Naturalmente, quando si trattò di frequentare le ragazze, da adolescenti, io dovetti tenere in conto non solo tutte le mie paure e la profonda disistima in me stesso; ma dovetti fare presto i conti anche con i giudizi taglienti che le ragazze pronunciavano contro le mie debolezze e che in breve mi buttarono fuori da qualunque ipotesi di approccio anche con le meno appetibili, quelle che tutti snobbavano perché poco interessanti; per fortuna, mi trovai ad alloggiare, un’estate, in una casa di villeggiatura dove ebbi come immediata vicina di pianerottolo Ersilia, una bella brunetta peperina e, a quel che si diceva, assai aperta e disponibile; sua madre, come capitava a tutte le signore, rimase affascinata dalla mia apparenza di ragazzo buono, docile, servizievole, e in qualche modo mi ‘adottò’ eleggendomi a compagno di uscite (ma anche, secondo lei, controllore) della sua ragazza, troppo vivace per lasciarla andare da sola.
Lei, che probabilmente aveva capito della vita, se non tutto, almeno quello che contava, colse subito il senso positivo della situazione ed accettò, promuovendomi immediatamente accompagnatore fisso e garantendosi, così, la totale immunità per le uscite serali e per i rientri antelucani; su suo ordine preciso, mi limitavo ad accompagnarla ai locali che aveva deciso di visitare per la sera, guardava chi fosse il fusto che alla fine decideva di abbordare e se lo portava via, la seguivo per un tratto con lo sguardo e tornavo ad incontrarla quando, finalmente stanca, rientrava al punto di incontro e ce ne andavamo a casa; in compenso, lungo strada mi raccontava per filo e per segno quello che aveva fatto col cavaliere della serata; qualche volta, mi concedeva, mentre raccontava, di fermarci in un angolo oscuro e di farmi una sega mentre lei descriveva le dimensioni e la forma del cazzo che aveva manipolato o che si era preso dentro e tutte le sensazioni che aveva provato: normalmente sborravo prima che fosse arrivata al terzo episodio della narrazione ed ero felice.
Non ci volle molto ad arrivare ad un accordo preciso, anche perché le regole le dettava lei ed io mi adeguavo semplicemente, prono come ero ai suoi voleri; e le cose funzionarono perfettamente perché lei mi mise al corrente dell’avanzare della sua esperienza da quando il primo filarino la portò sulla battigia, le prese la mano e se la portò sulla mazza, che per l’età era abbastanza notevole, anche se ancora nei limiti di un’accettabile potabilità; la sega che gli fece fu di grande entusiasmo, perché lei si era lungamente preparata all’evenienza, coi pisellini dei compagni di classe, ancora del tutto sprovvisti di sesso maschio ed utili solo per apprendere certi movimenti del polso e della mano.
Lo step successivo fu la fellatio: anche per quella c’era stata qualche anticipazione a scuola coi pisellini acerbi dei compagni di classe, ma sulla battigia, con mazze che già arrivavano a quindici o sedici centimetri, era tutto un altro discorso di lingua passata su tutta l’asta, di lunghe soste sulla cappella per stimolare il frenulo, di lunghe sborrate calde raccolte prima sotto la lingua e sputate fuori per arrivare poi a ingoiarle con gusto e passione.
La volta che le ruppero il culo fu piuttosto difficile da gestire, specialmente perché per un paio di giorni aveva difficoltà a sedersi e dovete inventarsi problemi alle emorroidi per giustificare le leggere emorragie conseguenti; anche quella volta, naturalmente, esigette ad ogni costo che non fossi presente e mi chiamò solo quando lui la lasciò sulla sabbia, col culo rotto e sanguinante, e dovetti preoccuparmi io di medicarla accuratamente, evitando di correre all’ospedale dove avremmo dovuto dare troppe spiegazioni; anche quella volta si limitò a raccontarmi che lui ce l’aveva molto grosso, che non aveva usato lubrificante e aveva spinto nonostante le urla finché era entrato nell’intestino direttamente; ancora una volta, pur lacrimando per il dolore, godeva al ricordo del piacere provato e mi eccitava al punto che, quando descrisse la sua gioia nel sentire l’ano spaccarsi e cedere al cazzo che entrava, sborrai come una fontana.
