La provocazione inizia una sera a cena: siamo io, Enzo, Ofelia e Onofrio; in un fase in cui mio marito e sua moglie si appartano ad ascoltare un nuovo brano di musica jazz per loro estremamente interessante ma per noi pallosissimo, Onofrio comincia ad indagare sulle mie abitudini a letto; gli dico serenamente che Enzo ha un pene di sedici centimetri (diciotto in casi di particolare eccitazione) che mi prende in moltissime maniere compresa quella orale e quella anale, che ama i lunghissimi preliminari e che si preoccupa molto della lentezza e della cura delle pratiche, senza concedere molto al fulcro della questione, la penetrazione e la cavalcata.
Naturalmente, lui si dichiara di parere completamente opposto ed afferma categoricamente che una donna può ritenersi soddisfatta solo se l’asta che la penetra tocca parti intonse del suo apparato e le scatena emozioni sempre nuove e sempre violente; per realizzarlo, è necessaria una dotazione per lo meno superiore ai venti centimetri, l’unica in grado di offrire quelle prestazioni; quando gli esprimo dubbi sull’esistenza di membri di quella fatta, mi invita a tastare il suo da sopra al pantalone, senza peccato aggiunge, solo per verifica scientifica: ingenuamente, tocco, sono colpita ed esprimo la mia meraviglia di fronte alla possibilità che un simile drago possa entrare in una vagina normale; come è prevedibile (ma non per me!) mi invita a provare una sola volta: in fondo, una bottarella serve solo a scuotere la monotonia dei rapporti.
Come ho detto, una mia terribile caratteristica è quella di lasciarmi plagiare facilmente e di credere anche all’assurdo: senza neanche pensare che quello che progettiamo si chiama adulterio, che è peccato mortale per la religione e che può essere motivo di separazione o di divorzio per la legge, senza neanche riflettere, accetto di incontrarlo in un motel poco fuori città; ci arriviamo separatamene, per non dare nell’occhio, e lo trovo nelle hall con la chiave della camera che ha già prenotato; lo seguo al piano e lotto contro vigorosi sensi di colpa che mi tormentano; alla fine decido che vale la pena di prendersi una vacanza, costi quel che costi.
Onofrio si comporta in modo molto garbato ed elegante; mi spoglia con lentezza, accarezzandomi la pelle a mano a mano che la scopre; fin qui, non trovo nessuna differenza con Enzo, che a quei preliminari dedica anche ore, se ci prendiamo gusto; ma lui è più rapido, se non sbrigativo: in poco tempo mi ha davanti completamente nuda e lui si è già spogliato quasi tutto, tranne il boxer che presenta una vela a dir poco impressionante; quando mi accosto ed abbasso la mutanda fino al ginocchio, il mostro mi appare in tutta la grandezza: inizialmente mi impressiona; poi lo sento vibrare tra le mani e me ne entusiasmo: una cosa così viva, così palpitante non può fare paura; accosto le labbra e comincio a baciarlo, a leccarlo, a succhiarlo sulla punta; mi trovo a prenderne in bocca oltre la metà senza neppure rendermene conto: anzi, mi entusiasma osservare come le mie mascelle si adeguano alla lunghezza ed alla larghezza della bestia e lo assorbono dentro consentendomi di leccare, succhiare, copulare, godermelo fino in fondo.
Quasi interrompendo un rituale che va per le lunghe, mi spinge supina sul letto e si abbassa a leccarmi la vulva; anche in questo, Enzo è di gran lungo superiore, mi ha abituato nel tempo a lunghissime sedute di cunnilinguo con le quali spesso mi fa raggiunge tanti e tali orgasmi che, quando lui eiacula, per eccesso di entusiasmo, soltanto appoggiandomelo in bocca. la copula vera e propria risulta persino superflua; ma anche in questo caso Onofrio si blocca non appena mi ha fatto esplodere nel primo orgasmo, neanche il più intenso; facendomi sistemare meglio al centro del letto, mi allarga le gambe, si sistema fra le mie ginocchia e di colpo mi spinge quella bestia nella vagina: provo un dolore acuto, come se di colpo mi avesse sverginato una seconda volta, e la fitta successiva, quando la cappella urta contro la cervice dell’utero, è anche più netta; poi però comincia il piacere a diffondersi per tutto il corpo e il senso del dolore scompare per sempre; è tutto e solo goduria, orgasmi ed esplosioni successive finché lui, dopo avermi chiesto se può, mi esplode in vagina una succosa, lunga, generosa eiaculazione che deborda fin sulle lenzuola.
