Le notizie, in una piccola città, si diffondono con la velocità del suono; dopo pochi minuti, tutto quello che ci eravamo detti io e mia madre al bar Centrale era ormai di dominio pubblico e soggetto ai commenti più disparati; particolarmente colpiva l’annuncio che l’azienda di Giorgio, l’amante di mia madre che aveva decretato il mio ostracismo, stava per dichiarare fallimento su mia iniziativa, era di quelle tempeste che si scatenano in una pacifica comunità e portano danni enormi; per tutta una settimana ci fu una processione di operai che venivano ad implorare che la fabbrica non chiudesse lasciando sul lastrico decine di famiglie; arrivò l’annuncio della cessione che evitò il fallimento e decretò la miseria per la famiglia del proprietario; fu a quel punto che vidi mia madre presentarsi al mio ufficio, accolta con diffidenza dagli impiegati e protetta solo dalla presenza di Nicola che se ne faceva garante.
“Cris, Maria deve parlarti e mi fai la cortesia di starla a sentire.
“Cosa hai da dirmi?”
“E’ vero che hai messo sul lastrico Giorgio e la sua famiglia? Lo ritieni un gesto equo?”
“Una persona di cui mi fido, e non solo lei, mi ha detto che i tuoi errori sono stati errori da vergogna; non sei stata in grado di capire che mio padre non ti prestava le attenzioni che pretendevi perché si stava ammazzando di lavoro; tu ti sei sentita offesa e l’hai tradito; poi ti sei vergognata di averlo fatto e, anziché chiedere perdono, hai mandato al diavolo lui e me; non basta: per volontà del tuo amante hai rifiutato di prenderti cura di me; ‘inutile zavorra’ mi hai definito; sempre per volontà del tuo amante, non sei venuta a trovarmi al collegio per i primi anni; quando poi ti sei liberata dall’amante, ti vergognavi di ammettere che avevi sbagliato e hai fatto finta di dimenticarmi. Poi mi dirai quanto e in quale diritto questi fatti sono EQUI per usare l’espressione voluta da te. Io vorrei sapere con quale coraggio ti presenti a proporti come madre dopo essere stata una capra che mi ha partorito e mi ha lasciato ai lupi; quale coraggio umano, sociale e civile ti può spingere a perorare la causa del tuo amante che ha segnato la mia vita; cosa ti aspetti che faccia una persona massacrata per venti anni da te e dal tuo amante?”
“Quello che ho fatto io a te non è qualificabile; per questo non ti chiedo nemmeno di perdonare; al massimo, potrei desiderare che, con un gesto di enorme volontà, riusciamo a ricostruire una parvenza di serena indifferenza per non massacrarci; io vorrei tornare ad essere tua madre, perché sento di esserlo; ma se non vuoi, almeno vorrei che non mi odiassi in ogni momento della giornata, in ogni gesto che fai. Per quanto riguarda Giorgio, ha quel che si merita ed è equo, forse, anche alla luce del diritto umano, che paghi. Ma ci sono due ragazzi e la loro madre: lei è stata stupida e si è fatta abbindolare come me; non ha nessuna colpa; loro, i ragazzi, come te, sono vittime di una guerra che non li dovrebbe riguardare. Per loro, io, madre indegna e degenere, ti chiedo di avere un più umano senso di giustizia e una visione più ampia; ti prego di dimenticare un passato, a cui quei tre sono estranei; di guardare al futuro, alla possibilità di tirarli fuori dal baratro dove li ha scaraventati l’imbecillità del padre, che fu istigata anche da me e che risale ad ormai venti anni fa, quando non erano nati; riesci a considerare quei ragazzi come tanti Cristiano, massacrati dall’imbecillità altrui? Riesci ad offrire loro una via di scampo dalla punizione di suo padre?”
“Nicola, dici che si può fare qualcosa?”
