La comunicazione del trasferimento nell’Agenzia del piccolo comune dell’Italia Centrale mi tiene in grande tensione: sono ormai mesi che la aspetto e non riesco a capire per quale motivo, dai piani alti, tardano a mandare la conferma; non credo affatto che possa essere evidente la motivazione recondita che mi spinge a chiedere quel trasferimento: non ho rapporti con il mio ex marito da più di dieci anni, siamo divorziati da quasi quindici e quindi non c’è possibilità che qualcuno possa sospettare che, dentro di me, agisca con forza il desiderio di vendicarmi una volta per tutte di Paolo, di fargli pagare la sua infingardaggine, la debolezza di impegno nella professione, la mancanza assoluta di ambizione.
E’ da quasi venticinque anni che mi scontro con lui su questi temi e non sono mai riuscita a spuntarla; l’unico risultato ottenuto è la separazione e poi il divorzio, che subisce con la solita apatia; eppure abbiamo cominciato insieme, poco più che ragazzini (lui circa vent’anni ed io poco meno della maggiore età); però subito è apparso chiaro che seguiamo due strade diverse: io, rispettosa di tutte le norme, leggi e regolamenti che vengono emanati quasi quotidianamente, fedele impiegata al servizio dei superiori, percorro con dignità la scala della carriera fino a funzionario e dirigente; lui, spirito anarchico e insofferente di qualunque norma imposta, si è dedicato immediatamente al portafoglio estero che gli consente libertà di manovra con i correntisti principali della banca; ma, in questo modo, si è precluso ogni possibilità di avanzare professionalmente e resta sempre allo stesso livello.
Commettiamo anche la follia di sposarci e di avere due figli, in rapida successione, quando io ho poco più di vent’anni; ma neanche questo vale a Paolo da stimolo per fare carriera; per dieci anni (ma in realtà, assai meno, considerato l’inferno degli ultimi anni), fino al divorzio, riusciamo a sopportarci e a tirare avanti; poi sbotto e lo caccio via: poiché non cerca neanche di opporsi con forza alla separazione e al divorzio, ottengo l’affidamento dei figli (in cambio di un congruo assegno) e lo faccio convincere dalla direzione a chiedere il trasferimento al paesino, dove è rimasto per tutti questi anni e dove adesso sto per raggiungerlo; anche a questo forzato esilio, non oppone resistenza di nessun tipo; col tempo, riesco anche a stornargli l’affetto dei figli, che prendono una strada per lui improponibile, l’Accademia Militare, e finiscono per non incontrarsi più per niente o quasi.
Cercando di rimediare ad una solitudine che improvvisamente avverto tetra e dolorosa, faccio entrare nella mia casa e nella mia vita un colonnello dell’esercito che introduce nella mia quotidianità un rigore insopportabile persino a una come me, abituata ad accettare senza battere ciglio imposizioni, leggi e disposizioni; dopo qualche anno di dolorosa sopportazione, lo caccio con rabbia fuori dalla mia esistenza, oltre che dalla mia casa: nei pochi anni in cui vive con me, ha però la capacità e la possibilità, per la colpevole mia totale apatia verso quel tipo di scelte, di condizionare i miei figli che diventano ufficiali dell’esercito, in predicato per essere spediti in Afghanistan con mio enorme terrore e tanta rabbia contro Paolo che non ha combattuto per esercitare il suo diritto ad essere padre e si è fatto schiacciare da me che ero totalmente incosciente e forse un po’ stupida.
Di lui, ho saputo che non ha cambiato di una virgola i suoi atteggiamenti, le sue posizioni e la condizione lavorativa; stranamente, però, ho spesso notizie di un tenore di vita molto dispendioso, di donne che gli ruotano intorno come falene su una candela, di una vita da nababbo, insomma, di cui non colgo le fonti: qualche voce raccolta in giro (ma io diffido delle voci) parla di una sorta di ‘privilegio’ concesso a quelli che trattano coi correntisti importanti della banca e con i loro conti esteri, in particolare: nella mia logica legalistica, non ci sono spiegazioni possibili e non tento di approfondire; comunque, l’idea di andare a dirigere l’ufficio da cui dipende, ridurlo insomma a mio subalterno diretto, mi solletica moltissimo e non nascondo la mia gioia per la nuova destinazione.