Naturalmente, la serata clou fu quella in cui si lasciò sverginare da un uomo sposato, incontrato sulla spiaggia la mattina e che l’aveva incartata recitandole poesie e citandole quelle frasi d’amore che si trovano sui cioccolatini o sui pasticcini cinesi; quando mi raccontò della mazza di lui che lei aveva titillato e portato alla massima dimensione di oltre venti centimetri ed aveva poi coccolato a lungo nella bocca e con la lingua, prima di adagiarla contro la vulva per spingersi contro con la vagina e farsi penetrare a fondo con un urlo disumano, non riuscii a sottrarmi al piacere di sborrare due volte prima che il racconto fosse concluso; Franca aveva ormai capito tutto ed utilizzava con grande abilità ed esperienza i dati del sado masochismo per impormi tutte le peggiori perversioni che le passavano per la testa; per parte mia, mi bastava masturbarmi sul racconto che mi faceva delle sue prodezze sessuali e tutto tornava a posto: sborrare a metà racconto era l’obiettivo preferito.
In un gioco di perversione portato ormai a livello istituzionale, arrivammo a decidere di sposarci, con la clausola che a scoparla, sin dalla serata della luna di miele, sarebbero stati altri e che io sarei tornato nella camera da letto solo la mattina dopo, quando lei mi avrebbe raccontato parte di quello che era successo per celebrare degnamente il mio matrimonio: per la prima volta nella nostra storia, il portiere di un albergo mi vide confermare la prenotazione di una camera, accompagnare mia moglie e il suo amante (il primo della serata) fino alla reception e poi fare appuntamento per la mattina seguente: quella sera, avevamo scelto un hotel elegante, a cinque stelle; successivamente però, motel, alberghetti a due stelle e bad and breakfast di mezza Italia avrebbero imparato a conoscere la coppia che arrivava da sposi, si divideva all’arrivo dell’amante e si ricomponeva quando lei aveva dato sfogo alle sue voglie.
Quella sera che era della notte di nozze, l’occasione speciale impose di proporre in prima istanza una ragazzo di poco più di vent’anni, palestrato, ben dotato, che Ersilia aveva già sperimentato in una sveltina in un bar di cui neppure mi aveva dato conto, visto che era stata una cosa assai rapida; quella sera lo trattenne per oltre due ore e, la mattina seguente, mi confidò che si era fatta sbudellare più volte la figa e il culo, che aveva sentito con grande gioia la mazza violale in più occasioni punti vergini dell’utero e del retto e di averlo fatto concludere con una lunga fellatio direttamente nello stomaco.
Poiché quella mattina ebbi diverse occasione per masturbarmi, la notizia non mi scosse gran che; l’amante che subentrò era molto più maturo ed esperto e la fece godere molto scopandola continuamente in ogni parte e non lasciando mai il cazzo lontano da lei, in figa, il culo, in bocca o in mano: per due ore mia moglie lo manipolò, lo leccò, lo succhio, lo morse, lo godette in ogni dove e riuscì a farlo sborrare almeno due volte, una in gola ed una nel retto: nella figa, lui rinunciò perché si accorse che ancora era piena dei residui precedenti e preferì spostarsi all’ano; l’ultimo era un trentenne fortemente dotato, con un cazzo da esposizione universale lungo quasi venticinque centimetri e largo come una lattina di coca cola: Ersilia urlò per tutte le due ore che lui la montò e la sfondò dappertutto; quando andai a riprendere il mio posto, lei non riusciva neanche a stare sdraiata sul letto, tanto stava male; e rideva come un’imbecille all’idea del suo corpo squassato dalle botte che aveva ricevuto da quel cazzo in ogni dove; per un momento, ne rimasi basito; poi mi sarei abituato al suo modo di fare e non mi avrebbe più fatto nessun effetto vederla camminare sbilenca dopo che un cazzo particolarmente grosso e tozzo le aveva slabbrato i fori e l’aveva fatta sanguinare.
