Quello era uno di quei giorni.
Mi ero alzato inverso, un pò come tutte le mattine. Non avevo voglia di presentarmi al lavoro, ero ancora intontito dalla sbronza della sera prima.
Ubriacarsi senza un motivo stava diventando un'abitudine troppo consueta nella mia vita. Un "mood" alcoolico che mi avrebbe portato alla rovina, o alla cirrosi epatica. Erano già diversi mesi che Laura mi aveva mollato. Mi aveva mollato principalmente per due motivi: mi considerava un coglione e riteneva sarei rimasto un coglione a vita. La mia vita quindi aveva preso una brutta piega, una piega un pò sbandata, sempre al limite, su quel fragile equilibrio che divide il "buonsenso" dal "buttiamoci via del tutto". Non caddi nello sconforto e nella depressione sia chiaro, ma dopo due anni di convivenza il ritrovarmi improvvisamente solo, in quel cazzo di appartamento aveva messo dei freni alle mie ambizioni di crearmi una famiglia felice.
Ho sempre abitato in questo caseggiato di periferia, un condominio come tanti a ridosso delle campagne, appena fuori città. E' un luogo tranquillo, non dico familiare, ma si vive abbastanza bene, è una cittadina a misura d'uomo. Il mio appartamento è arredato con gusto, il merito è di Laura, è stata lei con dovizia certosina a tirar su dal nulla il nostro nido d'amore. I miei genitori avevano una casa proprio in questo complesso, poi hanno deciso di trasferirsi in una cittadina di mare e mi hanno aiutato a comprar casa, sempre in questo caseggiato.
"Così non ti stacchi dalle tue radici, da dove sei nato"
Io non che fossi felice di viver qui, ormai ci ero abituato, non potevo mica cambiare il corso della mia vita semplicemente spostandomi di appartamento.
L'ultimo periodo è stato davvero il più difficile. Avevo festeggiato il compleanno da solo, come un cane, qui in casa, con la televisione accesa e qualche lattina di birra. I miei primi trent'anni eran tutti li, un divano pieno di pop corn, una strage di lattine sul pavimento e un vecchio film che avrò visto centinaia di volte sullo schermo in 4K del televisore nuovo. L'ultimo ricordo che conservo gelosamente di Laura.
"Niente donne per un pò" mi ero detto.
Le donne non aiutavano il mio "essere" a vivere felice. La relazione con Laura era stata burrascosa sin dal principio, poi pian piano ci eravamo abituati l'uno all'altra e avevamo deciso di andare a vivere insieme. Lei aveva deciso. Io all'inizio un pò di sano timore ne avevo. Scopare in qualche hotel e fare le vacanze insieme non era "stare insieme". Vivere tutti i giorni sotto lo stesso tetto, condividere persino la tazza del cesso, quello era vivere insieme. Ed è stato quello a rovinare il nostro rapporto. In quei due anni di convivenza ci siamo incontrati così tante volte in quella casa fino ad arrivare ad odiarci. Precisiamo, lei è arrivata al punto di odiarmi. Non era più soddisfatta di me, di com'ero.
"Benedetta ragazza, lo sapevi com'ero fatto"
Fatto sta che un bel giorno, dopo esser rincasati tardi, come al solito, mi ha dato il benservito. Neanche la cena mi aveva preparato. Neanche cercò di condire l'amarezza e di addolcire la situazione. Disse solo: "Me ne vado".
In tre parole aveva condensato due anni di scazzi e delusioni.
Mi rimase di lei solo il gusto raffinato con cui aveva cambiato l'arredamento del mio appartamento. Quella sera qualcosa si era rotto, qualcosa aveva cominciato a incrinarsi dentro me. Forse la fiducia in me stesso, forse la fiducia negli altri. Di certo era andata a ramengo la fiducia verso il genere femminile.
Non dico di aver provato una delusione tale da spaccarmi le vene del cuore, ma un giramento di palle colossale misto a quel sentimento di veder fallire un'amore in cui avevo creduto mi ha portato dritto dritto nel tunnel del bere.
Dovevo bere per dimenticare. Bevevo per dimenticarmi di Laura. Poi ho iniziato a bere semplicemente perchè mi piaceva bere. Avrei voluto mollar tutto, come avevano fatto i miei genitori, scappare dalla città, dal caos della metropoli e stabilirmi al mare, in qualche bella località a ridosso delle coliine, dove la vita scorre più tranquilla, più beata.
Invece ero ingabbiato in quella città che non sopportavo, piena di smog ed inquietudine. Il mio lavoro obbligava il resto della mia vita. Avevo un buon lavoro, in ufficio. Un lavoro comodo, pulito e ben remunerato. Era una pazzia andar via e siccome non ho mai brillato per coraggio e spirito d'iniziativa non mi sembrava il caso di dare una sterzata alla mia vita proprio in quei giorni.
Poi qualcosa cambiò. Mi accorsi di una situazione già esistente, di persone che avevo sempre incrociato nella mia esistenza ma a cui non avevo mai dato peso. Onestamente nemmeno loro avevano mai dato troppo peso ad uno come me.
A malapena conoscevano il mio nome.
"Ciao Luca" era il massimo della confidenza che erano riusciti a instaurare con me in quegli anni.
Eppure vivevamo a stretto contatto, i nostri corpi dormivano allo stesso piano, respiravamo la stessa aria densa di catrame dalle finestre. Persino le cassette della posta giù nell'androne erano vicine, confinanti.
Non so spiegare esattamente com'è cominciata questa storia.
Non so nemmeno se sia corretto chiamarla storia. E come potrei chiamaarla? Viviamo in un'epoca in cui tutti ci tengono a dare un nome alle cose, un senso ad ogni situazione. Viviamo nella peggiore epoca della civiltà umana. Dobbiamo per forza trovare risposta ad ogni domanda e quando non riusciamo a darci la risposta a cui aneliano buttiamo via le risposte che ci arrivano e cambiamo domande da farci. Debora era la risposta a qualche "domanda" della vita? Oppure, invertendo l'ordine dei fattori, avrei potuto chiedermi: "Sono io la risposta alle domande di Debora?"
Ci siamo dati una possibilità, forse per gioco, forse per caso, forse per un suo errore. Lei mi ha dato una possibilità. Lei si è esposta.
Forse a cercare troppe risposte ho dimenticato persino di godermi il momento.
Debora non è una ragazza come le altre.
Intendiamoci, non ha nulla di sbagliato, nulla di diverso, non è nata con otto braccia, non è malata, non ha vissuto i traumi della guerra nella ex Yugoslavia.
Non ha problemi ecco, non vorrei pensaste male.
Nel suo essere "normale" è comunque diversa. Sembra uscita da un altro mondo. Infatti viene da un "mondo" totalmente diverso dal mio, dal nostro, da quello che comunemente le persone vivono. Per questo è diversa, e non so dire se è un bene o un male.
