Mariano e Maria scherzano molto sull’assonanza dei nomi che, secondo lei, indicano un destino già scritto: ed è perfettamente inutile che lui cerchi di convincerla che a due anni di distanza - lui andava verso i ventidue, lei appena venti - in due città piccole ma abbastanza lontane - lui di Spoleto, lei di Arezzo - è in concreto impossibile che qualcosa o qualcuno abbia voluto o potuto collegare i due eventi; nonostante tutto, si trovano innamorati e si impegnano allo spasimo per raggiungere gli obiettivi: lui si laurea in legge nei tempi previsti dal calendario dell’Università; lei ottiene con qualche difficoltà la laurea in Lingue che, come sa bene, la può avviare solo al’insegnamento per il quale non ritiene di avere talento e che non le interessa; ma in tempi rapidissimi Mariano riesce ad imporsi come avvocato di grande successo e a diventare rapidamente referente di grandi industriali dell’area perugina, che si fidano di lui in quegli anni di ‘rampantismo’ in cui essere abili e spregiudicati forniva occasioni uniche, per crescere a livello europeo; in breve il loro tenore di vita diventa da ricchi, più che da agiati borghesi: lui si impegna allo spasimo in quell’attività e alla fine si parla di lui come di un ‘consigliori’ capace di determinare la sorte di grandi aziende; Maria preferisce starsene in casa e vivere ‘di rimessa’ il benessere che lui costruisce.
Nel privato, la loro condizione appare quasi ideale: da quando si sono incontrati, si sono accorti che il loro senso del piacere fisico coincide: lui ama il sesso calmo, pacato, con lunghissimi preliminari che a volte addirittura svuotano di ogni energia; quando arrivano alla penetrazione, per lei si tratta quasi di una conclusione da raggiungere per sdilinquire; lui invece, al momento di penetrarla, comincia a godere quasi selvaggiamente; e non sono in contraddizione i due atteggiamenti, perché Maria non ama il sesso che la penetra con violenza, la sfonda e la fa godere da matti; il suo piacere vero sta nella cura e nella calma con cui tira fuori l’uccello dalle mutande, se lo giocherella tra le mani e da via ad una masturbazione che sa rendere infinita, interrompendo continuamente la manipolazione; quando poi decide di praticare una fellatio, fa un autentico lavoro ‘di fino’ cominciando dalla cappella che lecca devotamente dal meato urinario, attraverso il frenulo giù fino all’asta che percorre solitamente per tutta la superficie: quando decide finalmente di prenderlo in bocca e di farlo spingere fin oltre l’ugola, lo fa con profonda convinzione, quasi adorando il sesso che le scivola sul palato accompagnato dalla lingua che non smette di accarezzare l’asta e di accompagnarla nel movimento di vai e vieni fino all’esofago, senza mai sbagliarsi e arrivare ai conati di vomito.
L’amplesso prevede quasi sempre una spagnola che Maria ha imparato a fare con abilità, ma anche con calma e serenità, godendo addirittura con le mammelle mentre lui scivola in mezzo: per effetto della consistenza dell’asta di Mariano - decisamente in un’area medio/grande, leggermente al di sopra dell’ordinario - quasi sempre fa arrivare la punta in bocca e lei si muove con grande eleganza ad abbinare spagnola e fellatio; quando è il turno di Mariano di farla godere, la sua lingua larga, a spatola, spazia su tutto l’apparato: è molto bravo, l’uomo, a sollecitare le parti diverse della vulva e dell’ano, adattando la leccata alla bisogna, passando a larghe falde sulle superfici ampie, dal sedere al perineo fino al monte di venere, ed assottigliandosi dove deve ‘lavorare di fino’, vale a dire sulle grandi labbra e sulle piccole, sull’ingresso alla vagina ma soprattutto sul clitoride che normalmente succhia amorosamente fino a che sente almeno il secondo orgasmo di lei esplodergli nella bocca; lo stesso vale per i seni, di cui ama appassionatamente la consistenza ampia e carnosa dove la lingua gioca a spaziare in larghe tracce, mentre si affina e delicatamente solletica aureola e capezzoli, fino a farla godere; quando prende in bocca un capezzolo e comincia a succhiare, allora veramente Maria va ai matti dal piacere; un discorso a parte meriterebbe il sessantanove dove ormai sono specialisti e si sanno dare intensissima gioia, alternativamente, fermandosi quando l’altro intensifica l’azione e impegnandosi quando l’altro si ferma.
