacca e di far vedere a chi vuoi quanto sei troia, con i morsetti attaccati ai capezzoli.”
Lei si guardò intorno.
“Beh, il cameriere che sta venendo da noi non è mica male.”
In effetti un ragazzo sui trent’anni, biondo e con la barba un po’ incolta, qualche tatuaggio sulle braccia e di professione cameriere in un ristorante di pesce nella Vieille Ville, si stava avvicinando.
Parlando in francese ci disse di chiamarsi Gerard e ci chiese se andava tutto bene e se volevamo ordinare. Risposi io perché il francese era per me una seconda lingua madre, mentre Laura sapeva dire solo oui e merci. Gli dissi che sì, volevamo ordinare. Nel frattempo lanciai uno sguardo a mia suocera che capì al volo. Come se nulla fosse, si slacciò la giacca di pelle bianca e, con un movimento morbido e naturale, si voltò verso di lui e lo guardò dritto negli occhi.
La sua camicetta era sbottonata ben oltre il consentito e dall’alto si poteva ammirare una buona dose del suo seno. I morsetti erano evidentissimi, sotto il leggero strato di lino bianco. Inoltre, la luce del ristorante ne consentiva una vista pulita, senza ombre che potessero lasciare dubbi.
Gerard, che aveva iniziato a illustrarci le proposte della cucina, si voltò verso di lei e rimase come paralizzato per un paio di secondi. Il suo sguardo cadde sulle tette e fu come se un fulmine l’avesse colpito dritto al cuore. La sua voce si spezzò e i suoi occhi si fermarono sui capezzoli. Ci mise un secondo più del normale per capire cosa fossero quelle cose che si intravvedevano sotto la camicia.
Lessi nel suo sguardo. E fu una lettura stupenda. Lessi la sua perplessità e la sua curiosità. Poi, quando dopo un paio di interminabili secondi, capì che era tutto vero, che la donna seduta al tavolo se ne andava in giro per la città con i capezzoli tirati da morsetti in ferro, Gerard ebbe un attimo di esitazione che terminò in un’espressione di imbarazzo.
Peccato, pensai. Non era quello giusto. Se fosse stato uno sveglio avrebbe sorriso e lasciato trapelare un piccolo ammiccamento. Invece no. Fu imbarazzo allo stato puro.
Guardai Laura, un po’ deluso. Anche lei aveva avuto la mia stessa sensazione; me lo disse con gli occhi.
Gerard provò a riprendere l’illustrazione del menù, ma non fu bravo e spigliato come prima.
In ogni caso, ordinammo e lo lasciammo andare via.
“Peccato” dissi a mia suocera “se fosse stato un ragazzo un po’ sveglio gli avrei proposto di portarti in bagno e di scoparti li.”
“Infatti. Non sa cosa si è perso. Senti” continuò lei abbassando leggermente la voce “Qui la situazione inizia a farsi problematica.”
“In che senso?”
“Amore, mi fa male. Mi fa male tutto. Dai, non ce la faccio più. Ho bisogno di togliere tutto quello che mi hai messo.”
Ci pensai un attimo. In effetti, era ormai una mezz’oretta che si teneva morsetti, palline e dildo anale. Era stata sufficientemente brava e le concessi di andare in bagno a sistemarsi.
Ovviamente, mi alzai con lei per accompagnarla.
Nessuno ci aveva seguito, e nessuno ci guardava. Entrammo velocemente insieme nel bagno delle donne.
C’erano due porte e scegliemmo la seconda. Era un bagno abbastanza grande e pulito. Misi mia suocera contro il muro e la baciai. La sua lingua mi trasmise un calore enorme del quale avevo un gran bisogno. Era ormai diventata una droga.
Le slacciai la camicia. Il suo seno era bellissimo. Enorme, con i capezzoli durissimi e lunghi, con l’aureola tutta arrossata. Glieli presi tra le dita e li tirai leggermente.
“Mi fai male…”
“Sei bellissima.”
Le tolsi i due morsetti molto lentamente, uno alla volta. Non fece in tempo a sospirare che già li stavo leccando. Mi faceva impazzire sentire i capezzoli di mia suocera in bocca. Li succhiavo, li tiravo e li mordicchiavo.
