“Meno male che in Italia niente è più stabile della provvisorietà; se vi comportate come lo Stato per certe accise sulla benzina, la vostra provvisorietà la racconteranno i nipoti ai pronipoti!”
La battuta è facile, ma fotografa la reale situazione di due persone che sanno di cercarsi, di volersi e di stare bene insieme ma che hanno anche una paura fottuta delle differenze attuali e delle storie vissute; in particolare, Bea sembra quasi invidiosa dei miei amori precedenti e si informa continuamente, quasi che sapere della mia ex moglie, dei grandi amori che hanno stravolto la mia vita possa aiutarla a capire il momento e a farla vivere meglio; è inutile ricordarle continuamente che piccole differenze alla radice portano a enormi differenze nell’evoluzione dei fatti: per lei, il racconto delle mie passate esperienze è una sorta di balsamo che forse lenisce suoi crucci antichi di cui neppure mi fa cenno.
Per un insignificante episodio, mi trovo a commentare una bella giornata con un verso da ‘Tempo perso’ di Prevert ‘Su dimmi compagno Sole / forse non trovi/ che è piuttosto una coglionata / offrire una simile giornata /a un padrone?’; Bea mi guarda incuriosita e devo spiegarle chi è il poeta che sto citando (che lei conosce per altre cose) e che me lo fece scoprire Olga, la prima donna con la quale, dopo il matrimonio, ebbi una storia davvero importante; nemmeno a doverlo dire, scatta immediatamente la vena curiosa (e un po’ gelosa) di Bea che pretende di sapere tutto su questa vicenda che, onestamente, mi ha segnato molto; e, nel raccontare, mi accorgo di essere ancora particolarmente sensibile a quelle atmosfere.
Ero decisamente molto giovane, poco più di venticinque anni, erano gli anni ‘caldi’ della contestazione ed io ero uomo di fiducia di investitori che ci tenevano a controllare capillarmente le aziende che dipendevano dal loro trust; sicché mi capitava facilmente di essere sbalzato per un certo tempo in una città, di darmi da fare, con tatto equilibrio e moderazione, per riassestare situazioni di tensione in fabbrica e di passare ad altro impegno: quella volta mi trovai ad avere a che fare con un dirigente, alla soglia della pensione, troppo fiscale, legato alla burocrazia e capace di rendere lunghe e difficili pratiche che sarebbe stato possibile risolvere con un gesto; per una storia banale di piccoli acquisti per gli uffici, entrò in rotta di collisione con una dipendente amministrativa che incontravo per la prima volta, Olga appunto, la donna del mio destino, quella volta; era una donna non bellissima e neppure appariscente, ma elegantissima, raffinata, tanto da passare inosservata proprio perché era praticamente impeccabile; il corpo minuto, da ‘Venere tascabile’ come si definivano allora le donne come lei; con seno piccolo ma armonioso; coi fianchi elegantissimi e contenuti, quasi mascherati dall’abbigliamento elegante e sobrio, ma di cui usciva comunque evidente la compattezza soda ed eccitante; viso da madonna rinascimentale, perfettamente truccato ed acconciato con una capigliatura molto curata.
Una volta tanto, dimenticai la mia caratteristica di ‘paciere’ e non cercai di rabbonire il dirigente ottuso, ma presi immediatamente le parti della sconosciuta che mi ringraziò con un sorriso che illuminò la mia giornata; il dirigente ottuso, con intento punitivo, ci obbligò a sfogliare insieme tutti i cataloghi dei prodotti contestati, per decidere la commessa opportuna, ed ebbi la fortuna, per una intera giornata lavorativa, di stare vicino a lei, respirare il suo profumo, l’intimità che inevitabilmente emanava dalla camicetta aperta sul seno, la sua cultura, la sua eleganza; parlammo di tutto e mi fece scoprire, tra le altre cose, ‘L’immoralista’ di Gide (perché mi somigliava, scherzò allusivamente) e soprattutto Prevert, ma non solo ‘Quest’amore’ che conoscevo quasi per obbligo sociale; per l’appunto, riferendosi alla bella giornata che trascorrevamo tra cartacce, mi lesse ‘Tempo perso’ ed io persi la testa.