“Lui merita di essere frustato in piazza a sangue, fino a morirne: e non solo per quello che ha fatto a te, ma per quello che ha combinato a tanta gente; non vale niente e non serve a niente. Solo delle ragazzette imbecilli e fanatiche potevano dargli credito; la moglie è come tua madre, una donna che si è comportata in una occasione come una ragazzina fanatica ed ha sposato l’uomo sbagliato; ma lei in realtà è estremamente in gamba, dirigeva l’Ufficio Amministrativo della fabbrica e tutti concordano nel dire che era il pilastro portante dell’azienda: se la confermi nel posto con lo stipendio che le compete, può mantenere agli studi i figli e dare un calcio all’imbecille che si troverebbe anche più umiliato … “
“E che aspetti? Mandala a chiamare, assumila e falle le mie scuse … “
“Sta aspettando in anticamera; io sono Nicola, non dimenticare … “
Sorrisi; lasciò entrare una bella donna molto simile a mia madre; l’accolsi con un ampio sorriso, vidi che si illuminava; mi prese ambedue le mani quasi per abbracciarmi e andò ad abbracciare invece Maria, la sua nemica, che stava silenziosamente piangendo; mi sentii intenerire; avrei voluto asciugare le sue lacrime baciandole gli occhi; ma mi trattenni e feci la faccia burbero; decisi di licenziare mia madre e l’altra signora; Nicola le prese per un braccio e le accompagnò galante all’uscita: lo sguardo di Maria mentre si allontanava era d’amore e sentii un groppo legarmi la gola.
Ormai avevo capito che il bar centrale era il punto della città dove avveniva e trovava soluzione tutto, dalle beghe familiari ai contrasti di lavoro agli scontri politici: anche io avevo imparato a frequentarlo per la colazione, per l’aperitivo, per il pranzo, per l’apericena o per la cena; ma di solito non mi fermavo oltre il minimo indispensabile per dichiarare una sorta di ‘esistenza in vita’ perché, in quell’ambiente, sembrava che non esistessi, se non ti eri fatto vedere almeno un momento sulla passerella comune; sicché anche io approfittavo dei pochi momenti di relax dal lavoro per andare al bar, incontrare gli amici e talvolta fermarmi a scambiare due battute; quando ero da solo, mi divertivo, perché immediatamente registravo una sorta di ‘assalto’ da parte di persone più o meno sconosciute che avevano un qualche motivo per cercare di contattarmi e di parlare con me; una ragazza, in particolare mi incuriosiva conoscere e sapevo per certo che avrebbe voluto parlare un poco con me.
Elvira mi aveva detto che si trattava della ragazza più brillante della città, prossima a laurearsi in psicologia ma già molto matura; tra le altre cose, spesso aveva partecipato alle convention internazionali in funzione di interprete: per l’opinione corrente, era una escort con tutto quello che la volgarità popolare connetteva al termine; ma Elvira assicurava che la ragazza era di una moralità irreprensibile e che era il massimo desiderabile per compagnia, per la cultura vasta e profonda, per l’eleganza dell’eloquio e la capacità di affabulazione, per i modi corretti ed educati, insomma era la perfezione della ragazza per bene: quasi indispettito da tanta celebrazione, dissi che volevo ad ogni costo conoscerla e sperimentarla personalmente; Elvira si limitò ad avvertirmi.
“Attento, qui potresti bruciarti; Rossella è davvero di qualità superiore!”
Mi alzai ed andai sparato al suo tavolino.
“Ciao, sono Cristiano e vorrei conoscerti; ti va di venire al mio tavolo?”
“Ciao; anch’io sono cristiana ma non lo vado a dire in giro come prima cosa; mi chiamo Rossella e vengo volentieri al tuo tavolo: ti conosco ed è un po’ di tempo che avevo voglia di parlare con te.”
“Touché. Visto che lo sai, mi chiamo Cristiano e sono l’Amministratore Delegato dell’azienda ‘Rossi’.”
“Diciamo che sei il padrone assoluto e che tuo padre è stato il fondatore dell’azienda; hai studiato in Svizzera e sei rientrato in Italia da pochi mesi; tua madre è la Preside del mio Liceo ma con lei non hai mai avuto rapporto.”
“Stai aprendo un fascicolo poliziesco su di me?”
“Datti pace; sono solo laureanda in psicologia e mi piace approfondire le personalità degli amici … “
“Credi che saremo amici?”
“Perché mi avresti voluto al tuo tavolo se non vuoi la mia amicizia?”