Non ha nulla in comune con le altre ragazze. Sarà per via della sua famiglia, della sua religione. Perchè Debora non è come me. Lei è credente. E' una di quelle persone che realmente crede ci sia qualcosa più in alto del cielo, più in alto di tute quelle nuvole che vediamo sporgendoci dalla finestra.
Per me il "più in alto" è il nono piano del palazzo in cui abito, dove vive una famiglia di ragazzi sudamericani. Quello è il massimo del "più in alto" che posso concepire.
Debora invece è Testimone di Geova.
Di quelle convinte. Di quelle che hanno fatto di questa religione una malattia. Vive esclusivamente per far piacere a Geova e segue alla lettera ogni cosa che vien detta nella Bibbia e nelle riviste che distribuisce in paese con tanto zelo.
Ultimamente mi ha talmente coinvolto nella sua vita che comincio anche io ad avere familiarità con la terminologia che usano i Testimoni.
Prima di conoscere Debora mi erano degli alieni questi strani esseri "vestiti bene" che giravano per strada con le loro riviste in mano e che tutti conoscevamo solo perchè andavano a suonare i citofoni alle otto del mattino.
Non abbiamo mai parlato tanto, giusto qualche saluto di sfuggita, non è una che da confidenza agli altri. A me non ha mai dato confidenza in tutti quegli anni. Sapeva come mi chiamavo perchè avrà letto la targhetta vicino al mio campanello.
"Ciao Luca".
Questo per anni è stato l'unico contatto che abbiamo avuto. E nemmeno continuativo perchè c'erano delle volte che manco mi salutava se le capitava di incontrarmi. Forse perchè convivevo con Laura ed aveva paura che salutarmi potesse essere scambiato per un tentativo di approccio?
Non dava confidenza alle persone, si teneva sempre distante, non voleva instaurare rapporti di amicizia con nessuno del palazzo.
Soprattutto ai maschi non voleva dare confidenza.
Conosceva i miei genitori, i suoi in qualche occasione hanno pure provato a portare riviste e volantini alla mia famiglia ma hanno sempre ricevuto un garbato diniego.
Si è sempre nascosta dietro a quella maschera di apparente distacco Debora, non solo nei miei confronti, ma io posso parlare del mio rapporto con lei, non del rapporto che ha con gli altri. Non la giudico, ognuno ha il proprio modo di vivere. I ho il mio, lei ha il suo.
Aveva il suo, usiamo i tempi verbali giusto. Ora il suo modo di vivere cozza un pò con la Debora che avevo conosciuto, si fa per dire, tempo addietro.
Con me ha sempre perduto poche parole da quella bocca. I saluti di circostanza, quando capitava.
Eppure sembrava simpatica, aveva quel viso paffutello, quelle belle guanciotte piene di vita e rosse come ciliegie , quei bei lunghi capelli ricci che le cadevano leoncini e ricci sulla schiena.
Non è bellissima, non è mai stata una ragazza appariscente.
Le mie colleghe di lavoro in ufficio son tutte, e dico tutte molto più belle di lei. Si truccano, fanno le moine, si vestono sexy per mettere in mostra chi il seno, il sedere, chi le gambe.
Debora no. Debora non è così. Non è mai stata così a quel che ricordo.
Non è bellissima perchè cerca di imbruttirsi, cerca di vestirsi sempre poco moderna, non mette in risalto alcuno dei suoi pregi.
E' sempre casta nel vestirsi, anche se ha poco più di vent'anni sembra un pò più grande,anche se si notano due belle tette sotto i vestiti. Quelle le ho sempre notate. Come si fa a non notare le tette? Gli uomini guardano due cose in una donna: le tette e il culo. Di lei non ho mai potuto apprezzare il culo quindi le poche volte che ci siamo salutati o incrociati nell'androne del palazzo almeno le ho guardato il seno.
Perchè puoi essere casta quanto vuoi ma le tette mica puoi nasconderle. Son li, sempre in bella vista. E gli uomini hanno un radar nel cervello che individua e analizza ogni bel paio di tette che incontra.
L'uomo vive solo per vedere un bel paio di tette. Io ho sempre apprezzato i bei seni prosperosi. Laura aveva una quarta abbondante, tutte le ragazze che ho avuto nella vita erano dotate di seni accoglienti.
Io parlavo in silenzio con le sue tette, le uniche parti del corpo di lei che mi supplicavano attenzione.
Con me Debora è sempre stata schiva, taciturna, intimorita dal mio aspetto. Non le piaceva che portassi la barba, mi considerava un terrorista o uno scapestrato probabilmente. Sapeva che eccedevo nel bere e che come tutti i ragazzi "del mondo" non avevo particolari freni inibitori o regole morali da seguire.
Ogni tanto la vedevo in compagnia delle amiche o dei suoi familiari , era sempre sorridente, rideva, scherzava, liberava un carattere simpatico e decisamente di compagnia.
Cos'è cambiato in questi giorni?
Si è svegliata con la luna storta?
Ha cambiato marca di dentifricio?
Qualcosa è cambiato.
Ultimamente si è fatta più bellina, ci tiene molto più al suo aspetto, si trucca, cerca di mettersi un po' in "tiro".
Diciamo che il suo aspetto esteriore inizia ad essere adatto all'età anagrafica. Ha vent'anni o poco più, non cinquanta. Vestirsi da "vecchia" forse iniziava a pesarle. E' pur sempre una donna, le donne ci tengono parecchio all'aspetto fisico e puoi essere casta e religiosa quanto vuoi ma se non ti vedi "bella", se non ti senti "bella" inizi ad avere problemi.
Debora dev'essere entrata in quell'ottica. Penso non si sentisse più a suo agio col suo corpo. E' anche meno paffutella, il suo corpo ha cominciato a slanciarsi, è molto più bellina ora che mettendosi un pò a stecchetto il suo corpo ha assunto delle forme più longilinee.
Ho saputo da una vicina di casa che si è fidanzata di recente e che deve sposarsi. Forse vuole rendersi più attraente per questo motivo. Anche i Testimoni di Geova si sposano. Solo tra di loro perchè sono un mondo "chiuso" ma si sposano.
Io sono di quelli che loro con disprezzo chiamano "del mondo".
Eppure non sono un cattivo ragazzo. Lavoro, non faccio del male a nessuno. Fumo, è vero, ma nessuno è perfetto. Bevo, è vero, ma ripeto nessuno è perfetto.
Le cose sbagliate che ho fatto nel corso della vita si contano sulle dita di una mano: qualche multa non pagata, qualche vaffanculo gridato in pubblico.
Una sera siamo tornati a casa alla stessa ora. Capitava spesso, ma quella sera era diverso. C'era qualcosa di diverso nell'aria.
Abitiamo sullo stesso piano, l'ultimo, di un palazzo a 9 piani. Necessariamente dobbiamo prendere l'ascensore. Io ero tornato un po' allegrotto dall'ufficio, avevo fatto happy hour coi colleghi ed ero ancora abbastanza brillante. La sera prima mi ero preso una sbronza colossale, il mio corpo era composto più da alcool che da sangue.