Anche dopo il matrimonio, comunque, Ersilia mantenne il proposito che io non potevo e non dovevo neppure chiedere di assistere alle sue scopate; il mio ruolo si limitava a riservare le prenotazioni negli alberghi dove decideva di andare, accompagnarla finché incontrava l’amante di turno, fissare l’ora in cui sarei tornato a prenderla e andarmene per gli affari miei, a casa se tutto avveniva in un’area limitata, o in un altro albergo se andavamo fuori; quando ci ritrovavamo, mi raccontava le performances che aveva realizzato; ma ormai, dopo i primi accenni, mi segavo, sborravo e la lasciavo a fare i cazzi suoi: sostanzialmente, trovavo la cosa molto limitativa, anche perché raramente mi consentiva di fare un po’ di sesso con lei, visto come si stancava con i suoi stalloni; qualche volta mi chiese di pulirle con la lingua la figa pregna di sborra dell’ultima scopata; ma la cosa non mi mandava in estasi e cercavo di evitarla.
Ormai la situazione si era così sedimentata ed io mi trovavo sempre più relegato al ruolo di stuoino: una certa vena masochistica mi stimolava ad accettare serenamente la situazione; ma non ero profondamente convinto del ruolo e ogni tanto rigurgiti di rifiuto si agitavano in me; in quei casi, mi allontanavo, la lasciavo da sola a organizzarsi incontri, appuntamenti coi bull e prenotazione degli alberghi e andavo a cercarmi qualche puttana con la quale avere almeno una ‘scopata consolatoria’ che, col tempo, mi risultava sempre più gradevole e interessante; ma non ne parlai mai con Ersilia, per non turbare il suo equilibrio e mi costruii una sorta di ‘sessualità parallela’ nella quale mi accorsi di stare assai bene.
Quando le coincidenze dei turni lo consentivano, Ersilia mi trascinava spesso a casa di una delle commesse che lavoravano con lei, accomunate dall’amore per i cazzi extralarge, di cui il marito di Cristina e quello di Violetta pareva fossero largamente dotati e del quale pareva che facessero un uso quasi smodato; in qualche modo, Ersilia era invidiosa delle due perché avevano in caso quel che lei si cercava fuori; ma in realtà anche lei conveniva che la stessa minestra a lungo andare la avrebbe annoiata e che si sarebbe stancata presto dello stesso maschio a letto, anche se ben dotato e capace di violentarla come lei gradiva, senza le sdolcinerie mielose dei normodotati.
Una sera, mentre le tre erano in giardino a chiacchierare ed a fumare una sigaretta, una delle poche che si consentivano per giorni e giorni, Cristina disse chiaramente ad Ersilia che avrebbe tanto desiderato fare sesso almeno una volta con un normodotato premuroso ed affettuoso per sperimentare una scopata tenera e dolce che le consentisse orgasmi riposati e tranquilli, invece delle aggressioni violente che era costretta a subire ogni volta da suo marito che non perdeva nessuna occasione per sbatterle la sua verga extra forte in ogni foro, fino a farle male sul serio ed a produrle ferite che aveva dovuto farsi curare in ospedale con le scuse più strampalate; Ersilia, quasi convinta di umiliarmi viepiù, le commentò.
“Dovresti fare l’amore con Erminio; quel debosciato mezzo frocio normodotato è bravissimo nelle perdite di tempo che si chiamano preliminari e sa scopare con molta delicatezza, ma non ti fa sentire niente se hai una figa bella larga.”
Decisamente aveva voluto fare una battuta che mi ferì anche, visto che era stata detta ad una persona che consideravo mia amica e che stimavo moltissimo; essere definito mezzo frocio e debosciato non mi rallegrò, specie quando mi accorsi che Cristina mi aveva visto nascosto dietro l’angolo e si era resa conto che avevo ascoltato; mi venne vicino e mi accarezzò delicatamente la testa.
“Non te la prendere, Erminio; lo sai che è fatta così!”
