LA MIGLIORE AMICA

- CAPITOLO 1 -

“Elisa, sei sicura che vuoi andare tu stasera? Se sei stanca posso andarci io…”.
La voce di Marco, mio marito, mi arrivò dalla camera, mentre ero in bagno e mi stavo preparando.
“Ma no. Non sono stanca. Vado volentieri”.
Si, e poi figurati se lo lasciavo uscire da solo con la mia migliore amica, Nadia. Dovevamo andare all’incontro di orientamento per i genitori organizzato dalla scuola. Nostra figlia andava in terza media, ed era giunto il momento della prima scelta importante della vita; quella della scuola superiore.
Mi ero messa d’accordo con Nadia già da una settimana. Sarebbe passata a prendermi alle otto e mezza e saremmo andate insieme all’incontro.
Non avrei mai lasciato mio marito da solo con lei, neanche per cinque minuti. Lei era una delle donne più affascinanti che avessi mai visto. Aveva due anni più di me. Trentotto lei, trentasei, io. Era alta un metro e settanta, circa cinque centimetri più di me. Aveva occhi scuri e i capelli di un colore castano chiaro con dei riflessi ramati e ipnotici. Li teneva lunghi fino a sotto le spalle ed erano lisci come la seta.
Aveva un seno perfetto, pieno e sodo. Portavamo entrambe la quarta e spesso mi ero trovata a cercar di capire se fosse più grosso il mio o il suo. Sapevo perfettamente che mio marito non avrebbe per niente disdegnato l’idea di provare a scoprirlo avvicinandosi alle sue tette più di quanto avrebbe dovuto, e il fatto che lei avesse sempre dato di sè l’immagine di donna sessualmente disinibita non faceva che rinforzare la mia determinazione. Quella sera ci sarei andata io.
Sentii la voce di Marco più vicina. Si era appostato fuori dal bagno. “Sei gelosa? Guarda che non la tocco…”.
“Non fare lo scemo!”.
Continuò: “e poi lo sai che è lesbica…”.
Questa era una sua ferma convinzione. Da quando avevamo conosciuto lei e suo marito, Alessandro, ormai otto anni fa, la sua idea era sempre stata quella. Secondo lui, Nadia non era attratta dagli uomini ma dalle donne.
Gli ribadii la mia convinzione: “il fatto che non ti caghi non significa che sia lesbica. Significa solo che non le piaci”. Aprii la porta e incrociai il suo sguardo: “mi spiace, amore mio, ma per quante fantasie tu ti possa fare, lei continuerà a guardare gli uomini… ma non te”. Gli diedi un leggero bacio sulle labbra e mi richiusi la porta alle spalle dicendogli: “… devi continuare ad accontentarti di me…”.
Lo sentii allontanarsi ridendo.
Mi staccai dal ricordo della sua voce e mi concentrai sulla donna che stavo vedendo nello specchio. “Beh”, pensai, “la Nadia sarà una gran figa, ma non scherzo nemmeno io…”.
Dimostravo sicuramente meno della mia età. E questo me lo dicevano tutti. Le mie tette avevano sempre attirato gli sguardi degli uomini, tanto quanto quelle della Nadia. I miei capelli erano neri, decisamente più scuri dei suoi, ma i miei occhi erano più chiari. Me li fissai a lungo, nello specchio. Erano di un marroncino sfumato che ricordava il colore delle nocciole, profondi e intesi. Feci un passo indietro e guardai la mia immagine per intero.
Ero soddisfatta di quello che vedevo, anche se non l’avrei mai ammesso a nessuno. La gonna corta che indossavo metteva in evidenza un bellissimo paio di gambe, rese ancora più attraenti dalle scarpe coi tacchi a spillo che avevo scelto per quella serata. Non che fosse una cosa strana. Quando uscivo di casa volevo sempre sentirmi sostenuta da un bel paio di tacchi, e non potevo evitare di provare piacere quando mi accorgevo che qualche uomo mi guardava i piedi.
