L’appuntamento per il te è di quelle occasioni che risultano quasi imperdibili, dopo un certo tempo, e si trasformano nell’unico momento in cui certe verità possono essere affrontate e confrontate; in una città non grande, poi, la cerchia delle persone che periodicamente si incontrano per ciarlare dei gossip del momento è alquanto ben definita e si finisce per sapere tutto di tutte e parlare di argomenti anche spesso scottanti o scabrosi; nel nostro caso, la dozzina di mogli che si ritrovano, a turno, ogni giovedì a casa di una di loro per mangiare biscotti, bere te e sparlare di tutto e di tutti non è affatto diversa da tutte quelle che ad ogni latitudine conservano identico lo stesso rituale; considerato il livello sociale delle presenti, tutte di quella alta borghesia benestante che non ha nessun problema se non quello di seguire la moda e spendere il massimo per non sfigurare, è quasi ovvio che gli atelier, i saloni di bellezza, i locali di ritrovo, gli spettacoli con annessi gli abbonamenti e gli abiti per l’occasione sono il centro dell’interesse; per i dolci e le bevande, non si scomoda la cucina di casa, ma si incarica una ditta specializzata che provvede al catering ed è la stessa che la maggior parte dei mariti interpella per le cerimonie in azienda; qualche volta, il discorso, per trovare nuova linfa, scivola su argomenti un poco più intimi e privati; il fatto di conoscersi e di essere tutte amiche da sempre (molte addirittura dagli anni scolastici) rende anche più agevole aprirsi a certe confessioni che, fuori della cerchia, sarebbero tema di scandali notevoli
Mi trovo coinvolta quasi di necessità: Giuseppe, mio marito (per gli amici Pino), è uno degli imprenditori più abili ed in gamba della regione, si è creato un piccolo regno personale e non lesina energie e impegno per renderlo sempre più forte e determinato; mi ha sposato che ero assai giovane, sotto i venti anni, ed ora ci troviamo con due figli grandi, al limite della laurea ma solo per la lentezza dei loro studi determinata anche, per la verità, dalle troppe distrazioni che il portafogli di papà consente senza problemi; neppure io avrei niente da recriminare, perché mi posso consentire tutto e l’unico problema è la scelta della boutique dove fare acquisti; ma è una condizione assolutamente unica per tutte noi che ci muoviamo nella stessa situazione economica e sociale.
Nicoletta è senza dubbio la più ‘peperina’, anche perché, più giovane delle altre ma solo di qualche anno, sembra non volersi arrendere al trascorrere del tempo e desiderare sempre una condizione di apparente giovinezza; non a caso, è lei ad aprire il dibattito sul tema dell’adulterio contro mariti troppo presi dai problemi del lavoro, troppo impegnati ad arricchirsi per poter badare ai tormenti reali delle mogli e tenere conto delle loro esigenze di sentirsi vive, non solo di vegetare e ingrassare sul lavoro dei mariti: davanti all’insensibilità di maschi che non sanno neanche sedersi attorno ad un tavolo e discutere un poco del calendario delle manifestazioni, di quelle da preferire e quindi degli abbonamenti da prenotare e degli abiti da commissionare per essere all’altezza delle aperture e delle inaugurazioni, di fronte alla rozzezza di uomini che neppure si curano di sapere se le proprie donne hanno ancora desideri sessuali che vorrebbero vedere soddisfatti, è convinta che la scelta che ha fatto, di farsi da alcuni anni qualche amante a cui ricorrere per farsi coccolare quando ne ha voglia, per farsi consigliare su una capigliatura o su un accessorio, ormai questa scelta ritiene di averla fatta in tutta coscienza e di essere certa che sia la migliore possibile.
