Arriva l’estate più lunga e difficile che potessi immaginare; Enzo suggerisce che, per i primi contatti e l’ambientazione, è necessario ed opportuno che io passi in Calabria un paio di settimane di vacanze al mare, coi figli: lui deve rimanere in sede per i primi giorni e ci raggiunge solo verso la fine, quando può ritagliarsi un week end lungo da trascorrere con noi; approfittiamo dell’occasione per cercare un alloggio a Reggio, per l’anno di trasferimento d’ufficio, mentre per la vacanza scegliamo un villaggio turistico non lontano dalla città.
Per la prima volta da quando la vicenda ha avuto inizio, ho una grande ansia addosso: nella mia lunga carriera di insegnante, non ho avuto occasioni per trasferirmi; sin dai primi incarichi sono stata assegnata a scuole della provincia di residenza e sono giunta rapidamente a trovare la cattedra nel Liceo cittadino dove sono diventata una mezza autorità anche perché il mio lavoro è stato sempre molto valido ed apprezzato da tutti; la ‘botta’ che mi è piovuta in testa ha naturalmente sconvolto tutti i miei assetti; in particolare mi pesa la totale inesperienza a dovermi rapportare con gente nuova.
Gli ultimi mesi nel ‘mio’ Liceo sono per me assai difficili sia all’interno della scuola (dirigenti, docenti, personale ed alunni) sia all’esterno, soprattutto con i genitori: proprio questi sono i più feroci nel condannarmi quando lo scandalo diventa di pubblico dominio; fortunatamente, la cosa è avvenuta in primavera: rinunciando ad alcuni adempimenti che nel corso degli anni sono stati il mio punto di forza (dall’organizzazione degli scrutini fino alla preparazione agli esami finali per le ultime classi) mi prendo, con un immenso senso di colpa rispetto alle mie abitudini, tutti i periodi di permesso che la legge mi consente e frequento la scuola per brevi periodi, fino alla chiusura estiva; l’anno di ‘punizione’ risulta quindi un ‘anno sabatico’ per dare il tempo a tutti di ‘smaltire’ la vicenda e forse dimenticare, se possibile: questo mi da un minimo di serenità rispetto al passato.
Il futuro invece si presenta con enormi incognite, considerando i ‘nuvoloni’ che l’atteggiamento dei nuovi colleghi può creare: mi accosto quindi alla Calabria (regione che peraltro ammiro molto, per la mia formazione classica, e che ho sempre desiderato di visitare, ma da turista) con tutta la massa di interrogativi che la situazione mi impone; per fortuna, Enzo ha il buonsenso di chiedere ai figli di tenermi compagnia e, in qualche modo, di sostenermi: non so a cosa debbano rinunciare, visto che sono ormai ben più che adulti e sicuramente farebbero altre scelte, se non fossero coinvolti nella mia stupidità; ma li trovo molto disponibili e attenti, per cui finisco per apprezzarli ancora di più per l’impegno che profondono nei dieci giorni che viviamo da soli nel bungalow.
Claudio, più giovane ma anche più disinvolto, riesce immediatamente a trovarsi impelagato in amoretti estivi, di quelli superficiali ma gratificanti, che lo conducono a divertirsi molto tra giochi in spiaggia e serate al chiaro di luna; Franco, invece, decisamente più posato e riflessivo (il ritratto di suo padre, penso con orgoglio) si da un gran da fare per andare in città a prendere contatto con personaggi indicatigli da Enzo e spesso mi riferisce della temperie che si vive intorno all’Istituto Tecnico cui sono destinata: in particolare, contatta una tale Elvira, giovane insegnante di inglese, che risulta essere la più accanita nell’ostilità al mio trasferimento.
Mentre ne parla scherzosamente con suo fratello, ho la sensazione che stia manovrando per concupire la giovane insegnante fingendosi bisognoso di assistenza nella lingua, lui che parla l’inglese come uno studente di Eton, solo per coinvolgerla ed avviare con lei un flirt estivo non so a che scopo: maliziosamente penso che miri a smussarne la severità e non so se dire temo (o credo o spero) che ne abbia parlato anche con suo padre; io non ritengo mio marito capace di certe manovre; ma i discorsi che proprio Franco mi ha fatto sulla ‘guerra sporca’ mi inducono a ritenere che i ‘miei tre maschi’ abbiano deciso di ‘fare quadrato’ per darmi una mano e, se nel gioco delle parti può avere un peso la prestanza dei ‘miei ragazzi’, la cosa finisce addirittura per solleticare il mio amor proprio di madre.