Arrivo al paese il sabato pomeriggio: come prevedibile, la sede della banca è chiusa e il vigilante che gira lì intorno mi indica solo l’indirizzo della vice direttrice, Roberta, di cui ho già il telefono avendole parlato giorni prima; provo a chiamare ma non ho risposta; attivo il navigatore e mi dirigo a casa sua: so di fare un gesto fuori da qualunque comportamento corretto e da ogni norma di buonsenso, ma ho bisogno di trovarmi un alloggio e quello è l’unico riferimento che posseggo; l’indirizzo è in un parco privato di recente realizzazione nell’immediata periferia della cittadina; arrivo mentre il cancello è ancora aperto perché un’auto è uscita e, commettendo il secondo grave errore della giornata, entro senza riflettere che sto violando una proprietà privata: qualche volta l’ansia e la stanchezza fanno commettere gravi errori; arrivata al civico indicato, non vedo segni da vita; parcheggio in una piazzola apposita e mi avvicino a piedi all’edificio; la porta è chiusa e non è visibile un campanello; provo a girare intorno alla costruzione e, da una fitta siepe di bosso, vedo che c’è un vasto piazzale con al centro una piscina di notevoli dimensioni, sul cui bordo due persone sono in chiara posizione di copula; mi tiro indietro vergognandomi di spiare, quando mi accorgo che quel fallo lo conosco, è senza dubbio quello di Paolo, il mio ex marito.
Un groppo mi prende alla gola e mi spezza il fiato: per la scena in se, dal momento che mai mi è capitato di vedere, così da vicino, due persone impegnate a fare sesso; nella mia casa non è mai entrato neanche un filmino porno e quindi la scena mi risulta totalmente stravolgente: ho conosciuto qualche fallo, dopo la separazione, ma mai ne ho incontrato uno che mi ricordasse quello di Paolo, decisamente fuori norma; e tutti quelli con cui ho copulato hanno sempre o quasi vissuto gli accoppiamenti non come giochi sessuali per inventare novità meravigliose, come era solito fare Paolo quando facevamo l’amore, ma come fosse una “pratica da sbrigare”; soprattutto il colonnello mi prendeva alla missionaria, per pochi minuti, il sabato sera senza orpelli e senza fantasia; altri rapporti stabiliti successivamente, per lo più con colleghi d’ufficio, si sono collocati comunque nell’area che viene definita “dei bancari” vale a dire una copula veloce il sabato sera, dopo una cena elegante; con Paolo ricordo ancora perfettamente quanta goduria c’era a sentirlo crescere in mano, a passarselo su tutto il corpo, a prenderlo tra le labbra e a succhialo come un gelato straordinario, a farsi copulare in bocca anche con violenza. prima di decidermi a farmelo entrare in vagina e, stringermi al suo inguine per ottenere la massima penetrazione e incitarlo a picchiare duro per sentirlo nel corpo, profondamente.
Purtroppo per me, in quel momento, mentre vedo lui che la abbraccia con forza e lei che gli infila le mani fra le cosce per impossessarsi del sesso, mi rimbalzano nella memoria le emozioni che ricevevo da mio marito quando mi prendeva con tutta la passione di cui era capace (ed era veramente tanta!); guardo lui che si abbassa a succhiarle la vulva e sento quasi vivo su di me l’effetto della sua lingua a spatola sul sesso, dall’ano al monte di venere, i brividi che attraversano la spina dorsale; l’orgasmo che esplode dalla vagina e che non ha simili nel mio ricordo, per tutti gli anni passati: è un’esplosione dura, cattiva, violenta che mi scuote il corpo in tutte le fibre, mi fa sentire male persino nelle dita dei piedi.