Per cercare di essere ancora più sensuale, un paio di anni prima mi ero fatta tatuare un piccolo cuore sulla caviglia sinistra, ed ero sicura che tutti gli uomini che frequentavamo, amici e parenti compresi, guardandomi quel tatuaggio avevano ceduto almeno una volta ad un pensiero peccaminoso.
Si, quella sera, io e la Nadia saremmo state decisamente una bella coppia di mamme.
Ci conoscevamo da quando le nostre figlie si erano ritrovate in classe insieme in prima elementare. Eravamo passate attraverso quei cinque anni e, poi, i tre delle medie, sempre una a fianco all’altra.
Avevamo fatto vacanze insieme, capodanni e centinaia di altre serate nel corso delle quali avevamo imparato a conoscerci perfettamente, anche se con mio marito le opinioni continuavano a divergere. Lesbica, diceva lui; etero, ero convinta io.
Finii di truccarmi giusto un secondo prima di sentire il citofono. Mi misi una giacca, mentre Marco mi gridava dall’altra parte della casa: “è lei! Le ho detto che scendi…”.
“Arrivo…”.
Lo salutai velocemente e feci finta di non aver sentito la sua battuta: “dalle un bacio da parte mia…”.
Due minuti dopo ero seduta nell’auto della Nadia, chiedendomi ancora una volta perché non fossimo andate con la mia. Sarà anche stata una gran figa, ma a guidare faceva paura. Mentre cercava di distrarmi dalla sua guida parlandomi delle ultime discussioni avute con suo marito, stavo pensando che le battute degli uomini sulle donne al volante sembravano esser state scritte per lei.
“Ma ti rendi conto?”, mi stava dicendo, “lui si fa tutti i giovedì sera a calcetto, le domeniche mattina in piscina, e appena nevica se ne va a sciare con gli amici. Ma ti sembra normale?”.
“Beh”, le risposi cercando di concentrarmi sulle parole e non sui pedoni ignari del rischio che stavano correndo: “sono uomini. Hanno i loro giri, e finchè sono quelli, è anche meglio lasciarglieli senza tante storie. In fondo è anche un modo per tenerci qualche ora per respirare, no?”.
Si mise a ridere e mentre diceva, tutta allegra: “si, questo è vero…” mi appoggiò delicatamente la mano destra sul ginocchio.
Rimasi paralizzata. Era la prima volta che mi toccava in quel modo. Non seppi come reagire e mi irrigidii istintivamente. Lei se ne accorse, perché buttò un’occhiata alle mie cosce e tolse la mano, continuando a sghignazzare.
Non diedi peso a quel gesto, cercando di autoconvincermi che fosse stata una normale carezza tra amiche, senza complicazioni, ma la voce di mio marito non la smetteva di rimbalzarmi da una parte all’altra del cervello: “lesbica…”.
“A proposito”, mi disse dopo qualche minuto, “ma tu sai esattamente dove dobbiamo andare?”.
“No! Perché, tu non lo sai?”.
“Mah, deve essere qui da qualche parte, in una di queste viuzze…”, e come se fosse stata la cosa più normale del mondo, appoggiò di nuovo la sua mano destra sul mio ginocchio.
Cazzo, ma cosa stava facendo? Iniziai a sentirmi in ansia. Rimasi zitta e paralizzata, mentre lei seguiva un percorso apparentemente senza senso, girando a caso a destra o a sinistra, ma senza mai spostare la sua mano.
Sentivo il suo calore sulla mia pelle e ero invasa da sensazioni confuse. Stavo quasi per chiederle un chiarimento ma mi anticipò: “ecco. Dev’essere quel palazzo. Parcheggio qui”.
Fu solo grazie alla complessità della manovra che la sua mano destra tornò a dedicarsi al volante, lasciando alla mia razionalità un difficile compito; avrebbe dovuto convincermi del fatto che non era successo nulla di strano e che accarezzare il ginocchio della sua migliore amica fosse stato un gesto normale.
Uscimmo dall’auto e mi ritrovai ad osservarla mentre si infilava un cappotto grigio scuro, molto elegante. Non c’era che dire; era davvero una bella donna. Aveva indossato una camicia nera piuttosto scollata. Il taglio in mezzo al seno si sarebbe potuto vedere perfettamente, se non fosse stato per la magliettina che aveva indossato sotto, nera anch’essa e con la parte superiore lavorata a pizzo, in modo tale da lasciare in mezzo alla scollatura della camicia un effetto di vedo e non vedo decisamente molto sexy.