Fedeli agli impegni assunti col padre, Franco e Claudio evitano accuratamente di parlare davanti a me del problema del mio trasferimento; ma tra di loro spesso si trovano in conciliabolo e da poche frasi colgo che stanno tenacemente occupandosene; assolutamente per caso, una sera mi capita un colpo di sonno subito dopo cena, mi stendo sul letto e per un po’ sonnecchio; mi sveglio di colpo, sentendo che parlano sotto la mia finestra e mi metto ad origliare, quasi senza volerlo; sento Claudio che chiese spudoratamente al fratello.
“Allora, te la stai facendo la professorina d’inglese?”
“Senti, mamma ha tessuto le lodi di papà come amante; ma sono convinto di non essere da meno di lui; stiamo facendo cose turche ed è una troietta che nemmeno ti puoi immaginare, capace di seguirmi dovunque le chiedo di andare, senza argini e senza problemi, provocatrice ed esperta come poche ne ho incontrate … e sai che me ne sono fatte, di ragazze.”
“Scusa, ma che cosa puoi avere fatto di tanto particolare?”
“Parti dal dato che appena siamo rimasti faccia a faccia nella sua cucina mi è saltata addosso e mi ha succhiato l’anima con un bacio a ventosa che ho ricevuto poche volte: mi ha infilato in bocca mezzo metro di lingua e mi ha perlustrato tutto, fino alla gola, mentre mi piantava contro il ventre un inguine che si sentiva quasi bagnato da quanto sbrodolava: mai visto una donna sciogliersi in goduria come quella: dovunque le appoggiassi la mano, sdilinquiva, gemeva come un gatto che fa le fusa e si sentiva che godeva: quando ho poggiato la mano sotto la gonna, sullo slip, sono stato alluvionato dagli umori che le colavano dalla vulva; e lei non smetteva di baciarmi, di leccarmi, di mordicchiarmi tutto.”
“Te l’ha succhiato?”
“Succhiato?!?! Fa’ conto che appena l’ha tirato fuori dai pantaloni lo ha ingoiato fino alla radice: e sai che la mia è una sberla di tutto rispetto: sarebbe stata capace di ingoiare anche i testicoli, tanto era eccitata; poi ha messo in moto l’idrovora ed è stato piacere puro!”
Mentre lo ascolto stupita, mi rendo conto che tante emozioni diverse mi sopraffanno: da un lato, rivivo, confrontandole inevitabilmente, le fellazioni che mi ha imposto Onofrio e quelle , lunghissime, che mi chiede Enzo nei suoi interminabili preliminari: a parte il fatto che avverto chiaramente la stupidità di essermi fatta violentare anche in bocca da un mezzo animale, mentre dispongo a casa mia, nel mio letto, di un appassionato estimatore della fellatio bella e goduta; a parte la meraviglia quasi spaventata di trovare in mio figlio Franco una sorta di incrocio tra l’animale Onofrio che infila in gola anche i testicoli per il suo solo piacere e il raffinato Enzo che fa delle fellazioni, individuali e reciproche, una sorta di ricamo della goduria che travolge tutti e due; a parte le considerazioni quasi ovvie, nello scoprire in mio figlio (il mio ‘bambino’, come assurdamente ancora lo chiamo) un amatore instancabile e spaventosamente cinico, mi comincia a pesare il lungo periodo di astinenza a cui mi sono costretta per i dubbi che attanagliano sia me che mio marito sulle condizioni dei miei condotti sessuali, dopo gli assalti di Onofrio.
Io temo che mi respinga se mi scopre troppo maltrattata e lui forse esita a toccarmi per paura di trovarsi di fronte a danni non prevedibili dell’apparato sessuale; fatto sta che dalla primavera a fine agosto, quasi, non ho più sentito le sue mani sul mio corpo; ascoltare mio figlio che parla del sesso consumato con una sconosciuta mi eccita inevitabilmente e mi trovo a tormentarmi il clitoride, con la mano infilata nel costume, io che ho sempre rifiutato l’ipotesi della masturbazione come soluzione; ma i due ormai sono lanciati e probabilmente parlare (o ascoltare) delle attività sessuali con la bella Elvira li eccita non poco e si infervorano nella rievocazione - narrazione.