Quando vedo Paolo piegarla a pecorina e infilarle la mazza nel corpo, devo mordermi le labbra e tapparmi la bocca per non fare uscire fuori l’urlo disperato che mi è sorto spontaneo; quando lui la rovescia e la distende supina sul materassino e le esplode in faccia un’eiaculazione ricca, densa, calda immagino, meravigliosa, mi sento morire dall’arsura; a quel punto, non so più se la mia intenzione recondita, quella vera, era venire a “stracciare” il mio ex marito infingardo e donnaiolo o se invece, a guidarmi, è stata la libidine, la mia vulva insoddisfatta e bisognosa di passione e di amore: con la mia rincorsa alla carriera, ho conquistato un ruolo di piccolo potere, da dirigente di un’agenzia di periferia; ma non è facile stabilire invece quanto amore ho lasciato per strada, a quanta creatività ho rinunciato; la cosa peggiore è che, per giustificarmi, finisco per raccontarmi che è stato Paolo, con la sua pigrizia, a rovinare tutto, perché sarebbe cambiato tutto se lui avesse deciso di fare carriera come me, insieme a me; ma so perfettamente che mi sto ingannando e che voglio solo affermare la mia verità come unica.
Mi allontano dalla siepe e torno all’ingresso, picchio coi pugni sullo stipite e chiamo a gran voce Roberta; dopo qualche minuto un rumore di ciabatte al’interno mi avverte che sono stata sentita; la porta si apre ed esce lei, coperta da un accappatoio, che mi guarda meravigliata; prima che abbia il tempo di parlare, la voce di Paolo dall’interno esclama.
“Lea, come mai sei qui?”
“Ciao, Paolo, cercavo Roberta perché da lunedì prendo il posto di direttrice dell’Agenzia; la sede è chiusa, ho avuto il suo recapito dalla vigilanza, al telefono non rispondeva e sono venuta qui, il cancello era aperto ma qui tutto chiuso; ho capito che facendo l’amore in piscina non poteva avere sentito il telefono, ma io sono in difficoltà perché non so dove alloggiare questi primi giorni e volevo chiedere l’aiuto della mia futura vice. Ti ho disturbato?”
“Visto che mi hai scoperto in piena copula, calpestando tutte le leggi sulla privacy e sul buonsenso, capirai che piacere non mi hai fatto … “
“Scusami, sono stata imperdonabile; mi puoi aiutare?”
Paolo, come è suo solito, prova a scherzare.
“Se non ci fosse un obbligo di legge che impedisce di dormire sotto lo stesso tetto, mi offrirei di ospitarti io; e nemmeno Roberta potrà ospitarti, perché stanotte dormirò qui con lei … Dai non essere troppo seria, ci pensiamo noi … “
Telefonano ad un’amica (un’altra amante di mio marito, da come le si rivolge) e mi organizzano il soggiorno in un bed & breakfast poco distante dove passerò le prime settimane, in attesa di trovare una soluzione più definitiva; rivestiti alla meno peggio, mi accompagnano e spariscono insieme; il lunedì mattina, puntuale come nelle mie abitudini, mi presento all’ufficio e chiedo di convocare una riunione dei dipendenti; noto che Paolo non è in Agenzia e ne chiedo conto a Roberta.
“Senti Lea, io non sono la balia di Paolo; non so dove o con chi sia; ma, per evitare guerre, ti consiglio di guardare le carte riservate che ti ha mandato la direzione; scoprirai che Paolo è libero di fare quello che vuole, quando vuole e come vuole; che la Direzione Generale lo considera autonomo e indipendente dall’autorità di chiunque: risponde solo al capo dell’amministrazione. Le carte sono lì e se ti limiti a quelle eviti la guerra che hai in mente e che farebbe male solo a te.”