Anche la gonna era nera, e le arrivava giusto sopra il ginocchio, lasciando alla vista un piacere assoluto nello scendere sui polpacci dalla linea perfetta, resa ancora più sensuale dal nylon scuro che li copriva.
Anche lei, come me, amava andarsene in giro su tacchi alti, e quella sera non aveva fatto eccezione. Le scarpe nere, molto classiche, che indossava ne completavano la figura estremamente sensuale.
Una donna così, pensai, era sicuramente una mangiatrice di uomini. Altro che lesbica…
Ma le parole di mio marito continuavano a girarmi nelle orecchie, e mentre entravamo nell’auditorium dove avrebbe avuto luogo l’incontro, pensai che fosse tutta colpa sua, e mi incazzai con lui. Se non mi avesse messo in testa quel tarlo, non avrei dovuto passare quei momenti di confusione. Se non avesse passato gli anni cercando di convincermi che la Nadia era lesbica, non avrei probabilmente dato alcun peso al tocco della sua mano sul mio ginocchio. Si, pensai, era tutta colpa di quel cretino del Marco.
Gli interventi di professori e psicologi che si alternarono sul palco riuscirono a distrarmi definitivamente, e quando l’incontro terminò mi ero già dimenticata di quanto era successo in auto.
“Mah”, mi disse la Nadia appena uscimmo dall’auditorium. “Interessante, ma alla fine hanno detto cose che sapevamo già. Tu che dici?”.
“Si, credo anch’io”.
“Senti”, suggerì lei, “è ancora presto. Perché non andiamo a berci qualcosa da qualche parte? Per una sera che possiamo starcene un po' senza mariti…”.
Guardai l’orologio. Erano le dieci e mezza. “Ma si. Perché no? Dove andiamo?”.
“Ti porto in un posto che conosco e che è molto carino. Tra l’altro è qui vicino”.
Salimmo in macchina e partimmo.
Dieci minuti dopo stavamo entrando in un locale dove non ero masi stata. Si chiamava “Martine”. Strano nome, pensai.
Seguii la Nadia che sembrava muoversi a suo agio e andammo a sederci ad un tavolo d’angolo in fondo alla sala. Ci mettemmo sullo stesso lato, lei seduta alla mia destra, entrambe con le spalle al muro e lo sguardo libero di spaziare in tutto il locale.
Mi stavo guardando un po' in giro quando mi chiese: “ti piace?”.
Stavo cercando di capire. “Beh”, le risposi, “è molto carino ma…”. Fu in quel momento che notai due ragazzi che se ne stavano in piedi al bancone. Avranno avuto venticinque anni, trenta al massimo. Stavano evidentemente aspettando che la barista prendesse la loro ordinazione, e altrettanto evidentemente si stavano baciando con passione. Rimasi paralizzata e venni svegliata dalla voce della Nadia: “ma… cosa?”.
Mi guardai meglio in giro e mi voltai verso di lei. Non riuscii a nascondere il tono di inquietudine che mi aveva preso. “Cazzo, Nadia! Ma è un locale gay!”.
Mi rispose con una calma olimpica, sghignazzando leggermente: “e allora? Non avrai mica problemi di questo tipo…”.
La voce di mio marito mi devastò il cervello: “è lesbica…”.
Non mi lasciò il tempo di dare razionalità ai miei pensieri e continuò: “nei due anni che ho vissuto a Boston andavo speso in locali gay. Ho scoperto che sono più curati, più puliti, i camerieri sono più gentili, e non hai le mosche degli uomini che ti girano intorno chiedendoti se vuoi bere qualcosa. Come se bere fosse la cosa a cui stanno pensando mentre te lo chiedono…”.
Provai a restare calma, ma era uno sforzo inutile. La guardavo ma non sentivo più le sue parole. Non facevo altro che chiedermi se quel cretino del Marco non avesse avuto davvero ragione. La osservavo e la scrutavo come non avevo mai fatto prima, e lei se ne accorse.