Poi la guardai negli occhi e le dissi: “Implorami!”
Non esitò un secondo.
“Ti prego, amore mio, toglimi il dildo dal culo. Non ce la faccio più. Mi fa malissimo.”
La feci girare e le feci mettere le mani contro il muro. Le alzai la gonna da dietro e le sfilai le mutande, completamente fradice. Me le misi in tasca; sarebbero andate ad arricchire la mia collezione. Mi chinai davanti al suo grosso culo. Il dildo era ancora tutto dentro. Presi la base rettangolare e iniziai a tirarla verso di me. Lei si chinò ulteriormente in avanti, per facilitare l’uscita. Fu bellissimo vedere quel cazzo di gomma venirle fuori lentamente dal culo. Il suo ano si dilatò all’inverosimile, per lasciarlo uscire. Poi lo vidi, nella sua interezza, e sentii mia suocera che si rilassava. Era evidente che non ce la faceva più. Le allargai le chiappe e la leccai in mezzo. Il suo buchino era ancora dilatato e vi infilai la mia lingua più in fondo che potei. Sentii il suo sapore e la leccai così, per un paio di minuti, mentre con le mani continuavo a tenerle il culo più aperto possibile.
Poi mi rialzai e la feci girare.
“Allora, stai meglio?”
“Cazzo, non ce la facevo più.”
“Vuoi togliere anche le palline?”
“Sì, ti prego.”
Mi inginocchiai di nuovo davanti a lei, questa volta ammirando la sua nerissima fica.
L’anello bianco era lì che penzolava in mezzo alle cosce. Lo presi e lo tirai leggermente fino a vedere le palline che uscivano dolcemente.
Ero eccitato all’inverosimile. Mentre mi alzai mi sbottonai i pantaloni e tirai fuori il cazzo. Fu questione di un secondo. Mi misi davanti a mia suocera e glielo infiali nella fica, così, senza dire nulla.
Sentii le sue mani sulle mie spalle e appoggiai le mie sui suoi fianchi.
La penetrai così, tenendola in piedi contro il muro. Fu una scopata veloce ma intensa. Non parlammo. Fu un coro di sospiri e di mugolii. Non sapevo se nell’altro bagno fosse entrato qualcuno, ma questo non mi fermò. Anzi, se ci fosse stato qualcuno a sentirci mi sarei eccitato anche di più. La scopai per alcuni minuti continuando a metterle la lingua in bocca.
Sentii l’orgasmo arrivare e le venni dentro, nella fica.
La spruzzai e la riempii completamente, godendomi appieno quell’amplesso silenzioso.
Rimanemmo ancora qualche istante così, uniti, sospirando insieme.
Quando uscii, vidi il mio sperma colarle sulle cosce, ma lei non disse nulla. Ormai iniziava a essere abituata. Non sapevo più nemmeno io quante volte le avevo sborrato dentro, nelle ultime due ore. Doveva essere veramente piena.
“Sei la migliore suocera del mondo.”
“Lo so. Non ce ne sono molte di suocere come me.”
“Senti, sei stata talmente brava, che ora ti faccio un regalo.”
Mi guardò incuriosita.
“Quando torniamo al tavolo, guardati in giro. Puoi scegliere un uomo. Uno solo. Farò in modo di fartelo scopare. Ti va?”
“Mmmhhh... Ale, tu sai come prendermi. È un gioco molto intrigante. Ci sto!”
Le diedi un altro leggero bacio, misi il vibratore e i morsetti nella sua borsa mentre infilai le palline nelle tasche dei miei pantaloni. Mi piaceva tenermele addosso sapendo che erano completamente fradice dei suoi umori. Le riallacciai la camicia e le abbassai la gonna.
“Le mutande non me le ridai?”
“No. Il resto della serata la passi senza. Queste le tengo io.”
“Vabbè, arriverò a casa con le cosce fradice. Qua sento che sta colando tutto.”
“Ottimo. È esattamente quello che voglio.”
Uscimmo dal bagno delle donne assicurandoci che nessuno ci avesse visto e tornammo al tavolo.
Non avevano ancora servito nulla. Bene.
Puntai il mio sguardo su di lei e vidi che si stava guardando intorno. Il gioco era evidentemente già iniziato.