Poi cominciano la copula, la prima volta alla missionaria; ma, nel corso dell’amplesso, si dilettano in varie e diverse posizioni, fino alla pecorina più classica: la mazza di lui quasi sempre urta dolorosamente la cervice dell’utero, perché è abbastanza consistente; ma in breve sono riusciti a fare in modo che lei non provi fastidio, imparando a frenarsi o a frenare quando la spinta va oltre il limite possibile; quando è la moglie a cavalcare, lei da il ritmo a tutto e c’è da dire che ormai sono una macchina molto oliata per il sesso; l’unico cruccio per Mariano è che lei gli ha detto chiaro che non cede l’ano a nessun costo: non le va e non farà mai sesso anale.
Quello che manca, alla totale felicità, è la nascita di un figlio che attendono con ansia per quasi dieci anni: si danno da fare spesso, e volentieri, perché lei rimanga incinta; ma per quanto si accoppino ad ogni ora del giorno e della notte, per quanto facciano sesso in tutti i modi e in tutte le varianti possibili, l’evento non compare sul loro calendario biologico; di colpo, allo scadere dei dieci anni di matrimonio, Maria annuncia quel ritardo che attende con ansia: sono felici oltremodo e da quel momento non vivono che per il bambino che deve nascere: sono momenti di ansia feroce, quando anche un piccolo segnale (qualche macchia imbarazzante nell’intimo di lei, che immediatamente fa temere un aborto spontaneo; malesseri inspiegabili di Maria che fanno temere per la sua salute: insomma tutti quei piccoli segnali che fanno tremare una coppia in lieta attesa) mette sul chi vive per il terrore di perdere una ‘conquista’ tanto sofferta.
Sono anche momenti di un entusiasmo esaltante, ogni volta che lei va in ospedale per un’ecografia di controllo: si trovano a seguire, grammo per grammo, centimetro per centimetro, la crescita di quella cellula inseminata che diventa a mano a mano il loro figlio atteso e amato già nel ventre della madre; qualche ombra sul viso di lei non intacca assolutamente la gioia di Mariano che ascolta i ‘calci’ nel ventre e gode come un matto all’idea che suo figlio si agita nel desiderio di vedere la luce e di incontrare papà e mamma; riducono anche, e notevolmente, la loro attività sessuale, a mano a mano che il pancione cresce e viene misurato con passione morbosa quasi ogni giorno per verificare di quanto il loro Nicola (anche il nome è stato già deciso) abbia inciso sulla ‘linea’ di sua madre che resta comunque una donna meravigliosa ed ancora più appetibile, con la gravidanza.
Il giorno in cui hanno le prime avvisaglie del parto imminente, si precipitano insieme all’ospedale e Mariano si fa dare una camera accanto a sua moglie, per esserle accanto ogni secondo degli ultimi giorni ed essere lì quando suo figlio vedrà la luce; col potere che si è conquistato nel lavoro, riesce, per telefono e per computer, a gestire tutte le complesse attività di cui è centro ineludibile per tutti gli industriali della zona; da lì dirige tutte le delicate operazioni per fare entrare una delle aziende privilegiate, quella di cui è il maggiore azionista, nel novero di quelle ammesse ad importanti contribuiti europei per aziende, o pool di aziende, operanti in Europa; con gli stessi mezzi, apre a Tenerife una sua piccola attività, con l’intento di creare le condizioni, quando deciderà, di trasferirsi con la famiglia al sole e di godersi il benessere raggiunto.
Il giorno che Nicola nasce, passa tutte le ore del travaglio a passeggiare, avanti e indietro, nel corridoio della sala parto, tremando ad ogni rumore, ad ogni movimento, a qualunque cenno degli operatori: quando finalmente suo figlio vede la luce e gli comunicano che madre e bambino stanno benissimo, esplode in movimenti inconsulti di gioia, abbraccia tutti quelli che incontra sulla sua strada (con scandalo di qualcuno) ed è l’uomo più felice della terra; quando può incontrare la moglie, le comunica tutta la sua felicità con frasi, banali e becere, che gli restano dentro, e si fissano in lei, come epigrafi incancellabili; la bacia delicatamente, trasmettendole tutta la dolcezza di cui si sente colmare; l’ombra nera che passa sul volto della moglie non lo colpisce; lei la scaccia, quasi, con la mano e, appena è possibile, tornano alla loro casa dove, alla prima occasione, si amano perdutamente e fisicamente fino a svuotarsi; poi cominciano a dedicarsi al figlio, di cui seguono con amore tutte le ‘prime volte’, dai passi incerti ai dentini, dal raffreddore ai primi balbettamenti.