Pensavo che, dopo l’esperienza della fellatio e la penetrazione in vagina, avessi provato tutto; ma mi sbaglio; e lui me lo dimostra quando mi invita a sistemarmi carponi sul letto, viene dietro e mi infila a pecorina; la mazza entra più agevolmente e mi fa godere ancora di più; ma non è a quello che mira; si abbassa dietro di me e mi lecca a lungo l’ano; temo che voglia penetrarmi nel retto, mi spavento e glielo dico; mi rassicura che anche quella sarà un’esperienza meravigliosa: dopo una lunghissima preparazione nel corso della quale sento che mi penetra nell’ano con uno, poi con due, poi con tre e infine con le quattro dita di una mano, mi cosparge la parte di un liquido oleoso che poi ho scoperto essere un lubrificane adatto alla bisogna; con quello, la penetrazione con le dita si fa agilissima e capisco che mi consentirà di prendere in corpo anche quella bestia smisurata, spero con il piacere che ha procurato in vagina; fin da quando appoggia la cappella all’ano, mi rendo conto che non sarà molto difficile prendermi in corpo il mostro e, dopo l’iniziale dolore che mi procura lo sfintere violentemente bistrattato dalla cappella che passa, sento la goduria invadermi ancora una volta il ventre, il sesso, il cuore e il cervello: il piacere che mi da la mazza che scorre nel retto titillando fibre del condotto mai toccate prima mi manda in visibilio ed urlo il mio piacere.
Copuliamo per l’intero pomeriggio e Onofrio mi fa percorrere tutti i sentieri del piacere e mi stordisce col suo sesso selvaggio che pratica con tutte le parti del mio corpo, anche quelle che mai ho messo in gioco nelle mie sessioni amorose; quando decidiamo di rientrare, alla sua richiesta di fissare un nuovo appuntamento per incontrarci, ho un attimo di resipiscenza e dico che non me la sento di continuare nell’adulterio a danno di persone innocenti che amo, come Enzo ed Ofelia; sorride e mi assicura che, ripensando ai momenti di immenso piacere che quell’esperienza mi ha regalato, le mie ubbie finiranno nella spazzatura e deciderò di riprovare quelle estasi che ho avuto; gli dico solo che, nel caso, mi rifiuto di andare in un locale pubblico come un motel o un albergo; caso mai, c’è lo chalet sulla pedemontana che Enzo ha acquistato per noi e che funziona al massimo in primavera ed estate, mentre per il resto dell’anno resta chiuso; per accedervi, bisogna passare dalla portineria e farsi registrare, ma noi abbiamo scoperto un percorso alternativo che ci consente di accedere da dietro, eludendo la sorveglianza; se decido di incontrarci ancora, quel posto sarà senza dubbio l’ideale per un’alcova.
Come ha lucidamente pronosticato il mio nuovo amante, dopo qualche settimana di vita ordinaria, con le copule ‘matrimoniali’ che Enzo mi concede, mi comincia a sorgere una sorta di ‘prurito di vagina’ che mi porta con la mente ai momenti di estasi che ho vissuto al motel; qualche dubbio mi nasce dal fatto che, nelle sue pratiche sessuali di natura completamente opposta, ma altrettanto belle e desiderabili, Enzo si è chiaramente reso conto che i miei fori risultano particolarmente dilatati (lui dice slabbrati o spanati) ma è lui stesso ad attribuirli ad un rilassamento dei tessuti dovuto forse all’età che avanza, alla stanchezza o a chissà a quali altri elementi; per fortuna non si fa mai venire in mente di parlarne col mio ginecologo che invece ha notato le dilatazioni, ci ha pesantemente scherzato e mi ha raccomandato di stare attenta a non fare errori perché mio marito non è un tipo tenero e certe cose non le perdonerebbe; l’unica risposta che mi viene è che i deboli si vendicano, i forti perdonano e i saggi dimenticano: ritengo mio marito troppo forte e saggio per accanirsi su un’ipotesi di tradimento.