Su pressione delle altre, rivela che quello attuale è il suo personal trainer, un individuo di bellissima presenza, palestrato, solido e ben piantato ma, soprattutto, assicura, ben dotato, che non invidia niente a Rocco Siffredi e le dà settimanalmente immensi momenti di piacere: normalmente lo incontra davanti alla palestra il giovedì nel primo pomeriggio, quando avrebbe lezione; in realtà lo prende in macchina e vanno a rifugiarsi in un alberghetto molto discreto che ha scoperto sulla pedemontana: ci si arriva in una decina di minuti di auto, non fanno problemi, non chiedono documenti e li lasciano godersi la vita per quattro cinque ore, quando lei lo riaccompagna in città a torna da suo marito a recitare la mogliettina premurosa.
Personalmente, sono molto scettica sulla influenza che può avere una decisione simile sul benessere personale: si tratta solo di un banale adulterio che non aggiunge niente alla qualità della vita e non sposta gli atteggiamenti eventualmente discutibili del marito che, all’oscuro di tutto, non può certamente trarre frutto dalle scelte della moglie per cambiare qualcosa; Nicoletta non è d’accordo, naturalmente: per lei non conta niente quello che il marito pensa, prova o potrebbe decidere; in fondo, non le frega niente neppure del palestrato che usa per farsi sbattere per qualche ora a settimana: il problema è tutto dentro la sua vagina e nel suo desiderio di provare piacere; racconta di come si senta fremere di emozione quando sale le scale dell’albergo e si prepara a prendere da quel maschio meraviglioso che ha accanto tutto il piacere che può ancora desiderare, visto che anche per lei la menopausa è a un tiro di schioppo e il futuro è molto incerto.
Sembra quasi di vederla, mentre va decisa verso la personale ribellione al maschio che domina, Nemesiaca inossidabile pronta, in un solo momento, a vendicare millenni di schiavitù femminile al maschio, anche se, in realtà, qualche volta la ‘ribellione’ si limita semplicemente alla scelta del ragazzo più prestante, più disponibile e, soprattutto, più dotato: in genere li sceglie nella cerchia delle frequentazioni abituali, bar, palestra, discoteca, insomma i luoghi di ritrovo; in qualche caso, quando proprio non si fida della discrezione dei soggetti, ricorre a sconosciuti trovati in internet; importante è la caratteristica della dotazione perché ormai sentirsi sbattuta forte è diventata un’esigenza; quella sera, poi, si sente particolarmente disponibile a raccontare e aperta alla massima verità, al punto che, stuzzicata da una che godeva fama di essere quasi una monaca di clausura, non ha riserve a raccontarle, forse per godere dell’aria scandalizzata, un incontro quasi dal vivo.
L’occasione tocca ad un ragazzo che conosce bene, figlio di amici, di almeno quindici anni più giovane e quindi per questo ancora più appetibile; lo ha conosciuto al bar dove di solito lo incontra e ne ammira in silenzio la muscolatura solida e coltivata ma soprattutto il pacco che preme dal pantalone e che fa sperare in un incontro al fulmicotone; lo ha saggiato, il giorno che l’ha incrociato mentre entrano contemporaneamente nel bagno: prima di prendere la porta dei maschi, lui l’ha incantonata e baciata con passione; Nicoletta racconta che quel bacio l’ha sconvolta, facendole ribaltare le viscere: la freschezza di quella bocca, di quella pelle e soprattutto il vigore della mazza che si è stampata contro la vulva, da sopra i pantaloni di lei e di lui, le ha dato la sensazione di sentirsi aperta in due, se riuscisse a prenderla in vagina; anche se con una certa sofferenza, è costretta a frenarlo, per evitare un possibile scandalo, se qualcuno entrasse per caso nel bagno in quel momento; allontanandolo delicatamente da se, trova il modo di sussurrargli in un soffio.
“Domani mattina raggiungimi e monta in macchina con me; andremo in un posto sicuro.”