Sono passati due anni, da quel giorno, e Mariano continua a vivere la sua favola meravigliosa, con la moglie che adora come una madonna sull’altare, e con il figlio che è la ragione prima ed unica della sua vita, quasi la certezza che non morirà del tutto perché qualcuno continuerà la sua vita all’infinito; Maria ha dimenticato persino le nuvole che ingombrano il suo cielo azzurro; si gode la maternità con tutta la dolcezza che le ispira il frugoletto che le sgambetta tra i piedi.
Ogni tanto, capita che lui debba buttarsi nel lavoro con tutta l’anima, finché i problemi non sono risolti; quello è appunto per lui è un periodo particolarmente fervido di attività, tra appalti, concorsi, commesse ed iniziative varie che riguardano le aziende di cui cura gli interessi; questo comporta che deve spostarsi in altre città per convegni, incontri, discussioni spesso sterili; qualche volta si è portato, in passato, anche sua moglie che è rimasta però delusa perché si aspetta una sorta di vacanza e si trova nel mezzo di una guerra; un incontro è fissato a Roma anche stavolta, ma rinuncia a priori ad invitarla, perché sa che sarà un incontro di basso livello, con imprenditori di qualità non eccelsa che vogliono strappargli l’impegno a farli entrare in un concorso europeo per una notevole cifra di contributi: avrebbe in mente di far attribuire il ruolo di partner alla sua azienda a Tenerife, che un caro amico conduce per suo conto, ed accaparrarsi in pratica tutta la commessa; ma per una forma di lealtà professionale verso ‘i romani’ esita ed è decisamente incerto se seguire la testa, offrendo ad altri la possibilità di crescere ed aprendo razionalmente il ventaglio dei partecipanti; o se affidarsi al cuore e preoccuparsi, innanzitutto e soprattutto, dei suoi personali interessi occupando tutto lo spazio con le ‘sue’ aziende.
A Roma, finisce per trovarsi in un ristorante con una decina di compagni di tavola, chiassosi e piuttosto volgari; dopo brevi accenni agli impegni possibili, passano al pranzo, che sembra essere l’obiettivo primario dei suoi convitati; ben presto il dialogo a tavola assume toni pecorecci con riferimenti pesanti e volgarità diffuse; uno dei partecipanti, contitolare con suo padre dell’azienda che più di tutte preme per essere cooptata nel progetto, gli chiede se è di Perugia; gli chiarisce che vive là e il commento è di quelli che disgustano; ricorda Perugia perché ha avuto lì una storia di quasi tre mesi con una signora giovane e molto bella, trascurata gravemente dal marito, che lui si è affrettato a consolare ricavandone episodi di sesso straordinari; ricorda in particolare quello il cui prende alla giovane la verginità anale che ‘il cornuto’ non ha mai ottenuto.
Racconta che è andato a prenderla in un punto defilato della periferia, l’ha caricata in macchina e sono andati in un motel a qualche chilometro di distanza; appena entrati in camera, lei lo ha baciato con passione e ha cominciato a giocare con la lingua; lui, più determinato, ha aperto la patta, ha tirato fuori ‘il mostro’ (una bestia di quasi venticinque centimetri, a suo dire) e glielo ha dato in mano da masturbare: lei l’ha fatto con diligenza, con garbo ed anche con una certa efficienza, facendogli provare brividi intensi di goduria già con le mani; poi lui l’ha fatta accosciare e le ha ficcato il sesso in bocca: vede che la donna è in difficoltà con la sua sberla, ma gliela caccia dentro e la copula: dapprima, lei sembra affannare, poi il piacere ha la meglio e gli pratica la più bella fellatio che lui ricordi, si diletta a descrivere i rivoli di sperma che scorrono dalle labbra di lei, mentre ancora tiene la cappella in bocca.