“Sei forte! Sei proprio molto in gamba; hai tempo o hai qualcosa da fare?”
“Al bar normalmente mi annoio; oggi ero qui perché volevo conoscerti; se non ti fossi fatto avanti, sarei venuto io da te.”
“Evviva la sincerità; allora posso invitarti a cena?”
“Se non pensi ad un locale dove devo controllare anche le pieghe dell’abito, ci sto.”
“Anche una pizzeria?”
“Soprattutto una pizzeria, da studenti, da giovani, da disimpegnati che vogliono parlare dai massimi sistemi.”
“Allora, sia fatto: tra poco in pizzeria; ora l’aperitivo e quattro chiacchiere tra amici o aspiranti tali.”
In quel momento entrò Nicola in compagnia di Maria, mia madre, e venne diretto al mio tavolo.
“Ti disturba se se ci uniamo a voi?”
“Con Rossella abbiamo deciso, proprio in questo momento, che stasera si parla chiaro e col cuore in mano; vi può stare bene?”
“A me sta benissimo; voglio che finalmente questa storia abbia chiarezza e, se possibile, fine; a Maria non so se fa piacere parlare davanti a me, che sono solo un amico, e a Rossella che, per quanto brava e stimata, è stata comunque alunna sua e qualche soggezione reciproca ci potrebbe essere. Maria, tu che ne dici?”
“Cris, io voglio parlare con mio figlio, col cuore in mano e con la chiarezza più brutale; se a te sta bene che ci siano il tuo padre putativo ed una persona terza di grande qualità, io ci sto; a me interessa parlare con te, da quando ti concepii all’ultimo respiro del mio amore per te; non mi interessa chi ascolta e cosa pensa di me; è a te che devo raccontare.”
“Va bene; si era pensato a una pizza in una trattoria popolare, da amici o da compagni di scuola; va bene o scegliamo un ristorante?”
“No, io e Mario andavamo spesso a quella sotto casa tua, quando era anche casa mia; se volete, possiamo andare lì e ricominciare da dove tutto è iniziato.”
Mentre ci alzavamo, presi Rossella per la mano.
“Stammi vicino, per favore: ho aperto una strada che può essere difficile … “
“No, è adesso che stai abbattendo degli ostacoli senza sapere dove puoi andare a finire … “
“Se il traguardo è innamorarmi di te, ci sono preparato … “
Ad uno dei tavoli dal lato opposto c’era Elvira in compagnia di amici; Rossella le andò vicino e, facendosi udire anche da me, le sussurrò in un orecchio.
“Se stasera mi innamoro di Cristiano sarà stata solo colpa tua e, se sarà un errore, te la farò pagare … “
“Se stasera ti innamori del mio giovane amante, non ti graffio solo perché sei la mia pupilla; ma sappi che soffrirò molto; a due donne lo avrei ceduto, a te e a sua madre; me lo state portando via tutte e due; e devo anche essere felice per lui perché lo amo ed amare è anche volerlo vedere felice come lo renderete voi. Buona serata e, se proprio ne hai bisogno, auguri … “
“Elvira, ti voglio bene, lo sai; grazie di tutto.”
Il vecchio proprietario che gestisce ancora la pizzeria riconosce Nicola, si ricorda perfettamente di mia madre e si emoziona un poco a vederla; rimane esterrefatto davanti a me: Elvira mi aveva avvertito che la nostra somiglianza avrebbe colpito; l’unica che gli è nuova è Rossella, ma la conoscono bene i suoi giovani lavoranti che sembrano sbavare di passione; le stringo le spalle per segnare che è mia, anche se so che potrebbe tirarmi uno sganassone, per questo; si limita a chiedermi perché quel gesto non lo ripeto con mia madre che lo aspetta almeno da dieci anni; mi limito a sfiorare la mano di mia madre che, con gesto felino, afferra le mie dita e le intreccia alle sue: sento che si anima di un brivido improvviso ed anche io mi sento le farfalline volare nello stomaco.