“Perché mi guardi così? C’è qualcosa che non va?”.
Cercai di riprendermi e balbettai: “no, no… tutto ok”.
“Ah… mi stavi guardando in modo così strano… Vabbè, cosa beviamo?”.
Mi distrassi un po' concentrandomi sul menù e tornai a controllarmi come sempre. In fondo, pensai, una donna moderna come volevo essere io non poteva certo avere problemi a passare un po' di tempo con la sua migliore amica in un locale gay.
Nei dieci minuti successivi tutto tornò alla normalità. Ordinammo, due bloody mary, cominciammo a bere e parlammo del più e del meno.
Poi le feci una domanda della quale mi pentii subito: “ci vieni spesso qui?”.
Mi rispose serenamente, come sempre: “qualche volta. Mi piace questo posto… e tu? Sei mai stata in un locale gay?”.
Ci misi un secondo di troppo per rispondere: “no… per la verità, no”.
“A me piacciono i gay. Trovo che siano persone particolarmente delicate e sensibili”.
Lasciò quella frase così, nell’aria, come aspettandosi un mio commento.
Elaborai una risposta vaga: “non so. Può essere, ma ne ho conosciuti talmente pochi che…”. Non riuscii a continuare e mi bloccai a metà frase. Il mio sguardo si era posato casualmente sul tavolo in parte al nostro. Due donne non più giovanissime, saranno state fra i quaranta e i cinquanta, si stavano baciando dolcemente a non più di due metri da noi.
Rimasi paralizzata guardando le loro lingue che si intrecciavano per poi scomparire una nella bocca dell’altra.
La risata sommessa della Nadia accompagnò il mio disorientamento. “Che c’è?”, mi chiese, “non hai mai visto due donne che si baciano?”.
Borbottai istintivamente: “si, in qualche film… ma mai dal vivo…”.
“Ma vah?”, sembrava davvero stupita.
“E tu?”. Chissà perché le avevo fatto questa domanda. Sono abbastanza sicura che il mio cervello non avesse dato nessun impulso a riguardo.
La sua risposta non si fece attendere: “beh, parecchie volte…”.
“Veramente?”.
“In America è abbastanza frequente. E se passi le tue serate in qualche locale gay, finisci col considerarlo normale”.
Rimanemmo in silenzio alcuni secondi, mentre a fatica tolsi gli occhi da quelle due lesbiche che con tanta passione si stavano accarezzando, per riportarli sulla Nadia.
Fu quando il suo sguardo incrociò il mio, che mi chiese con una voce nella quale non trovai più l’ilarità che aveva fino a poco prima: “l’hai mai fatto?”.
“Cosa?”.
“Hai mai baciato una donna?”.
Un gelone mi scese lungo la schiena, mentre i miei occhi non riuscivano a staccarsi dai suoi.
“No…”.
Il gelone divenne un brivido sconvolgente quando sentii la sua mano destra posarsi sulla mia sinistra, che avevo incautamente lasciato sul tavolo mentre la sua voce, che non avevo mai sentito così calda, mi entrò dentro e mi arrivò dritta allo stomaco: “ti piacerebbe provare?”.
Non risposi. Ero troppo sconvolta. Ci guardammo come non ci eravamo guardate mai. Sentii la mia mano andare a fuoco, a contato con la sua, e il suo sguardo entrarmi dentro, in profondità. E mentre nella mia testa si stava materializzando la certezza che, cazzo, era veramente lesbica, vidi i suoi occhi avvicinarsi ai miei con un movimento lento ma deciso.
Non feci in tempo a fare nulla. Non mi avvicinai a lei e nemmeno mi allontanai. Ero completamente bloccata.
La vidi socchiudere gli occhi e, istintivamente, feci altrettanto, e quando sentii le sue bellissime labbra appoggiarsi delicatamente sulle mie, mi sembrò che una bomba stesse scoppiando dentro di me.
Non sentii più nulla. Le voci e la musica che ci stavano circondando sparirono in un attimo, mentre la testa prese a girarmi all’impazzata. Venni sconvolta da un vortice di emozioni contrastanti che non riuscivo a riconoscere e a controllare.