Ci mette poco a riprendersi, aiutato anche dalle tette di lei che sono abbondanti, ben disegnate con due capezzoli tutti da succhiare; quando è di nuovo in tiro, la spinge sul letto, le lecca a lungo la vulva finché lei lo implora di penetrarla in ogni modo; non si fa pregare e la infilza in vagina con un solo colpo; la donna urla come una bestia sacrificata, ma poi si adatta all’ingombro ed è una copula strepitosa; alla fine lui le versa nell’utero un fiume di sperma, senza preoccuparsi se sia o no protetta, tanto è sposata e poi se la vedrà il cornuto; si diffonde poi a raccontare i particolari della penetrazione anale descrivendo minuziosamente il sedere di lei, la sua passione nel leccarlo ed infine la violenza con cui, senza la minima lubrificazione, la sfonda facendola urlare come un agnello al macello, ma guardandola poi godere come una scimmia.
Un commensale gli chiede se la storia è andata avanti e come era finita; il gradasso, Giorgio, dice che per due mesi l’ha posseduta almeno un volta alla settimana in tutti i buchi e in tutti i modi; poi lei ha scoperto di essere rimasta incinta; a quel punto gli ha intimato di sparire perché deve parlare col marito; lui si è ritirato in buon ordine e l’ha dimenticata; ricordandosi che lui è un avvocato aggiunge che anche il marito di lei è un avvocato e che forse la conosce; Mariano gli chiede quando è avvenuta la cosa e come si chiama la donna; gli risponde che risale a poco più di due anni prima e che la donna si chiama Maria, una bella brunetta abbastanza alta e ben messa; lui si sente male, avverte che non può restare per obblighi precedenti, monta in macchina e riparte; si ferma in un parcheggio lungo l’autostrada, si prende la testa fra le mani e piange: ha in casa ed ama una troia ed un bastardino, che considera moglie e figlio.
Sa che sarebbe decisamente vile se pensasse ad una qualsiasi forma di vendetta: si sente abbastanza forte da perdonare a sua moglie la colpa del tradimento; ma non accetta l’idea di allevare un bastardo come figlio e vivere con una donna che per più di due anni ha vissuto al suo fianco nell’inganno; torna a Perugia e, senza passare da casa, va in ufficio per organizzare l’immediata assegnazione del beneficio europeo alle ‘sue’ aziende, a Perugia e a Tenerife: e non per ‘vendicarsi delle corna’ ma perché i richiedenti hanno rivelato la loro vera natura di inaffidabili; torna a casa del solito umore vagamente imbronciato, ma chiede a Maria di dormire nella stanza del bimbo, perché ha bisogno di stare da solo: lo guarda sorpresa e cerca di insistere che vuole aiutarlo a calmarsi; le intima di andarsene.
La mattina seguente, lei entra nella stanza da letto col vassoio della colazione, cosa che non ha mai fatto; le dice soltanto che verso le dieci andranno in ambulatorio tutti e tre per un prelievo di sangue; poiché lei chiede spiegazioni, inventa che persone conosciute, in un momento in cui era indispensabile una trasfusione, hanno scoperto che non erano compatibili tra consanguinei; preferisce accertarlo prima, per prevenire una qualsiasi disgrazia; è evidentemente scettica ma non può respingere la richiesta senza destare sospetti che a questo punto vuole ad ogni costo evitare, considerato che la sua scempiaggine è finita e che non ha motivi per mettersi di traverso ad una decisione di lui; quando vanno all’ufficio accettazione, lui si incarica delle prenotazioni e chiede le analisi di compatibilità per loro tre ma anche un test del DNA comparato tra lui e Nicola: sa per certo che risulterà negativo, ma ha bisogno di un documento ufficiale se opterà per il divorzio: il fatto che Nicola non sia suo figlio gli consentirà di non dover versare assegni a lei; al medico, chiede che gli mandino i risultati in ufficio; ancora una volta, sul volto di Maria sembra passare una nuvola e Mariano stavolta, la vede, ma non se ne cura.