Decido quindi di portarmi l’amante allo chalet e di usarlo come rifugio amoroso per le mie ‘piccole trasgressioni’ che in qualche parte della mia coscienza mi auguro poche e di breve durata; utilizzando il percorso alternativo, riesco a raggiungere in macchina il nostro chalet, parcheggio in garage per non dare nel’occhio e mi porto Onofrio nella camera da letto, quella dove da sempre ho fatto l’amore (non sesso, amore) con mio marito; sento di profanare un altare quando lui mi spoglia e mi sbatte sul letto per penetrarmi con violenza aggressiva e brutale; proprio quella violenza e quella brutalità finiscono per essere le connotazioni che mi spingono a ripetere l’esperienza ancora tre volte, sempre evitando qualunque contatto con la sorveglianza; per due volte, tutto si svolge al’insegna della massima serenità, esattamente come la prima volta che siamo venuti qui allo chalet per fare l’amore.
Come nei rituali propri di tutte le relazioni, a cominciare dal matrimonio, siamo immediatamente entrati nella spirale della routine che ci porta a fare le stesse cose, che certamente non hanno perso mordente (visto che passa almeno un mese tra un incontro e l’altro) ma che giocano già sul meccanismo della prevedibilità e del deja vu, per cui le emozioni di libidine che hanno animato i primi due incontri si sono affievoliti, annacquati e sono diventati prevedibili: la mazza che violentava vagina a utero, ano, sfintere e retto, ormai è un sesso nerboruto, duro e forte che ancora mi stimola e mi eccita; ma, paradossalmente, cominciano a mancarmi le attenzioni delicate e preziose di mio marito ai lobi delle orecchie, i baci caldi e intensi sugli occhi che diventano sensibili all’eccitazione, le dita che scivolano delicatamente sul profilo del viso, che disegnano sensualmente la curva di un’anca.
Trovarsi, appena entrata nella camera da letto, spinta subito in ginocchio davanti al sesso gonfio e ritto come un obelisco ancora mi sollecita passione e desiderio; ma vederlo tirar via perché è già il momento di rompermi la vulva con la bestia dura comincia a turbarmi; e glielo dico, ma lui è così convinto di sé che non riesce ad accettare nessun altro punto di vista; a me piace infinitamente sentirmi le grandi labbra leccate con devozione fino a farle grondare umori d’orgasmo; quando però lui si interrompe di colpo per girarmi e sbattermelo nel retto per il gusto di farmelo sentire palpitante nell’intestino, la mia capacità di devozione viene meno e divento una macchina da sesso, quando non sospetto di essere solo una bambola gonfiabile; insomma, il passaggio dall’amore al sesso violento non è facile per me: sono attratta dalla violenza bruta con cui mi tratta quasi da prostituta; ma al tempo stesso provo nostalgia per la bambola di porcellana che Enzo curava sul nostro letto.
Le cose vanno bene fino all’ultimo incontro di quelli programmati: dopo, forse, volevo ripensare tutto e probabilmente cercare anche una via per uscire da una situazione per me diventata troppo pesante, anche perché qualche dubbio può avere toccato, non so come, anche i nostri figli, dei quali negli ultimi tre, quattro mesi mi sono occupata sempre meno fino quasi a dimenticarmene completamente; sono questi i problemi che in qualche modo mi assillano mentre mi preparo, per la quarta volta, ad entrare abusivamente nello chalet, eludendo con furbizia il controllo della portineria e della vigilanza; ma subito dopo la mazza di Onofrio che mi si staglia davanti agli occhi cancella ogni dubbio e mi trovo proiettata immediatamente nella sua dimensione di sesso e brutale violenza per il massimo piacere possibile.