Lei era tutta seriosa, imbronciata, quasi incazzosa.
Non che di solito mostrasse sorrisi a trentadue denti quando mi incontrava, intendiamoci. Era più seria e distaccata del solito. Nell'aria c'era qualcosa di diverso. Avvertivo, a pelle, una sensazione diversa incontrandola li nell'androne del palazzo. Sentivo, quasi fossi dotato di un sesto senso, che qualcosa sarebbe successo. Qualcosa di diverso dal solito "Ciao Luca". Qualcosa che sarebbe totalmente uscito dagli schemi.
Tornava da quella che loro chiamano predicazione. Era vestita di tutto punto, gonna leggermente sotto le ginocchia, borsa del servizio a tracolla, camicetta rigorosamente bianca e capelli raccolti con un simpatico elastico rosso.
Come si fa a definire "simpatico" l'elastico non lo so, ma a me sembrava davvero "simpatico". Adoravo il colore "rosso". Il rosso è il colore del diavolo, della trasgressione, della passione.
L'ho vista qualche volta insieme a sua madre o ad altre ragazze della sua comunità, in giro, a suonare i citofoni. Quella giornata deve esserle andata storta, c'era sul viso una rabbia trattenuta a fatica.
Avevo appena chiamato l'ascensore, lei era entrata nell'androne pochi secondi dopo, io avevo appena chiamato l'ascensore.
Schiacciai il pulsante dell'ottavo piano, in religioso silenzio.
Cercai di rompere il ghiaccio con una frase banalissima:
Ho saputo che ti sposi
Ovviamente non mi rispose ed entrammo nell'ascensore che nel frattempo era arrivato a piano terra.
Continuava a stare in silenzio, con lo sguardo fisso nel vuoto. Non mi aspettavo una risposta, ma nemmeno questo gelido imbarazzo e distacco. Pensai non mi avesse nemmeno sentito, era talmente presa dai suoi pensieri che l'ultima cosa che aveva in testa era quella di ascoltarmi.
Poi... Poi si è girata verso di me, squadrandomi da capo a piedi. Pensavo mi avrebbe risposto di farmi i cazzi miei, magari con toni gentili perchè i Testimoni non usano parolacce, invece allungò la bocca sulla mia e mi diede un bacio, mentre con la mano sinistra andò a cercarmi il rigonfiamento dei pantaloni e iniziò a massaggiarmi delicatamente l'uccello.
Facemmo tutti gli otto piani in questa posizione. Debora con la bocca appiccicata alla mia e la mano sinistra che delicatamente mi massaggiava le parti basse. Sentivo pulsare il mio membro da sotto i pantaloni, sentivo l'eccitazione crescere in me. Soprattutto in "lui". Sentivo inumidirsi la punta e non sapevo quanto avrei resistito in quella "posizione".
Era la classica scena che ogni uomo vorrebbe avvenisse entrando in ascensore. Una sconosciuta che inizia a baciarti in modo sensuale e che con le manine va a ravanarti ad altezza "genitali". Debora non era una sconosciuta, in quel momento era come lo fosse. Mai avrei immaginato che mi stampasse un bacio sulla bocca e che mi andasse a massaggiare il pisello, seppur non avesse aperto la zip ma si fosse limitata a toccarmi dai pantaloni.
"Queste cose le Testimoni di Geova non le fanno di solito" pensai.
"Di solito".
Cos'era cambiato in Debora quella sera?
Troppe domande mi stavo facendo. Era meglio godersi il momento, che era particolarmente eccitante.
Arrivammo al nostro piano, l'ultimo, l'ottavo. Si aprirono le porte. Per fortuna non c'era nessuno fuori dall'ascensore. Soprattutto non c'erano i suoi genitori. Sarebbero stati cazzi amari, amarissimi. Per lei, non per me, era lei in quel momento che stava facendo qualcosa di inusuale per una Testimone di Geova.
Mi invitò a seguirla, aprì la porta del suo appuntamento e mi fece entrare. Dopo otto piani di silenzio, intervallati da una mezza sega ed un bacio mi rivolse parola:
I miei sono sono in casa stasera. Sono a cena da fratelli della congregazione. Ho la casa libera Luca...
Ma Debora, è la prima volta che mi rivolgi parola e attenzioni... è la prima volta che mi fai entrare in casa vostra... cosa c'è diverso oggi? Tutta questa confidenza non l'hai mai avuta con me...
Mi portò nella sua cameretta. Era la classica cameretta di una ragazza poco più che ventenne.
Sotto sotto era rimasta ancora "adolescente". C'erano i poster dei suoi cantanti preferiti appesi alle pareti, dei goffi peluches sul letto e sulle mensole una marea di libri esclusivamente legati alla religione di famiglia.
Iniziammo a parlare, aveva voglia e bisogno di sfogarsi. Aveva trovato in me una persona con cui potersi finalmente liberare di tutte le sue angosce.
Era come ci conoscessimo da una vita, si aprì come nessuna ragazza, anzi come nessuna persona aveva fatto nei miei confronti. Nemmeno Laura quando stavamo insieme si era aperta così tanto con me.
Non riuscivo a capire comunque il repentino cambiamento di Debora nei miei confronti. In un attimo, da quando eravamo saliti insieme in ascensore era come se le barriere che ci avevano diviso in tutti quegli anni fossero improvvisamente scomparse.
Mi raccontò di com'era triste e depressa a causa della sua religione. La causa di tutti i problemi erano i suoi genitori. Io per quel poco che li conoscevo non potevo dare un giudizio. Sembravano brave persone, un pò all'antica, un pò ignorantotte ma a parte questo non conoscendoli nel privato non avrei saputo dare di loro una descrizione più esaustiva e convincente.
Debora stava impazzendo a causa loro. I suoi genitori erano oppressivi e bigotti. Da quando poi si era fidanzata con questo giovane fratello della congregazione la vita si era trasformata in un inferno ancora più oppressivo.
Non le permettevano di fare nulla, anzi, non le avevano mai permesso di fare nulla nella vita, le avevano reciso di netto ogni ambizione lavorativa e l'avevano costretta a mollare la scuola per dedicarsi al servizio di predicazione di casa in casa.
Mi confessó di sentirsi svuotata. Non aveva un lavoro vero, doveva arrangiarsi a fare piccoli lavoretti in casa, spesso per le "sorelle" della congreagazione, doveva passare le sue giornate in giro per la città a suonare i citofoni e non aveva un attimo di tempo per sé.
I weekend erano dedicati alle adunanze e a stare coi fratelli della Sala del Regno, quindi i suoi vent'anni stavano passando in mezzo a cose che detestava. Si sentiva di aver sprecato i suoi anni migliori. Non aveva neanche mai viaggiato. Conosceva l'Italia solo per le città in cui si erano tenute le Assemblee estive dei Testimoni di Geova. I suoi genitori non le avevano neanche mai permesso di farsi un weekend da qualche parte con le amiche della congregazione. Non le permettevano troppo di uscire, di socializzare. Non doveva avere distrazioni, l'unica cosa che doveva fare era ubbidire a Geova e ai propri genitori.