Leggo le carte indicate e scopro che effettivamente il mio progetto è già naufragato: l’unica persona dell’ufficio su cui non ho nessun potere è il mio ex marito; sono letteralmente furiosa e tempesto di telefonate la direzione centrale, con l’unico risultato di essere invitata a rispettare le disposizioni e a non fare ulteriori indagini, pena il trasferimento in sede particolarmente disagiata; Roberta, pazientemente, cerca di spiegarmi che alcuni operatori, pochi in tutto il Paese, godono di una certa intangibilità, perché si occupano di questioni delicate che riguardano i massimi correntisti e sono in qualche modo il pilastro della banca; Paolo, che si è occupato di movimenti esteri da quando è entrato in banca, è il più potente di quel gruppo ed ha facoltà di movimento come e dove vuole, essendo interlocutore di grandi industriali, di politici a tutti i livelli, di potenti di ogni sorta e qualità; insomma, è quell’anarchico felice che aveva sempre sognato di essere.
Ingoio il rospo più grosso della mia vita, indico la riunione e la riduco ad occasione di trasmissione per la comunicazione di poche direttive della sede centrale; vorrei almeno che il mio ex marito si degnasse di farsi vedere; lo fa, al momento della chiusura, sull’ora di pranzo, ed è in compagnia di una signora anziana decisamente di gran classe, che dà il senso della nobiltà e della ricchezza da ogni movimento; me la presentano come una dama della nobiltà storica della regione, che nel paesello ha solo un interesse, il rapporto con Paolo che ne cura il portafoglio estero con tutte le conseguenze su acquisti e vendite, fondi e risparmi, insomma su tutto il suo immenso patrimonio; non mi oriento molto e guardo Roberta; approfitta di un momento in cui la nobildonna è impegnata con Paolo a guardare certe carte, per sussurrarmi.
“Non ti meravigliare; vengono da tutta Italia; sospetto che Paolo faccia, per loro e con loro, giochi sporchi su conti esteri, ma non è dato sapere niente; tu e l’Agenzia siete la copertura di un movimento assai più vasto che non devi neppure sfiorare; se non vuoi trovarti in bruttissime situazioni, fai buon viso a cattivo gioco; se non reggi, fatti rimandare indietro, perché questo posto è delicato e l’abilità di Paolo non è da tutti: lui è un mito, in questo campo; sospetto che anche la sua immensa ricchezza derivi da queste trame, ma non posso giurarti niente. Posso solo ripeterti che, se non hai stomaco per questo, è meglio se vai via subito; se entri nel gioco, resti irretita.”
“Posso chiederti solo un cosa? Perché tieni con me questo atteggiamento di amicizia e di simpatia? Lo sai che sono stata la moglie di Paolo e che sono comunque la madre dei suoi figli.”
“Intanto, sei l’unica femmina che ha spezzato la supremazia di Paolo: solo per questo, posso ammirarti. Non ti condivido; non approvo che i tuoi figli rischino la pelle in Afghanistan con un padre pacifista convinto e antimilitarista fino in fondo; avere imposto questo a Paolo, sarà stata anche una tua vittoria ma è la sconfitta del buonsenso, della logica, della dignità; forse la stessa scelta di vivere col colonnello ti pesa addosso come l’imbecillità più evidente. Hai sbagliato tutto, con quello che è il tuo uomo, anche se ti diverti a disprezzarlo e speri di calpestarlo. Io non lo amo quanto lo hai amato tu; ma sento che dipendo da lui perché è un monumento di luce per chi sta nel buio; ha tante donne che ci vorrebbe un esercito per soddisfarle tutte; nessuna lo ama come l’hai amato tu e, lasciamelo dire, come forse lo ami ancora; ma tutte ardono per lui di una passione che farebbe commettere gesti insani, per lui; molte delle correntiste ricche che lavorano con lui lo fanno perché è bravo, ci sa fare, è bello, è amorevole, è tutto ma soprattutto perché sono affascinate o innamorate di lui; mi dispiace per te, ma non sei stata capace di riconoscere un diamante, lo hai scambiato per un fondo di bottiglia e ti sei accontentata di pezzi di vetro o, al massimo, di pietre dure; oggi vale assai più di quanto potresti immaginare, anche fantasticando, e non è adatto alle tue tasche.”