Ci sediamo al tavolo, ordiniamo pizza e birra e Maria, senza nessun segnale premonitore, da la stura alla sua narrazione rivolgendosi direttamente a me che sono il principale destinatario della sua confessione; racconta di quando aveva poco più di diciotto anni e già il pancione le cresceva, venivano lei e Mario in quella pizzeria a cenare con la minore spesa, una pizza e una birra in due, perché soldi non ce n’erano e le spese erano gravose, tra casa, università e vita quotidiana; ma si amavano alla follia: Nicola poteva testimoniare, perché era con loro e condivideva spesso anche la cena raffazzonata.
“Quand’è che le cose sono precipitate?”
Rossella è curiosa, anche per professione; Maria spiega che per i primi anni tutto andava sui binari del sogno; poi Mario dovette impegnarsi di più; lei si sentì ignorata e cominciò ad avvertire il bisogno di qualcuno che la facesse sentire bella, desiderata, superiore; lo trovò in Giorgio, quel qualcuno; e ci cadde come una pera cotta.
“Cris, ti prego di credere che non c’era dolo nelle mie intenzioni; ero solo una ragazzina non cresciuta che desiderava essere amata e si vedeva ignorata proprio dall’uomo che le interessava di più, suo marito. Non è vero che mi ignorasse, oggi lo so; ma allora la sensazione fu quella e pesò molto, quando Giorgio mi invitò a cena e poi mi portò in albergo: cedetti per rabbia, per rancore, per insoddisfazione, perché ero un’imbecille, non lo so. Cedetti. Quando mi risvegliai dall’incubo, nuda sotto di lui, su un letto d’albergo, fedifraga, condannata per sempre, ebbi paura; gli chiesi che fare e lui mi propose di andare a casa sua. Ti prego, risparmiami la diatriba; lo so che avrei potuto e dovuto correre da mio marito, chiedergli perdono e tentare di cancellare quell’episodio; lo so che avrei dovuto trovare il coraggio di affrontare la responsabilità di quel gesto e parlarne almeno con Nicola, l’innamorato fedele pronto sempre a consigliarmi. Figlio mio, non lo feci ed è stato l’errore radice di tutte le mie imbecillità.”
“Maria, non stare a flagellarti: a tutti può capitare un momento da Peter Pan: era il momento di crescere, hai avuto paura di farlo e hai scelto la via più semplice: lasciarti andare a chi avevi vicino uccidendo chi ti poteva aiutare.”
“E’ vero; e fu ancora più vero quando non ebbi la forza di incontrare mio marito e lo liquidai con una telefonata!”
Ancora una volta deve pregarci di non umiliarla ancora con la vigliaccheria della telefonata: fu una conseguenza, che in quel momento sembrava persino logica, della scelta di lasciare la famiglia; quando Mario le chiese del bambino la stessa vigliaccheria le suggerì di rifiutare il carico della ‘zavorra’ e di scegliere la libertà.
“E’ stato un crimine, Cris, sarebbe da punire con la galera, con la condanna a morte, con quello che vuoi; ma è stato e non posso tornare indietro. Posso solo chiederti di provare, come con questa pizza, a ricostruire quel che si può recuperare da una vita sbagliata.”
“Non sei andata in Svizzera, prima perché lui lo proibiva: e già questo ti meriterebbe una condanna assai aspra; ma, dopo che rompesti con Giorgio, perché non sei più andata?”
“Perché avevo paura, degli occhi di Nicola, degli sguardi di Mario, di qualunque gesto potessero fare per dirmi chiaramente che ero una madre snaturata, indegna. Meglio sentire che alle spalle mi sussurravano ‘troia’ che dover affrontare a viso aperto le persone che amavo e accettarne la condanna.”
“Meglio passare per troia che confrontarti con tuo marito?”
“Un momento, hai detto ‘le persone che amavo’: vuoi farmi credere che amavi mio padre anche mentre vivevi da troia con l’altro?”