Cercava continuamente il contatto con me, col mio corpo, con la mia bocca, mentre eravamo seduti sul letto. Ci teneva a sfogarsi e ci teneva al contatto fisico col mio corpo. Aveva bisogno di qualcuno con cui sfogarsi. Io ero quel "qualcuno". Fra tanti aveva scelto me.
Capivo che si era repressa sessualmente per troppi anni, aveva le pulsazioni sessuali alle stelle. Mi confidò con un leggerezzo imbarazzo di non aver mai baciato alcun ragazzo prima di allora. Nemmeno al ragazzo che stava frequentando era riuscita a dare un bacio. Non voleva lui, non volevano i suoi genitori.
"Era pericoloso baciarsi o tenersi per mano" dicevano.
"Potrebbe scattare qualche scintilla sessuale e condurre al peccato".
Mi raccontò di questo fratello che aveva conosciuto e con cui si era fidanzata, anzi, con cui i genitori l'avevano obbligata a fidanzarsi. Lei non voleva assolutamente. A malapena conosceva il suo nome, il suo cognome, dove abitava. Non aveva idea di quale fosse il carattere della persona, quali fossero le cose che interessavano a questo ragazzo.
Natan, questo era il nome del fratello, era un fratello come tanti. Un involucro umano senza contenuto.
Natan non era un fratello molto interessante ma le aveva dato qualche attenzione e si erano scambiati il numero. Succede spesso tra i giovani delle congregazioni. Ci si incontra in pizzeria o in qualche centro commerciale. Vagonate di fratelli e sorelle e ti si appiccica uno addosso per più di due minuti. Dopo aver parlato di "quanti pionieri ci sono nella propria congregazione" e di quanto "sarebbe bello andare a servire dove c'è più bisogno" lui le aveva chiesto il numero di telefono, così avrebbero potuto organizzarsi per uscire in servizio insieme. Natan viveva a pochi chilometri da casa sua e andava in sala in una congregazione vicina.
Quando suo padre lo seppe andò su tutte le furie, anche perché era anziano di congregazione e ci teneva che nessuno potesse fare pettegolezzi su sua figlia. Ora che aveva conosciuto questo ragazzo e si erano scambiati il numero di telefono erano obbligati a fare le cose sul serio. Ovvero fidanzarsi ufficialmente e poi sposarsi. Come si conviene ad una coppia di giovani Testimoni di Geova.
Nulla erano valse le proteste di lei. Non voleva sposarsi con un ragazzo solo perchè i fratelli avevano visto che parlavano insieme dopo aver mangiato una pizza. Non era giusto, non era quello che lei si aspettava dall'amore.
Il padre aveva voluto conoscere Natan. Lo aveva invitato a pranzo, una domenica, insieme ai genitori di lui.
Era un Servitore di Ministero, stava facendo progresso nella sua congregazione. I genitori di lui erano pari pari a loro, padre Anziano di congregazione e madre pioniera regolare. Non si erano mai frequentati molto, si erano giusto scambiati qualche opinione alle assemblee perchè entrambi avevano ruoli decisionali all'interno dell'organizzazione.
Debora era piuttosto imbarazzata. Non sentiva affetto o qualcosa che la legasse sentimentalmente a Natan. Lui era un pezzo di ghiaccio, parlava solo di argomenti biblici e di come avesse fatto dei sacrifici per poter essere nominato Servitore di Ministero ad appena vent'anni. Serviva pure come pioniere regolare, infatti non aveva un lavoro stabile perchè il tempo lo dedicava esclusivamente alla predicazione.
Debora doveva sposarsi con un uomo che in pratica non sarebbe neanche riuscito a mantenerla.
Suo padre era uscito di testa.
Lì controllava, lì seguiva, stava sempre con loro. Era arrivato al punto di controllarle il telefonino per guardare le sue chat, per vedere che messaggi mandava a questo ragazzo. Era una vita di inferno. Suo padre la opprimeva, era ossessionato dall'idea che i due giovani avrebbero potuto scopare prima del matrimonio, anche se avrebbe dovuto avere un pò di fiducia in entrambi, lui era come Debora figlio di un anziano di congregazione e serviva nella sua congregazione come nominato, era considerato quindi una persona di fiducia.
Lei in effetti, mi confessó, aveva un forte desiderio di cazzo ma lo reprimeva. Nonostante lui non fosse il massimo dell'eccitazione possibile era comunque un maschietto e lei nella sua vita di clausura fatta fino a quel momento non aveva mai avuto rapporti con le persone dell'altro sesso.
Natan era uno di quei bambocci con gli occhiali e la tipica pettinatura da leccaculo. Voleva la fidanzata per trasformarla poi in una moglie sottomessa e ubbidiente, ma non osava quasi sfiorarla, aveva più voglia di far colpo sul padre di Debora, che era un anziano di congregazione che voglia di fare quello che tutti i giovani vogliono, ovvero il sesso. Il sesso proprio non gli interessava minimamente. Non aveva neanche mai provato a sfiorare Debora come avrebbe dovuto fare un fidanzato. Nemmeno un bacio in bocca aveva provato a darle. Era come essere fidanzata con un robot asessuato.
Il suo unico scopo nella vita era dimostrare agli anziani di congregazione di essere un fratello affidabile per poter diventare anziano di congregazione a sua volta.
Dopo tre mesi che si erano conosciuti, suo padre li obbligò a fidanzarsi, per non far parlare la congregazione e fissò già la data del matrimonio per l'anno successivo.
Debora non era innamorata di questo ragazzo, ma non poteva più uscire da questo impiccio. Non era mai nemmeno stata da sola con questo fratello, i suoi lo impedivano categoricamente. Dovevano sempre e solo vedersi in mezzo agli altri fratelli. Dovevano essere sempre alla vista di qualcuno, per non creare scandali o chiacchiere.
Le ossessioni del padre la stavano demolendo psicologicamente.
Era arrivato al punto da controllarle le mutandine prima che lei uscisse e a ricontrollarle quando tornava, per essere sicuro che la figlia non avesse scopato o non se le fosse cambiate durante la serata per nascondere qualche "guaio".
Mi disse Debora di come si sentisse umiliata, suo padre veniva lì e annusava sia le mutandine che le sue parti intime.
Il padre era convinto che annusando le mutandine della figlia le avrebbe trovate sempre linde e pulite, così lei non si sarebbe mai azzardata a scopare o anche a baciare il ragazzo. L'eccitazione per un bacio l'avrebbe fatta bagnare e lui avrebbe potuto sgridarla. Per lei era davvero umiliante avere il naso di suo padre quasi infilato nella figa per scoprire che odori avevano i suoi indumenti intimi.
Fu in quel momento che le chiesi se avesse voglia di farmi un pompino. Non so come mi uscì quella richiesta, so solo che ne avevo una disperata voglia. Da quando Laura si era volatizzata dalla mia vita non avevo avuto tante occasioni per stare con una ragazza. Avevo un disperato bisogno di qualcosa di "erotico" ed "eccitante". Un pompino era proprio quello che serviva per rompere definitivamente il ghiaccio tra me e Debora.