“Io non conosco il territorio e non so valutare quanto entusiasmo e quanta verità c’è in quello che dici. Se devo pentirmi, ne ho già abbastanza di mio; ma se qualcosa è da verificare, puoi stare certa che lo farò … “
“… a tuo rischio e pericolo … nessuno di noi ti seguirà se ti muovi contro Paolo.”
“Io non marcio contro Paolo, io voglio che si ripristini la legalità; sono la direttrice ed ho diritto al rispetto di tutti, senza esclusione.”
“Te lo ripeto; se vai contro le disposizioni riservate della direzione, paghi con la testa ed in non vengo con te sulla ghigliottina.”
Intanto la signora sembra avere esaurito le motivazioni della sua visita; invita a pranzo Roberta ed io cerco di oppormi perché non può sottrarmi la vice senza il mio consenso; vedo che Paolo telefona; dopo poco mi passa il telefonino.
“E’ il Direttore amministrativo. Ti deve parlare.”
La nuova tegola mi cade addosso terribile ed inevitabile: qualunque cosa dica Paolo Martelli, è da considerare ordine superiore non un dialogo o una richiesta; se non riesco ad attenermi ad una norma elementare che mi è stata già ribadita, mi aspetta una sede nel cuore della Sardegna; il nodo che mi prende alla gola è di quelli difficili da mandare giù; restituisco il telefono, dico a Roberta di fare come crede e mi rifugio nel mio ufficio; il mio ex mi segue, entra con me e cerca di consolarmi; lo prego di lasciarmi sola; se ne va brontolando contro la mia proterva imbecillità.
Nei giorni seguenti, diventa attualissimo uno strano discorso su fantomatiche cene che si terrebbero in una villa in collina, alle quali sono invitate solo poche e scelte persone; mi prende la smania di capire come e perché una figura notevole come la direttrice della banca sia esclusa da quella cerchia; la solita Roberta mi chiarisce che è un fatto molto privato tra persone di peso politico e sociale che ruotano intorno al mio ex marito dal quale non posso certamente aspettarmi un invito a una cena che, tra le altre cose, prevede, quasi inesorabilmente, una conclusione in orgia di sesso con libertà di copula per tutti; la guardo quasi inorridita e mi sorride: ‘vizi privati e pubbliche virtù della provincia italiana’ commenta; e non c’è altro da spiegare; le chiedo se ha mai partecipato e dice che, si, come compagna di Paolo è andata un paio di volte e che si è anche divertita a scatenare la sua libidine più profonda e nascosta; ma che lo ha fatto solo e soprattutto per amore a lui; alla prima occasione, provoco Paolo e gli chiedo se può farmi partecipare ad una cena.
“Ma tu hai capito di che si tratta? Sai che potresti trovarti ad accoppiarti nella stessa sera anche con sei maschi diversi?”
“Roberta mi ha detto che l’ha fatto. Perché io non dovrei farcela? Cosa ha lei, più di me?”
“Niente, solo ti ricordavo più morigerata; ma il tempo inesorabile ci cambia; e non lo dico io … Va bene, se proprio vuoi, sabato sarai del gruppo, ma dovrai venire come mia dama personale: non ti turba?”
“Sono stata per anni la tua compagna. Perché adesso dovrebbe turbarmi per una sera?”
“Lascia stare: difficile spiegare che quella era una donna totalmente diversa, che tu hai sepolto in una discarica una quindicina di anni fa … “
Chiudiamo lì un discorso troppo spinoso; il sabato sera, ad ora di cena, Paolo passa a prendermi all’alloggio che occupo, insieme andiamo a prendere Roberta che si è messa assai in tiro e veramente mi surclassa in bellezza ed eleganza; anche Paolo sembra colpito e le fa caldissimi complimenti; entriamo trionfalmente nella sala delle feste riccamente addobbata con una lunga tavolata già imbandita; gli invitati sono dodici, compresi noi tre: ci sono tre signore anziane ma evidentemente assai ricche e, oltre a me e alla splendida Roberta, una donna giovane che sembra divorare Paolo con gli occhi: presumo ed immagino che sarà lei la preda del mio ex marito; i maschi non mi attirano per niente: tre sono i classici ricchi di provincia, con pancetta e calvizie incipiente, di quelli che, negli scherzi con le amiche, dici che non te li faresti per tutto l’oro del mondo; a parte Paolo, decisamente di un’altra dimensione, i due più giovani sono appena passabili; mi rifugio nell’amicizia di Roberta e la guardo implorante.