La mattina seguente si prepara come per andare ad un appuntamento amoroso, con un vestitino leggero ed ampio, senza intimo, per sentire immediatamente le mani addosso, nei punti caldi del corpo, un paio di scarpe basse, un trucco leggero per evitare di doversi ‘restaurare’ se esagerassero nel rapporto e prende la piccola utilitaria per non dare troppo nell’occhio col macchinone; passa dal bar, il ragazzo si fa trovare sulla porta, monta in macchina e lei riparte verso il motel che usa per i suoi incontri amorosi, il portiere le consegna una chiave senza commenti; saliti al piano, appena varcata la porta della camera, lei si libera con un solo gesto del vestito ed appare nuda agli occhi dell’allupato ragazzo il cui pacco fa evidente vela immediatamente; Nicoletta si lancia sul sesso eretto e lo prende in mano, apre freneticamente la zip, abbassa il pantalone e il boxer, insieme, e finalmente ha davanti l’oggetto del suo desiderio, un manganello di oltre venti centimetri per quattro o cinque di diametro, che le sta a malapena in una mano; si accoscia sulle caviglie e lecca delicatamente la punta e il foro uretrale, l’altro reagisce come colpito da un brivido; un attimo dopo la mazza è per metà nella sua bocca che la lecca, la succhia e si fa copulare a costo di conati di vomito e difficoltà di respiro.
Passa quasi un’ora a sollazzarsi con la bocca su quell’asta enorme e meravigliosa; e il ragazzo risponde alla grande, ricacciando indietro l’orgasmo ogni volta che si presenta, aiutato da lei che strizza i testicoli e blocca l’eiaculazione; Nicoletta ha una lunga serie di orgasmi, favoriti dalla manipolazione che ha imposto alla sua vagina con la mano libera che si è infilata quasi intera fino all’utero; quando decide di farlo eiaculare, si stende sul letto, se lo tira addosso e si fa penetrare dolorosamente fino alla cervice dell’utero; bastano pochi colpi al ragazzo, per liberare la più densa e lunga eiaculazione che avesse mai fatto; per tre ore, successivamente, si fa penetrare in vagina e nell’ano, in bocca e fra le tette, godendosi quel batacchio enorme in tutte le varianti possibili; si ritrova piena di sperma in tutti i fori e sopra la pelle, al punto che deve fare una lunga doccia prima di andare via. Saluta il ragazzo, promettendogli che avrebbero ripetuto l’esperienza perché ha goduto davvero moltissimo e raccomandandogli la massima discrezione.
Il racconto ci ha scioccate un poco tutte e mi faccio interprete del disagio generale commentando che anche io ho profondi motivi di disagio nei rapporti con mio marito ma che andare a copulare con un ragazzo dell’età di mio figlio non mi pare proprio il caso: l’idea di un incesto mi perseguiterebbe; lei mi obietta che non è necessario scelga un ragazzo ma che con un uomo adulto potrei ben vendicare le oppressioni che mio marito esercita; non posso che convenire e dichiarare che ci farò un pensierino assai serio e che Giuseppe avrà pan per focaccia, non appena mi si presenti l’occasione giusta.
E’ quest’ultima dichiarazione che pesa su tutta l’evoluzione della vicenda, perché non mi sono resa conto che, al catering, c’è Manuela, una signora che da molti anni si occupa della cucina della mensa della principale fabbrica di Giuseppe e che ha col suo datore di lavoro un rapporto di grande fiducia e fedeltà; neppure mi sono accorta che, col telefonino, ha registrato tutto il dialogo: non credo che abbia premeditato di fare la spia, ma, per amicizia, di fronte alla chiara minaccia mia di commettere adulterio ai danni di una persona che lei stima profondamente, non ci sta; sul momento, comunque, neppure mi sono resa conto del significato della dichiarazione che ‘ci avrei fatto un pensierino’ vale a dire che meditavo comunque di tradire mio marito per piegare la sua arroganza; in sostanza, ho dichiarato che anch’io mi sento oppressa dallo strapotere soprattutto economico di mio marito, che non posso permettermi i lussi che vorrei perché mio marito tiene a stecchetto me e i nostri figli e impone continuamente la sua volontà; a quel punto, in molte mi chiedono perché non faccio come loro e non decido di farmi almeno un amante, se non altro per fargli abbassare la cresta almeno una volta; Manuela, come è inevitabile, ascolta e registra tutto; credo che la registrazione solo qualche ora dopo il cenacolo per il te è già nelle mani di Giuseppe che la riceve come un pugno secco nello stomaco.