Lasciai passare qualche minuto, poi le chiesi: “Hai scelto?”
“Sai che c’è? C’è che non vedo uomini particolarmente interessanti. L’unico che mi intriga è quel ragazzo là.”
Seguii il suo sguardo e vidi che, al tavolo vicino al nostro, a un paio di metri di distanza circa, era seduto un ragazzo sui diciannove, vent’anni al massimo, con i genitori.
Non li avevo visti entrando. Non mi ero accorto della loro presenza, ma non mi ero accorto della presenza di nessuno.
“Ah, ti piacciono giovani…”
“È carino, con quei capelli rossicci e la pelle da adolescente.”
Lo guardai meglio. Aveva, in effetti, capelli abbastanza arruffati di un colore ramato. Indossava una maglietta nera e jeans blu, abbastanza anonimi.
“Va bene” le dissi “te lo regalo. Se fai come ti dico, entro domani sera te lo sarai scopato.”
“Beh, allora dimmi cosa devo fare.”
“Girati verso di lui, fissalo, e quando ti guarda, allarga le gambe e fagli vedere che non hai nulla sotto.”
Non se lo fece ripetere due volte. Ormai aveva eliminato ogni freno.
Lo fissò a lungo, fino a quando lui, finalmente, si voltò e la vide.
I loro occhi si incrociarono per un secondo. Ammirai l’espressione che si stava dipingendo sul volto di quel ragazzo. Non capiva come mai una signora matura, vestita in modo sicuramente arrapante, lo stava fissando.
Lei si mosse con i tempi perfetti. Allargò le gambe proprio mentre lui la fissava, e si tirò leggermente su la gonna. Non che ce ne fosse un gran bisogno, corta com’era, ma così la fica era sicuramente in bella vista. E infatti lui seguì con lo sguardo il movimento verso l’alto della gonna e rimase paralizzato, con la bocca semiaperta.
Mi eccitava tantissimo vedere la mia bella matura suocera che giocava a sedurre un ragazzino.
Buttai un occhio ai genitori di lui, ma stavano parlando fra di loro e non si erano accorti di nulla.
Laura era ferma. Lui immobile, paralizzato, con gli occhi puntati fissi sulla sua fica.
Fu uno sguardo penetrante, che durò qualche secondo, fino a quando sentimmo arrivare Gerard, il cameriere, che ci portò gli antipasti.
Lo ringraziammo e se ne andò.
Non guardammo molto cosa ci avevano messo nei piatti. La nostra attenzione era rivolta altrove.
Fu Laura a parlare.
“E ora cosa devo fare?”
“Niente, ora entro in scena io.”
Guardai fisso quel ragazzo fino a quando si accorse di me. Cercava di sviare lo sguardo, come sentendosi in colpa. Probabilmente temeva la mia reazione gelosa. Fu con stupore, invece, che si accorse che lo stavo guardando con un sorriso.
Fissò i suoi occhi nei miei, come a chiedermi istruzioni. Gli feci un cenno con lo sguardo facendogli capire che mi doveva seguire in bagno. Mi alzai e mi avviai chiedendomi se avesse capito.
Lo sentii alle mie spalle. Aveva capito.
Entrammo nel bagno degli uomini e ci chiudemmo dentro. Non c’era nessun altro.
Parlai in francese e gli chiesi se capiva anche l’italiano.
Mi rispose di sì e parlò nella mia lingua.
“Mio padre è francese, ma mia mamma è italiana.”
“Come ti chiami?”
“François.”
“Bene François, quanti anni hai?” Volevo assicurarmi che non fosse minorenne.
“Faccio i diciannove il mese prossimo.”
“Ottimo. Allora, mi sembri un ragazzo sveglio e, quindi, vado dritto al punto. Quella seduta al tavolo con me è mia suocera. È una porca incredibile. L’ho appena scopata nel bagno delle donne, ma adesso ha voglia di te. Se non ti dispiace, me la devi scopare.”
La sua espressione mi disse che non credeva a quello che gli stavo dicendo. Forse temeva che fosse tutto uno scherzo. Tirai fuori dalla tasca le mutande di Laura e gliele misi sotto il naso.