Seguendo quasi un canovaccio a lungo studiato, appena entrati in camera da letto, si spoglia nudo, mi mette in ginocchio e mi sbatte in faccia la sua enorme proboscide imponendomi di succhiare; ormai prona al suo piacere lo faccio quasi devotamente e riesco a sentire la cappella che mi titilla il velopendulo mentre la lingua si sforza inutilmente di leccare l’asta; di colpo, mi fa alzare, mi sbatte letteralmente sul letto e si fionda a brucarmi la vulva azzannando il clitoride con un mio urlo di autentico dolore; si calma e prende a succhiarlo, mordicchiandolo ogni tanto; quando sente il mio orgasmo esplodergli in bocca, mi rovescia sul letto e mi mette carponi, mi lecca un poco l’ano e, senza lubrificante e senza preparazione, mi sbatte dentro la sua sberla di sesso facendomela sentire fino allo stomaco: urlo per il dolore, quando lo sfintere viene forzato brutalmente e sto quasi piangendo mentre mi sbatte la nerchia fino in fondo.
Non ha il tempo di eiaculare, quando la porta della camera viene abbattuta ed una massa di militari in assetto di guerra si precipita dentro e ci sbatte contro il muro, nudi, ancora grondanti sperma ed umori; quello che sento è una babele di voci perentorie, di ordini urlati a squarciagola, di voci che si passano; immediatamente dopo, esplodono i flashes dei fotocronisti che sono entrati dietro ai militari e, ultimi, entrano il direttore e il custode del centro che inutilmente si sforzano di gridare all’ufficiale in comando che c’è un equivoco e che la signora è la moglie del proprietario che si era evidentemente appartata in forma clandestina con un amante; l’ufficiale sembra il più stranito di tutti e chiede come mai non siamo registrati all’ingresso, che ci facevamo in quella camera e che relazione abbiamo con gli integralisti islamici.
Solo dopo circa un’ora e dopo che siamo finalmente riusciti a rivestirci, veniamo convocati come delinquenti nell’ufficio di direzione e si cerca di fare chiarezza, spiego allora che sono entrata dal retro perché conosco un percorso diverso dal principale e che sono venuta ad appartarmi col mio amante per una sessione d’amore; in quel momento entrano Ofelia ed Enzo, pallido in volto, la mascella contratta, sull’orlo di una crisi convulsiva; Ofelia si limita a guardare con schifo sia me che suo marito: mi rendo vagamente conto di quanto possa essere ignobile la scena di noi due davanti alle persone care di cui abbiamo tradito la fiducia e di fronte a dei rappresentanti della legge che ci trattano da malfattori.
Tocca ad Enzo chiarire che, presumibilmente, da qualche mese sua moglie e il marito di una sua collega si incontrano clandestinamente in quel suo chalet che lui ritiene assolutamente vuoto; in forza della frequentazione, io ho trovato il percorso per eludere la sorveglianza ed incontrarmi col mio ganzo; non sappiamo, io e lui, e non possiamo sapere che una settimana fa, su segnalazione della direzione, gli chalet sono stati dotati di rilevatori automatici di presenze estranee, perché la sospetta presenza di presunti attentatori islamici nella zona ha fatto individuare quegli chalets come possibili luoghi di rifugio; i meccanismi di allarme sono stati collegati ai computers ed agli smartphone dei proprietari, di modo che qualunque intrusione possa essere segnalata ai proprietari e da questi comunicata alla polizia, qualora non ci fossero elementi giustificativi.
Quel pomeriggio, appena siamo entrati nella camera da letto, l’allarme è scattato sul telefonino di Enzo che, ignorando che da mesi uso per scopi personali illeciti la struttura, ha avvertito la polizia nel timore che se ne fossero impossessati i presunti terroristi; da lì a far scattare tutto il meccanismo antiterroristico, con squadre armate e appositamente attrezzate, c’è passato poco; quello che è peggio è che alcuni giornali collegati alle forze di polizia, hanno saputo del blitz ed hanno mandato giornalisti e fotografi che, sperando di raccogliere notizie e foto su terroristi, si sono trovati invece a documentare il più squallido dei tradimenti, con tanto di adulteri nudi a letto in piena copula anale: una manna per certe rubriche scandalistiche che nel giro di poche ore passano la notizia a tutti gli organi di informazione.