Ufficialmente, non è successo niente e dopo qualche giorno anche la memoria più vaga dei discorsi pettegoli fatti all’ora del te scompaiono tra le cose senza significato e senza nessun valore; i problemi cominciano a presentarsi dopo circa una settimana, quando mi reco in boutique per un acquisto consistente; al momento del pagamento, la carta di credito viene respinta dalla macchina perché non autorizzata; provo con altre carte che Giuseppe mi ha fornito, ma il risultato è sempre lo stesso; l’unica che risponde positivamente è il pago bancomat che non ha però una copertura adeguata alla spesa che voglio sostenere; la scena è di quelle che fanno desiderare di sprofondare dalla vergogna, ma la titolare è comprensiva e dice lei per prima che devono esserci dei problemi in banca; mi riservo di parlarne a mio marito, titolare del conto e quindi responsabile delle carte; sul momento, faccio congelare gli articoli scelti e prometto che tornerò appena chiarita la situazione.
Quando la sera ci troviamo di fronte, a casa, io e mio marito, chiedo conto della sospensione delle carte di credito; mi dice papale papale che ha chiesto lui il blocco delle carte e che lasciato il bancomat perché in fondo la cifra consentita da quella carta corrisponde allo stipendio di un impiegato di media levatura, per cui è semplicemente assurdo che io mi lamenti perché ha interrotto il flusso di emorragia di soldi che in casa nostra di realizza senza pietà a carico dell’unico che produca la ricchezza per quattro: qualcosa mi frulla nella testa, ma ancora non mi appare chiaro perché mio marito, all’improvviso, faccia discorsi così lontani del suo modo ordinario di comportarsi; per quella sera preferisco tacere e andiamo a letto, separati già da una strana cortina per cui mi sento rifiutata da lui, che fino alla settimana precedente è stato perfino eccessivo nelle sue avances sessuali; non prendo sonno ma non trovo bandolo.
Per più giorni mi trovo costretta ad affrontare situazioni di difficoltà economiche che non avevo nemmeno mai preso in considerazione, abituata come ero, sin da quando ci eravamo conosciuti, a contare ciecamente sulla capacità di Giuseppe di garantirmi agio, benessere e forse anche ricchezza; il fatto che dovessi disdire l’acquisto preventivato in boutique perché non mi era più consentito di scialare, come facevo fino a una settimana prima, mi suona come una punizione durissima, perché i soldi non mancano, anzi l’attività è intensa e produttiva; ma io non posso accedere a quella ricchezza perché mio marito ha bloccato le carte in mio possesso; per di più, a fine settimana arrivano, dalla città universitaria dove soggiornano, i nostri figli e la prima cosa che fanno è chiedermi di acquistare in internet i biglietti per un concerto di Vasco Rossi a Torino; sono costretta a dire che non rientra nei limiti di badget per spese familiari e che, per spese voluttuarie, l’unico che può decidere è il padre; restano sorpresi dalla novità e solo allora mi rendo conto che ho amministrato sempre io la ricchezza che lui produceva.
Dopo esserci brevemente consultati, decidiamo di affrontare il problema in una riunione di famiglia e invito Giuseppe a parlare con me e con i figli; accetta senza problemi; poiché ha molta più determinazione di noi, quando ci vede impalati senza sapere da dove iniziare, mi chiede a bruciapelo se è vero che ho intenzione di fargli abbassare la cresta almeno una volta, se necessario ricorrendo al’adulterio; cerco di spiegare che, si, ho detto quella cosa ma che era solo una provocazione per invitarlo a riflettere sulla gestione della famiglia, alla quale spesso si rivolge solo con ordini perentori e con scelte predeterminate ed assolute; Giuseppe trattiene a stento un sorriso ironico; poi invita tutti e tre a riflettere un attimo, metterci lì e stilare un elenco preciso, minuzioso e motivato delle presunte imposizioni e dei divieti ingiustificati; ci invita anche a stilare un elenco ragionato, secondo una scala di valori sociali, civili ed umani, delle richieste che non sarebbero state soddisfatte.