Franco descrive a suo fratello (ed a me: ma lui questo non lo sa!) come la donna non ha atteso di andare sul letto a fare l’amore: si è appoggiata coi seni al tavolo della cucina ed ha lasciato che lui le abbassasse fino alle caviglie il pantalone; Franco ricorda che ha un sedere strepitoso, la bella calabrese, e che lo ha percorso in lungo e in largo con le mani, con la lingua, perfino coi denti; che le ammorbidito l’ano con leccate lunghe ed intense, facendo penetrare la lingua fin nel canale rettale, oltre lo sfintere che ha trovato stranamente rilassato, come se per quel sentiero fossero passate torme di asini e lo avessero dilatato fino a renderlo un tunnel ferroviario: mentre sono all’apice dell’eccitazione per il racconto elaborato e raffinato (Franco è un grande affabulatore, quando racconta), all’improvviso mi viene il sospetto che le stesse cose ora le stia dicendo di me Onofrio, che effettivamente più volte mi aveva a lungo leccato ed ammorbidito l’ano prima di piantarvi la sua mazza enorme; e so bene che le conseguenze di questo, come ora racconta mio figlio, sono il fulcro dei timori di Enzo che gli impediscono di avvicinarmi e di propormi di fare sesso, eventualmente anche analmente, che a lui piace molto: mi dico con convinzione che appena lo incontro in privato, devo incantonarlo ed obbligarlo a possedermi, almeno per verificare fino a che punto i suoi (e miei) timori hanno ragione d’essere.
Franco va avanti per un bel po’, col racconto delle sue performance con la bella professoressa d’inglese; mi stanco di ascoltarlo, esco sul terrazzo e blocco inevitabilmente il racconto; mi rendo conto però che forse la convivenza forzata in uno spazio così ristretto diventa problematica, visto anche che a pochi chilometri, raggiungibile in autobus, c’è un appartamento già fermato a mio nome che posso occupare il qualsiasi momento; il mattino seguente, d’accordo coi figli, mi trasferisco in città e li lascio liberi di gestirsi le due camere del bungalow come meglio gli aggrada: in autobus raggiungerò il villaggio ogni volta che ne avrò voglia e comunque staremo insieme a pranzo, a cena, quando potremo; capiscono che miro soprattutto a lasciarli liberi e mi accompagnano in città, dove mi do da fare per sistemarmi al meglio; ormai mancano solo pochi giorni poi ci sarà la seduta plenaria in cui dovrò affrontare la particolare situazione determinatasi.
Quest’ultima considerazione mi tiene assai agitata e nel tardo pomeriggio mi rendo conto che senza uno dei miei sedativi leggeri, presumibilmente rischio la notte in bianco; ne approfitto per sperimentare il percorso coi mezzi pubblici di trasporto e in meno di mezz’ora sono al villaggio; mi sono informata sull’ora dell’ultima corsa per il ritorno e mi hanno assicurato che, alla peggio, il servizio di taxi è efficiente, veloce ed anche economico; vado al bungalow, convinta di trovarlo vuoto, ma appena varcata la soglia avverto voci quasi lamentose che provengono dalla camera con il letto grande, quella destinata a me con Enzo; mi avvicino cauta e spio dalla fessura lasciata dalla porta non serrata: lo spettacolo che mi si presenta mi lascia stordita per un lunghissimo attimo in cui perdo il senso delle cose.
Al centro del mio letto sono inginocchiati mio figlio Franco ed una bella ragazza decisamente calabrese, nei tratti marcati e nel vestito, sono carponi uno dietro l’altra e lui si sta dedicando ad una saporitissima leccata, tra ano e vulva (non riesco a valutare bene); la cosa che mi stordisce è la dimensione della mazza di mio figlio: non raggiunge le dimensioni spropositate di Onofrio ma supera di molto quelle di suo padre, del quale sembra però avere ereditato il garbo e la serenità dell’approccio al sesso; la sta accarezzando con dolcezza su tutta la schiena, soffermandosi di preferenza sulle anche e sulle natiche; su indicazione di lei, sposta le mani sul seno di lei, carnale, intenso, da vera mammifera da letto, e le accarezza un poco per prendere tra due dita i capezzoli, ciascuno in una mano, e strofinarli goduriosamente, mentre le sussurra qualcosa e le fa sentire la mazza ben piantata nel varco tra le natiche, forse a strofinare da dietro il clitoride.