Quando arrivano i risultati dei test, presenta alla moglie solo quelli che attestano la compatibilità tra madre e figlio ma l’assoluta incompatibilità tra Mariano e Nicola, all’anagrafe suo figlio; Maria cerca di balbettare che poteva anche succedere, come lui stesso aveva detto; le fa osservare che forse la risposta è più semplice e lampante; ma lei non vuole capire e l’argomento cade quasi naturalmente; quello stesso pomeriggio convoca la moglie nella direzione della fabbrica, davanti all’Amministratore Delegato, Dario, al quale chiede di studiare un contratto per mettere a ruolo sua moglie come impiegata con un stipendio pari a quello della sua segretaria e di garantire che sia a tempo indeterminato ed efficace anche in caso di vendita o di fallimento; Dario si mette a ridere e gli chiede da dove venisse questa pensata.
“Se dovessi crepare, lei rimarrebbe sola e senza reddito … “
“Beh, ma sei abbastanza ricco da garantirla vita natural durante … “
“E se volessi divorziare?”
Rimane impalato; più ancora si sorprende Maria.
“Mariano, stai pensando di lasciarmi?”
“C’è qualcosa di non detto tra noi che potrebbe suggerirmelo?”
Non risponde; la solita nuvola le passa sul volto; lui gliela fa notare e lei sta per piangere ma finisce per scappare in silenzio; Mariano sa che ha fatto tutto quanto era nelle sue facoltà per rendere il meno gravi possibile le conseguenze di una rottura che ora è veramente nei fatti; a casa, Maria si nasconde in cucina, dietro le faccende, per non affrontare il confronto; e Mariano le chiude in faccia la porta della stanza da letto senza neppure parlare; lei sente che s’è spezzato qualcosa di importante, ma non potrebbe mai intuire che suo marito sia arrivato alla verità, e in che modo c’è arrivato; per un attimo pensa che ci sia di mezzo un’altra donna, poi si vergogna di se stessa, ricordandosi di essere stata lei a spezzare il patto di fedeltà, con le gravissime conseguenze che vede tra le sue braccia, Nicola, figlio di una passione passeggera, fatto attribuire a Mariano dalla sua perfidia e che ora forse diventerà figlio solo suo, anche all’anagrafe; dal momento che suo marito chiaramente la sta lasciando e non si farà certamente carico di un figlio non suo, sarà sufficiente che insieme dichiarino che il figlio è nato fuori del matrimonio da un padre sconosciuto e che assuma il cognome della madre; il gesto di Mariano, di garantirle un lavoro sicuro ‘perché potrebbe voler divorziare’ dice che, come sempre, è lucido fino alla fine e si sta preoccupando per lei anche mentre la sta lasciando; vorrebbe solo sapere come ha saputo e da chi.
Non tarda molto a scoprire la verità: dopo una quindicina di giorni, Mariano è invitato di nuovo a Roma, perché i suoi interlocutori vogliono risposte sul progetto; chiede a Maria di accompagnarlo, col bambino; si meraviglia molto, ma accetta in silenzio; non è lungo, il percorso da Roma a Perugia, ma occorre più di un’ora: la passano in un silenzio glaciale che dice tutto il rancore di lui e tutta la paura di lei; il posto è lo stesso ristorante della volta precedente; anche gli invitati sono gli stessi e Mariano presenta a ciascuno sua moglie; quando arriva a Giorgio, che si è messo ultimo della fila, tace per un poco; poi sbotta.
“Non vorrete veramente che vi presenti io, dopo che insieme avete fatto nascere questo bastardino … “
E indica Nicola; tutti allibiscono, poi si allontanano commentando e bestemmiando; il padre di Giorgio si siede in preda un malore; la moglie del coatto prende i figli e scappa via; un tale che ha l’aria di essere l’avvocato dell’azienda gli chiede che succede del progetto.
“Lei lavorerebbe con persone di questo genere?”
“A Giorgio piace fottere, ma questo non significa niente in un grande progetto.”
“Forse a mia moglie è piaciuto farsi fottere; io sono di un’altra pasta e se lei aggiunge una parola in difesa di quell’essere ignobile, contitolare dell’azienda, la denuncio all’Ordine per incompetenza … “
Restiamo solo noi tre; chiedo a Maria cosa voglia fare.
“Voglio tornare a casa … “
“Quale casa? … “
“La nostra: la tua certamente, ma anche ancora la mia e di nostro figlio … NOSTRO FIGLIO, lo capisci?; andiamo a parlare in privato; cerco di spiegarti cosa significa per me FIGLIO … “
“Strano che tu lo dica davanti al padre naturale … Andiamo comunque.”