Mentre annaspiamo alla ricerca di risposte, chiede ai ragazzi quanti studenti del loro liceo si possono permettere di chiedere a casa i soldi per il concerto a Torino di Vasco Rossi, compresi quelli per il viaggio e per la sosta a Torino per un paio di giorni; a me, visto il disagio che dichiaro nell’amministrare la casa, chiede di fissare il badget medio per mantenere lo status sociale al quale pensiamo di avere diritto; risulta alla fine che i nostri figli sono gli unici il cui padre è pronto ad una emorragia economica non indifferente per consentire ai due figli di andare a Torino per tre giorni per assistere al concerto del cantante preferito; nessuno degli altri ragazzi se lo può consentire, tranne quelli che lavorano, anche part time e che si muovono in autostop e tenda, cosa impensabile per i nostri ‘delicati e spensierati bambini’; per quanto riguarda il badget di casa, risulta che la copertura del pago bancomat è di gran lunga superiore alle nostre esssigenze, ma inferiore alla cifra che settimanalmente spendiamo per spese accessorie e voluttuarie, per cui le nostre proteste sono assolutamente fuori luogo.
Si infervora a mano a mano che va avanti, il povero Giuseppe, e al colmo dell’esasperazione annuncia enfaticamente e formalmente che ‘il tiranno di famiglia’ ha deciso il taglio di tutte le spese, specialmente di quelle voluttuarie; mi invita a cercarmi un’attività produttiva che sostituisca la sua e lo esoneri dal funzionare da sportello bancomat per tutta la famiglia, invita i figli a darsi da fare se vogliono permettersi l’impossibile, come la grande macchina e i grandi concerti: suggerisce, provocatoriamente, che organizzino il falso rapimento di uno dei due per obbligarlo a versare quanto sarà sufficiente a loro due per qualche mese di bagordi; mi consiglia, come ultima ipotesi, di trovarmi un amante in grado di concedermi tutto quello che il mio tirannico marito mi nega.
A quella affermazione esasperata, scatto come una belva: non ho un amante, non solo non intendo cercarlo, ma non ho mai pensato nemmeno lontanamente di tradirlo, non ho nessuna intenzione di alzare le barricate contro nessun tiranno perché non è questa l’opinione che abbiamo di lui, in casa; è vero che mi sono sfogata protestando, forse solo perché aveva giudicato troppo cara la boccetta di profumo che avevo acquistata; ma da li a pensare che la mia ribellione potesse arrivare al’adulterio è pura esasperazione; mi chiede come mai, però, le mie amiche ci sono concretamente arrivate e me lo hanno anche consigliato vivamente; l’unica risposta che so dare è che presumibilmente una qualche forma di follia le ha ‘bruciate’ prima ancora che avessero la possibilità di rendersene conto.
Di fatto, però, una ferita si è aperta, ho fatto delle dichiarazioni pericolose, frequento persone che non danno garanzie di serenità e di fedeltà; lui invece sente di avere bisogno di un clima di serenità, di pace, di sentirsi circondato da una famiglia autentica e non da parassiti impegnati solo a sfruttare la ricchezza che produce; non se la sente di vivere sotto l’incubo di un tradimento possibile, in un’atmosfera di sfiducia dei suoi figli che parlano di lui come di un tiranno sanguinario, tra gente che aspetta che volti le spalle per colpire a sangue; avverte che è intenzionato a chiedere la separazione, che assicurerà l’assegno che il giudice stabilirà, ma che non vuole più vivere in un nido di vipere; naturalmente, siamo sconvolti, tutti e quattro.
Avvertiamo con chiarezza l’enormità di quello che sta succedendo: in particolare, emerge netto lo squilibrio tra l’essenza vera di Giuseppe, che ha forse calcato la mano su certi aspetti della vita familiare ma non è andato mai al di là dei limiti di una dignitosa proposta di ruoli che fossero rispettosi anche delle competenze; per converso, noi che ci siamo eretti di colpo a giudici delle sue presunte arroganze, non abbiamo tenuto nessun conto delle nostre pretese specialmente economiche che sono diventate a mano a mano necessità connaturate al nostro status, quasi che scialare e vivere da gaudenti fosse un nostro diritto e non una conquista che mio marito faceva insieme a noi.