Ma Ersilia era ormai partita e non si fermò: da tempo aveva espresso il desiderio di assaggiare la mazza del marito di Cristina; approfittò del momento per proporre all’amica di scambiarsi i mariti, almeno una volta, per avere la possibilità di assaggiare un vero maschio e dare a lei l’occasione di sverginare un normodotato mezzo frocio; Cristina non le rispose ma mi guardò di sottecchi; le feci cenno di rifiutare ma di lasciare che concupisse suo marito; colse al volo l’intento mio e rispose ad Ersilia che se voleva scoparsi suo marito a lei non avrebbe fatto né caldo né freddo, ma lo scambio non le interessava; mia moglie non perse tempo e in dieci minuti aveva combinato con Nicola, per portarselo nel bad and breakfast che frequentava ormai abitualmente; decisero per un sabato pomeriggio, per avere davanti anche la domenica di libertà eventuale; mi chiese se potevo occuparmi della prenotazione; garantii solo per quella, non essendoci bisogno di accompagnarla dal maschio che conosceva né di andarla a riprendere quando si fosse stancata; mentre mi allontanavo da lei trovai il modo di parlare a Cristina.
“Ersilia ha deciso di usare la nostra macchina; dovrai venire tu da me.”
“Mi pare che tu controlli meglio i movimenti di tua moglie; ci fermiamo da te, non appena si saranno allontanati?”
“Sabato, quando Ersilia passerà a prendere Nicola, metti un costume in borsa e vieni a casa mia; portati anche un ricambio di intimo: se ci va a genio, ce ne andiamo al mare, ci restiamo fino a domenica sera e torniamo dicendo che abbiamo passato la domenica insieme al mare; se non vogliamo rischiare di essere registrati in un albergo, ci fermiamo sabato a casa mia e domenica mattina andiamo al mare dicendo che l’abbiamo deciso insieme all’ultimo momento.”
“Ci crederanno se diciamo che per caso, la domenica mattina, abbiamo deciso di andare al mare?”
“Scusa, Cristina, se io, sapendo che sei sola sabato e domenica, decidessi di proporti una domenica al mare, che motivo avresti per rifiutare? E tuo marito cosa potrebbe sospettare da un mezzo frocio?”
“Perfetto, sabato pomeriggio fino a domenica mattina a saltare sul letto di casa tua; domenica all’alba andiamo al mare e torniamo al tramonto: se ci riesce, scopiamo anche domenica.”
“ Ci riesce, stai certa!”
Ersilia deve avere una voglia matta di assaggiare il marito dell’amica, perché il sabato a pranzo fa le cose con una rapidità che non le aveva mai visto; sparecchia tavola e cucina, telefona al suo amante e dopo due minuti è in macchina, in partenza per la nuova avventura; non passano venti minuti e vedo arrivare la macchina di Cristina; le apro il box per farla parcheggiare fuori dalla vista di chicchessia e, per una porta interna, entriamo in casa; le do solo il tempo di buttare su una poltrona la borsa che ha con se e l’ho già afferrata alle spalle, con le mani sui seni che da mesi desidero e due dita per mano a stringere i capezzoli grossi come fragole; si gira a baciarmi e mi sussurra.
“Non vuoi aspettare che mi tolga almeno il vestito?”
La aiuto a liberarsi dell’abitino, sfilandoglielo e sistemandolo sulla poltrona ai piedi del letto; poiché non indossa intimo, me la trovo nuda davanti, su due sandali bassi, praticamente una statua meravigliosa di venere, bellissima nel ventre piatto e tirato, nei fianchi piani che terminano con due glutei alti e superbi, apparentemente di piombo e, al tocco, morbidi come velluto; il seno è matronale, superbo, bello da guardare, da leccare, da carezzare, da mordere; sento che le piace sentirsi stuzzicare i capezzoli e mi ci dedico con amore profondo, quasi come se davvero dovessi allattarmi da lei; sento che esplode in piccoli orgasmi; allungo le mani sul ventre e manipolo la vulva, aggredendo contemporaneamente l’insieme del perineo fino all’ano e, da dietro, accarezzandola la fessura tra le natiche finché il medio si infila nel canale rettale: gli orgasmi diventano più frequenti e più chiari, quasi urla mentre me li scarica sulle punte delle dita.