Mi guardò imbarazzata. Conosceva quella parola, aveva sentito parlare del "sesso orale", perchè i Testimoni di Geova non potendo usare una terminologia chiamano quella pratica "sesso orale", solo che sesso orale non rende l'idea del piacere che si prova quando una donna prende in bocca il tuo uccello e inizia a succhiartelo. Sesso orale è più un termine medico scientifico le spiegai.
"Pompino" rende molto più l'idea del piacere sessuale che ne scaturisce. La istruii su altri termini che si utilizzano per definire la pratica del sesso orale: chinotto, bocchino, soffocone, per i latinisti colti c'è anche fellatio, ma li poi ci si sarebbe persi in disquisizioni di stampo universitario e onestamente avevo solo voglia di farmelo ciucciare non di spiegare l'etimologia della parola "pompino" dall'antichità ai giorni nostri.
Mi disse che non l'aveva mai fatto ovviamente, che aveva sentito parlare di questa pratica e di come i discorsi e le riviste della sala la vietassero categoricamente. Non aveva idea di come si facesse ma la cosa la eccitava.
Si vedeva dagli occhioni ingenui che moriva dalla voglia di toccare il cazzo per la prima volta.
Si sentiva impacciata ma voleva provare questa esperienza.
Mi chiese di aiutarla ad uscire dall'impaccio e di spiegarle come avrebbe dobuto fare, passo per passo. Non voleva solo farmi un pompino, voleva anche farlo nel miglior modo possibile, voleva sia farmi godere che godere lei.
La rassicurati con dolcezza, le dissi che l'avrei aiutata a sentirsi a suo agio e che la cosa le sarebbe servita un giorno, sposandosi con Natan, per far felice il marito. Per una ragazza imparare a fare un pompino come Dio comanda era come saper cucinare.
Le dissi di inginocchiarsi e di tirare indietro la folta chioma leoncina.
Sorrise imbarazzata, poi si legò i capelli con l'elastico rosso. L'aveva tolto appena entrata in casa e dera rimasta tutto il tempo con i capelli sulle spalle mentre mi confidava le sue delusioni.
L'aiutai a slacciarmi la patta dei pantaloni, si vedeva che non era molto pratica coi corpi maschili e con le zip.
Sorrise e mi disse che non aveva mai visto un cazzo dal vivo e che non sa com'era riuscita a trovare il coraggio di toccarmi in ascensore.
Tirò fuori il mio cazzo, tenendolo in mano con cura. Puzzava un po' di piscio, non avevo potuto pulirlo bene dopo l'ufficio, ma lei sembrava non darci troppo peso.
Adesso Debora, apri la bocca e non avere paura. Io ci infilo il pisello e piano piano inizi a succhiare. Aiutati con la mano e mi raccomando non usare i denti. Sei pronta?
Sono pronta Luca. Prontissima!
Sul suo volto, prima deluso iniziavano ad intravedersi due occhi maliziosi e arrapati.
Mi sentivo davvero bene in quel momento. Stavo aiutando questa giovane Testimone di Geova a diventare una vera donna. Io, Luca, il vicino di casa "del mondo", quello da evitare accuratamente ero diventato il suo primo bacio, il suo primo pompino. Si sarebbe ricordata di me per sempre. Il mio nome sarebbe stato scritto a carattere cubitali sulle pagine bianche del suo cuore. Era un pensiero davvero romantico, un pensiero che poteva contrastare con l'immagine che stava prendendo forma tra le mie gambe. Un'istantanea particolare della vita di questa ragazza, nata in una famiglia troppo bigotta per poter capire quale piacere ci sia nello stare inginocchiata a ciucciare il pisello ad un perfetto sconosciuto.
Sulle prime aveva difficoltà a tenersi il mio cazzo in bocca, non era abituata né al sapore né a quell'odore. Probabilmente le dava anche fastidio alla mascella, il mio pisello era di notevoli dimensioni e capisco come l'inesperienza potesse rendere tutto più difficile. Si stava impegnando. Lo capivo da come ad ogni succhiata migliorava i movimenti, da come cercava di usare la lingua e tutti gli altri muscoli del corpo per rendersi sempre più partecipe di quel momento intimo tra noi.
Dopo qualche minuto di apprendimento era già diventata abbastanza capace, è nel DNA di una donna saper spompinare un uomo. Detta così sembra una frase maschilista e poco rispettosa, invece è il più grande complimento che una donna possa ricevere da un maschietto. Il pompino è arte. L'arte massima che si possa esprimere nel campo della sessualità. Tutti gli uomini anelano al pompino perfetto. Il pompino perfetto è una sorta di Sacro Graal. D'altronde è la pratica sessuale preferita dai maschi. Quando non è possibile scopare in maniera tradizionale un uomo chiede esplicitamente di farsi fare un pompino. La parola in se trattiene quell'eccitazione e quel desiderio capace di fartelo venir duro in pochi secondi. Io ero un estimatore dell'antica arte della Fellatio.
Laura era particolarmente dotata in quel campo, non mi ero mai lamentato. Quando Laura mi prendeva tra le sue labbra vedevo il paradiso pur essendo ateo e Laura adorava tenere il mio pisello nella sua bocca. Si sentiva importante in quei momenti, sapeva che poteva avere il controllo totale sul mio corpo e sulla mia mente. Se fossi stato un condannato a morte, il mio ultimo desiderio sarebbe stato uno ed uno solo: avrei chiesto di farmi fare un pompino prima di essere fucilato o decapitato o lasciato arrostire sulla sedia elettrica.
Devo ammetterlo, il pompino si stava rivelando eccitante ed efficace. Inginocchiata, inarcava la schiena per poter essere più libera e flessibile nel mettere l'intero pisello tra le sue enormi fauci. Oltre a delle enormi tette Debora aveva anche un'enorme bocca. Una bocca adattissima a questo genere di cose.
Cazzo se sei brava Debora... continua... continua
Aveva un metodo ancora un po' grezzo, era il suo primo pompino, ma la sua lingua riusciva a toccarmi proprio il punto più eccitante in punta e l'idea di farle provare l'ebrezza di un primo bocchino me lo faceva indurire a dismisura.
Più succhiava e più cercava di deglutire l'intero cazzo fino alle palle, soffocando l'istinto di vomitare. Riusciva a farmelo stare eretto nella sua bocca, continuava a dimenarsi come una assatanata e più prendeva gusto nel succhiare più capiva di essere brava e ci metteva ancora più impegno. Ogni tanto prendeva fiato, non era abituata ad andare in apnea. Alzava lo sguardo e mi fissava. Mi mandava un bacio e per tenere il ritmo utilizzava la mano per masturbarmi. Il pisello era li, bello duro, bagnatissimo. La sua saliva ricopriva il mio "coso" con dolcezza. Può sembrare strano, ma provavo infinita dolcezza nei confronti di quella ragazza. Non era solo eccitazione, non era solo mettere il proprio organo sessuale nella sua bocca. C'era qualcosa di più. Ero abituato a ragazze che facevano quelle cose. A volte non faceva neanche più effetto. Quand'ero fidanzato con Laura mi era capitato anche di tradirla. Un pompino può essere considerato un tradimento?