Rimanemmo alcuni istanti ferme così, come l’immagine perennemente immobile di una fotografia. Poi sentii la sua mano togliersi dalla mia e, subito dopo, venire ad accarezzarmi la guancia sinistra.
Mai nessuno mi aveva toccata così delicatamente. Pensai che mi stesse sfiorando con una piuma leggerissima, e mentre le sue labbra non si staccavano dalle mie, venni attraversata da un ultimo pensiero razionale: “cazzo, stavo baciando la mia migliore amica!”.
Non so quanto a lungo restai con le sue labbra sulle mie, avevo completamente perso il senso del tempo, e fu lei che interruppe quell’incredibile momento, allontanandosi leggermente da me. Avevo immaginato che prima di staccarsi avrei sentito la sua lingua entrarmi dentro, e invece no. Si staccò da me con la stessa leggerezza con cui mi aveva baciata.
Fu solo allora che riaprii gli occhi, e mi trovai completamente immersa nella profondità dei suoi, che mi stavano guardando come non mi aveva mai guardata nessuno. Poi quella luce di passione sconvolgente che mi stava ipnotizzando sparì dal suo sguardo, come per magia.
La vidi allontanarsi e rimettersi seduta normalmente, come prima, mentre le sue dita abbandonavano la mia guancia per tonare sulla mia mano.
Restammo a fissarci in silenzio ancora per alcuni secondi. Poi vidi un sorriso disegnarsi su quelle labbra perfette, che le mie avevano appena conosciuto così da vicino, e la sua voce tornò a riempire lo spazio che si era creato fra noi. “Scusa”, mi sussurrò. “Mi è venuto istintivo. Sei così bella…”.
Non riuscii a parlare. Ero ancora troppo sconvolta.
Si rese conto del mio imbarazzo e continuò: “non volevo darti fastidio. Mi spiace”.
Le sue scuse mi risvegliarono. Provai il bisogno di dirle qualcosa, di tranquillizzarla. Non volevo trasmetterle emozioni negative. Sentivo il bisogno di vederla felice.
“Ma no…”, furono le parole che mi uscirono dalle labbra un po' strozzate. Poi ripresi coraggio e mi feci più sicura: “Nadia… non ti preoccupare… va bene così…”.
Abbassò lo sguardo per un istante, poi ricominciò a guardarmi: “no… scusa…”.
“Nadia, va bene, davvero. Sono un po' in imbarazzo. Mi sembra di sentire addosso gli occhi di tutti…”.
Perché dissi quella frase?
Lei sorrise e mi apostrofò: “ma se siamo in un locale gay…” e poi si mise a ridere.
Il fatto che mi unii alla sua risata contribuì a stemperare la tensione, ma quella sensazione di calma durò poco. Lei lasciò passare qualche secondo, mi accarezzò lievemente la mano e mi chiese: “non hai mai pensato di fare l’amore con una donna?”.
Rimasi agganciata ai suoi occhi e lasciai che entrassero nelle mie fantasie: “qualche volta…”.
Si illuminò: “ma vah? Ah! Lo sapevo che una come te non poteva restare indifferente alla bellezza di certe donne…”.
“Ma perché? Tu l’hai mai fatto?”.
Rise ancora, e la risata si confuse alle sue parole: “Eli… certo che l’ho fatto…”.
Rimasi in silenzio a guardarla. Quella confessione così semplice e diretta mi tolse il fiato.
Continuò, senza mai togliere i suoi occhi dai miei: “è da almeno dieci anni che vado a letto con le donne. E ti posso garantire che mi piace un casino”.
“Ma… e l’Ale?”.
“Cosa c’entra l’Ale. Faccio sesso anche con lui, naturalmente. Cioè, non è che vado solo con le donne. Diciamo che vado ‘anche’ con le donne. Sono bisex…”.
Borbottai: “non l’avrei mai detto…”.
“Sei scioccata?”.
Ci pensai su un po': “no, no, figurati… è solo che pensavo ti piacessero gli uomini”.