Da quel momento cominciò per noi un’avventura dello spirito che credo sia capitato a pochi di vivere: impiegammo non so quanto, prima di riuscire a scambiarci un bacio vero, dopo migliaia di tentennamenti, di occasioni lasciate passare per non turbare gli equilibri di due famiglie, di paure irrefrenabili di fare un passo da cui non si sarebbe potuti tornare; insomma, il primo bacio fu una tempesta di ormoni che si scatenò su tutti e due e ci sconvolse, anche se eravamo tutt’altro che ragazzini, ambedue con famiglia e con figli; da lì, però, comincio un crescendo di eccitazione, di voglia, di sensualità che ci fece fare cose inenarrabili.
La più ‘semplice’ era utilizzare l’ora di intervallo del pasto per andare a fare l’amore: venti minuti per raggiungere la costa; venti minuti fermi al parcheggio dello ‘stadio del mare’ (persistenza delle Olimpiadi del Sessanta che avevano visto la fase remiera proprio lì) e per fare l’amore come ricci o come ragazzini che praticano per la prima volta il sesso e vi scaricano tutta la voglia maturata in anni di adolescenza repressa; venti minuti di percorrenza per tornare al lavoro più o meno in ordine, felici come una pasqua e di non aver regalato quell’ora al padrone, ma alla gioia dell’amore.
Vivemmo, in quei viaggi alla morte, tutti gli entusiasmi, tutte le eccitazioni, tutte le emozioni che possono vivere due persone affamate di amore, di desiderio, di voglia irrefrenabile di possedere il / la partner come qualcosa di connaturato alla propria esistenza; mentre guidavo la sua macchina lungo una strada alberata, in direzione del mare, ricordo che ci perdemmo nel languore soporifero di un amore infinito, che ci faceva toccare un nostro privato paradiso: una foglia che cadde all’improvviso sul tergicristallo ci risvegliò da quel torpore amoroso e solo assai dopo presi coscienza che un qualsiasi errore di guida avrebbe distrutto non solo il castello di sabbia che stavamo costruendo, ma le nostre stesse esistenze sociali ed umane.
“Ma davvero facevate corse così pazze per dieci minuti di sesso, diciamolo chiaramente!”
“Sei un’imbecille! Solo una povera imbecille può etichettare sotto la voce ‘sesso’ una storia così composita, così intensa, così ricca, così bella, se proprio vuoi. Io non so quanti ti abbiano amato così; ma ti assicuro che io l’ho amata davvero, Olga!”
“Scusami, è stata solo una frase sbagliata.”
“Dettata dall’invidia?”
“Forse; o forse anche dalla gelosia … “
“Gelosia!?!? Ma, Bea, son cose vecchie di 50 anni, non eri neppure nata, a quel tempo!”
“Si, ma le hai vissute tu, che adesso sei qua e che io vorrei fossi mio; gelosia per chi ha colto questi attimi con te e tu non ne hai più per me!”
“Ma lo sai come facevamo quello che tu definisci ‘sesso’, quella volta? In una cinquecento, neanche quelle attuali, ma proprio il modello originale, le piccole scatole di latta con un motore e quattro ruote che solo la nostra fantasia, il nostro entusiasmo potevano rendere alcova e luogo d’amore … “
“E allora? Riuscivi ad entrare in lei, riuscivate a godere, raggiungevate il nirvana degli innamorati? E allora che cavolo vuoi di più: di quello sono gelosa, quello lo vorrei vivere, sulla pelle, tra le cosce, nella vagina, dappertutto; quello mi interessa, non la copula in un letto comodo con lubrificanti e preservativi. Voglio amarti, voglio essere amata; voglio sentire che dentro mi infili amore non un salsicciotto insignificante, inanimato, inutile: ti ci vuole tanto a capire che voglio amore da te, come lo hai vissuto con lei quando io non ero nata; ora sono qua e ti voglio, innamorati esattamente come ‘I ragazzi che si amano’ del tuo Prevert … o credi di essere l’unico ad avere il diritto di amarlo e di apprezzarlo per certe pagine di incanto?