Mi fermo incantata e mi sorprendo a guardarli con interesse morboso; la mano mi scivola naturalmente tra le cosce, supera il leggero velo del vestitino e afferra la vulva con tutto il perizoma che è già uno straccetto intriso al massimo dei miei umori; infilo un dito di lato e mi penetro in vagina: la trovo più stretta e ricettiva di quanto immaginassi; comincio a volare con la fantasia e, mentre guardo Franco che infila di forza la sua mazza tremenda nel retto della ragazza (lasciandomi con l’interrogativo se si possa penetrare mai un foro apparentemente così piccolo con una bestia così enorme) mi vengono alla mente, al cuore, alla vagina, le copule più belle che io ricordi con mio marito: il mio orgasmo è da urlo nella giungla, ma devo scioglierlo in un lungo, libidinoso sospiro d’amore; quando alzo gli occhi, mi accorgo che mio figlio, dallo specchio, ha incrociato il mio sguardo: sicuramente mi ha visto e intensifica l’assalto a lei che lo invoca di spaccarle tutto, di entrare in ogni anfratto, in ogni buco; scappo via quasi spaventata, vado in bagno, raccolgo il mio sedativo ed esco alla chetichella.
All’aria fresca, cerco di recuperare un minimo di ‘normalità’ respirando profondamente; il dubbio adesso è se tornare a stare da sola in un appartamento vuoto e sconosciuto o decidere di cenare lì, al ristorante, dove oltretutto siamo d’accordo che tutto viene caricato su un solo conto, di competenza di mio marito che, per quello che ne so, deve avere interessi anche nella proprietà del villaggio; decido per una cena a base di pesce e vado ad occupare un tavolo, proprio vicino ad una lunga tavolata dove poco dopo arriva una torma di giovani tra i diciotto e i vent’anni, molto rumorosi e giocherelloni ma decisamente corretti: uno di loro mi chiede se mi disturba la loro vivacità e se sono sola o voglio accodarmi al loro chiassoso convivio; gli dico che sto aspettando persone, perché spero di vedere comparire i miei figli, prima o poi; e lui, intraprendente e deciso, si viene a sedere davanti a me come fossimo ad una cena tête-à-tête; gli sorrido comprensiva e gli faccio presente che è più piccolo dei miei ospiti, vale a dire i miei figli; mi obietta provocatorio.
“E se mi facessi adottare?”
“Sono in ritardo per le adozioni … “
“Mamma che ci fai qui?”
Claudio è apparso all’improvviso alle mie spalle ed è in compagnia di una bella ragazza che va a salutare, baciandolo su una guancia, il ragazzo di fronte a me; le presentazioni chiariscono che Nicla, la ragazza, sta con Claudio, al momento, ed è cugina di Nicola, il giovane intraprendente; chiarito che Claudio è il secondo dei miei figli, credo di avere liquidato il corteggiatore troppo giovane, ma sembra insistere, mentre intanto gli altri ragazzi hanno proposto, e realizzato, di unire il mio tavolo al loro e di fare spazio anche a Claudio e a Nicla; quasi istintivamente, mi viene da dire a Nicola che, più che un reggino, mi sembra un sibarita; si risente, perché non conosce il termine e lo confonde con sodomita; un ragazzo del gruppo, Leonida, gli precisa le cose e salta fuori un discorso quasi surreale sulla ricchezza del territorio e sulla scarsa conoscenza che gli abitanti ne hanno, ma anche sugli entusiasmi dei giovani per le ‘forestiere’ e sulla scarsa attenzione alla loro donne; forse colpisco nel vivo quando dico a Nicola.
“Neanche mi conosci e già ti prepari a cenare tête-à-tête: eppure potrei essere tua madre: hai mai pensato che tua madre sarebbe felice se una sera la portassi almeno a mangiare una pizza? Sai quanto soffre una donna a vedersi trascurata da persone amate che poi sbavano dietro una sconosciuta?”