“Beh, in effetti, mi piacciono anche gli uomini. Diciamo che sono una donna che non mette limiti al piacere”.
Lasciai andare le mie parole, che si stavano facendo più sicure. Ormai avevo superato il colpo: “ma se dovessi scegliere tra un uomo e una donna, chi sceglieresti?”.
Ci mise qualche secondo e poi mi rispose: “mah, dipende un po' dal momento, ma in generale credo che sceglierei la donna”.
“Ah si?”.
“Si. Devo dire che una donna ti sa far godere come un uomo non sarà mai in grado di fare”.
“Questa è una cosa che ho già sentito dire…”.
“… e che qualche volta ti ha portata a pensare che tutto sommato… se capitasse l’occasione…”.
Mi stava sorridendo, e non aveva ancora smesso di accarezzarmi la mano.
Restammo alcuni lunghi istanti a guardarci intensamente, senza più accorgerci del mondo che ci girava intorno. Poi la sua voce tornò a colpirmi al cuore: “Eli… ho una voglia pazzesca di baciarti…”.
“Nadia…”, non sapevo cosa dire.
Sentii la sua mano sinistra sulla mia coscia destra, sotto il tavolo. Aveva preso ad accarezzarmela dolcemente, mentre io cercavo parole che non riuscivo a trovare.
“Sei bellissima…”, mi sussurrò.
“Non so se sono pronta…”.
“Vorrei tanto che lo fossi…”.
La sua mano salii ancora di più sulla mia coscia, infilandosi sotto la gonna.
“Nadia...”.
“Eli… non sai quante volte ti ho desiderata…”.
“Oddio… non lo so… ho paura…”.
“Di cosa?”.
“Non lo so… è così strano…”.
“Vuoi venire in bagno con me?”.
La sua proposta mi trafisse il petto come la lancia di un cavaliere e non riuscii a rispondere.
Si alzò e mi prese per mano, spingendomi ad alzarmi a mia volta.
“Oddio, Nadia…”.
“Vieni…”. La sua voce era un sussurro e non mi diede il tempo di replicare.
Si voltò e si incamminò verso la toilette, tenendomi per mano. La seguii come un cane segue il padrone. Non ero più in grado di controllare le mie gambe e le mie reazioni. Non riuscivo a credere a quello che stavo facendo. Avevo ceduto alle avances della mia migliore amica e la stavo seguendo in bagno, dove non sapevo ancora cosa sarebbe successo, ma sapevo che sarebbe stata un’esperienza sconvolgente.
Avevo chiarissima la certezza del fatto che stavo andando a fare la mia prima esperienza lesbica, e non riuscivo a resistere alla tentazione che si stava impadronendo di me. Il brivido leggero che era affiorato per la prima volta nella mia mente era ora diventato una scossa intensa che mi stava attraversando tutto il corpo.
Seguii la Nadia in silenzio, lasciando che i miei occhi si perdessero sulla sua linea. Cazzo, anche vista da dietro, era una donna stupenda. I suoi fianchi, le sue gambe e il suo culo erano un richiamo irresistibile che avvertivo per la prima volta.
Ci vollero pochi istanti per arrivare alla porta della toilette, nella quale entrammo senza esitazione.
C’erano un paio di rubinetti a sinistra, mentre a destra tre box, uno in fila all’altro. Non c’era nessuno e lei si diresse dritta all’ultimo.
“Entriamo qui…”, mi sussurrò mentre mi tirava dietro di sé.
Quando chiuse la porta alle nostre spalle ci trovammo da sole in uno spazio piccolo e silenzioso.
Mi spinse delicatamente contro il muro, sprofondai nei suoi occhi e sentii il fuoco addosso, quando mi accarezzò ancora sulla guancia sinistra.
“Oddio, Eli… finalmente…”.
Non riuscivo a parlare. Ero paralizzata.
Ogni frazione di secondo che lei passò avvicinandosi a me, mi si impresse a fuoco nell’anima. Sentii le sue labbra sulla mia guancia destra, e la sua voce appena accennata: “sei bellissima…”.