Non è il caso di altre parole; la spingo in macchina, parto a scatto e mi precipito all’impazzata verso la spiaggia deserta; scendiamo allacciati; abbracciati, percorriamo la battigia; ci fermiamo ogni tanto e ci baciamo, con amore, con voglia, quasi con rabbia; vorrei prenderla lì, sulla sabbia, a costo di riempircene fino ai capelli; è lei stessa che mi riporta verso il parcheggio, entra in macchina, sul sedile posteriore, e mi tira a sé, la spoglio con frenesia, senza curarmi della possibile presenza di guardoni o, peggio ancora, di vigilanti, forse della forestale per la tutela dell’habitat: veramente ho la sensazione di una follia che mi sta prendendo irrimediabilmente; Bea non è da meno, mi ha già sfilato i pantaloni con gli slip e si sta impalando su di me, in una posizione acrobatica che forse nemmeno in un circo è possibile; alzo gli occhi sbarrati al cielo e intravedo, dal finestrino dell’auto, le cime degli alberi ed uno sprazzo di cielo; mi torna in mente l’emozione di quella volta, in macchina verso il mare; il sesso mi si gonfia in un empito d’amore e forse le faccio male, perché geme.
“Che ti succede, amore? Stai bene?... Beh, il paradiso è un po’ troppo, ma io sto veramente in cielo. Quanti anni ho? Credo che vado verso i venti; e tu? … Sei sicura di averli compiuti? Non rischio di avere un rapporto con una minorenne? Ok, ti credo; ti amo, non sai quanto!”
E’ strano questo gioco nuovo che si è inventato: fingersi ragazzina per vivere da neofita le vecchie realtà; e non è neppure solo una finzione: Bea sembra proprio sentirsi ragazzina, dentro, mentre fa l’amore: i pudori, le incertezze, i tremori, il desiderio, la lussuria delle ragazze sono tutti dentro i suoi gesti, quando mi accarezza il viso, soffermandosi sugli occhi, quasi per imprimersi in mente i miei tratti e mi guida le mani a fare altrettanto con lei; è vero, tra le cose che da ragazzi cercavamo di più era la carezza casta sul viso di lei, per comunicare l’amore e non coinvolgere il sesso, che temevamo fosse troppo ardito; e poi i baci piccoli, frequenti che mi distribuisce su tutte le parti a cui può accedere standomi sotto, mentre la prendo quasi con violenza da maschio dominatore, oppure quando mi scavalca con gesti da acrobata e mi monta sopra per dominarmi; la maledetta riesce veramente a farmi sentire ragazzo e ‘vergine’, nuovo anche per certe esperienze a cui sono rotto da sempre.
“Cosa hai fatto ancora di meraviglioso con la tua Olga?”
“Di meraviglioso, dici? Beh, sicuramente ha significato molto il fatto che sia stata la prima donna a succhiarmi l’uccello.”
“Scusa, cosa ha di meraviglioso una fellatio?”
“Innanzitutto, il tempo e il luogo. In una città di estrema provincia, in quegli anni Sessanta, un’opinione molto diffusa affidava le pratiche ‘altre’ del sesso solo alle prostitute; la fellatio era troppo antigienica, troppo volgare, troppo ‘bassa’ per essere praticata da donne timorate da dio ed anche i maschietti ritenevano che a succhiarlo fossero solo le prostitute, che ovviamente non andavano assolutamente baciate perché prendevano il pene in bocca. Non fare quella faccia: era così e non potevi cambiare la realtà. Considera che tra me e Olga c’era anche questa distanza: quello che per lei era normale pratica amorosa, per me era impensabile, inapplicabile, tabù; per accettare di farmelo succhiare, dovetti fare quasi violenza a me stesso; quando mi fece toccare il paradiso, la baciai con passione con la bocca ancora piena del mio sperma: gliene avevo versato una quantità industriale, per l’emozione della prima volta.