“Lea, ti avevo avvertito; se non sei innamorata di Paolo al punto di farti possedere da cinque amebe nella stessa sera, non devi venirci a queste feste; lui ora ha di mira la giovane Ersilia, che non ancora si è portato a letto; niente lo farà recedere dall’intenzione di farsela e noi siamo funzionali al suo gioco; se non ci stai, inventati qualcosa per scappare adesso, ma preparati a fare i bagagli perché da domani ti renderebbero la vita impossibile.”
Per rafforzare quello che ha detto, mi chiarisce che i tre vecchi sono i più grandi industriali d’Europa e dirigono aziende con decine e decine di miliardi di fatturato, che gli altri due sono rampolli di altrettanto forti aziende europee, che le vecchie sono le più ricche donne del mondo e la giovanetta che piace a Paolo e la rampolla di una famiglia leader in Europa nel tondino.
“Io sono venuta qui solo perché voglio fare l’amore con Paolo!”
“Amica cara, mettiti in coda; dici che mi hai visto copulare con lui: farei qualunque cosa per avere il suo amore, anche concedermi a cinque imbecilli che vedrei più volentieri al muro per quello che combinano nel mondo!”
Non c’è tempo per chiacchiere, si va in tavola e decido di adeguarmi con la speranza di avere almeno un assaggio dell’amore che ho gettato in un cesso tanti anni fa; la cena scorre regolare con le solite chiacchiere vuote d’occasione; alla fine, sembra quasi che ci sia qualcosa di sospeso nell’aria, a cui nessuno sa dare corpo; Roberta rompe il ghiaccio e chiede a Paolo che cosa abbia, considerato che è più taciturno del solito; lui glissa e dice che ha un problema grosso da risolvere; invita a inventarsi qualcosa di piccante per rompere la monotonia; Ersilia propone che ciascuno racconti la copula più bella della sua vita; tutti sono d’accordo e, quasi si fossero intesi, propongono che a cominciare sia la nuova arrivata, io; capisco di essere incastrata e di non poter rifiutare: cerco di sbrigarmela in fretta e racconto che naturalmente la copula più bella è stata la mia prima, al mare, un’estate di tanti anni fa; Roberta non perde l’occasione per entrare nel vivo dei sentimenti di Paolo e interviene immediatamente.
“Cristo, la racconti come una sveltina dietro l’angolo! Il tuo maschietto non poteva essere che Paolo, visto che sei stata la sua prima donna e che lui è stato il tuo primo uomo. Allora, adesso Paolo aggiusta il tiro e ci racconta la verità!”
Sapeva che non si sarebbe sottratto; e non lo fa; conferma che era stato lui a sverginarmi quella sera, e che lo aveva fatto con la mia piena e totale partecipazione, con un amore che venticinque anni dopo ancora ferisce e scalda il cuore; racconta delle tempeste ormonali che agitavano i ragazzi in quelle estati al mare e del bisogno quasi fisico che avevamo di strusciarci addosso per sentire i sessi agitarsi, noi ragazze bagnarci solo a sentire lo spessore delle mazze contro la vulva e loro ragazzi a mimare da sopra i vestiti un’improbabile copula che almeno portasse ad eiaculare e scaricare per poco i testicoli; lui in particolare aveva una voglia di fare l’amore con me che lo mandava al manicomio: non perdeva occasione per toccarmi, per palparmi, per sentire la mia pelle: ed io ero con lui altrettanto calda, appassionata, innamorata: perché era amore, il nostro, vero, autentico, caldo, irresistibile.