L’apice dello sconto si registra quando Matilde cerca di avvicinarsi al suo ‘papy’ e gli si rivolge con l’aria fanciullesca e affettuosa con cui tante volte gli ha strappato consensi per cose che nessuna ragazza si sarebbe nemmeno sognata di chiedere; si sente rispondere che quella bambina è morta da quanto la signorina gola profonda ha più maschi che efelidi sul volto; lo guardo stravolta: non sapevo niente di questa particolare attitudine di mia figlia e mi sento ancora più sprofondare all’idea che non mi sono affatto curata di seguirne l’evoluzione e la crescita che l’ha portata in un territorio per me assolutamente tabù; mi vergogno, per lei, ma anche per me e per la prima volta in tutta la vicenda ho la sensazione di essere assai più colpevole di quanto avessi voluto giudicare lui.
Come se non bastasse, Giuseppe si rivolge allora a nostro figlio Nicola e lo avverte che è stufo delle sue sbandate incontrollabili e delle esagerazioni di cui si fa protagonista, incapace come è di tenere sotto controllo i suoi istinti più bassi e pericolosi; comunica che non pagherà più i debiti che lascia al tavolo da gioco e che, se i mafiosi, che controllano le bische che si ostina a frequentare, gli spaccheranno le ossa, si limiterà a sporgere denuncia ma non interverrà in nessun modo; anche questa rivelazione è per me una mazzata durissima che mi pende in piena nuca: mentre mi preoccupavo della scelta dei profumi ed accusavo mio marito di insensibilità perché trovava troppo caro il prezzo di una boccetta da pochi centilitri, mio figlio sperperava al tavolo da gioco, con dei mafiosi, il sudore e il sangue che suo padre versava nel lavoro; non credo di avere più spazio per vergognarmi, vorrei solo sprofondare.
Ma mio marito ha in serbo l’ultima raccomandazione proprio per me: mi dice che, come sospettavo, è stato informato per filo e per segno da Manuela, che gli è devota perché almeno sa riconoscere che lui le da la possibilità di vivere onestamente; quindi, mi raccomanda di non fare l’ultimo passo verso la fine: sa per certo che finora sono rimasta fedele, anche se sembra che non abbia più nessuna stima per lui; mi precisa che se, come ho dichiarato, dovessi compiere l’ultimo passo verso l’adulterio, sarebbe davvero la fine di tutto e resterebbe solo il divorzio.
Passano nella tristezza più profonda circa due mesi: per tutto il tempo, dorme con me, nello stesso letto; non si accosta mai volontariamente ma, quando lo cerco, non si nega ed è estremamente freddo e quasi parsimonioso; mi fa una rabbia terribile trovarmi a fianco un uomo che conosco a menadito, in tutte le pieghe del corpo, in tutte le rughe, in tutti i limiti e difetti, ma che non riconosco perché non accenna neppure a muovere autonomamente una mano: sin da quando ci prepariamo ad andare a letto, devo essere io a decidere di amarlo e farmi amare; le prime volte aspetto che mi inviti a fare l’amore, poi intuisco che vuole che sia io a scegliere l’uomo con cui tradirlo e decido di farlo con lui, con l’unico maschio della mia vita e che non voglio cambiarlo con nessuno; mi sdraio a fianco a lui e allungo la mano a prendere il sesso, lo trovo ritto come un palo di cemento, gioisco dentro di me ed è quasi un orgasmo che mi coglie, quando lo sento vibrare fra le dita; mi abbasso a prenderlo in bocca e godo ad ogni millimetro che scivola sulla lingua pronta a riceverlo, a lambirlo, a goderlo e farlo godere.
“Vali poco, come amante; lasci fare a me ogni cosa …”
Lo provoco.