A questo devi anche aggiungere il particolare momento: io avevo sentito parlare di teatro, avevo letto testi famosi di autori importanti; andare a teatro, però, era un’avventura dello spirito troppo alta per un ragazzotto di provincia assolutamente impreparato a queste cose; quando Olga mi propose di andare a teatro, caddi dalle nuvole e dovetti fare salti mortali addirittura per decidere come vestirmi; quando mi trovai di fronte a lei, con un abito straordinario, con un’acconciatura monumentale che forse le era costata un occhio della testa, rimasi come un adoratore thug di fronte alla dea Kali (è l’unico riferimento possibile per rendere l’idea di lei e me di fronte); mi vergognavo anche a farle sacrificare quella mise nella mia povera cinquecento, ma la classe di Olga le consentiva una disinvoltura che mi stordiva sempre; dopo lo spettacolo, ce ne andammo sulla costa per fare l’amore, ma tentare di fare le solite acrobazie avrebbe significato troppo per vestito e acconciatura; Olga, forse più di me, sentiva la pressione della libidine e mi chiese se poteva baciarmelo; rimasi interdetto, per i motivi che ho detto, poi la lasciai fare e scoprii che mi nascondevano il paradiso per non farmelo apprezzare; mi risvegliai dall’orgasmo e non sapevo dove fossi; la baciai con infinito amore e mi resi conto che davvero stavamo impazzendo, tutti e due, per questo amore folle e improponibile. L’ultima cosa che riuscimmo a dirci, prima di perdere completamene la testa, fu che non potevamo e non dovevamo offendere più di tanto i nostri coniugi e che i figli, il suo e i miei, non dovevano pagare le nostre intemperanza.”
“Come finì una storia così intensa?”
“Male, naturalmente. Per quasi un anno riuscimmo a vederci e a fare l’amore, sempre in condizioni precarie come quelle di una cinquecento, in ambienti straordinari, come le rive di un lago, il faro su una punta a strapiombo sul mare, lo stadio del mare dove avevamo iniziato o comunque in parchi per coppiette in macchina; facemmo le cose più assurde: facemmo sesso in tutti i modi, ci amammo spesso fino allo sfinimento, sfiorammo spesso la vera e propria tragedia con percorsi impraticabili per la nostra auto; rischiammo incidenti ingiustificabili in posti impossibili dove mai avremmo dovuto essere. Ma la cosa peggiore fu che lei si trovò ad essere incinta perché io non avevo molta dimestichezza col preservativo e più volte me lo feci rompere addosso; particolare surreale, anche mia moglie si accorse di essere incinta nello stesso periodo e, in piena guerra per la mia confessione dell’adulterio, nacque la mia terza figlia. Olga, invece, inizialmente riuscì a convincere suo marito di essere il padre del nascituro (anzi, dei nascituri, perché, come seppi dopo, sarebbe stato un parto gemellare se non avesse avuto un aborto spontaneo); per sciogliere un nodo che si intrecciava troppo, Olga decise di parlare apertamente con suo marito; conseguentemente, anche io feci chiarezza con mia moglie, che sul momento perdonò e non diede peso alla confessione; ma la ferita lasciò un segno e, qualche anno dopo, saremmo arrivati alla rottura. L’ultimo atto della vicenda fu l’incontro che il marito di lei chiese di avere con me; mi spiegò che avevano chiarito la loro situazione e deciso di continuare a vivere insieme dimenticando l’accaduto, mi parlò dell’aborto mi chiese di sparire dalla vita di lei. L’avrei rivista per caso, anni dopo, incrociandola in biblioteca; mi evitò come un appestato e andò via.”