Il peggio tocca a me e ad Onofrio, costretti a rilasciare mille testimonianze, a raccontare nei particolari, anche i più volgari e scabrosi, il nostro reiterato adulterio; a farci fotografare come delinquenti; a tentare di schivare le domande dei giornalisti molto più imbarazzanti di quelle dei poliziotti; il momento peggiore per me è quello in cui sulla soglia di un ufficio di polizia vedo apparire i miei due figli, anch’essi chiamati a testimoniare sulla conoscenza del percorso alternativo per arrivare allo chalet; Enzo naturalmente è accusato di provocato allarme e deve pagare una multa salatissima per aver fatto intervenire la polizia, come previsto dai regolamenti; ad ogni tegola che gli piove sulla testa, vedo il suo viso sempre più tirato: il ginecologo mi ha avvisato; ed è giusto, adesso, che abbia paura di uno scatto violento, perché alla forza e alla saggezza di mio marito mi potevo appellare finché si trattava di una semplice sbandata, di qualche copula per il gusto della trasgressione; ma la portata che i fatti hanno assunto sposta enormemente i termini della mia follia; in un momento di autentica stupidità, sperando in qualche modo di alleggerire la mia posizione, gli dico.
“Però, potevi avvertirmi di avere installato gli allarmi … “
Mi risponde mio figlio Franco, il più grande, laureando in legge e già valido collaboratore di suo padre.
“Che ne dici se vi avesse servito il caffè a letto, troia!”
Mi sento morire e vorrei sprofondare per la vergogna, per il dolore, per la rabbia contro me stessa; ma non posso neppure permettermi il lusso di piangere: le uniche spalle asciutte disposte da sempre ad ospitare le mie lacrime, mio marito e la mia amica Ofelia, sono le vere vittime della mia imbecillità; mi siedo accoccolata su una sedia e non mi muovo per non so più quanto tempo finché Claudio, l’altro mio figlio, non mi viene vicino con aria accigliata e mi dice.
“Alzati, andiamo a casa; se dio vuole è finita questa giornata interminabile!”
La risposta è coerente con tutta la mia stupidità del momento.
“Quale casa?”
“Se non vuoi andartene in un albergo con il tuo amante, c’è una sola casa che ti può ospitare, ed è la nostra. Hai fatto cose terribili, ma sei sempre mamma per me e per Franco; anche papà credo che abbia già perdonato: è assai forte e non serba mai rancore.”
“Mi lasci piangere un poco? Ho bisogno di una spalla e in questo momento non ne ho … “
Non mi risponde, si è avvicinato Enzo e mi sta dall’altro lato; Claudio mi spinge verso di lui, infila la mia mano sotto la sua, infilo il braccio sotto il suo e spero in un gesto di pietà, per lo meno; mi prende il braccio e me lo stringe; per un attimo, finalmente, il terrore si scioglie; appoggio la testa sulla spalla e comincio a far scorrere liberamente le lacrime.
Sto ancora piangendo quando arriviamo a casa e devo appoggiarmi a mio marito per non cadere: tutte le energie sembrano essersi dissolte: ho una crisi generale che mi priva completamente di forze; Enzo mi chiede se ce la faccio ad andare in bagno e farmi una doccia perché non mi sono liberata ancora di tante scorie, comprese quelle della copula parzialmente interrotta; piango disperatamente all’idea che ancora ho addosso le tracce fisiche della mia follia; gli chiedo per pietà di accompagnarmi; se vuole, può aiutarmi a lavarmi tenendo la testa girata da un’altra parte, ma non sono certa di farcela da sola e non vorrei collassare in doccia; mi spoglia delicatamente e consegna gli abiti a Claudio ordinandogli di bruciarli; si spoglia anche lui; entra con me nel box doccia e mi ficca sotto il getto bagnandosi anche lui; mi lascio lavare ed accarezzare; mi accorgo che ha molta reticenza a toccarmi l’inguine e l’ano, segno che sa che là ci sono le tracce più chiare della mia follia; sto zitta e mi lascio trattare da bambola di porcellana, come lui solo sa fare; quando una mano mi passa davanti al viso la bacio devotamente; la tira via stizzito, ma poi me la passa tra i capelli non per lavarli ma per carezzarli.