Il giorno famigerato lo avevano trascorso, i ragazzi, a procurarsi il necessario per ‘fare la festa’ anche alle più restie: legna raccolta sulla battigia per il falò delle stelle cadenti, una bottiglia di whiskey ed una di cognac ‘per scaldare l’atmosfera’ (ma che poi finirono versate sul fuoco per non rischiare casini in famiglia per una sbronza stupida), preservativi per sicurezza (quante manovre per farne comprare abbastanza da quei pochi che avevano la maggiore età ed un documento per dimostrarlo all’inflessibile farmacista!), raccolta di brani da mettere come colonna sonora (Santo & Johnny, Santana ecc, insomma brani ‘per soli pomicioni’ come erano definiti) e persino una chitarra che solo uno sapeva suonare malissimo: insomma, si dedicarono con tutta l’anima a predisporre uno scenario ingenuo e povero, ma pieno di tanto di quel sentimento che ballare appiccicati sulle note di “Europa” mi portò, quella sera, a dire a Paolo che gli avrei concesso tutto, perché lo amavo e desideravo essere sua, completamente.
Il maledetto racconta con una straordinaria capacità di affabulazione qualcosa che io conosco bene (e lui sa che io ricordo perfettamente ogni attimo di quella sera); ed io sto piangendo senza accorgermene, perché sta scavando nella discarica dove quindici anni fa ho gettato una Lea e me la sta risbattendo in faccia addirittura come era venticinque anni fa, ragazzina impacciata alle prime armi; sono terrorizzata all’idea che mi sta scatenando dentro l’amore che avevo sepolto e che dovrebbe essersi incenerito per sempre; ma sento che non è così; pendo anch’io dalle sue labbra adesso, e vorrei sapere che cosa fu di quei due giovani innamorati persi su una spiaggia della Puglia, vicino a una pineta ormai rachitica e destinata a sparire a favore dei centri turistici.
Paolo ricorda che ballammo sempre più stretti, sempre più abbracciati, sempre più desiderosi di essere fusi in una sola cosa, un androgino per metà lui e per metà io; ricorda le sue mani che correvano sulla pelle poco coperta dal vestitino estivo e dallo slip minimo che avevo indossato, ricorda il calore intenso della mia pelle e il profumo dei miei orgasmi che emanava dalla scollatura del vestito; non sa e non vuole ricordare la sensazione infinita di amore che mi dava il suo corpo attraverso le mani che cercavano le sue spalle, il suo torace, finché osarono scivolare sul suo sesso e trovarono un dragone spaventoso che mi intimorì, per cui dovette dirmi di non spaventarmi perché quel serpente mi avrebbe dato un piacere mai provato; ed io volli che me lo facesse provare, subito; e glielo dissi; Paolo non ricorda più, ma fui io che lo presi per mano e lo trascinai con me in mezzo ai pini riarsi; fui io che stesi a terra il telo da spiaggia, mi ci sdraiai sopra e con le mani lo invitai a venire tra le mie braccia.
Come dire, adesso, dopo la melma che ci eravamo scagliati addosso, al mio ex marito, anzi al mio amore eterno, che non aspettavo altro che lui entrasse nel mio corpo col suo, che si fondesse in me? Ma lui lo sa: sorride, al ricordo, e confessa che si sentì travolto in un baratro di immenso amore, quando io presi il suo sesso e lo appoggiai alla vulva, spostando solo lo slip di quanto bastasse; quando lo presi per le anche e me lo strinsi addosso, facendo entrare il fallo profondamente in me, l’unica cosa che fu capace di fare fu baciarmi con un amore che non avrei mai più ritrovato; poi si sollevò per un attimo ma solo per dirmi ’ti amo’ e tornare a baciarmi con passione; non reggo più a lungo; non ce la posso fare ad ascoltare ancora gli attimi di felicità di una vita che ho distrutto.
“Ti prego, Paolo; risparmiami questa sofferenza; sto già abbastanza male … “
“Ah, stai male, poverina? E come credi che stia io adesso con tutto il male che mi stai facendo, non venticinque anni fa, ma ora, in questo stesso momento …?“
“Cosa dici? Che ti starei facendo?”