“Brutta conclusione per una storia meravigliosa; non ho proprio niente di cui essere gelosa; l’unica cosa bella è l’emozione profonda di un uomo come te di fronte ad una donna che si offre di succhiargli l’uccello: dovevi essere un bell’imbranato, insomma! Adesso mi viene voglia di succhiarti io come si deve, di vederti sconvolto come allora e di farti toccare le stesse vette paradisiache. Credi che sia possibile?”
“Per un rispetto a me stesso e al mio orgoglio di maschio, dovrei dirti che niente oggi mi può sconvolgere come successe allora, quando non sapevo neppure l’abc del sesso; ma poiché ho imparato a conoscerti ed ho già sperimentato che hai tante frecce al tuo arco e che ti piacciono soprattutto queste situazioni ‘vintage’ dove sguazzi come un pesce rosso in acquario, allora non azzardo nessuna risposta. Sei un’artista, nella fellatio; e non è da escludere che qualcosa tu possa fare per lasciarmi ancora di sasso … e ne sarei anche felicissimo … “
Bea si sta facendo coinvolgere in questo gioco tanto da fare cose al limite; il suo narcisismo è così evidente che non è necessario neppure accennarvi; ma si accompagna a una cura quasi maniacale del corpo, per cui è sempre bellissima, sempre in tiro, sempre preoccupata di ogni piccola sbavatura, di ogni grammo che possa deturpare la sua perfezione; per fortuna, sembra dimenticarsene quando fa l’amore appassionatamente: forse, quando copula per determinata volontà di rompere la monotonia, riesce comunque a controllarsi; quando, invece, viene presa dalla lussuria, riesce a ragionare solo fino ad un certo punto.
In questa corsa a ritrovare me nel passato e tirarmi fuori ad ogni costo le emozioni che la esaltano, è più che spontanea, diventa davvero una ‘mangiatrice di uomini’, una tigre spontanea e in calore, desiderosa di sesso e pronta a uccidere per avere quello che cerca; è convinta che io sia un grande amante, vuole prendere da me il meglio di quello che ho potuto e saputo dare; e, adesso che ha scoperto come ero disarmato e spaventato di fronte alla bocca della prima donna che mi ha succhiato l’uccello, adesso vuole esibirsi al meglio, per il narcisismo istintivo; vuole provare emozioni fortissime, perché sono quelle che le danno il senso di essere viva, di non vegetare come un lichene; vuole mettermi al tappeto perché ha ingaggiato con me una lotta che nessuno vuole, che nessuno vede, neppure lei, ma che la tiene sempre all’erta contro me, il ‘maschio’ da sconfiggere comunque.
Il problema è che non sa (ed io ne so assai meno di lei) come può ricreare, dopo mezzo secolo, la situazione di candore che era il presupposto per quello stato d’animo; intanto, mi trascina in un pub che conosce, dove sa che ogni tanto fanno piano bar, normalmente si possono bere birre buone e particolari e vi si ‘imboscano’ normalmente studenti che hanno bisogno di spazi riservati per le loro ricerche o anche coppiette che vogliono un po’ di tranquillità o di privacy; qualcuno riesce anche a concludere saporiti amplessi nei bagni, ma solo in alcuni momenti e a particolari condizioni.
Sceglie un tavolo d’angolo, probabilmente per sei o otto persone, appoggiato ad una panca che corre lungo la parete; in questo modo, si siede nell’angolo chiuso e mi fa sedere accanto a lei, sposta le gambe in maniera da averle rivolte a me, mi attira per la spalla addosso a lei e mette la mano sulla patta, a malapena coperta dal tavolo stesso; la guardo spaventato, mi sorride e mi dà un leggero bacio sulle labbra.
“Lascia fare a me e fatti condurre al paradiso!”