"Un pompino è solo un pompino" mi ripetevo per convincermi.
Capitava infatti che le colleghe di lavoro per fare le sciocchine qualche volta si offrivano volenterose per accompagnarmi in bagno in ufficio, magari in pausa pranzo, e li, nascoste da una sottile porta di legno si inginocchiavano e in qualche minuto davano soddisfazione al mio ego maschilista. Non sempre era eccitante, a volte ci perdevamo nella routine meccanica di un gesto ripetitivo. Lei che si abbassava e mi slacciava i pantaloni, io che guardavo le mattonelle del bagno e poi "taac" il liquido che usciva e riempiva la bocca della collega.
Si era persa tutta la fantasia, si erano perse tutte quelle motivazioni intrinseche che dovevano rendere quel gesto un qualcosa di speciale ed unico.
Ilaria ormai era diventata un habitué di quelle "fotografie" della mia vita lavorativa. Era la mia partner commerciale in ufficio. Si era creata parecchia affinità. Troppa intimità. Eravamo sempre a contatto. Prima o poi doveva scattare la scintilla.
La trasgressione ci aveva colpito un martedì pomeriggio. Lei era particolarmente vivace quel giorno. Aveva litigato col marito la sera prima e aveva bisogno di staccare la mente dalle menate familiari. La giornata a lavoro era stata di quelle da aprire lo champagne e festeggiare tutta notte. Avevamo appena chiuso un super affare. Soldi a palate per il nostro ufficio. Ci eravamo appartati alla macchinetta del caffè per brindare insieme al successo.
Un secondo durò il brindisi. Mi baciò sulla bocca e mi chiese di seguirla in bagno. Mi slacciò i pantaloni in tutta fretta e mi succhiò tutto in pochi minuti. Non le piaceva però ingoiare e mi face venire in un fazzolettino. Era stato tutto così trasgressivo, così inaspettato. Eravamo stati davvero "birichini". A Laura non dissi mai nulla. Mi avrebbe fatto un cazziatone. Ero sicuro, arcisicuro che pure lei, di nascosto facesse queste cose dove lavorava. Pure lei lavorava in ufficio, a contatto con tanti bei maschietti. L'importante era non innamorarsi di altre persone.
"Un pompino è solo un pompino" mi ripetevo, come un mantra. Ilaria succhiava spesso, la nostra pausa caffè terminava puntualmente con una tappa in bagno, fazzolettino in mano e sborrata. Le prime volte era eccitante, trasgressivo al massimo. Poi era diventato come compilare una tabella in excel. Lo facevamo meccanicamente, senza più nè interesse nè eccitazione. Deve aver fatto poi pace col marito perchè dopo qualche mese smise di accompagnarmi in bagno e tornammo ad essere semplici colleghi di ufficio. Ogni tanto ancora mi lancia qualche occhiata maliziosa ma io non ci casco più.
Debora invece... Debora è passionale. Debora è trasgressione. E' trasgressione per me, è trasgressione per lei.
La sentivo che gemeva mentre succhiando metteva la sua anima nelle mie mani. Stava andando contro tutto quello che le avevano insegnato in Sala del Regno.
Stava facendo sesso prima del matrimonio, stava praticando sesso orale ad un uomo. Era abbastanza per essere disassociate e perdere tutto. Perdere l'affetto dei genitori, perdere le amicizie in sala. Perdere anche quel poco di fidanzato che aveva. Se qualcuno avesse saputo di quel che stava facendo, di quel che mi stava facendo...
Accompagnavo la sua testa riccia sul mio cazzo, e chiudevo gli occhi, stavo godendo da matti. Lei si capiva che questa cosa le piaceva, aveva oltre vent'anni e non aveva mai provato una eccitazione simile. Si sentivano davvero l'emozione e la passione della sua bocca mentre ciucciava, letteralmente mi divorava il cazzo come una che non voleva mai più farne a meno. Era come aver sempre bevuto gazzosa del discount e aver scoperto d'un tratto il sapore delicato di un gustoso e costoso vino francese.
In quei minuti, quei minuti che stavano incorniciando la foto del suo primo pompino della vita stava recuperando tutto ciò che si era perduta. Quando alzava gli occhi verso di me cercava la mia approvazione e io per farle capire che mi stava piacendo come succhiava le stringevo sempre più la testa sul mio cazzo, facendo in modo che le andasse fino in gola.
Cominciai a muovere il mio bacino a tempo con la sua bocca, volevo aiutarla, accompagnare le curve sinuose del suo continuo inarcamento della schiena, avevo voglia di penetrarle le labbra come fosse una vagina.
Si prese ancora qualche secondo per respirare poi tenendole la testa da dietro le orecchie cominciai a ficcarglielo con prepotenza in bocca. Uscivano liquido e schiuma ai lati delle labbra, lei era diventata tutta rossa in viso, gli occhi strabuzzati e le mascelle le facevano male per lo sforzo.
Io godevo, godevo, godevo, avevo tanta di quella eccitazione in corpo che temevo si sborrarle in bocca prima del previsto. Continuavo ad andare avanti e indietro, ripetutamente, con la punta del pisello le avevo toccato le corde vocali. Lei ogni tanto reprimeva qualche conato di vomito, e la schiuma che usciva dalla bocca le aveva coperto gran parte del viso ed era scivolata giù nel collo e nel reggiseno, bagnandole la camicetta. Avrei voluto strappare la sua camicetta e farmi fare pure una spagnola, vista da quella posizione aveva proprio due belle tettone gonfie. Peccato nessuno le avesse ancora provate.
Infine venni. Venni copiosamente, un po' nella sua bocca, un po' sul viso, qualche schizzo di sperma le andò a conficcarsi tra i capelli ricci. Mi ero svuotato, sentivo l'odore acre della mia sborra che si era riversata su Debora.
Grazie Debora... Sei stata... Sei stata wow, lasciatelo dire
Grazie Luca! E' stata l'esperienza più bella della mia vita...
Era lì sorridente e soddisfatta, in ginocchio, sotto di me. Era così bella con la faccia sporca del mio liquido. Dallo sforzo e dallo sperma le si era anche sciolto quel po' di trucco che si era messa intorno agli occhi. Ma era lì, felice, finalmente poteva considerarsi donna, finalmente. Aveva fatto il suo primo pompino. Peccato solo non poterlo raccontare alle amiche. L'avrebbero subito denunciata agli anziani, a suo padre. Aveva commesso grave immoralità sessuale.