“Guarda. Queste sono le sue mutande. Senti che profumo.”
Le annusò a fondo, ancora incredulo.
“Cosa devo fare?”
Capii che, in effetti, era un ragazzo sveglio.
“Casa mia è in rue de l’Abbaye, qui nella Vieille Ville, al numero nove. Domani alle tre del pomeriggio vieni da me. Passerai qualche ora a letto con lei e potrai farle tutto quello che vuoi.”
“Tutto in che senso?”
“Tutto, la puoi scopare, inculare, sborrare ovunque. Guarda, se ti piace le puoi anche pisciare addosso. A lei piace, e pure parecchio.”
“È uno scherzo?”
“Facciamo una cosa. Ti lascio in pegno le sue mutande, così stanotte potrai goderti il suo odore. Ma domani me le riporti. Sono mie. Ok?”
“Assolutamente sì!”
Aveva gli occhi luccicanti, pieni di eccitazione e incredulità.
Insistette: “Non è uno scherzo, vero?”
“Ingenuo” pensai. Se fosse stato uno scherzo, di certo non gliel’avrei detto.
“Guarda, per farti capire quanto è troia mia suocera, ti faccio vedere queste.” E così dicendo mi tolsi le palline cinesi che avevo in tasca e gliele misi davanti agli occhi.
“Cosa sono?”
Glielo spiegati e mi divertii a guardare i suoi occhi che si sgranavano fino a diventare enormi.
“Annusale!” gli ordinai, e mentre lo faceva, gli dissi: “Senti che buon odore. Ci è venuta sopra mezz’ora fa.”
Rimase alcuni istanti ad annusare quel profumo estasiante. Dovetti quasi usare la forza per tirargliele via e rimettermele in tasca.
“Grazie” mi disse con un filo di voce.
“Non ringraziarmi. Lo faccio per me, non per te.”
“In che senso?”
“Nel senso che mi piace un casino guardare mia suocera che si fa scopare da altri uomini. E tu sei quello che lei ha scelto stasera.”
Lo lasciai con la bocca ancora semiaperta e uscii dal bagno per tornare al tavolo.
Mi seguì come un gattino segue il padrone.
Mi sedetti al tavolo e incrociai lo sguardo di Laura, che aveva iniziato a mangiare.
“E allora?” mi chiese.
“Allora tutto apposto. Domani alle tre viene a casa mia per scoparti. Gli ho promesso che può farti tutto quello che vuole…”
“Mmmhhhhh… mi sto già eccitando.” Detto questo, lo guardò e si accorse che lui non le staccava gli occhi di dosso. Eravamo a qualche metro di distanza, ma si vedeva benissimo che era in uno stato di grande agitazione. Potevo intuire il rossore al viso e il respiro corto. Potevo vedere nei suoi occhi un’eccitazione animalesca. Guardava mia suocera per capire se era tutto vero.
Lo sguardo e il sorriso che lei gli rivolse furono la conferma definitiva. Lui si sciolse in un sorriso leggero, ora definitivamente convinto che non si trattava di uno scherzo.
“Ah” le dissi mentre ancora si mangiavano con gli occhi “gli ho lasciato le tue mutande.”
Mi guardò con un sorriso strano.
“Così stanotte la passa a segarsi pensando a te, e domani arriva bello carico.”
La sua risata allegra fu come il caldo che ti entra nel corpo dopo una notte passata all’aperto.
La cena andò avanti così, tra battutine e provocazioni che io e Laura ci scambiavamo reciprocamente, e con gli sguardi che lei tirava ogni tanto a quel ragazzino dai capelli rossicci.
François e i suoi genitori finirono di cenare prima di noi e se ne andarono. Lui non mancò di guardare ancora una volta Laura, prima di uscire dal ristorante, e poi sparirono. Quel nostro gioco sottile finì lì, per il momento.
Tornammo a casa e andammo a dormire. Non le lasciai fare la doccia. Volevo che tenesse addosso il ricordo della serata e le promisi che avrebbe potuto lavarsi il mattino successivo.
Mi addormentai dentro mia suocera, in una penetrazione morbida che era quasi una coccola. Ricordo che le venni dentro un’ultima volta, prima di scivolare lentamente nel mondo dei sogni.


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