Non riesco a nascondere l’apprensione anche perché non so proprio dove voglia arrivare; poi lo intuisco ed ho veramente paura; quando ne ho la certezza, il terrore mi si disegna sul volto; Bea è partita all’attacco e mi ha aperto la cintura del pantalone, fa scorrere la zip, infila la mano e tira fuori, in piena evidenza, il mio sesso già ritto come un palo della luce; si accosta col viso e mi deposita baci leggeri su tutto il volto, a cominciare dagli occhi; quando mi infila in un orecchio la punta della lingua, devo trattenere un urlo che avrebbe svegliato i morti e trasformarlo in un leggero gemito che comunque viene percepito da un avventore al tavolo di fronte al quale non può sfuggire la manovra di Bea sulla mia asta.
“Amore, fa’ attenzione ch ci guardano .. “
“Embè?!?! Tu hai un arnese bellissimo, io ti sto masturbando meravigliosamente; dovrebbero solo essere felici dello spettacolo che offriamo; anzi, guarda adesso che facciamo … “
Ho paura di quello che potrebbe fare, ma sono nelle sue mani; in questo momento lei è la mia padrona e posso solo assecondarla; sposta verso il basso i suoi leggins finché il perizoma è in piena vista, mi prende la mano e se la porta sulla vulva, guidando le mie dita a masturbarla; entro in un vortice di follia sessuale e mi trovo a scatenarmi senza volerlo: la manipolo con tutta la sapienza che mi è stata sempre ammirata e riconosciuta e la porto all’orgasmo con pochi colpi del pollice e dell’indice che stringono e strofinano il clitoride, mentre il medio artiglia il punto G e la fa esplodere.
“E poi dici che sono io a dare spettacolo: adesso mi metto a urlare e dico che mi stai violentando!”
La bacio con foga e le passo la lingua in tutta la cavità della bocca; mi ricambia con passione infinita e mi fa andare in paradiso leccandomi tutto l’interno, fino al velopendulo; intanto, non smette di muovere la mano sul mio pene e sapientemente mi solletica in maniera che per l’eccitazione si alza sempre più duro, sempre più voglioso: quando sento che sto per scoppiare nel’orgasmo più ricco che io ricordi, blocca la presa e, con l’altra mano, va a stringere con forza i testicoli; ricaccio in gola un grido, stavolta di dolore, e le chiedo con lo sguardo che sta facendo; con la testa mi fa cenno di no, che non devo ancora godere: un lungo sospiro, la mazza si allenta e si riduce alquanto; lei riprende a carezzarla come se fosse un pupazzetto di lenci.
“Amore, se continui a lungo il giochetto, mi fai scoppiare i testicoli!”
“Ma che scoppiare! Ti dispiace quel che ti faccio? No?! … E allora?!? … “
“Bea, ci stanno guardando e si vede tutto … “
“Cosa si vede? Che ti sto masturbando? Beh, si facciano masturbare anche loro da chi vogliono! Sono invidiosi del tuo randello perché ce l’hanno piccolo? Peggio per loro! Io mi tengo questo che per me è il più bello del mondo!”
“In pratica, ti stai esibendo con la mia complicità involontaria … “
“Amore, quante volte lo fate voi maschietti? Quante volte fate esibire il seno, il sedere ed anche la vulva in qualche caso? Perché a voi dovrebbe essere consentito e a noi vietato? Io godo a far vedere che possiedo il maschio più bello del mondo, con la sua dotazione che è una meraviglia dedicata alla mia vulva che è dolcissima. E tu sta zitto o vesto solo sai da monaca, quando esco con te!”
“Ti ci vedo proprio!”
Ma Bea non vuole solo un’esibizione; e me ne accorgo presto; come se cominciasse all’improvviso a fare sul serio, mi prende l’asta con la destra, mentre la sinistra va a raccogliere i testicoli nel palmo: mi stimola tutto l’apparato, dalla radice alla cappella e sento che la mazza diventa ancor più dura: temo che l’afflusso di sangue alla periferia possa danneggiarmi, ma lei si ferma quasi subito; di colpo, si abbassa e prende tra le labbra la cappella mentre la destra sostiene l’asta e la sinistra i testicoli; sto per sobbalzare dalla sorpresa, ma mi fermo per non farmi staccare il membro dalla sua bocca o farlo strozzare dalle sue mani; sento la lingua che passa su tutta la cappella, si accanisce sul frenulo e mi provoca brividi lunghi, enormi, dolorosi quasi, lungo tutta la schiena e, soprattutto, tra i testicoli e il cervello: sono in tilt, sono come sospeso in un infinito tra terrore e piacere immenso; Bea succhia e comincia a muovere la testa copulandosi in gola; all’altro tavolo si sono aggruppati in quattro e non si perdono un movimento della fellazione che Bea mi sta praticando; le accarezzo dolcemente il viso e le sussurro.