Nel mondo dei Testimoni di Geova questo era da considerarsi il peccato più grave. Non c'era via di scampo. Fare un pompino era quasi peggio di ammazzare qualcuno o fare una rapina in banca. Debora ne aveva sentite di cotte e di crude nella sua esperienza da sorella. Ragazzi e ragazze della sua età che erano stati allontanati dall'Organizzazione per aver fatto sesso prima del matrimonio. Persone che avevano perso tutto, amicizie, affetti familiari. Ragazzi e ragazze che sotto la spada di Damocle dell'ostracismo erano stati sbattuti fuori senza pietà dai Testimoni di Geova perchè non si erano pentiti del peccato commesso.
A Debora queste cose non andavano giù. Il padre era Anziano di congregazione e lei i "segreti", i "documenti riservati" li aveva sempre avuti a disposizione. Trovava scandaloso che suo padre e gli altri anziani avessero coperto le trasgressioni di un fratello accusato di pedofilia mentre non erano stati così "comprensivi" con una sorella, sua amica, che era stata beccata a far l'amore con uno "del mondo". Al fratello accusato di pedofilia diedero solo qualche buffetto sulla guancia e gli dissero di non fare più quelle brutte cose. Nemmeno le autorità vennero allertate della presenza di un uomo così pericoloso in Sala del Regno e nel paese. Poteva tranquillamente girare indisturbato, a contatto coi minori. In sala c'erano tanti bambini. Era pericoloso. Eppure nessuno fece niente. Anche la famiglia che lo aveva accusato alla fine lasciò perdere. Avevano un bambino che denunciò la cosa ai genitori, che quel "fratello" che sembrava così buono e gentile l'aveva molestato. Finì tutto a tarallucci e vino. Il papà del bambino, per risarcimento della "brutta cosa" fu nominato Servitore di Ministero in cambio del silenzio. E accettarono. La sua amica invece, quella che era stata beccata a far sesso col fidanzato "del mondo" venne brutalmente umiliata e cacciata dalla Congregazione.
La serata non era ancora finita. Ne avevamo di tempo ed energie da spendere insieme io e Debora.
Col cazzo ancora per aria cominciai a menarlo sulla sua faccia, volevo che le rimanesse l'odore del mio cazzo nelle narici, le sbattevo il pisello ancora sporco sulle guance, cercavo di farle annusare il mio pisello per imprimerle definitivamente la mia presenza nella sua vita. Le avevo cambiato la vita quella sera.
Ero parte di lei molto più di quanto lo fossero le cose che aveva vissuto fino a quel momento.
Era bastata quella mia semplice richiesta di farmi un pompino per farle superare la barriera tra una vita "di merda" e una vita "di merda ma perlomeno con qualche divertimento".
Ed era cominciato tutto con quel bacio in ascensore. Non me lo scorderò mai e non se lo scorderà mai nemmeno lei.
Mi piaceva tenerle la testa, comandare ogni suo movimento, metterle il cazzo dove io volevo. Mi sentivo padrone come non mi accadeva da tanto tempo. Con Laura era diverso. Laura era sessualmente prepotente. Ci teneva a tener tutto sotto controllo. Laura voleva dominarmi. Voleva dominarmi anche quando simulava sottomissione. Laura mi aveva sempre dominato, mi aveva sempre tenuto sotto il suo potere, la verità era questa. E come uno straccio sporco, al momento meno opportuno della mia vita, della nostra vita insieme, mi aveva cacciato nel bidone dei rifiuti.
Che serata con Debora. I suoi non sarebbero rientrati prima delle undici disse la ragazza.
Feci il porco come non avevo mai fatto e lei nella sua ingenua voglia mi lasciava fare. Pensavo a come la "felicità" fosse sempre stata vicina e a portata di mano. Invece in quelle settimane senza Laura avevo avuto solo la forza di attaccarmi alla bottiglia e scolarmi alcool a tutto andare.
Passai ancora il pisello sulle sue labbra, la obbligai a leccarmi le palle. Passai il cazzo sulla sua faccia sporca, le misi il cazzo a contatto con le orecchie, con gli occhi, col naso.
Continuavo in loop a fare quelle maialate, non mi sentivo ancora pronto per smettere e fare quei pochi passi che separavano la casa di Debora dal mio di appartamento.
Ero pronto a venirle ancora addosso, il mio corpo sembrava aver prodotto più sperma in quel lasso di tempo senza una donna fissa e lei si lasciava fare. Le dissi che avrei voluto vederla bere il mio sperma, le avrei riempito un bicchiere e avrei guardato mentre buttava giù la sborra tutto d'un fiato.
Ormai eravamo talmente coinvolti in quel vortice di trasgressione che ero passato subito alle cose più estreme senza tappe intermedie. Era una specie di "tutto subito". Era giocarsi una mano a poker nella quale o si torna a casa col mondo intero o con le pezze al culo.
Avrebbe dovuto portarselo nel segreto dei suoi sogni il mio pisello.
Doveva sostituire l'adorazione a un Dio inesistente con quella del mio fallo eretto.
Mi baciò la punta del pisello e sempre sorridente mi chiese maliziosa di annusare le sue mutandine.
Profumavano di orgasmo, era venuta pure lei. Le leccai la figa, ci infilai pure le dita dentro e lei gemeva. Stringeva forte i pugni dal piacere. Non riesco ancora ad immaginare che piacere possa aver avuto Debora quella sera nello scoprire quei mondi segreti che per noi tutti non erano poi così segreti. Far l'amore, toccarsi, provare e dare piacere erano una cosa talmente normale che non ci si faceva più caso.
Il piacere della scoperta invece stava rendendo davvero speciale quella serata. Debora stava scoprendo un mondo che le era sempre stato precluso.
Era nata in quella famiglia disgraziata di Testimoni di Geova. Era stata obbligata a diventarlo. Non aveva scelta. I genitori le avevano dato un preciso indirizzo dal quale non poteva fuggire. Avrebbe potuto fuggire, ma con delle conseguenze.
Se si fosse rifiutata di diventare una Testimone di Geova l'avrebbero disconosciuta come figlia appena raggiunta la maggiore età. Con quella bella minaccia sulle spalle, con tutta la pressione del mondo intorno addosso aveva accettato l'idea di battezzarsi. Aveva si e no quattordici anni. Le erano state date delle regole ferree da seguire. Non poteva ribellarsi. Come avrebbe potuto ribellarsi a soli quattordici anni?
Avrebbe studiato fino al compimento di 18 anni, poi si sarebbe dedicata al servizio di Pioniera Regolare, come sua madre. In congregazione avrebbero dovuto parlare di lei come di una zelante predicatrice del regno. Nessun altro fronzolo, nessun divertimento, nessun contatto col mondo esterno a quello dei Testimoni di Geova.
Le uniche amicizie possibili erano quelle della Sala del Regno. Suo padre l'aveva menata una volta perchè si era permessa di andare a studiare Storia a casa di una compagna di classe.