La guardo con intenzione e le chiedo tacitamente se vuole continuare nel gioco della seduzione; arretra leggermente e si siede sul bordo del letto, agganciando il pantalone della tuta che indosso a pelle; mi blocca con un gesto, mi fa stare in piedi davanti a sé e abbassa il pantalone; il sesso si alza duro nella sua ‘pochezza’ (non più di sedici centimetri, in tutto, una misura ridicola per Ersilia); Cristina lo guarda con dolcezza, quasi con amore, accosta quasi timidamente la punta dalla lingua al foro uretrale e ci gioca, poi lambisce la cappella tutto intorno; io fremo e il sesso si irrigidisce nella sua bocca; lo ingoia lentamente, quasi assaporasse progressivamente il piacere di sentirlo; avverto che la lingua ci gira intorno e lo solletica mentre entra, sicché non si limita a copulare o a succhiare, ma fa insieme vari movimenti di cui il primario è leccare l’asta con la lingua mentre con le guance la succhia e col movimento della testa si fa copulare in bocca; le prendo le tempie nelle mani, in una carezza di grande intensità; mi chiede se deve fermarsi; dico di no; mi chiede se resisto ad un secondo orgasmo; le rispondo che, con lei, sborrerei senza fermarmi: mi piace troppo.
Affonda il sesso fino alla peluria del pube, continuando a succhiare, a leccare, a copulare: le sensazioni che mi provoca sono irresistibili e sento che anche lei si eccita moltissimo, al punto che una sua mano sparisce fra le cosce e dal movimento avverto che si sta masturbando; le chiedo se vuole che lo faccio io; mi dice che, no, quello deve essere un momento tutto suo e che è felice che io le consenta di godere così bene, anche da sola; esplode con un urlo che nessuno dei due si aspettava; mi stringe con forza i testicoli e blocca così il mio orgasmo che stava per esplodere al seguito del suo.
“Perdonami, se ti ho frenato; abbiamo ancora una lunga notte davanti e mi accorgo che mi piace tantissimo gustarti a lungo; non voglio che ti esaurisca subito; devi darmi tanto amore.”
Dopo il grande orgasmo, sento che si è fortemente rilassata in tutti i muscoli del corpo, che si è come ammorbidita, illanguidita, quasi inumidita; mi stendo sopra di lei e sento che il corpo si adatta perfettamente al mio, che gode di sentire gli organi sovrapporsi e contrapporsi provocando fitte di piacere dappertutto, soprattutto al cuore, al cervello e all’inguine; il mio cazzo si adagia sul suo monte di venere, ma Cristina lo sposta delicatamente dentro la fessura della vulva finché la punta coincide con l’ingresso alla vagina; ci baciamo con intensità da ragazzini in camporella e le palpo i seni con tutta la voglia che da mesi coltivo; la bacio su tutto il viso e mi scappano paroline d’amore che accoglie con tenerezza, non con il rifiuto rabbioso di mia moglie.
Mi scappa involontario un ‘ti amo’ e, con sorpresa, sento che mi ribatte ‘anche io’; l’eccitazione monta alle stelle e spingo il sesso avanti fino a che comincia a penetrare nella vagina decisamente spanata ed abituata a ben altro volume; ma Cristina si sta godendo l’amplesso più di quanto io veda; i muscoli vaginali si contraggono a stringere l’asta fino al massimo possibile e mi sembra quasi di violare un organo vergine, anche se so che da anni ospita un fallo di quasi venticinque centimetri; quasi non ho il coraggio di cavalcarla, temendo di dimostrarle l’eccessiva differenza tra il mio sesso e quello a cui è abituata; ma sento che lei stranamente gode, e molto, di quello che riceve e degli stimoli che le provoca la mia asta nell’utero; la sento urlare tre volte di goduria, di libidine, di amore, prima di sentirmi il ventre ribollire e l’asta esplodere scaricando uno tsunami di sperma.