“Cristiano, quando sarai innamorato, capirai che quella malattia non la curi con una terapia né breve né lunga; io ho fatto imbecillità enormi per vigliaccheria; ma amavo tuo padre, l’unico uomo che ha avuto un senso per me, qualunque cosa ne possa pensare tu o chiunque altro; se avessi un solo guizzo di idea di potere incontrarlo di nuovo, neanche più il mio Mario, ma l’uomo che è diventato adesso, io andrei a cercarlo; ma lui ha sbagliato almeno quanto me, fatte le debite differenze, sia ben chiaro; lui accettò la rottura per telefono e sapeva dove stavo ma non venne a prendermi a schiaffi e a riportarmi a forza a casa per insegnare il rispetto ad una bambina capricciosa; è stato uno splendido padre amoroso e ti ha seguito per anni: non l’ho visto una sola volta davanti alla porta di casa mia, neanche quando avevo rotto con Giorgio, per dirmi ’deficiente, vado da nostro figlio, vieni anche tu?’; non ha mai incaricato Nicola di farmelo sapere, che non mi avrebbe giudicato per tutto il percorso; e lui sapeva bene quanto l’idea della figuraccia, della vergogna incidesse sulle mie scelte; lui sa bene che siamo qui a scarnificarci il corpo per arrivare alla verità, ma se n’è andato; ha detto che è stanco: ma solo di fingere e di resistere; noi siamo qui e dovremo affrontare le realtà che lui ha costruito, della madre indegna, del padre vittima, del figlio di troia. Perfino Elvira, che ti ama tanto, lo ha consolato per tre giorni consecutivi, nel nostro letto, ma non gli ha suggerito una sola volta di andare dalla moglie fedifraga a cercare di parlarle, di spaccare la faccia a quello che gli aveva fatto le corna e sfregiare la moglie adultera. Io ho commesso errori che non si possono perdonare, ma gli innocenti si ricordino di quante volte avrebbero dovuto e potuto intervenire e sono stati zitti. Nicola, tu stai dicendo che mi ami e vuoi vivere con me; hai ben presente cosa diranno di te? Cris, figlio mio, quale colpa ti cadrà addosso, se mi respingi e porti questa faida all’infinito? E se invece, dimentichi con me e ricominciamo, come ti giudicheranno? Nessuno ti perdona niente: vivo da vent’anni con questi giudizi addosso, con tanti giudici intorno; ma non scappo, e ancora meno vado via adesso che sei qui ed ho voglia vederti almeno tanto quanto ho avuto paura di incontrarti prima; adesso il giudizio è a voi; vale per te, Cristiano: sei mio figlio e ti amo come tale; se non te la senti di voltare le spalle al passato e affrontare il futuro, vendi tutto, accumula il patrimonio che vuoi e scappa lontano; se te la senti di vivere con una madre indegna ma che vuole imparare ad amarti, allora devi accettare la convinzione che il passato ti uccide e non ti fa crescere mentre il futuro può farti rinascere; anche a te, Nicola, posso solo dire che adesso potrei amarti in piena libertà perché Mario se n’è andato e non gli dobbiamo più niente; ma sta a te decidere che fare. Ti chiedo scusa, Rossella, se ti ho travolto in qualcosa che non dovrebbe riguardarti ma che, se so ancora leggere i comportamenti dei miei alunni, ti intriga e forse finanche troppo.”
“Senti, Preside; io ti ho sempre ammirato perché sei sempre stata una grande persona, anche quando ti dipingevano come la moglie adultera e la mamma cattiva; se avessi saputo queste verità, ti avrei amato anche di più. Sono con te, qualunque cosa tu decidi: hai tante colpe ma tante altre ne hanno i tuoi detrattori, a cominciare dall’innamoratissimo Nicola che, rispettoso di leggi da cavernicoli, rispetta l’amico scappato e non trova il coraggio di prendersi la donna che ama e che ha vicino, per passare anche al Peter Pan tuo figlio, ancora a cercare la sua ombra, incapace di crescere: Cris, ti rendi conto che decidi in un nanosecondo la sorte di una fabbrica e ti perdi dietro le ombre del passato per continuare a rivedere e approfondire il giudizio su una donna che è stata soprattutto una bambina infelice ma che è una donna che soffre perché tu non ti liberi dei fantasmi che opportunamente ti hanno creato addosso per condizionarti? Ero certa che uscendo con te rischiavo di innamorarmi; ma preferisco restare da sola se l’alternativa è vivere con uno che, se domani mi viene il prurito di copulare con uno sconosciuto, poi mi butta in una segreta e getta la chiave nell’oceano. Forse tua madre ha fatto qualche cornetto a un marito che se l’è cercata, per buona parte; ora ti vuole, vorrebbe perfino amarti fisicamente forse; per me, questo è l’amore che cerchi. Ad Elvira dichiari grande amore e quella ieri pomeriggio era a letto coi clienti; a tua madre che da dieci anni non conosce maschio, fai tante storie; io non voglio un cavernicolo come compagno. Decidete, tutti e due, perché da qui o si alzano due coppie di innamorati pazzi o quattro sconosciuti che si odieranno per tutta la vita. Maria, solo una cosa: se Cristiano mi dichiara il suo amore, diventa solo e assolutamente mio, perché al mio amore, almeno finché non ci stanchiamo, imporrò la fedeltà totale, i primi tempi e la lealtà, poi, perché non accetto neppure l’idea di equivoci che ci possano allontanare!”