Rimane basito, non sa che dire; gli viene in soccorso Leonida che precisa che effettivamente quel comportamento non è solo da buzzurri meridionali, ma da maschi tout court come dimostrano tante reazioni che spingono le donne all’adulterio; il discorso sembra farsi spigoloso, anche per la presenza nel gruppo di un nutrito numero di ragazze agguerrite; salta fuori poi che la classe a cui appartengono (sono tutti studenti dell’istituto a cui sono destinata) ha un supplente che sarà sostituito per un anno dalla titolare trasferita d’ufficio e che quindi la tematica è per loro attuale; rivelo che anche io insegno, nella mia città, e che, per scelta convinta, ho con i miei alunni un dialogo aperto e chiaro, che mi chiamano per nome e mi danno del tu: non poteva crearmi disagio, quindi, l’aggressività di Nicola, viste le mie abitudini.
A tavoli uniti, il discorso prende una piega più ampia e mi trovo come a scuola mia, quando decido di andare a prendere un gelato coi miei alunni: il cameratismo rende possibile affrontare temi che in classe non sarebbero bene accetti; in quella occasione apprendo che l’Istituto in cui andrò prepara tecnici per l’industria, che è stata prevista la costruzione di un complesso là vicino, ma che c’è in competizione l’ipotesi di trasferirlo a Catanzaro, che ha un Istituto simili e analoghe prospettive; la creazione del polo industriale comporterebbe la contemporanea creazione un Istituto superiore di ricerca (una sorta di Università) che darebbe valore europeo al progetto: non mi ci vuole molto a capire che la ‘guerra sporca’ minacciata da mio figlio è quello che Enzo (la cui Azienda è quella che ha preparato il progetto) intende scatenare, legando i due problemi, se non sarà accettato senza polemiche il mio trasferimento; guardo Claudio quasi a chiedere conferma; lui fa spallucce e sussurra ‘parla con Franco’.
Mio figlio compare in quel momento, accompagnato dalla bella ragazza con cui l’ho visto copulare analmente poco prima; i ragazzi la riconoscono come la loro professoressa di inglese e il quadro si fa nitido, col discorso tra i due fratelli che ho intercettato e la scena di sesso a cui ho assistito: forse d’intesa con suo padre, Franco ha irretito la ragazza, capofila dei miei osteggiatori, e l’ha sedotta, in pratica portando alla luce in lei quella troiaggine che lei rimprovera a me senza neppure conoscermi; nella riunione plenaria prevista, alla presenza di mio figlio, difficilmente potrà ripetere le accuse senza rischiare di essere additata come ipocrita e falsa; decido di giocare anch’io di fino, mi rivolgo a mio figlio che si era seduto a un tavolo a fianco e gli chiedo perché non si unisce a sua madre e a suo fratello; nicchia e tergiversa per un po’, poi si accostano e prendono posto, nel disagio evidente dei ragazzi che a me danno del tu e parlano liberamente mentre si rivolgono a lei con deferenza e le danno del ‘voi’.
Fatte le presentazioni della mamma all’’amica’ e chiariti i diversi atteggiamenti pur essendo colleghe, il discorso comincia a farsi difficile per tutti, ma Leonida, che forse qualcosa ha intuito, riesce abilmente a impostare vari argomenti diversi da cui fa emergere la sua qualità di interlocutore ma mi consente anche di fare sfoggio della mia cultura, con rabbia dell’altra; sulla ‘torta’ così preparata, con un colpo di genio, Claudio mette una ‘ciliegina’: telefona, in vivavoce, a suo padre e gli spiega che noi tre siamo fuori a cena con ragazzi del posto ai quali avrei intenzione di offrire una cena di benvenuto; Enzo sembra cogliere al volo la situazione e, prima di tutto, si rivolge a me con grandissimo affetto e dichiara che tutto quello che mi può dare anche un momento di felicità è per lui sacrosanto; gli rispondo che lo amo infinitamente e che aspetto solo di abbracciarlo, gli preciso che i ragazzi sono dell’Istituto Tecnico locale, che sono molto simpatici e che, se accetta di pagare il conto, vorrei invitarli ad una cena luculliana a base di pesce; ha sicuramente capito tutto, dice a Franco di parlare col proprietario per fargli mettere in conto qualunque cifra costi la serata; i ragazzi sono imbarazzati ma evidentemente felici; la professoressa lo è un po’ meno e chiede a Franco se suo padre è sempre così generoso.