“Quanto sto godendo, amore; non puoi immaginare che piacere provo a sentirti dentro di me, così dolce, cosi tenero, così mio; non puoi capire la libidine di non sentirsi violentata ma accarezzata, di non essere posseduta ma di partecipare con te al nostro piacere, non dovere subire dolorosamente il tuo membro nel ventre ma farmelo entrare con dolcezza, accoglierlo con amore. Il tuo sperma che mi è esploso nel ventre è miele d’amore che si scarica dentro di me E’ questo che volevo; è questo che voglio; abbiamo fatto bene a stare zitti; così posiamo incontrarci ancora ogni volta che ci sarà possibile, se tu mi vorrai ancora.”
“Io ti vorrò sempre; con te ho capito che non sono il tappetino su cui la troia scarica le sue frustrazioni, non sono lo straccio con cui può pulire lo sperma che accumula in quella fogna che è la sua vagina; oggi so che posso dare e ricevere tanto piacere; non voglio fare rivoluzioni e lascerò le cose come stanno, ma mi prenderò la mia libertà e soprattutto la mia dignità di fare l’amore e di farlo con te se tu te la senti.”
L’orgasmo ci ha completamente svuotati e cadiamo in un dolce deliquio: la tengo per la mano e non azzardo nessun movimento per accostarmi o per accarezzarla, ma avrei tanta voglia, adesso, di sentirla vicina, non sotto o sopra, ma vicino, come amica, come amante, come donna; mi giro su un fianco e lei fa lo stesso in senso opposto; i visi si accostano e le bocche si incontrano; cominciamo a baciarci con dolcezza, con tenerezza, con amore quasi; e sento che l’eccitazione è tutta mentale, non ha a che fare col sesso che resta barzotto, pronto a scattare, ma in dolce attesa.
Il languore dura un tempo che non possiamo e non vogliamo valutare; poi Cristina striscia verso di me e mi monta addosso; credo che abbia voglia di riprendere a copulare, ma non è così, semplicemente si sdraia a far coincidere i corpi ed a coprire di baci dolci e teneri tute le parti raggiungibili; seguo il profilo dei suoi tratti, dai capelli agli occhi, dagli zigomi alle guance fino agli orecchi che lecco, titillo e succhio provocando reazioni scomposte anche di lieve fastidio, ma per lo più di suggestione amorosa; scendo verso le labbra e le catturo in un bacio casto, denti contro denti; lei apre delicatamente le labbra e insinua la lingua tra le mie; la seguo, prima, e comincio a combatterla poi; inizia da lì il secondo round del nostro incontro amoroso che si scatena per le seguenti ore, fin quasi a notte fonda saltando la cena, che riduciamo a biscotti e latte consumati nello stesso letto dove stiamo amandoci, e portando le cavalcate a tre consecutive con orgasmi continui di lei e solo due per me, che alla fine crollo addormentato; ma sono già le tre passate; mi sveglio alle sette, come sempre, e preparo un poco di caffè, del latte, fette biscottate e marmellata per recuperare in parte la cena saltata; Cristina mi segue, va in bagno, si doccia e rientra in cucina indossando il costume, un due pezzi ridottissimo che la rende ancora più appetitosa di quando è nuda; mi frena con la mano e mi invita a prepararci per la ‘manfrina del mare’ se vogliamo che funzioni.
In meno di mezz’ora siamo in spiaggia, c’è molta gente, in barba alle previsioni, e Cristina si fa immediatamente notare col suo costume ridotto all’osso su un corpo veramente statuario; mi pavoneggio con gusto, sentendomi quasi artefice di tanta bellezza, e non perdo occasione per farle scivolare, nella maniera più naturale possibile, una mano su un’anca, a sfiorare il seno straripante o a spolverare un immaginario insetto dalla vulva segnata, più che coperta, dalla striscia dello slip; scegliamo un posto non lontano dalla battigia dove stendiamo i teli da mare, lei si sdraia bocconi e mi invita a passarle la crema solare sulla schiena: non ho mai eseguito con tanta gioia una richiesta fatta con tanto affetto e con tanto vezzo; mi sistemo a cavallo dei suoi fianchi, piantando tra le natiche il sesso che si va gonfiando per l’eccitazione e comincio la lenta operazione di massaggio della schiena che è al tempo stesso spalmare la crema solare, massaggiare dolcemente (ho qualche infarinatura di massaggi) ed accarezzare sensualmente: sento che gode piacevolmente della mia carezza ed affondo sempre più intimamente finché apertamente prendo a titillare la vulva dal di dietro; segnala l’orgasmo con un lieve ronfare soddisfatto; ne sono felice.