“Rossella, da mio figlio voglio l’amore, non il sesso; se quello lo sequestri tu, mi fai solo felice; ho bisogno di sentirlo, mio figlio, ma fino al limite del sesso.”
“Perché non mi fai sentire cosa vuoi di me?”
“I tuoi baci, innanzitutto, sulle lacrime che mi fai versare, i miei baci sul tuo viso che amo perché è il mio stesso viso, sulle tue mani, sul corpo da stringere per sentirti mio; voglio il tuo orgasmo mentale mentre mi stringi e senti che sei mio e che ti appartengo perché siamo della stessa pasta, dello stesso amore … “
“Mamma, ti voglio bene … quante volte ho sognato di dirtelo così, guardandoti negli occhi e amandoti con tutto me stesso!”
Nessuno ha detto niente ma mi sto dirigendo istintivamente a casa mia; Rossella però deve rientrare perché non ha avvertito che resta fuori per la notte; e Nicola avverte che la sua presenza, pur se gradita a noi due, può essere superflua nel momento in cui ci stiamo riavvicinando; prendo mamma per un braccio, saluto i due e andiamo verso casa; lei è molto emozionata, mentre varca la soglia al mio fianco: l’ondata dei ricordi la aggredisce e la stordisce, appoggia la testa alla mia spalla e si lascia guidare con amore; mi sciolgo in un languore strano che non so definire; le do le chiavi per aprire la porta; esita un poco, poi lo fa, chiude dietro le spalle e mi abbraccia piangendo; le bacio le guance e gli occhi, asciugo le sue lacrime con l’amore; la bocca scivola da sola sulla bocca e il bacio diventa sensuale, erotico, peccaminoso senz’altro.
“Cris, che stiamo facendo?”
“Quando ti cercavo ansiosamente andai con una prostituta che mi diede i capezzoli da succhiare perché, mi disse, era di quelli che avevo nostalgia; ora so che ho nostalgia di te, del tuo corpo, del tuo amore intero, di quello che non sono riuscito ad avere, so che il mio amore arriva fino al sesso che si sta gonfiando contro il tuo ventre: se vuoi scappare, fallo adesso; dopo, non mi voglio fermare e ti amerò fisicamente, per riempire il vuoto di venti anni.”
“Cris, sto soffrendo più di te dalla voglia; ma fermati ancora un attimo, ripensiamo ancora una volta questa scelta che è tanto definitiva; un incesto non è una qualsiasi copula; se vuoi, io ti voglio altrettanto e lo faccio con tutta l’anima; ma dobbiamo esserne più che certi.”
“Maria, stanotte sei la mia donna e faccio con te l’amore senza colpa e senza peccato; domattina tu andrai da Nicola e spero che starete insieme per tutta la vecchiaia; io chiamerò Rossella e preparerò con lei il mio matrimonio. Ma stasera sei mia, tutta, senza limiti, senza remore … Sarà il nostro grande segreto, quello che non racconteremo a nessuno e che ci unirà più di quanto la stupidità ci ha diviso.“
Siamo arrivati al lettone e comincio a spogliarla con delicatezza, con amore, con la verginità di quello che si fa per la prima volta; quando le sfilo la camicia e il reggiseno, mi esplode davanti il seno matronale, sognato per anni, sul quale mi sono masturbato infinite volte; è assai più bello di come lo immaginavo; è assai più entusiasmante di quello delle due prostitute che me l’hanno concesso.