“Dobbiamo a mamma un momento di serenità perché ha qualche problema; e questo è il nostro modo di esprimerle il nostro amore.”
Si limita e rispondere; Leonida dà segno di avere capito più di quel che dovrebbe e ci guarda sornione; Franco allora gli chiede il cognome; lui risponde ‘Cavallaro’ e mio figlio si illumina, gli sorride a trentadue denti e si dedica all’Elvira; comincia così una cena stranamente goliardica in cui tutti sono tra i diciassette e i venti anni, tranne le due ‘professoresse’ di cui una è ormai per tutti Clara come la compagna di banco e l’altra è la ‘profia’ ancora un poco sulle sue; quando l’ora comincia a farsi tarda, i miei figli mi avvertono che non possono accompagnarmi in città: farei bene a farmi chiamare un taxi; molti domandano e si domandano perché io devo andare in centro; Leonida si limita ad avvertire che lui ha una Smart e che può darmi un passaggio fino a casa; la cosa va bene a tutti, specialmente a Claudio e Franco che forse hanno precisi progetti per la notte; mentre viaggiamo verso Reggio, Leonida esce allo scoperto.
“Senti, Clara, ho capito perfettamente che l’anno prossimo sarai tu la nostra professoressa; ho capito anche che lo scandalo montato contro di te non ha toccato i rapporti con tuo marito che davvero ti ama alla follia, né quelli coi tuoi figli che ti adorano; forse ho capito perché Franco ha incastrato la profia che tanto ti combatte; ho capito che Franco è l’avvocato dell’azienda e che è l’interlocutore di mio padre, al quale è stato affidato il compito di gestire le trattative tra la città e l’Azienda di tuo marito. Ora si tratta di sapere se posso aiutarti in qualche modo, prima del redde rationem nella pubblica assemblea di dopodomani; di qualunque cosa avessi bisogno, dimmi e sono pronto a darti una mano perché trovo che ci sia una grande empatia tra te professoressa e noi studenti.”
“Senti, ti confesso lealmente, visto che sei così sincero, che non sapevo niente di questa machiavellica progettazione; io sono quasi per natura una professoressa, per me conta la scuola; se domani potessi farmela conoscere dal vivo, senza spiegare niente a nessuno, te ne sarei grata.”
“Io abito cinquanta metri dal tuo appartamento; a che ora vuoi che ti passo a prendere per andare a scuola?”
“Alle otto, come se avessimo lezione.”
“Ok, Clara; buona notte; e riposa, non avere problemi; sei grande e sono sicuro che ti farai valere anche qui.”
La notte scorre facile, complice un po’ di vino bevuto a tavola e il leggero sedativo; questo non impedisce alla mia mente di andare per conto suo e, nel dormiveglia, mentre cado nel sonno, mi tornano alla mente le immagini di Franco che violentemente penetra nell’ano di Elvira con una sberla tanto notevole; non ne sono certa, ma la mano mi deve essere corsa alla vulva e mi devo essere masturbata a lungo, mentre le immagini si sovrapponevo e c’ero io che lo prendevo nel retto, con violenza, da Osvaldo nella giornata maledetta, ma soprattutto Enzo, il mio amore, la mia vita, mio marito, che mi prendeva da tutte le posizioni e mi faceva raggiungere vette di piacere che neppure ricordavo mai di avere provato; devo avere goduto molte volte, prima di sparire del tutto nel sonno; ho riposato bene, nonostante la difficoltà, per me, di prendere sonno quando entro per la prima volta in un letto nuovo; neppure il gracchiare della sveglia mi ha turbato, alle sette e mezza, quando mi sono fiondata in bagno per essere pronta.