Escono e salgono in macchina; in autostrada, Mariano propone di fermarsi a mangiare; lei lo segue a testa bassa; mangiano un piatto di pasta in gelido silenzio; poi Maria dà la stura ai suoi pensieri accavallati.
“Mariano, io ti amo: ti ho amato sempre, anche se ho avuto una sbandata imperdonabile; sono stata sfortunata, molto sfortunata: tra milioni di abitanti di una città come Roma sei finito a tavola proprio con l’unico uomo che non avresti mai dovuto incontrare; quel porco non ha perso tempo a vantarsi delle sue bravate e tu hai capito tutto; hai fatto fare anche il test del DNA, l’ho saputo dall’infermiera; ed ora hai il documento che dichiara che, se chiedi il divorzio, neppure gli assegni per il figlio mi devi passare. Grazie per avermi assicurato il lavoro: sei un galantuomo, no se un UOMO vero, e grande: anche nel dolore della fine, ti sei preoccupato per me. Ma io ti ripeto che Nicola è NOSTRO FIGLIO; avrei potuto abortire e ci avevo anche pensato; poi mi sono ricordata quanto entusiasmo ci mettevamo a cercare quel figlio: potevamo ricorrere all’inseminazione artificiale coi tuoi spermatozoi, ma c’erano gravi indizi che non fossero utili; ho pensato che potevo regalatelo io, il figlio, anche se era frutto di una colpa gravissima; addirittura, pensa, ritenevo che darti un figlio mi lavasse dalla colpa di averti tradito: mi difendevo pensando che facendo sesso ti avevo consentito di essere padre; ma erano fantasie di stupida ragazzina non cresciuta, anche se avevo trent’anni.”
“Ma ti rendi conto delle fandonie che dici? Un figlio avuto con un altro dovrebbe essere MIO FIGLIO … “
“Però tu non sapevi che ero già colpevole di adulterio; era un surrogato, se vuoi, ma era NOSTRO FIGLIO. Mariano, cerca di capire che ti ho tradito, quella volta, ma ho imparato e non mi azzardo nemmeno a pensarlo; non ti voglio tradire adesso. Voglio e devo ricordarti, senza neanche scendere nei particolari (perché non sembri che ti voglia commuovere) quante pene abbiamo sofferto nelle prime settimane, quando sembrava che quell’ovulo fecondato non volesse attecchire, forse perché già sentiva il peso di una colpa non sua; tu non puoi ricordare il tuo viso, l’ansia, il terrore che quel bambino non crescesse; però sono certa che non hai dimenticato le visite in ambulatorio per le ecografie e le emozioni che ci ha dato vedere quell’esserino crescere, riconoscerne il sesso, spaventarci per ogni piccola anomalia; per favore, non costringermi a diventare patetica per ricordare i calci nella pancia, le ore di attesa in sala parto; e poi, dopo, tutte le prime cose che NOSTRO FIGLIO (allora non avevi problemi, non avevi dubbi: era ED E’ nostro figlio) è andato imparando da te, oltre che da me, come per esempio cercare di convincerlo a dire ‘papà’ dopo che aveva già detto ‘mamma’. Avvocato, un figlio è questo, non è un sesso in vagina che spara sperma e si dimentica, non è uno spermatozoo che vince la corsa sugli altri; è amore, è dedizione, è totalità. Io ho una colpa imperdonabile: solo tu, con la tua forza, se vuoi, puoi perdonarla e so che forse l’hai perdonata; io non posso più rimediarci; non posso tornare indietro; se vuoi, domani stesso vado in tribunale e dichiaro che il figlio è nato da padre ignoto fuori del matrimonio, che non ha niente a che fare con te, col tuo patrimonio, con le tue ricchezze: è semplicemente MIO figlio. Io lo amo per questo. Voglio però che tu sappia che amo anche te quanto e come non ti riesce più di accettare e che, da quella volta, ti sono appartenuta come mai era stato prima, quando eravamo giovani e spensierati, quando mi hai sverginato. Puoi divorziare, è tuo diritto e non farò nessuna obiezione; dichiarerò che non sei il padre di mio figlio; mi farò bastare lo stipendio che la tua carità mi ha consentito. Ma il figlio è e resta nostro, perché ha il tuo imprinting nei gesti nelle poche idee che riesce a formulare, nel modo in cui vive casa tua, prima che nostra; è nostro figlio. Se te ne convinci, non ti chiedo più di essere tua moglie: fammi fare la serva, la schiava, lo zerbino di casa; ma non mi cacciare via, non divorziare, soffri con me questo momento e cerchiamo di costruircene ancora altri, di felicità, di unità, di amore. Ti prego in ginocchio: so che hai perdonato e che hai anche la forza per dimenticare; supera questa vicenda, sii te stesso e vai oltre la mia stupidità, la stupidità di tutti. Te ne prego, per mio figlio, per me, per dodici anni di amore interrotti solo per pochi mesi da una follia. Dimmi solo che ci penserai.”