“Amore, ti prego, mi stai facendo morire .. “
Si ferma per un attimo.
“Hai visto gli angeli? … “
“No, che angeli?”
“Imbecille, quelli dell’amore; io li ho visti, io sto riempiendoti le mani dei miei umori, perché godo; tu non sai godere, amore mio!
“Non è vero; sto andando in paradiso, se è quello che chiedevi; e ci sto andando con te, con la tua bocca, con la tua mano, con tutto il tuo corpo lubricamente esposto allo sguardo di quei signori; ti sto odiando, tanto è l’amore che mi provochi e mi dai; è possibile che io debba essere strumento di questa tua competizione assurda col mio passato?”
“Nessuna competizione assurda; ti sto solo amando come voglio io, come ti avrei amato sempre, quando eri un ragazzino impreparato, quando ti hanno disinibito con qualche esperienza, quando ti hanno fatto godere da uomo ed anche adesso quando ti procuro le gioie del paradiso da vecchio rottame inutile come ti proclami.”
“Oh, dio; non lo dire al mio fallo: sta soffrendo dalla voglia di inondarti la gola; giuro che la mia eiaculazione ti riempirà più di uno tzunami; e non ti consentirò di perderne neppure una goccia; che guardano quei maledetti? Dio che arte, che goduria, che amore, come succhi meravigliosamente, mi stai facendo scoppiare; ti prego, Bea, non fermarti, fammi concludere nella tua bocca. Ti amo, maledetta, ti amo sopra ogni cosa; mi fai morire; che fellatio; godo!, Godo! Goooooooodooooooo!!!! Mi hai distrutto, maledetta!”
“Sciocco, ma che dici? Le hai viste le tue mani? Chi te le ha bagnate così? Dove le tenevi, nella tazza del water? … Ah, capisco … nella mia vagina! Ma allora sei tu che mi hai dato la petit mort, non è così, sei tu che mi hai fatto avere un orgasmo infinito? Vuoi proprio farmi morire?”
“No, amore; se devi morire, aspetta che lo facciamo insieme; ma non è meglio se viviamo e ci amiamo ancora tante volte?”
“Si, viviamo e amiamoci. Chi lo ha scritto? Catullo? Già! Quello si che se ne intendeva; son passati tanti secoli! A proposito, quale è stato più bello tra i due?”
“Bea, non ti offendere: sei straordinaria, sei il meglio che la vita possa dare ad un uomo, ma lo sai bene anche tu che la prima volta ha qualcosa in più, sempre, che forse non c’è neppure, se si analizza scientificamente; ma che noi ci aggiungiamo in ogni caso, per cui quello che si fa per la prima volta diventa mitico, come suggerisce Pavese; e tu contro il mito della serata a teatro con Olga lotteresti inutilmente; sappi che sei la più grande in assoluto; e senza il mito. Per questo ti amo e mi stai per incastrare.”
“Stai cercando di dire che vieni a vivere con me, da me?”
“Se ti dico che ci sto pensando seriamente, ti accontenti o mi pianti ancora un dibattito?”
“No, per adesso posso solo essere felice, ho il tuo sperma ancora in bocca, ti ho amato come non avevo mai fatto, ho succhiato la mia e la tua anima, con questa fellatio; e mi sono anche esibita come una vera troia offrendo a tutti lo spettacolo della mia eccelsa bravura a fare l’amore. Perché dovrei essere insoddisfatta?”
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Aggiunto: 4 anni fa
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Etero