Non doveva insozzarsi con quelli "del mondo". Non doveva frequentarli, non doveva stringerci amicizia. L'unico motivo per cui doveva andare a scuola era per predicare alle sue compagne di classe perchè loro come adulti non potevano contattare i minorenni. Quello doveva essere il suo unico scopo nella vita. A scuola la evitavano, era strana, asociale, evitava tutti accuratamente. Non festeggiava compleanni nè Natali, non instaurava amicizia con nessun compagno di classe. Stava talmente in disparte che lo psicologo della scuola fu costretto a chiamare i genitori perchè preoccupato della situazione in cui si era messa la ragazza.
Lo psicologo rimase scandalizzato quando il padre di Debora, venendo a scuola per parlare della situazione della figlia disse di non volere che la figlia "socializzasse" con gli altri componenti della classe. Si disse soddisfatto del fatto che Debora si fosse totalmente isolata dagli altri. Questo insegnavano i Testimoni di Geova e la ragazza lo applicava alla lettera. Questa era la vita di Debora. Isolata dal mondo, isolata da tutto quello che accadeva nel mondo circostante.
Diventata maggiorenne le cose non cambiarono, anzi peggiorarono perchè Debora aveva la consapevolezza dei diciotto anni, sapeva che nessuno poteva più obbligarla a fare quelle cose, sapeva che avrebbe potuto spezzare le catene di quella schiavitù in ogni momento, ma non ne aveva la forza. La minaccia dei genitori era sempre li ben presente nei suoi occhi. Se avesse deciso di mollare la Congregazione non le avrebbero più parlato e l'avrebbero cacciata di casa. Dove sarebbe andata povera gioia? Non aveva nessuno al di fuori della Sala del Regno. Non aveva instaurato nemmeno delle amicizie fuori dalla Congregazione quindi nessuno avrebbe potuto aiutarla. Persino il lavoro le era stato impedito.
"Sei pazza" – le disse suo padre un giorno.
"Andare a lavorare a contatto con le persone del mondo equivale gettarsi tra le braccia di Satana il Diavolo".
Suo padre era convinto di proteggerla dai problemi, invece a furia di limitare le sue scelte la stava rendendo una persona infelice e inutile.
Per guadagnarsi qualche soldino faceva i mestieri in casa delle sorelle della congregazione, oppure faceva le unghie e i capelli, sempre e solo alle sorelle della congregazione. In questa maniera anche il lato economico veniva gestito all'interno della comunità. Senza un lavoro, senza una vera e propria istruzione, senza amici al di fuori di quelli imposti dalla Sala del Regno era legata a vita ai Testimoni di Geova. Sarebbe nata e morta in quel mondo anacronistico e bigotto. L'unica occasione di poter parlare con le persone esterne alla comunità era durante la predicazione. Ma alle persone cosa interessava di rivistine o volantini? Nulla, anzi, era spesso oggetto di scherni e derisioni.
Guardai l'orologio. Erano le nove di sera. Da quando ero entrato in casa dei suoi genitori non avevamo più nè dato un peso nè dato un senso al tempo. Era come se tutto intorno a noi si fosse fermato, come se nulla intorno avesse più potuto scalfirci. Esistevamo solo io e lei, esistevano solo i nostri corpi che stavano recitando quella vogliosa parte da protagonisti. Il mondo intorno non faceva più paura alla ragazza, stava liberandosi di quegli schemi mentali che l'avevano tormentata per anni. Tutto stava avvenendo così in fretta, cos' repentinamente.
La mia testa era talmente assuefatta dal corpo di Debora e dalla sua erotica boccuccia che non riuscivo a pensare ad altro.
Eppure qualcosa doveva essere accaduto quel pomeriggio per trasformarla da pudica Testimone di Geova a ragazza disinibita.
Qualcosa era riuscito a smuovere quel cuore di ghiaccio. Che cosa?
Non era il tempo di far domande, non era il tempo di cercare risposte. Dovevo godermi quel lungo intenso attimo che ci stavamo reciprocamente donando.
Era li tutta per me, estasiata. Laura non si era mai mostrata così estasiata e rapita da me. Per Laura era normale far l'amore. Era normale che un uomo la toccasse. Era normale, quasi banale che un uomo cercasse di leccarle la figa, che scostasse i peli del pube e ci infilasse la lingua. Era tutto così dannatamente normale con Laura. Aveva avuto tanti uomini prima di me. Abbastanza per poter stilare una classifica di chi era più bravo e chi meno bravo a letto. Eravamo in abbastanza per fare dei "paragoni". Anche io paragonavo Laura alle altre ragazze con cui ero stato e non mi sentivo in colpa. Era normale, tutto così dannatamente normale.
Invece con Debora, in quella serata così particolare stavo nuovamente provando l'estasi di un qualcosa di diverso, qualcosa di speciale, qualcosa che appartenesse anche a me. Non era solo lei a scoprire i piaceri dell'eros, anche io stavo imparando qualcosa da questa ragazza. Era come scoprire tra le proprie mani un fiore delicato. Non ero stato particolarmente raffinato e romantico. Forse lei avrebbe necessitato di maggior tenerezza ma la serata era andata in questa maniera e Debora sembrava felice. Felice davvero e non di quella felicità ipocrita che le avevano insegnato in Sala del Regno.
Debora mi disse che avevamo ancora del tempo. Potevamo continuare a farci le coccole.
Mi alzai nuovamente in piedi, tenendola inginocchiata e col cazzo ancora duro le insegnai a fare le spagnole. Aveva due belle tettone, prese il mio cazzo tra i seni e iniziò a strofinarselo, a masturbarmelo. Che sensazione onirica vederla ancora impegnata a procurarmi piacere. Andava su e giù come una trottola, si divertiva. Si era passati dall'eccitazione al divertimento. Era come un gioco, come stare al Luna Park o sulla Playstation.
Aveva capito subito come si faceva e questo rendeva il momento da immortalare. Imparava in fretta la ragazza. Tutto ciò che le avevo fatto fare durante la serata era stato recepito ed eseguito alla perfezione.
Tenere il mio cazzo fra le sue tette era un'oasi di pace. Mi sarei addormentato così, era meglio che tenere la testa tra due cuscini. Il tempo non giocava dalla nostra parte, prima o poi i suoi genitori sarebbero rientrati e non era il caso ci trovassero a fare questi giochetti erotici in camera sua.
Doveva rimanere un nostro segreto, le promisi di non far parola con nessuno di quello che era successo. Ci scambiammo un bacio e me ne andai.
Mi ero rivestito e uscii da casa sua, feci pochi passi ed ero nel mio di appartamento. Chiusi la porta dietro di me. Che serata! Che pompino! Che storia. Era assolutamente un'esperienza da ripetere. Non era amore ma qualcosa di molto più prezioso. Un'intesa sessuale così al primo sguardo, al primo "involontario appuntamento".
"Se le Testimoni di Geova fanno questi pompini" – pensai tra me e me, "Forse è il caso che ogni tanto faccia un giro in una delle loro Sale del Regno".
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Aggiunto: 4 anni fa
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Etero
«Racconto stupendo anche per l’ambiente ione dei tdg. Se vuoi scrivimi a cataclismi83@gmail.com»