“Vuoi farmi intendere che non sai cosa ha combinato il tuo generale?”
“Ma quale generale? Io al massimo ho conosciuto un colonnello … “
“… che è diventato generale ed è in predicato per essere al comando del’esercito italiano: anche in questo sei stata un fallimento e non hai saputo valutare i tuoi accompagnatori! Il tuo generale ha deciso di andare in Afghanistan e stamane è partito; ha voluto con se e si è portato i ‘miei’ figli, capisci, I MIEI FIGLI; se potessi accorgerti di quanto ti odio, ti spaventeresti ma forse per te la tua progressione di carriera vale assai più dell’odio di un ex marito e della vita dei tuoi figli.”
Sono terrorizzata, affranta e intimorita, piegata e incapace di risollevarmi: questo è il culmine di un processo di distruzione che ho avviato da imbecille, sostenuto da testarda e di cui pago il prezzo da incapace; chiedo piangendo a Paolo se può fare qualcosa per farli tornare a casa; quasi mi aggredisce perché l’idiota, il testa di legno, l’imbecille ottuso generale comanda l’esercito italiano e neanche un ministro gli si può opporre con successo; ma, soprattutto, Paolo, uomo coerente pieno di dignità ed anche di orgoglio, sa perfettamente che i nostri figli - che per fortuna alcuni tratti li hanno derivati direttamente dal padre - non accetterebbero mai di passare da codardi: sono partiti volontari e dobbiamo sperare solo che la Misericordia di Dio ce li riporti a casa sani e salvi: loro odierebbero il padre se intervenisse a farli rientrare anzitempo; so che è l’estrema conseguenza delle mie scelte e stavolta non cerco di scaricare su Paolo la colpa: ho sbagliato io, tutto, dal primo momento di presunzione, dalla smania di volere che lui fosse come desideravo io, dopo essermene innamorata per come era lui; posso solo piangere, ne ho tanto bisogno; Roberta lo capisce, chiede a Paolo le chiavi della macchina per andare via; ma lui viene via con noi: non ce la fa a partecipare alla festa degli altri.
Mi accompagnano al bed & breakfast dove alloggio e mi assistono mentre cerco di recuperare un minimo di dignità e di spirito, dopo aver pianto per tanto tempo; stanno quasi per accomiatarsi e lasciarmi, quando il mio telefonino squilla e vedo che è Franco, il nostro primo figlio; avverto Paolo e rispondo.
“Ciao, dove siete … Imbecille raccontala a tua sorella. Siete in Afghanistan con quell’ebete del generale … Me lo ha detto vostro padre, che vi ama e vi segue più di quanto io imbecille vi ho raccontato per tanti anni e che rispetta le vostre scelte anche se le avversa come la peste; piuttosto dite allo stron …g che vi ha condotto in quell’inferno che stia attento a non arrivarmi a tiro perché gli strappo i testicoli con le mie mani, a quest’impotente … Quando tornerete? … Sei mesi sono tanti …. Pregherò che torniate a casa sani e salvi; poi faremo i conti e vedremo se potete permettervi impunemente di fare certe scelte senza neppure avvertire … Vostro padre? Non so se vuole ancora parlarvi; è qui vicino … si; in questo momento non se la sente: è troppo incavolato con voi e soprattutto con me. Spero che possa rasserenarsi e accettare la situazione; io per molto meno lo cacciai ed ho distrutto tutto quello che ci univa; non credo che basterà sapere che esistete a dargli la forza di tornare con me. Ha anche una compagna meravigliosa che è assai degna di vivergli accanto … Non so se riuscirete e recuperare qualcosa, forse solo qualche briciola: quindici anni sono troppi, specie se un caterpillar ha fatto piazza pulita: oggi non avete e non abbiamo niente in comune, tranne qualche ricordo meraviglioso ma ormai patetico. Ciao. Quando potete, tenetemi informata … Si, ci penserò bene: non riuscirò mai a sostituire vostro padre: è troppo mitico; ma ho anche il terrore di una vecchiaia da sola, in un posto sperduto, senza amici e senza speranze.”
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