Ci guardammo un’ultima volta e poi la sentii su di me. Mi mise la mano sinistra dietro la schiena e mi abbracciò, schiacciandosi sul mio corpo. Istintivamente le misi entrambe le mani sulle spalle e chiusi gli occhi. Sentii le sue labbra sulle mie e poi, un secondo dopo, le sentii aprirsi leggermente.
Sapevo cosa sarebbe successo, ma quando accadde veramente il sangue mi si gelò nelle vene. Sentii la sua lingua entrarmi in bocca, cercare, trovare la mia lingua e poi perdercisi sopra, addosso.
Cominciò a muoverla lentamente sulla mia, avvolgendola, accarezzandola, e poi succhiandola e attirandola nella sua bocca. Mi lasciai andare e mi arresi a quel bacio saffico che mai avrei pensato di poter vivere.
Ci baciammo a lungo, e fu un bacio profondo, caldo e intenso. Non ricordo da quanti anni non venivo sconvolta da una passione così devastante.
Mi tuffai nel suo profumo, dolce e fruttato, e provai un piacere pazzesco nel sentire il suo corpo su di me. Abbassai la mano destra sul suo fianco sinistro e la lasciai scivolare sulla sua schiena, restituendole l’abbraccio che mi stava dando. La strinsi a me con quanta forza avevo in corpo, mentre le mie labbra si erano ormai completamente aperte, lasciando che la mia lingua si tuffasse in continuazione nella sua bocca.
Avevo la sua saliva dappertutto e cominciai a deglutire, provando un brivido di piacere nel sentirla scendere in gola e nello stomaco.
Non so come accadde, ma la mia mano destra prese a scendere sul suo corpo e mi ritrovai a toccarle il culo. Lo sentii sodo e perfetto, così come mi era sempre apparso, e cominciai a palparglielo con forza, con un gesto intenso e volgare che non mi sarei creduta capace di fare.
Fu a quel punto che sentii il suo corpo staccarsi di qualche centimetro dal mio e capii immediatamente il perché. Allungò entrambe le mani sui bottoni della mia camicia, che prese a slacciare lentamente, partendo dall’alto.
Non riuscii a reagire e la lasciai fare. Pochi secondi dopo mi stava aprendo completamente la camicia. Mi abbassò il reggiseno e lasciò che le mie tette schizzassero fuori in tutta la loro splendida grandezza.
Il brivido che mi stava attraversando il corpo divenne un terremoto devastante quando sentii la sua mano destra accarezzarmi dolcemente il seno. E quando arrivò al capezzolo sinistro, lo prese con indice e pollice e me lo strizzò, dapprima delicatamente, e poi con sempre più forza, fino a farmi soffiare nella sua bocca un mugolio di piacere: “oddio… Nadia…”.
Si staccò dalle mie labbra, interrompendo il bacio più intenso della mia vita, e ricambiò il mio sospiro: “siii… Eli… ti voglio tantissimo…”. Detto questo si piegò leggermente su di me e cominciò a leccarmi il seno, e quando si mise a succhiarmi il capezzolo destro, credetti di perdere i sensi, tanto intenso era il piacere che mi stava dando.
Ero talmente presa dalla sua lingua e dai piccoli morsi che mi stava dando, che non mi accorsi del movimento della sua mano destra, che si era staccata dal mio capezzolo sinistro.
Me la sentii arrivare improvvisamente in mezzo alle gambe con l’intensità di una cannonata. Me la mise con forza sulla fica, stando sopra la gonna, ma me la spinse contro con tanta passione che mi parve mi stesse entrando dentro.
Fu solo in quel momento che la razionalità tornò a impadronirsi di me. Riemersi dal piacere profondo che stavo provando e presi consapevolezza che la mia migliore amica mi stava leccando le tette e palpando in mezzo alle gambe, mentre io non avevo ancora tolto la mia mano dal suo culo.
“Cazzo, Nadia…”. In una frazione di secondo decisi che dovevamo fermarci. Le misi entrambe le mani sulle spalle e la allontanai delicatamente da me.
Si staccò a fatica dal mio capezzolo e piantò i suoi occhi scuri nei miei.