Alle otto, Leonida ha bussato puntualmente al campanello e mi ha guidato, a piedi, per alcune vie cittadine, sollecitandomi a memorizzarle perché per un anno sarebbe stato il mio percorso di andata e ritorno da scuola; mi ha fatto percorrere tutto il complesso della scuola, col beneplacito di bidelli e personale che lo conosce benissimo e di lui si fida; mi ha mostrato i laboratori e le aule speciali e, insomma, mi ha fatto scoprire un mondo che per me, abituata al Liceo Classico, era tutto nuovo; abbiamo perfino preso un caffè (pessimo) ed una brioche (quasi immangiabile) al punto di ristoro previsto per gli alunni; ad un tratto notiamo davanti agli uffici una strana animazione e mi prende un tuffo al cuore quando vedo mio marito in un gruppo di persone osannanti; Leonida mi sussurra.
“Quello deve essere tuo marito, visto come lo guardi; l’uomo al suo fianco è mio padre, il suo uomo di fiducia qui.”
“Credo che non voglia che lo riconosciamo; svicoliamo da un’altra parte. Puoi fare sapere, attraverso tuo padre, dov’è il mio appartamento? Vorrei incontrarlo da solo, non coi figli intorno.”
“E’ da molto che non fate l’amore? Sembrate due ragazzini impazziti. Lo dico a papà che avvertirà lui; poi ti accompagno a casa e decidi tu cosa fare.”
“No, tu mi fai compagnia come un figlio finché non incontro il mio uomo e tu sparisci. Ci stai?”
“Con tutto il cuore.”
Si allontana, parla con suo padre e torna verso di me; mi prende addirittura la mano, sotto uno sguardo feroce di Enzo, e andiamo verso il centro; ci fermiamo in un bar, il migliore e il più famoso della città secondo Leonida, e facciamo una dolce colazione, anche se sono ormai le dieci; il mio telefonino squilla, è Enzo.
“Ciao, so dove abiti e con chi sei; appena mi libero, vi sorprendo e vi ammazzo. Al di là degli scherzi, credo di non riuscire a sganciarmi prima di pranzo; fatti dire da Leonida dove possiamo pranzare tranquilli, come una qualsiasi coppia di innamorati e aspettami là; appena posso, ti raggiungo … “
“E’ vero che sei innamorato di me come io lo sono di te?”
“Ci puoi giurare e, dopo pranzo, nella tua nuova casa, te lo farò sentire dappertutto, in tutti i modi … “
“Ci conto, sai? … ciao amore, ciaooooo.”
Leonida ha parlato anche lui al telefono, mi invita ad uscire e mi porta in una stradina che converge alla piazza, individua un locale non facilmente riconoscibile, tanto è anonima l’entrata, parla con un tale in stretto dialetto; quello si rivolge a me.
“Signora, quello è il tavolo degli innamorati; venga verso l’una e mezza e quando arriverà il suo amore, le faremo scoprire quante belle cose nascoste ha la nostra regione.”
Ringrazio lui; poi, rivolta a Leonida, gli schiocco un bacio sulla guancia.
“Grazie, mio Ganimede, mio [***], mio bell’amorino. Adesso andiamo a fare un giro e all’una e mezza sarò qui per il pranzo.”
Esco dal locale quasi galleggiando per la felicità; facciamo un giro per il porto e il mio giovane anfitrione mi illustra personaggi ed attività proprie della zona; all’una e venti esatte, mi accompagna al ristorante e mi saluta.
“Ci vediamo domani in Aula Magna; ma stai certa che tuo marito, i tuoi figli ma soprattutto tu avete già vinto lo scontro; e a trarne vantaggio saremo tutti quanti. Ciao, Clara; rilassati e divertiti: Ah, sai che tuo marito è proprio un gran pezzo d’uomo?”
“Vuoi anche tu ricordarmi una sola stupidità in tutta la vita?”
“No, voglio raccomandarti di tenertelo stretto: le iene, qui intorno, non mancano … “
“Non cercare di sperimentare cosa sa essere una leonessa che difende le sue cose, perché io lo so essere. Ciao, giovane; a domani.”
Si fa attendere, il mio amore; ed io fibrillo più di quanto avevo temuto; sono le due meno un quarto quando lo vedo entrare: per poco non sbatto via il tavolo, mentre mi precipito incontro a lui e sprofondo nel suo abbraccio; mentre lo bacio con tutta la passione che posso esprimere, gli sussurro.
“Enzo, ti amo, non puoi immaginare quanto; ho bisogno di, di sentire il tuo corpo, di respirare il tuo respiro, di dormire a fianco a te e di svegliarmi coi tuoi baci; non mi lasciare più da sola; ho bisogno di sentire che mi ami, tantissimo.”