“E’ questo che cercavi? Tu non puoi saperlo, amore mio, ma la tua bocca sui miei capezzoli per i quasi due anni che ti ho allattato mi ha procurato gli orgasmi più belli della mia vita; ti prendevo per la poppata ma mi preparavo ad un orgasmo stellare, perché mentre succhiavi la vita, tiravo fuori anche la libidine, la lussuria, il piacere e sentivo il mio orgasmo montare progressivamente fino a che esplodevo piangendo, con te attaccato a un capezzolo; ed erano lacrime solo di gioia, di goduria, di amore per te! Forse inconsciamente anche tu ricordavi quelle emozioni, per questo volevi i capezzoli come adesso che mi stai succhiando, mandandomi in paradiso. Si, amore, continua a succhiare la vita dal mio petto, continua a prenderti l’amore che è tuo e fammi godere l’amore che è mio. Sto venendo, Cris, sto esplodendo come non ho mai fatto; nessuno è stato capace di farmi toccare vertici di amore così alti.”
Ma non mi basta, sento la verga che si è fatta d’acciaio e preme contro i vestiti; mi spoglio e le strappo di dosso la gonna e il perizoma: è meravigliosa, la vulva di Maria, pelosa, incolta, quasi rustica; ed io la amo con tutto il corpo: la accarezzo ed infilo un dito a titillare il clitoride; la sento bagnarsi e godere; mi abbasso a succhiare tutto, dalle grandi labbra fino all’ingresso alla vagina e sento che gode, si agita come tarantolata, urla il mio nome ed esplode, chiedendomi di penetrarla, di tornare da dove sono uscito, di riprendermi il suo corpo che è mio e di ridarle il mio corpo, che è suo; la penetro quasi con violenza e la faccio urlare dal dolore, quando la cappella le sfonda la cervice e se ne impossessa.
“Si, amore, fammi male, prenditi tutto, uccidimi se vuoi, fammi morire qui, in braccio a te, in braccio all’unico grande vero amore della mia vita .. “
“No, Maria, tu non devi morire; tu devi vivere ed amare perché sei meravigliosa così innamorata, così tenera, così disponibile; tu amerai ancora tanto; ed io ti vorrò bene come il figlio più devoto ma anche come l’amante di una notte che non dimenticheremo.”
Davvero passiamo una notte indimenticabile: nel letto che fu quello del suo primo amore, quello dove mi partorì e dove mi fondevo in un corpo solo con mia madre, nella casa che aveva visto tanta felicità e tanto dolore alternarsi, ci amammo come fosse l’ultima cosa da fare nella vita; Maria volle che la prendessi da tutte le parti, in tutti i modi, mi insegnò dell’amore tutto quello che poté suggerirmi in una notte, ‘perché da domani sarai di Rossella e ti sfiorerò solo come madre’ e neppure ci accorgemmo che l’alba era sorta da un bel po’; riposammo forse un paio d’ore ed alle nove passate andammo in bagno a fare una doccia, separatamente per evitare il riaccendersi della voglia amorosa; davanti alla porta ancora chiusa, prima di uscire, Maria mi baciò un’ultima volta come l’amante prezioso che aveva ritrovato; poi andò a scuola, nella meraviglia di chi la vide uscire con suo figlio dalla casa che era stata la casa sua e di suo marito; quel giorno stesso, chiamò Nicola e gli impose di decidere: se voleva che vivessero insieme, lo facesse subito e affrontasse il giudizio del popolo; Nicola la passò a prendere all’uscita da scuola e andarono insieme a casa di lei dove avrebbero vissuto; io chiamai Rossella, la invitai a pranzo e mi presentai al bar Centrale con un mazzo di fiori e un anello di fidanzamento che le offrii davanti a tutti, con una galante genuflessione, dichiarandole convintamente tutto il mio amore e il desiderio di sposarla nel giro di un mese; mi diede appuntamento per la sera a casa mia dove si sarebbe trasferita per vivere con me, anzi, come disse, con il mio amore.
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