“Oddio, Eli…”, la sua voce era un sussurro. “Che c’è?”.
“Cazzo, Nadia… non possiamo…”.
Mi guardò con uno sguardo interlocutorio: “perché no?”.
Mi presi qualche secondo e cercai di recuperare una respirazione normale: “sei la mia migliore amica…”.
“E allora?”.
“Cazzo… non lo so, Nadia… non mi sento pronta…”.
La sua espressione si addolcì in un sorriso e mi diede un leggero bacio sulle labbra. Mi passò la mano destra nei capelli, accarezzandomi la testa, e poi mi disse sottovoce: “Eli, sei bellissima. Mi ecciti un casino. Non sai quante volte ho sognato di fare l’amore con te… ma se non sei pronta, va bene. Aspetterò”.
Mi sistemò il reggiseno e mi riallacciò lentamente la camicia, come una madre con la figlia.
Quando ebbe terminato mi diede un altro bacio sulla guancia sinistra. “Andiamo”, mi disse accarezzandomi. “Torniamo al tavolo”.
Mi riportò in sala standomi davanti e tenendomi per mano esattamente come aveva fatto prima. Fu solo allora che mi ricordai dove eravamo e razionalizzai nella mia mente il fatto che avevo passato gli ultimi minuti a limonare intensamente con quella donna bellissima che tanti uomini, mio marito compreso, avevano desiderato.
Tornammo ai nostri posti e mi lasciai andare ad una lunghissima sorsata del drink che avevo ritrovato sul tavolo. Non ricordavo cosa fosse, ma ebbe l’effetto dell’acqua dell’oasi nella quale si tuffano coloro che attraversano il deserto.
Avevo sicuramente uno sguardo stravolto quando ritrovai gli occhi della Nadia.
Mi stava sorridendo e mi chiese: “ti è piaciuto baciarmi?”.
Risposi d’istinto: “cazzo, Nadia, si. Mi è piaciuto un sacco ma, scusa se mi sono fermata. Davvero, non mi sento pronta”.
“Non ti preoccupare. Ti capisco. Anch’io la prima volta ho fatto fatica e ci ho messo parecchio prima di accettare il fatto di essere un po' lesbica. Poi, piano piano, un’esperienza dopo l’altra, ho preso sempre più consapevolezza del fatto che la fica mi piace un casino… molto più del cazzo…”, e scoppiò in una risata allegra che ebbe l’effetto di tranquillizzarmi un po'.
“In ogni caso”, continuò dopo qualche secondo, “venerdì sono a casa da sola. Marito a Roma per lavoro e figlia al pigiama party per il compleanno di sua cugina. Sarò sola tutta la notte…”. Mi tirò uno sguardo profondissimo e concluse la frase: “se vuoi venire a trovarmi e farmi compagnia… potremmo stare un po' insieme…”.
Non riuscii a evitare di sorridere e boffonchiai: “cazzo, Nadia… non lo so… Te l’ho detto. Non mi sento pronta”.
Allungò la sua mano sinistra sulla mia coscia, che prese ad accarezzare dolcemente e mi sussurrò, con un tono da diavolo tentatore: “tesoro, oggi è martedì. Hai tre giorni per prepararti ad essere pronta…”, e scoppiò in una nuova, allegra risata.
Restammo in quel locale ancora una ventina di minuti, che passai presa da mille emozioni contrastanti. Emozioni che nei tre giorni successivi non mi lasciarono neanche per un secondo.
Accettare o rifiutare? Non avevo la più pallida idea della decisione che avrei preso.

- CAPITOLO 2 –

Nei giorni successivi all’esperienza che avevo avuto con la mia migliore amica, Nadia, nel bagno di un locale gay in cui ci eravamo baciate appassionatamente, cercai di tornare alla mia vita di sempre. Non riuscivo però a togliermi dalla mente l’idea di quello che avevo fatto. La follia della sua lingua nella mia bocca e sul mio seno, le sue mani su di me, il suo sapore, il suo profumo, e la sensazione di avere sempre il suo culo nelle mie mani mi tennero per tre giorni in uno stato di tensione continua.
Come facevo a non pensare alla sua proposta?

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