“Vieni, amore; adesso rilassiamoci e mangiamo; poi ti porterò in paradiso, se vuoi venirci con me.”
“Voglio venirci e restarci a lungo, sai: è da tanto che ti aspetto!”
Il pranzo rende onore alle promesse del ristoratore e al buongusto di Leonida; mangiamo di gusto e beviamo un vinello assassino ma straordinario; usciamo dal locale un po’ su di giri, con mio marito che mi coccola e mi sbaciucchia; addirittura, mi palpa una natica e fa una smorfia soddisfatta di commento; arrivati a casa, nemmeno si guarda intorno, mi stringe in un abbraccio tentacolare e mi spinge sul monte di venere la sua erezione particolarmente viva; lo fermo un attimo per chiedergli se ha avvisato i figli che è a Reggio; mi dice che no, non ci ha nemmeno né pensato né provato: vuole tutto per se il pomeriggio e la notte; domani riprenderà contatto col mondo: ora l’orizzonte è fermo alle pareti dell’appartamento; spegne il telefono e mi fa fare altrettanto, per non essere disturbati.
Da ragazza, al liceo, circolava una stupida barzelletta di lui che promette a lei di infilarglielo in tutti i fori del corpo, anche dove nessuno lo ha fatto mai; lei si raccomanda piagnucolando ‘no, negli occhi no, ti prego’; lo dico ridendo a mio marito e lui mi rassicura che ‘negli occhi no, ma sopra sì e mi passa davvero la sua mazza su tutta la pelle, non solo sugli occhi ma anche in tutti gli altri brandelli; mi penetra dappertutto e, quando lo sento entrare in vagina, ho quasi la sensazione di essere tornata vergine: metto in azione i muscoli vaginali e lo succhio dentro di me come in una strana fellatio vaginale; e lui non resiste, mi scarica nell’utero una fiumana di sperma che mi fa urlare un numero infinito di orgasmi inusitati; dopo essersi riposato un poco e ripresosi, gli tiro di nuovo su l’uccello aspirandolo nella bocca fino a farlo gemere di piacere, fino a che l’asta non mi entra più in bocca, tanto è ingrossata.
Mi giro sul letto, carponi, apro con le mani le natiche e gli mostro l’ano (spero non troppo rovinato); mi lecca come non faceva ormai da mesi e mi rilasso, mi acquieto e sento il piacere inondarmi il corpo, scorrere dalla vulva; lui lo raccoglie con la lingua e lo deposita nell’ano; ‘fallo, entra dentro, per favore’ quasi lo imploro; lo fa e mi sento squarciare quasi avessi ancora lo sfintere intatto; lo catturo e me lo trattengo nel retto: lui pompa ed io lo risucchio; ‘ti prego, non farmi venire ancora’ mi implora ed io freno la copula ma non gli permetto di uscire; riprende a possedermi e di nuovo sento lo sperma invadermi il corpo, nell’intestino, stavolta, e mi godo la sua eiaculazione tutta, momento per momento; è un uomo di parola, il mio amore; per tutta la notte non smette di amarmi, di coccolarmi, di vezzeggiarmi, di ammirare ogni centimetro del mio corpo e di farmi godere: mi sento veramente in paradiso.
Crolliamo addormentati a notte fonda e, alle sette, puntuale il gracchiare della sveglia ci obbliga ad alzarci: corro in bagno a fare una doccia, poi vado in cucina e preparo il caffè mentre lui va in bagno; ci sediamo al tavolo di cucina e facciamo colazione come se fossimo per la prima volta insieme, in un appartamento nostro, innamorati come mai, a coccolarci ad ogni piccolo movimento; poi riaccendiamo i telefonini e lui scopre che mezzo mondo l’ha chiamato; parla solo con Franco, gli dice che sta facendo colazione con me e gli da appuntamento all’istituto per le dieci; mi da un ultimo sensualissimo bacio, poi mi invita a vestirmi.
“Adesso comincia un’altra pagina; e voglio scriverla bene, con te.”
Non solo sono determinata; ma so anche che, con un amore come il nostro, con una famiglia come la nostra, un anno sarà una passeggiata e la felicità sarà sempre nelle nostre mani.
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