Impiega moltissimo tempo, prima di portarmi fuori, sembra quasi che cerchi di cancellare le tracce dell’adulterio con l’acqua corrente; mi copre poi con un accappatoio e mi guida dolcemente alla camera da letto, dove finisce di asciugarmi, mi fa indossare una camicia da notte e mi fa sdraiare dalla parte che di solito occupo io: spero che venga a sdraiarsi accanto a me ma va in cucina e mi porta acqua e sonnifero; mi assopisco e neppure mi accorgo che si è sistemato nella camera degli ospiti.
Mi sveglio che il sole è già alto, mentre di solito sono in piedi all’alba e mi occupo di tutto e di tutti; mi alzo e vado nel salone dove i figli stanno guardando i notiziari; mi siedo nella poltrona che è occupata da Franco e cerco di stringermi a lui; sembra quasi disturbato.
“Perché mi cacci anche tu?”
“Perché non saprei cosa dirti e tutto quello che potremmo dirci è dolore.”
“Dobbiamo per forza parlare della mia imbecillità?”
“Preferisci che parliamo del trasferimento d’ufficio?”
“Che c’entra un provvedimento disciplinare adesso?”
“Chi lo adotta, quando e perché?”
“E un decreto del Ministero contro insegnanti dichiarati incompatibili con l’ambiente per comportamenti riprovevoli … “
“Come ad esempio una docente sorpresa nuda in congresso carnale con un uomo che non è suo marito in una retata antiterroristica? Che ne dici? Ci può stare?”
“Credi che adotteranno questo provvedimento?”
“No, io non credo; io SO che stamani il preside deve notificarti il provvedimento disciplinare che ti trasferisce d’autorità a Reggio Calabria e tu non hai nessun elemento per opporti; i sindacati hanno già dichiarato la loro incompetenza; per di più, pare che a Reggio Calabria non sia ben visto il tuo trasferimento per lo scandalo che hai provocato, per cui si temono reazioni pesanti.”
“Oh mio dio, oh mio dio, oh mio dio … ”
“Mamma, anche se ne aggiungi cento, non cambia niente; hai sbagliato e il conto sarà lungo e salato: qualcuno pagherà caro quel tuo errore e prego io adesso che non sia tu a pagare tutto, fino in fondo … “
“Che vuoi dire, Franco?”
“Niente: è un cul de sac da cui non esci se non con le ossa rotte; la Calabria è terra di mafie e tu hai calpestato una delle leggi fondamentali dell’onorabilità mafiosa, la fedeltà coniugale; augurati che sappiano giudicare con serenità, visto che non sei calabrese.”
E’ arrivato Enzo e mi appoggia una mano sulla spalla.
“Stai calma e non preoccuparti; se uno dovrebbe fartela pagare, quello sono io; ma dal momento che ho già perdonato e voglio solo dimenticare, non ci sarà nessuno che possa fare diversamente da come voglio io. Quando la lotta si fa dura, i duri entrano in campo. Franco, ho telefonato a Cavallaro: domani prepara quelle carte perché potremmo anche dover scatenare la guerra per una Elena di Troia o per una troia come Elena.
“Ti senti molto Menelao?”
“Mi sento molto me stesso e devo decidere fino a che punto sono innamorato … “
“Posso darti un’indicazione?”
“Conosci la frase di Oscar Wilde ‘non datemi consigli; so sbagliare da me.’? Ecco, io ho saputo sbagliare e saprò sbagliare, ma da solo; tu pensa a commettere tuoi errori che già ti peseranno. Ai miei ci penso io!”
“Papà, posso dirti che ti ammiro sconfinatamente?”
“Grazie, l’affetto di uno in famiglia può compensare la slealtà di altri.”
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Aggiunto: 4 anni fa
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