“Se vuoi sesso, cercatelo: lo sai come fare e sei anche meravigliosa quando copuli.”
“L’ho fatto e lo faccio con un solo uomo, il mio uomo, da sempre, per sempre.”
“Allora prendilo!”
Non riesco a smuoverlo e decido di possederlo fino in fondo; gli sussurro ‘ti amo’ e sento che piango senza freni, bacio il viso amato, cerco la sua bocca e infilo con violenza la lingua finché ingaggia con me una vera battaglia; mi stendo col corpo su di lui e mi faccio arrivare il sesso sulla vulva, con la mano porto la cappella sul clitoride e mi strofino a lungo, finché l’orgasmo mi esplode violento e viene seguito immediatamente dalla sua eiaculazione che si scarica sul monte di venere, sulle grandi labbra tumide e roride di amore.
“Maledetto, perché non mi hai avvertito? Dentro ti volevo, dentro, non sul ventre. Ti amo, maledetto!”
“Anche io ti amo, stupida; e non ce l’ho fatta; ma non puoi averla vinta; devi tradirmi, con l’angelo meraviglioso che sogni in contrasto col tiranno che ti rende la vita impossibile!”
“Vai al diavolo: è una vita che ti tradisco con la parte angelica di mio marito contro la parte tirannica di Pino; e tu solo adesso ti rendi conto che non fai niente per trattenermi con te: perché non mi ami da maschio vero e fai il parassita anche nel’amore? Dov’è la tua potenza che mi ha squassato i lombi per anni?”
“C’è, non se n’è andata; ma devi cercartela e conquistartela”
Ho tirato avanti nella gestione della casa anche con una certa larghezza, col massimale consentito dal pago bancomat; ma per moltissimi interventi particolari è intervenuto lui con le carte di credito; i ragazzi si sono contenuti nei limiti della paga a suo tempo stabilita; ma il padre gli ha fatto trovare i biglietti del concerto, quelli del treno e alcune banconote per le spese oltre ad intervenire puntualmente ogni volta che si è reso necessario effettuare spese straordinarie o, per dirla con Giuseppe, voluttuarie; quando Matilde cerca di parlargli per ringraziarlo, risponde bruscamente che certi miglioramenti nel rendimento scolastico lui li sa riconoscere e che è sua precisa abitudine premiare il merito ma anche punire gli errori: se questo è comportamento da tiranno, è felice di esserlo.
Dopo due mesi, ci ritroviamo in cucina; non reggo più; adesso basta, ci ha mortificato abbastanza; anche se non c’è stata vera punizione; ha rimarcato bene che lui è il marito e il padre che sa dialogare con la famiglia, che non ha bisogno di sferzate per fare il suo dovere e che siamo noi a dovere parametrare il nostro comportamento e le nostre dichiarazioni; ma adesso io ho bisogno di essere posseduta, io voglio un amante e voglio che a farmi fare veramente l’amore sia l’uomo che ho scelto, tanti anni fa, una volta e per sempre: se non accetta di amarmi come deve fare un vero marito innamorato, minaccio di andarmene, a costo di finire male: voglio il mio tiranno voglio che mi sventri, ma che mi faccia sentire quanto mi ama.
Mi aiuta Matilde, che letteralmente si getta addosso a noi, sul letto, mentre lo abbraccio; gli impedisce di liberarsi di me e gli afferra il sesso.
“Adesso scegli: o io mi impalo su di te e ti faccio rinnegare tutti i tuoi maledetti credi e tutte le ridicole leggi e norme che tanto ti piacciono; oppure tu impali lei, la mia dolcissima mamma che ha tanto bisogno del suo amante, l’unico che ha avuto per tutta la vita e che vuole completamene, come dio comanda; oppure, ti strappo i testicoli e la facciamo finita!”
Giuseppe si arrende, mi rotola addosso, mi abbraccia nella sua figura possente ed io mi sento scomparire tra le sue braccia, nel suo corpo, nel suo amore; Matilde, fortunatamente, svicola in silenzio e ci lascia fare l’amore.
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