Andiamo avanti così per tutta la mattinata e le passo la crema solare dappertutto, persino tra le dita dei piedi, per accarezzare pure quelli e devo farmi forza per non baciarli e succhiarli uno ad uno; lei capisce e mi fa cenno che lo desidera ma avremo tempo; lo squillo del telefonino mi fa sobbalzare ma non mi meraviglia che sia Ersilia a chiamare: è tornata a casa ed è quasi feroce perché non mi ha trovato pronto al suo servizio; la mando al diavolo, interrompo la comunicazione ed attivo il rifiuto di risposta; subito dopo, è il telefonino di Cristina a suonare ed anche suo marito inizia sbraitando, viene mandato al diavolo, scende a più miti consigli e lei lo informa che è andata al mare e ci resterà fino a sera, lui chiede se è sola, lei dice di no e che si aspetti un po’ di cornetti, una volta tanto; qualche bestemmia bofonchiata poi la comunicazione si interrompe; guardo impressionato.
“Non preoccuparti: innanzitutto, se rompiamo i rapporti, io con te ci sto bene e posso anche decidere di restarci; secondo, se fa storie, lo caccio via e non ha nessun diritto su niente; se tu non te la senti, al massimo, posso avere bisogno di un nuovo compagno perché il mio stipendio non sarebbe sufficiente e in due si lotta meglio … “
“Se fai questa scelta, posso prenotarmi?”
“Io ne sarei felice e lo davo quasi per scontato.”
Decidiamo di mangiare un panino allo stabilimento balneare e di tornare il pomeriggio a prendere il sole; ma dopo avere mangiato preferiamo addentrarci nella pineta parallela alla spiaggia finché troviamo un punto riparato dal folto degli alberi, stendiamo i teli, ci sdraiamo cominciamo a pomiciare da ragazzini in fuga amorosa; comincio a baciarla dalla punta dei piedi, leccando e succhiando le dita una per una, poi passo alle gambe e alle cosce, finché Cristina mi afferra per le spalle e mi tira verso di sé.
“Adesso voglio sentire che mi fai morire dalla libidine entrandomi in figa come hai fatto ieri sera: dammi sul serio il tuo amore, tutto!!!”
Il sesso si è gonfiato al limite del possibile e basta sfilarlo dal costume per farglielo sentire sul ventre; lo prende con la mano destra e lo guida alla vagina, comincio a spingerlo dentro e mi accorgo, meravigliandomi, che avverte la penetrazione tutta intera, la accompagna con gemiti e dolci paroline d’amore, sospira più volte ed ha un paio di leggeri orgasmi; quando urto la testa dell’utero, mi afferra per i lombi e mi stringe a se; le dico che non ce n’è più; mi rimprovera che non cerca altro, che vuole sentirmi dentro e che per questo mi devo muovere, farle sentire la cappella sulla cervice, appena lo faccio, comincia a sbrodolare, a vaneggiare, finché si mette ad urlare di goduria ed esplode in un orgasmo che comunica a tutta la spiaggia; la bacio per frenare l’urlo ma mi divora la bocca e continua a godere anche con la gola, col seno che si agita e con i capezzoli che titilla; ancora un forte urlo, poi si abbatte quasi svenuta; cerco di rianimarla con qualche schiaffetto, apre gli occhi, mi sorride.
“Non preoccuparti, amore, è stato solo un orgasmo, il più bello della mia vita, quello che i francesi definiscono piccola morte perché davvero mi son sentita l’anima esalare al cielo; ma sono qui, con te, col mio orgasmo meraviglioso e non so dirti la mia felicità.”
Sono felice anch’io e sento finalmente che il mio sesso è utile, non l’appendice morta che dice Ersilia, ma uno strumento vivo di piacere; mi sento rinato anch’io, in qualche modo.
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