“Maria, ti giuro che ho tutti gli elementi per pensarci. Ma c’ è un cosa che ancora non sai: ho una aereo che parte domani mattina; mi porta lontano, non so neppure io dove né per quanto tempo. Se mi dovessi rendere conto che voglio veramente buttare il cuore oltre l’ostacolo e tornare ad essere l’uomo che ti adorava senza se e senza ma, ti giuro che tornerò alla nostra casa, al nostro amore, a nostro figlio; ma, finché non avrò questa forza, questo coraggio, mi dispiace ma dovrai fare da sola: la casa è lì e ne sei padrona, in mia assenza; lo stipendio ti sarà pagato regolarmente, anche se non lavorassi, e ti consentirà di vivere; se dovessi avere particolari esigenze, c’è un fondo apposito di cui dispone Dario e puoi chiedere a lui: avrai sempre quello che ti serve; ma non riuscirai a rintracciarmi, perché io non lo voglio. Cerca di vivere la tua vita, per te e per tuo figlio; se trovi un uomo che sia degno del tuo amore, rifatti una famiglia: non te ne vorrò, anche se ci starò male, perché anch’io ti amo, più di quanto puoi pensare, più di quanto io possa accettare in questo momento. Questo per ora è un addio; se si trasformerà in un arrivederci, sarà solo perché lo avremo voluto noi.”
Mentre stanno per alzarsi da tavola, dalla televisione che è sintonizzata su un telegiornale locale viene l’annuncio di una grande crisi che crea gravi danni all’occupazione perché rischia il fallimento un’impresa edile, sommersa dai debiti e che puntava su un concorso europeo per risollevarsi dal baratro; Mariano sembra punto da una vespa, prende il telefonino e fa un numero; Maria capisce che sta parlando con Dario e si vorrebbe allontanare; il marito la blocca e continua quasi ad impartire ordini: la fabbrica va rilevata, qualunque sia il debito da coprire; il lavoro degli operai va garantito e va sbattuta sul lastrico la famiglia che l’ha condotta allo sfacelo; la moglie gli chiede se sta parlando del’azienda di Giorgio e che cosa sta facendo lui; Mariano le conferma che la fabbrica è quella e che ha ordinato a Dario di rilevarla.
“Pensi che la mia sia una sporca manovra per vendicarmi delle corna?”
“Amore, non sono così imbecille: ho sentito benissimo che hai fatto la scelta più ammirevole: salvare gli operai e affossare gli imbecilli. In quanto alle corna, sono vere, non posso negare l’evidenza; ma, tra sesso e amore, c’è un abisso: solo un cafone che neppure rispetta la privacy di una donna che gli ha ceduto può parlare di te come di un ‘cornuto’; io preferisco pensare all’uomo che amo alla follia e che ho tradito come una collegiale imbecille affamata di sesso: e questo ficcatelo bene in testa: sono colpevole, ma forse ho qualche attenuante … Perdonami: non è dignitoso, ma io comincerò a piangere da adesso e non la smetterò fino a quando non ti vedrò tornare da me innamorato come sei e come sei sempre stato, cancellando quelle ‘corna’ che non meriti e di cui sono l’unica colpevole.”
Piange davvero da quel momento e fino a quando lo vede prendere il taxi che lo porta all’aeroporto; poi si rimbocca le maniche, guarda suo figlio con amore e va a trovare Dario; gli comunica formalmente che non vuole rubare uno stipendio, che prenderà servizio attivo e che vuole rendersi utile a tutti, soprattutto a se stessa; Dario la accarezza e la invita a prendere servizio quando può.
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